Cronica di Matteo Villani, vol. 3 - 05

Total number of words is 4604
Total number of unique words is 1394
37.8 of words are in the 2000 most common words
50.8 of words are in the 5000 most common words
58.1 of words are in the 8000 most common words
Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
servaggio la loro città; e trattarono con loro di fare ogni loro sforzo
con buona punga per rientrare in Lucca, e catuno promise di fornirsi
di gente per loro aiuto, e di cavalli e d’armi per fornire loro
impresa. E sentendo i Pisani questo apparecchiamento, si provvidono
sollecitamente al riparo. Le cose procedettono e seguirono al loro fine
come degnamente meritarono, e tosto ci verrà il tempo da raccontarlo.

CAP. LXII.
_Conta della gran compagnia di Puglia._
Avvedendosi quelli della compagnia ch’erano in Terra di Lavoro,
che il re nè i suoi baroni mettevano alcuno riparo contro a loro,
presono maggiore baldanza, e raccolti insieme se ne vennero verso
Napoli, e posonsi a campo a Giuliano tra Aversa e Napoli, presso a
Napoli a quattro miglia di piano, e domandavano al re danari senza
fare guasto. Allora i Napoletani vedendo che il re non si movea, si
mossono da loro, e accolsono de’ paesani e de’ forestieri una quantità
di cavalieri, e feciono capo il conte camarlingo, e ’l conte di san
Severino e l’ammiraglio di volontà del re; nondimeno costoro non
uscivano di Napoli a riparare le cavalcate della compagnia e sturbavano
l’accordo, che si cercava di dare loro danari. Per la qual cosa i
Napoletani temendo di ricevere il guasto, di che la compagnia gli
minacciava, a dì 12 di Luglio del detto anno s’armarono a cavallo e
a piè romoreggiando, e minacciando i baroni che non lasciavano fare
l’accordo colla compagnia. I baroni erano forti da loro, e aveano con
seco i forestieri armati, sicchè poco curavano le minacce o le mostre
de’ Napoletani, e avvedendosene i Napoletani, posono giù l’arme, e
se n’acquetarono. Nondimeno il re mostrando di fare al movimento de’
Napoletani l’accordo, vedendosi l’oste di presso addosso, per schifare
maggiore pericolo, trattò di dare loro fiorini centoventimila in
certi termini, e per questo si levarono da Giuliano, e dilungaronsi da
Napoli, paesando e vivendo alle spese de’ paesani. L’effetto di questo
trattato ebbe mutamenti con danno de’ regnicoli innanzi che si traesse
a fine, come innanzi al suo tempo racconteremo.

CAP. LXIII.
_Come il gran siniscalco condusse mille barbute contro alla compagnia,
ond’ella s’accrebbe._
Mentre che queste cose si trattavano in Napoli, il gran siniscalco del
Regno messer Niccola Acciaiuoli di Firenze essendo stato in Toscana, e
in Romagna e nella Marca accogliendo gente d’arme, s’era con essa messo
a cammino: e giunto alla città di Sulmona con mille barbute di gente
tedesca e oltramontana, fè sentire al re la sua venuta; il re richiese
i baroni per volersi combattere colla compagnia venendo contro a’
patti promessi: ma la cosa venne dilatando e prendendo indugio, e nel
soprastare il caldo appetito del re venne raffreddando, e ancora de’
suoi baroni, e il termine delle paghe de’ soldati menati per lo gran
siniscalco cominciò a venire; e non essendo il re mobolato da poterli
pagare e riconducere per innanzi, assai se ne partirono dal servigio
del re. e andarsene alla compagnia, e fecionla maggiore.

CAP. LXIV.
_Come gli usciti di Lucca s’accolsono senza far nulla._
Ritornando nostra materia al fatto degli usciti di Lucca, que’
caporali ch’erano a soldo del comune di Firenze, con le loro bandiere
appresentandosi al tempo ordinato tra loro, cominciò la cosa a
pubblicarsi in Firenze. Quando il comune sentì questo, incontanente
tutti gli cassò dal suo soldo, e comandò loro sotto pena della vita,
che niuna ragunata di gente facessono nel contado o distretto di
Firenze, e contradisse a tutti i cittadini e contadini sotto pena
dell’avere e della persona, che niuno aiuto o favore si desse loro,
perocchè non volea il nostro comune rompere per niuna cagione la pace
ch’avea co’ Pisani. Nondimeno i Lucchesi guelfi ch’erano in Toscana,
con loro sforzo s’accolsono in certo luogo in sù quello di Lucca, e
ivi si trovarono con dugento cavalieri e con molti masnadieri che gli
seguitavano per speranza di guadagnare. I conducitori furono Obizzi
e Salamoncelli, e attendeano che dall’altra parte, com’era ordinato,
venissono i figliuoli di Castruccio con gli usciti ghibellini, e col
popolo di Lunigiana e Garfagnana. I Pisani sentendo che gli usciti di
Lucca si cominciavano a ragunare, cacciarono di Lucca tutti i cittadini
ch’aveano alcuna apparenza, e mandaronvi per comune i due quartieri di
Pisa alla guardia, e con grande studio si fornirono di gente d’arme
alla difesa. I figliuoli di Castruccio non attennono la promessa al
termine, per la qual cosa gli usciti guelfi soprastati al termine
più di due dì, e non avendo novelle che venissono, si cominciarono a
sfilare, e senza ordine tornare catuno a casa con poco onore. Abbianne
fatto memoria non per lo fatto, che nol meritava, ma perchè in quel
tempo che questo fu, erano quarantadue anni ch’e’ Lucchesi guelfi erano
stati fuori della loro città, e mai non aveano fatta altrettanta vista
per cercare di volere tornare in Lucca, come a questa volta.

