Cronica di Matteo Villani, vol. 5 - 08

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fè loro incontro, e di presente fu rotta, e alquanti ne furono morti,
tutti gli altri rimasono prigioni. Sopra le dette baratte di guerra i
collegati presono Gheda in sul Bresciano a dì 20 di luglio, terra che
fa oltre a ottomila uomini: e quelli che teneano Basignano in sul Po
per messer Bernabò, e per guardarla aveano spesi molti danari, e da lui
altro che minacce non poteano ritrarre, la ribellarono, e la dierono
a’ collegati, ricevuti da loro circa a diecimila fiorini d’oro, che
aveano spesi in guardarla. Oltre alle predette cose i collegati hanno
corso il Novarese e assediata Novara. Volgendo un poco il mantello a
uso di guerra, avendo i collegati preso il castello del ponte a Vico
in su l’Oglio, quelli della rocca si patteggiarono d’arrendersi se
fra certi giorni non fossono soccorsi; i collegati aveano nel castello
messe ventotto bandiere di cavalieri e soldati a piè assai, i quali non
pensando che soccorso potesse venire stavano sciolti e con poco ordine;
il castellano intendente compreso loro cattivo reggimento lo significò
a messer Bernabò, il quale di notte con gran quantità di gente, e la
mattina davanti il fare del giorno messo in ordine, per gli alberghi
e per le case tutta la detta gente prese; e così va di guerra. Più
la pestilenza dell’anguinaia avendo aspramente assalito la città di
Brescia, e l’oste de’ collegati ch’era di fuori, li strinse a partire,
e si tornarono a Verona, e quindi ciascuno alla terra sua.

CAP. V.
_Della morte di Leggieri d’Andreotto di Perugia._
Leggieri di Andreotto popolare di Perugia fu uomo di grande animo, e
al suo tempo Tullio, perocchè fu il più bello dicitore si trovasse,
e senza appello il maggiore cittadino ch’avesse città d’Italia che
si reggesse a popolo e libertà, e il più amato e il più careggiato e
dal popolo e da’ Raspanti, ma a’ gentili uomini li cui trattati avea
scoperti forte era in crepore e malavoglienza. Avvenne che una domenica
a dì 19 di giugno, essendo egli quasi all’incontro delle case sue
nella via, e leggea una lettera, un figliuolo bastardo di Ceccherello
de’ Boccoli, cui il detto Leggieri avea per lo trattato di Tribaldino
di Manfredino fatto decapitare, il quale il tenea in continovo aguato
cautamente per offenderlo, si trovò in una casa del Monte di Porta
soli, la cui finestra a piombo venia sopra il capo di Leggieri; costui
non trovando altro più presto prese una macinetta da savori la quale
trovò vicina alla finestra, e presola a due mani l’assestò sopra il
capo di Leggieri, e l’abbattè in terra morto, che mai non fè parola.
Della sua morte non fu piccolo danno a’ Perugini, e per così lo
riputarono, perocchè fare lo feciono cavaliere, e li feciono l’esequie
regali e pompose col danaio del comune, per allettare gli altri che
venissono poi a bene operare per la repubblica sua.

CAP. VI.
_Come i Fiorentini cavalcarono in Valdera e presono Ghiazzano._
Tornando alle fatiche nostre, manifestato ha sovente l’esperienza, che
la disordinata e sfacciata baldanza de’ presuntuosi e alteri cittadini
i quali sono suti per loro procacci dati, non dirò consiglieri, ma
piuttosto balii e tutori a’ capitani nelle guerre del nostro comune, e
a’ capitani e al comune hanno fatti vituperii assai, e notabili e gravi
danni, e inrimediabili vergogne, talvolta per non conoscere e volere
mostrare di sapere, talora con malizioso procaccio di loro private
utilitadi e onori. Così essendo dati al capitano messer Bonifazio
consiglieri assai vie più presuntuosi che savi, e coloro ritrovandosi
in Pescia con l’oste de’ Fiorentini, avendo a cavalcare i nemici, non
solo lo consigliavano, ma eziandio con parole e arroganti segni lo
sforzavano, sotto la baldanza dello stato cittadinesco che usurpato
aveano, che cavalcassono in quello di Lucca, dove fortuna quasi sempre
al nostro comune era stata avversa; ma il valente capitano certificato
già de’ vecchi errori in simili atti commessi, poco pregiando nel
segreto suo e loro voglie e consigli, e non avendo loro autorità nè
grandigia in dottanza, di fuori mostrava volere seguire loro talento, e
nel petto tenea raccolto il suo; e contro all’opinione d’ogni qualunque
il giovedì mattina a dì 23 di giugno partì da Pescia con tutta l’oste,
e tenne verso Fucecchio e Castelfranco, e il seguente dì, il giorno
di san Giovanni, si mise per lo stretto di Valdera a piè di Marti,
certo dell’impotenza de’ nemici, e corse infino a Peccioli, e la sera
combattè il castello di Ghiazzano, e per la moltitudine delle buone
balestra tanto impaurirono quelli d’entro, che a dì 26 del mese dierono
il castello salve le persone, il quale fu per camera del nostro comune
infino alla presa di Peccioli, che poco appresso seguì.

CAP. VII.
_Come i Fiorentini soldarono galee contra i Pisani._
Non contenti i Fiorentini co’ Pisani alla guerra di terra con loro,
vollono tentare la fortuna del mare, e del mese di giugno condussono
a soldo Perino Grimaldi con due galee e un legno, e uno Bartolommeo
di...... con altre due galee, i quali promisono con detti legni bene
armati essere per tutto il mese d’agosto nella riviera di Pisa, e fare
guerra a’ Pisani a loro possanza.

CAP. VIII.
_Come i Perugini presono la Rocca cinghiata e quella del Caprese._
Essendo gli ambasciadori e’ sindachi degli uomini e comunità di Val
di Caprese stati a Firenze a sollecitare il comune che per suoi li
prendesse, e con loro quelli della Rocca cinghiata, per la molta forza
d’amici che si trovarono gli Aretini tra le fave, si sostenne che
accettati non fossono, in danno e disonore del nostro comune: ond’essi
dileggiati presa disperazione s’avventarono e dieronsi a’ Perugini, i
quali li ricevettono graziosamente; e di presente del mese di luglio
vi mandarono quattrocento fanti e centocinquanta uomini da cavallo, e
presonsi le tenute di quelle due notabili rocche.

CAP. IX.
_Come novecento cavalieri di quelli di messer Bernabò furono sconfitti
da seicento di quelli di messer Cane Signore._
Era la gente di messer Cane Signore e di Polo Albuino in numero di
seicento cavalieri del mese di luglio 1362, essendo messer Bernabò
in Brescia con gente molta più assai di cavallo, la detta gente di
messer Cane in passaggio albergò dinanzi delle porte della città,
e una domenica mattina partendosi di quindi per ridursi a Pescara
e coll’altra gente della lega, lasciato fornite Ganardo e Pandegoli
castella di nuovo per loro acquistate in sul Bresciano, ed essendo
già intra ’l detto Pandegoli e Smaccano, la gente di messer Bernabò
in numero di novecento barbute e oltra, che in que’ giorni s’era
ricolta nel castello di Lenado, parendo loro avere mercato della gente
di messer Cane, s’apparecchiarono ad assalirla. La gente di messer
Cane sapendo che i nemici avanzavano il terzo e più, e che nel luogo
dov’erano aveano il disavvantaggio del terreno, e che si metteano in
punto per assalirli, non aspettarono, e il detto giorno nell’ora del
vespro nella disperazione presono cuore, e assalirono francamente i
nemici in su l’ordinarsi, e col favore di Dio li misono in rotta, e
assai ne furono morti e magagnati e assai presi, intra’ quali di nome
furono messer Mascetto Rasa da Como loro capitano, con venticinque
conestabili assai pregiati in arme, e altri assai che non si nominano;
e quindi a non molti giorni trecento barbute della gente di messer
Bernabò in sul Bresciano dalla gente della lega furono sconfitti.

CAP. X.
_Disordine nato tra’ Genovesi per la guerra de’ Fiorentini e’ Pisani._
Messer Simone Boccanera primo doge di Genova, quando privato fu di
sua dignità e cacciato di Genova si ridusse a Pisa, e da’ Pisani
cortesemente fu ricevuto, e secondo il suo grado assai onorato; onde
per la detta cagione essendo ritornato in Genova, e nello stato suo
con la forza di suoi amici e seguaci, a tutto suo podere cercò che il
comune di Genova desse il suo favore a’ Pisani, e già essendo entrati
in lega con loro, quando il traffico de’ Fiorentini fu levato da Pisa,
contro a qualunque navilio con mercatanzia ch’entrasse o uscisse dal
porto di Talamone, e da quella a istanza de’ Fiorentini per lo suo
consiglio e comune levato, quando vidde il fuoco della guerra appreso,
con ogni sua forza e sottigliezza cercava che i Genovesi dessono loro
favore a’ Pisani, ma i mercatanti ed altri cittadini a tutti suoi
avvisi e sforzamenti s’oppuosono, pure tanto fè, che per deliberazione
del comune s’ottenne e statuì che il comune di Genova si stesse di
mezzo, e nullo aiuto o favore si desse nè all’uno nè all’altro. Occorse
in istanza di tempo, che i signori priori di Firenze e gli otto della
guerra scrissono a Francesco di Buonaccorso Alderotti mercatante stato
lungamente in Genova, pratico con tutti i cittadini e da loro ben
veduto, che conducesse quattrocento de’ migliori balestrieri i più
pratichi in guerra che avere potesse a soldo, con un buono capitano
o due. Ciò venne agli orecchi del doge, e sotto il protesto della
deliberazione fatta per lo comune, che a’ Fiorentini nè a’ Pisani si
desse favore, come è detto di sopra, prestamente fè fare personale
bando, che niuno potesse conducere nè in Genova nè nella Riviera alcuno
balestriere, e simile pena puose al balestriere se si conducesse. Il
valente mercatante alle sue spese, sponendosi ad ogni pericolo per
zelo di suo comune, se n’andò a Nizza ch’è della contea di Provenza,
e qui s’accozzò con messer Riccieri Grimaldi, uomo valoroso e stato
in più battaglie campali, e lui solo condusse capitano di quattrocento
balestrieri a fiorini sette per balestro il mese, i quali furono tutti
uomini scelti e usi in guerra. E per mostrare messer Riccieri che con
amore e affezione venia a servire il comune di Firenze, volle che intra
il numero de’ balestrieri fossono due suoi figliuoli, e due di Perino
Grimaldi, i quali venuti a Firenze, e non trovando verrettoni a loro
modo, anche fu scritto per gli otto al detto Francesco, che da Genova
ne mandasse dugento casse. Ed essendo per lo detto doge posto grave
pena a chi ne traesse del Genovese, il detto Francesco compostosi co’
doganieri, ne mandò subito centosettanta, le quali legate a quattro
casse per balla con paglia, e invogliate a guisa di zucchero, e per
zucchero si spacciarono alla dogana. Emmi giovato di così scrivere,
perchè se onorato fosse chi bene fa per lo suo comune, gli animi degli
altri s’accenderebbono a fare il simigliante.

CAP. XI.
_Come il re di Castella con quello di Navarra ruppono pace a quello
d’Aragona, e lo cavalcaro._
Essendo legati insieme, come addietro è detto, lo re di Spagna, con
quello di Navarra, con quello di Portogallo, e con quello di Granata, e
col conte di Foscì, e con quello d’Armignacca contro il re d’Aragona,
del mese di giugno il re di Castella con quello di Navarra, amendue
in persona, con cinquemila cavalieri si misono sopra le terre di
quello d’Aragona, la quale è lontana a Sibilia per otto giornate,
e con sedici galee l’assalirono per mare, avendosi la pace lasciata
dopo spalle, facendo grandi e disonesti danni. E avendo il re Piero di
Spagna lungo tempo tenuta assediata la città di Calatau, e quelli della
città difendendosi coraggiosamente, e non volendosi arrendere loro,
lo re con giuramento promise, che se non si arrendessono, ed egli li
prendesse per forza, che tutti li farebbe morire: quelli poco pregiando
le sue minacce sollecitamente attendeano a loro difesa; infine del mese
d’agosto il re per battaglia prese la città e non ricordandosi che
i vinti fossono cristiani, incrudelito contro loro a guisa di fiera
salvaggia, oltre a seimila cittadini disarmati e vinti fè mettere al
taglio delle spade senza misericordia alcuna.

CAP. XII.
_Come per sospetto in Siena a due dell’ordine de’ nove fu tagliata la
testa._
In questo tempo e mese di giugno, Giovanni d’Angiolino Bottoni della
casa de’ Salimbeni con altri gentili uomini di Siena, e con certi
dell’ordine de’ nove, il quale era posto a sedere, tennono trattato
di dovere rimettere l’ordine de’ nove nello stato. Il popolo avendo di
ciò odore, e pertanto in sospetto, corse all’arme, e nel furore furono
presi un Tavernozzo d’Ugo de’ Cirighi, e uno Niccolò di Mignanello,
ch’erano stati dell’ordine de’ nove, e furono decapitati. Il capitano
della guardia, ch’era de’ Pigli di Modena, fece tagliare il capo a un
frate e a certi altri: e furono posti in bando per traditori Giovanni
d’Agnolino Bottoni, e messer Giovanni di messer Francesco Malavolti,
e Andrea di Pietro di messer Spinello Piccoluomini, e Cinque di messer
Arrigo Saracini, e Francesco di messer Branca Accherigi dell’ordine de’
nove. Poi a dì 3 di novembre il detto Giovanni co’ sopraddetti furono
ribanditi, e riposti nel primo stato e onore.

CAP. XIII.
_Cavalcate fatte per messer Bonifazio Lupo in su quello di Pisa._
Avendo messer Bonifazio Lupo preso Ghiazzano, e predata e arsa la
Valdera tutta fuori delle fortezze, volendo più in avanti cavalcare
per suo onore e del comune di Firenze, vietato gli fu da’ consiglieri
che dati gli erano per lo comune senza mostrarli il perchè. Il valente
capitano pregiando più suo onore che la grazia e amore de’ privati
cittadini, e non curando i volti turbati, si mise in viaggio con l’oste
ordinata per fornire sua intenzione. L’uno de’ consiglieri ito più là
nello stato che non portava il dovere scrisse al fratello, ch’era degli
otto della guerra, come il capitano nullo loro consiglio volea seguire,
e che era uomo di sua volontà, e di mettere il comune in pericolosi
luoghi, con dire procurasse fosse onorato com’egli onorava loro.
Il che ne seguì, che per operazione del detto degli otto fu eletto
per capitano messer Ridolfo da Camerino, e mandato per lui, e che
prestamente venisse, mostrando che per le stranezze di messer Bonifazio
il comune n’avesse gran bisogno: e tutto che di ciò ne sdegnasse messer
Bonifazio nol dimostrò, ma come magnanimo ne fece di meglio. Tornando
a nostro processo, messer Bonifazio spregiato il voglioso e poco savio
consiglio, e forse malizioso e venduto de’ suoi consiglieri, lasciato
Ghiazzano ben fornito e guarnito alla difesa, l’ultimo dì di giugno,
arsa e predata la Valdera, con molto ordine cavalcò a Padule, villa
ricca e fornita di belli abituri, e predata e arsa la villa prese
Castello san Piero, e il mercato a Forcole, e per tre dì soggiornò in
quei paesi correndo vicino a Pisa: e in quel tempo presono, arsono e
guastarono trentadue tra castella, e fortezze e villate, nelle quali
arsono oltre a seicento case, che fu danno quasi inestimabile; e intra
l’altre fortezze presono Contro, e dieronlo in guardia a’ Volterrani.
Ed essendo la gente grossa de’ Pisani a Castello del Fosso, i nostri
vi mandarono e richiesonli a battaglia, ed eglino non s’attentarono
d’uscirli a vedere: fu in animo del capitano di combatterlo, ma
fallandoli gli ingegni di combattere castella, e vittuaglia, si partì
quindi, e puosesi nel borgo di Petriolo, quivi aspettando il nuovo
capitano; dove stando, per non tenere la sua gente oziosa, e per
non dare respitto a’ nemici, quattrocento tra barbute e Ungari con
cinquecento masnadieri, sotto la guardia e condotta di Leoncino de’
Pannocchieschi de’ conti da Trivalle di Maremma soldato del comune
di Firenze, fece cavalcare nella Maremma, lunga dal luogo dov’era
cinquanta miglia, verso Montescudaio e per que’ paesi, dove trovarono
gran preda di bestiame e grosso e minuto, che per l’asprezza del luogo
ivi s’era ridotto. I nostri non trovando contasto, fatto gran danno e
arsione nel paese, a dì 9 di luglio menarono al campo dodici centinaia
di bufole e novecento vacche, vitelle assai, e oltre a mille porci,
e altro bestiame minuto assai, il quale sortito tra i predatori, solo
messer Bonifazio per sua cortesia fu senza parte di preda, lasciandola
a chi l’avea faticata.

CAP. XIV.
_Del processo della guerra da’ collegati a messer Bernabò._
Di questo mese di giugno, quelli della lega ripuosono il castello di
Massa presso alla Mirandola, e lasciatolo ben fornito di vittuaglia
e di gente alla guardia contendeano a guerreggiare sollecitamente.
Dall’altra parte Anichino di Bongardo con la gente di messer Bernabò
ha riposto il castello di Solaro in sul canaletto, che esce del canale
di Modena, e fornitolo s’è accampato ivi presso nel bosco facendovisi
forte. Il conte di Lando con messer Ambrogiuolo figliuolo naturale di
messer Bernabò corsono infino alla Mirandola ingaggiati di battaglia
con la gente della lega, ma in que’ tempi che combattere doveano grave
malattia prese messer Galeazzo, e, o che così fosse, o che fosse
simulata per non si mettere alla fortuna della battaglia, il conte
di Lando e messer Ambrogiuolo si tornarono addietro. Il marchese di
Ferrara di questo mese tolse Voghera, terra d’oltre a dugento uomini,
e Guarlasco e più altre terre. Cane Signore tolse la valle di Sale
in sul lago di Garda, e più altre terre e fortezze. Alquanti vollono
dire questa essere la cagione perchè il conte di Lando e Ambrogiuolo
si tornarono addietro. In queste baratte e volture per operazione del
conte di Lando certi conestabili tedeschi ch’erano al soldo della
lega, loro caporale messer..... del Pellegrino, in numero tutti di
undici, fatta congiura doveano tradire la lega, i quali furono presi, e
trovando che ciò era vero furono decapitati.

CAP. XV.
_Come messer Ridolfo prese il bastone da messer Bonifazio._
Giunse a dì 6 di luglio messer Ridolfo al campo, che era fra Peccioli
e Ghiazzano, dove dalla gente dell’arme ch’aveano posto amore alla
cortesia e valore di messer Bonifazio con niuno rallegramento fu
ricevuto; e dal vecchio capitano prese l’insegne, onorandolo in questa
forma di parole, che la bacchetta e il reggimento dell’oste bene stava
nelle sue mani, ma per ubbidire il comune di Firenze di chi era soldato
la prendea: e presa, di presente lo fè maliscalco, ed egli ogni sdegno
deposto in servigio del comune di Firenze l’accettò come era ordinato.

CAP. XVI.
_Della crudeltà che i Pisani usarono contra i Lucchesi per gelosia._
Mentre che l’oste del comune di Firenze pigra e malcontenta sotto
il nuovo capitano dimorava tra Peccioli, e Ghiazzano in Valdera,
aspettando il gran fornimento che ’l capitano avea domandato, i
Pisani per non dimenticare la loro usata crudeltà, tutti i forestieri
che al loro soldo erano in Lucca feciono ritrarre nell’Agosta, e
segretamente avvisarono da cento cittadini ghibellini e loro confidati
che per grida che elli udissono andare non si partissono, ma facessono
vista di volere partire, acciocchè gli altri veggendo apparecchiare
loro prendessono viaggio; e ciò fatto, feciono bandire che sotto
pena dell’avere e della persona, che uomini e femmine, cittadini e
forestieri, dovessono sgombrare la città e ’l contado presso alla
città a mille canne, afin che compiesse d’ardere una candela che
posta era alle porte. Fu miserabile e cordoglioso riguardo e aspetto
di gran crudeltà vedere i vecchi pieni d’anni, le donne, le fanciulle
lagrimose con sospiri e guai, e i piccoli fanciulli con strida lasciare
loro case, loro masserizie e loro città, e ire e non sapere dove: i
gentili e antichi cittadini, e nobili mercatanti e artefici in fretta
e sprovveduti fuggire, come avessono spietati nemici alle spalle loro,
e la terra loro lasciassono in preda. L’orribile bando fu al tempo dato
ubbidito, e la terra lasciata fu vuota, e in sommo silenzio: di questo
prestamente seguì, che i Pisani ch’erano alla guardia di Lucca co’ loro
soldati e a piè e a cavallo furiosamente uscirono dell’Agosta colle
spade nude in mano, e corsono l’abbandonata terra senza essere veduti
da’ Lucchesi, gridando; Muoiano i guelfi; a Firenze, a Firenze: e non
aveano potestà di cacciare la gente de’ Fiorentini ch’erano loro in su
le ciglia.

CAP. XVII.
_Delle cavalcate fatte per messer Ridolfo sopra i Pisani, e del gran
danno che ricevettono._
Continovando nostro trattato della guerra tra i Fiorentini e’ Pisani,
con poca intramessa di cose di forestieri, perchè delle occorse in
questi giorni, se occorse ne sono degne di memoria, poche ne avemo, e
raccresciuta la forza del comune di Firenze, perchè il conte Niccola
degli Orsini prima offertosi, e accettato, era venuto con cento uomini
di cavallo, e così più altri gentili uomini, il perchè il capitano
si trovò con duemila barbute e con cinquemila pedoni nel campo tra
Peccioli e Ghiazzano, dove pigramente con molta sua infamia dimorava;
il perchè messer Bonifazio Lupo infignendosi poco sano se ne venne a
Firenze. Alla fine empiuto il gran fornimento che domandava, sotto il
cui adempimento si scusava di sua pigrizia, più non potendo fuggire
sue scuse, a dì 16 del mese di luglio con l’oste si partì da Peccioli,
e la notte albergò a Ponte di Sacco, e ’l dì seguente passarono il
fosso a malgrado della forza de’ Pisani che v’era alla guardia, con
loro danno e vergogna, ed entrarono nel borgo di Cascina, dove preda e
vittuaglia trovarono assai. La cagione fu, ch’essendo alla guardia del
fosso un quartiere di Pisa con soldati e contadini assai, non pensarono
che i Fiorentini vi potessono passare, e per tanto poco o niente v’era
sgombrato. Gli Ungari de’ Fiorentini, come per natura sono desiderosi
di guadagnare, e atti a scorrere, passarono insino alla Badia a
Sansavino, e presono intorno di cinquanta prigioni. Il capitano tutto
il giorno e ’l seguente stette col campo fermo a Cascina, dove intorno
correndo le gualdane per spazio di più miglia, e di prede e d’arsioni
danni inestimabili furono fatti. Il martedì mattina a dì 19 di luglio
partiti da Cascina s’accamparono a Sansavino, e ’l fiore della gente da
cavallo e da piè cavalcarono infino alla volta dell’Arno presso a Pisa
a cinquecento passi, ed ivi alla Bessa con l’usate muccerie, ad eterna
rinoma del comune di Firenze, e infamia de’ Pisani, feciono correre un
ricco palio di veluto in grana foderato di vaio, il quale ebbe il conte
Niccola degli Orsini, e lo mandò a Roma per onore della sua cavalleria.
I corridori con assai di buona gente sotto il bastone di messer Niccola
Orsini passarono Pisa facendo assai di male e vergogna a’ nemici. Fatte
le dette cose si tornarono al campo: e quel giorno medesimo passata
nona, ritornati al detto luogo, con assai meno gente per dirisione
feciono correre palii l’uno ad asini, l’altro a barattieri, e ’l terzo
alle puttane; onde i Pisani di tanta ingiuria aontati, seicento a piè
con dugento cavalieri con molti balestrieri, con la imperiale levata,
uscirono di Pisa per vendicare o in tutto o in parte loro oltraggio.
La gente de’ Fiorentini, ch’era a fare correre detti palii, ed era in
punto e vogliosa aspettando il detto caso, francamente s’addirizzò
a loro, e li ruppono e li rimisono infino nelle porte con tanto
ardire, che alquanti con loro mescolati entrarono in Pisa, e alquanti
balestrieri saettarono nella terra, e ciò fatto si tornarono al campo:
e quivi stando, il mercoledì arsono tutto ciò che poterono intorno a
Pisa infino al borgo di san Marco a san Casciano, e Valdicaprona e
molte altre ville, con molte belle e ricche possessioni nobilmente
accasate. Il danno come incredibile piuttosto è da tacere che da
scrivere: e per giunta a’ detti mali, i villani de’ piani ch’erano
rifugiati in Pisa, e stavansi sotto loro carra lungo le mura, furono
assaliti dalla pestilenza dell’anguinaia, e assai ne perirono. E ciò
somigliava agl’intendenti giudicio di Dio, che dentro e di fuori così
gastigasse i corrompitori della pace e della fede data per soperchio
d’astuta malizia.

CAP. XVIII.
_Come messer Ridolfo assediò Peccioli, e prese stadichi se non fosse
soccorso._
Poichè a messer Ridolfo parve avere fornito il dovere di suo onore,
potendo molto più fare, mercoledì a dì 20 di luglio ripassò il fosso,
e ritornossi a Ponte di Sacco; dove stando, casualmente fu preso un
fante che portava una lettera per parte del castellano di Peccioli
al capitano del fosso, la quale in sostanza diceva, che i soldati da
cavallo e da piè con molti terrazzani, sentendo che ’l capitano de’
Fiorentini era a Sansavino occupato in molte faccende, erano usciti di
Peccioli, e cavalcati in su quello di Volterra per guadagnare, e che
tornati non erano, e la cagione non sapea, e che la terra non era in
stato di potersi difendere se fossono combattuti o stretti per assedio,
e che a ciò riparasse, e gli mandasse presto soccorso; ed era vero, che
essendo la detta gente de’ Pisani cavalcata in su quello di Volterra,
certa gente da piè e da cavallo del comune di Firenze, la quale era
in Volterra, avendo boce della detta gente de’ Pisani loro si feciono
incontro, e colla forza de’ contadini volterrani gli incalciarono e
strinsono in forma, che non possendo fuggire nè ritornare per la via
ond’erano venuti, lasciata la preda che fatta aveano, in sul fare della
sera per loro scampo si ridussono in su un colle, e la notte si misono
per la Maremma. Il capitano vista la detta lettera mandò prestamente
gli Ungari e’ cavalieri innanzi per impedire la tornata della detta
gente in Peccioli, e senza dimoro con tutto l’oste seguì, e quella
medesima sera con l’oste attorneò tutta la terra, e il seguente dì la
cominciò a cignere di steccato facendo sollecita guardia, e la sera
in sul tramontare del sole, per conoscere se la lettera che egli avea
trovata gli dicea vero, fece dare alla terra una battaglia per scorgere
la gente che v’era alla difesa, e per quello comprendere si potè forse
sessanta uomini con femmine assai si vidono, che diedono a intendere
che vi mancava difesa; il procinto della terra era grande, ma forte
e di muro e di ripe. Il capitano scorto il fatto pigramente procedea
nell’assedio, dormendo la mattina insino a terza col letto fornito di
disonesta compagnia, e menando vita di corte quieta; il perchè messer
Bonifazio, uomo d’onesta vita e di vergogna pauroso, veggendo la
sciolta vita del capitano e suo mal reggimento, infignendosi d’essere
malato se ne venne a Firenze, e mostrando a’ signori che poco era loro
onore e necessario, chiese licenza di tornarsi in Lombardia; i signori
con loro consiglio considerando quanto era di bisogno al comune,
lo pregarono e lo gravarono, che a tanto bisogno non abbandonasse
il servigio per lui fedelmente cominciato, e che tornasse al campo
a perseguire le buone opere sue, le quali bene erano conosciute e
gradite da’ savi e buoni cittadini, e così conosciute quelle del suo
successore; il perchè vinto per servire il comune tornò al campo. Il
capitano corse in voce di poco leale per i suoi molti falli, e per non
volere seguire la volontà del comune, e di ciò mostrò segni, perocchè
la cavalcata che fatta avea sopra i Pisani non era stata volontaria
ma sforzata, riprendendo sua tardezza, e potendo con suo onore stare
dodici dì col fornimento che menò in su le porte di Pisa, e guastare
gran parte di loro contado, il terzo dì se ne partì, e potendo per
battaglia avere Peccioli, tanto soprastette, che le femmine armate
le mura presono cuore alla difesa veggendo la viltà del capitano:
ma infamato dalla partita di messer Bonifazio Lupo e da’ Fiorentini
ch’erano nel campo, tutto che i suoi protettori lo difendessono, ed
esso sè medesimo mostrando a molti le lettere ch’avea da Firenze, che
si portasse cortesemente, pur mosso dal grido strinse la terra prima
con battaglia tiepida e con poco ordine, e tanto debilmente si portò
in detto e in fatto, che con vergogna da pochi di quelli d’entro, che
pochi ve n’erano, vituperosamente fu ributtato, i quali intendendo loro
fortuna aveano smisurata paura, e mostravano gran cuore per invilire
quelli di fuori. Ritratto il capitano dalla poca favorata battaglia,
ne’ fossi rimasono scale e grilli che infino alle mura erano condotti,
di gran dispiacimento dei nostri cittadini che erano a vedere. Tra i
rettori del comune, tutto ch’e’ conoscano il difetto, per la forza di
medici radissime volte vi pongono rimedio obliando l’onore del comune.
La fama della viltà e disonesta vita del capitano, o calunniosa o
vera che fosse o falsa, pure lo stimolò alquanto; onde veggendo egli
che i Pecciolesi erano spigottiti, cominciò a cignere la terra di
steccato senza contasto, perocchè stracchi erano sotto le battaglie
e sotto la continova guardia quelli che rimasi erano nella terra per
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