CAP. LXV.
_Come il re di Cicilia racquistò più terre._
In questo tempo, don Luigi di Cicilia coll’aiuto de’ Catalani
dell’isola e della loro setta, accolti insieme in arme a piè e a
cavallo si mossono da Catania con la persona del loro signore, e
cavalcando sopra le terre ch’ubbidiano l’altra setta di Chiaramonti e
il re di Puglia, e trovandole mal fornite alla difesa, s’arrenderono e
ubbidirono, vedendo la persona di don Luigi, senza farli resistenza.
E appresso preso più ardire, del mese di luglio con sei galee armate
e con l’altra gente per terra venne a Palermo, e posevisi intorno
credendolasi riavere, ma vedendo ch’e’ si difendeano colla gente
forestiera che v’era per lo re Luigi di Puglia, fece danno assai nelle
villate di fuori, e poi se ne ritornò a Catania.

CAP. LXVI.
_Novità di Padova._
Essendo messer Iacopino da Carrara signore di Padova, e avendo
lungamente tenuta la signoria in compagnia di Francesco suo nipote
carnale, avendosi portato insieme grande onore, non sentendosi alcuna
cagione d’odio o di sospetto tra loro, salvo che messer Francesco
volea pace co’ signori di Milano, e messer Iacopo la volea con loro,
e voleala co’ signori di Mantova insieme con cui erano collegati, non
dovea però per questo essere cagione d’odio tra loro, ma piuttosto
quello che non soffera d’avere consorto nella signoria tra gli animi
ambiziosi di quella; e per questo Francesco ch’era più giovane e più
atto a guerra, e avea il seguito della gente d’arme, una sera, a dì
26 del mese di luglio del detto anno, essendo messer Iacopino nella
sua sala posto a cena, messer Francesco con suoi compagni armati
copertamente venne al palagio, dove non gli era nè di dì nè di notte
vietata porta, e andato suso, trovò il zio che cenava, e accogliendo
il nipote senza alcuno sospetto, fu da lui preso, e incamerato e messo
in buona guardia, senza essere per lui alcuna resistenza fatta nel
palagio. La mattina vegnente messer Francesco cavalcò per la città, e
senza fare novità nella terra fu ubbidito in tutto come signore, e si
scusò al popolo, che questo avea fatto perocchè avea trovato di certo,
che poichè messer Iacopino si vide avere figliuolo, avea cercato di
fare avvelenare lui: e che ciò fosse vero o no, tanto se ne dimostrò,
che alcuni di ciò furono incolpati e martoriati, tanto che confessarono
il malificio, e perderonne le persone.

CAP. LXVII.
_Come i Visconti tentarono di racquistare Bologna._
Di questo mese di luglio del detto anno, messer Bernabò de’ Visconti
di Milano avendo tenuto alcuno trattato in Bologna, credendolasi
racquistare, mandò di subito duemila cavalieri e di molti masnadieri
di soldo sopra la città di Bologna, e la loro prima posta fu al Borgo a
Panicale, e feciono vista d’afforzare loro campo presso a Bologna a tre
miglia; poi all’entrata d’agosto si levarono di là e andarono a Budrio,
e trovandovi difetto d’acqua, si partirono di là, e posono campo a
Medicina tra Bologna e Imola, e là dimorarono attendendo che novità si
movesse in Bologna. Lasceremo ora questa gente ch’attende di fare suo
baratto, come al tempo innanzi racconteremo.

CAP. LXVIII.
_Come in Firenze nacquono quattro lioni._
A dì 3 d’agosto nacquono in Firenze quattro lioni, due maschi e due
femmine; l’uno si donò al duca d’Osteric, che ’l domandò al comune,
l’altro al signore di Padova.

CAP. LXIX.
_Novità fatte per gli usciti di Lucca._
All’entrata del mese d’agosto del detto anno, messer Arrigo e messer
Gallerano figliuoli di Castruccio usciti di Lucca, con quella gente
d’arme ch’avere poterono in Lombardia apparirono in Lunigiana, e ivi
e di Garfagnana accolsono fanti a piè; e i Lucchesi guelfi usciti da
capo si ragunarono e accozzarono co’ figliuoli di Castruccio, e di
concordia, trovandosi quattrocento cavalieri e duemilacinquecento
fanti, si posono ad assedio a Castiglione, che si guardava per i
Pisani. I Pisani avuto l’aiuto da’ Sanesi, con cui erano in lega e
compagnia, con settecento cavalieri e seimila pedoni uscirono di Pisa
per andare a soccorrere il castello, e a dì 12 d’agosto del detto anno,
trovandosi ne’ campi presso a’ nemici, feciono loro schiere. Gli usciti
di Lucca, veggendosi il vantaggio del terreno, si feciono ordinatamente
loro incontro da quella parte donde li vidono venire. I Pisani si
mostrarono di volerli assalire da quella parte, e cominciaronvi
l’assalto per tenere i nemici a bada; e cominciata la battaglia, il
loro capitano con quella gente ch’e’ s’avea eletta, mentre che d’ogni
parte si mantenea l’assalto, girò il poggio, e montò sopra i nemici
da quella parte onde venia la vittuaglia agli usciti che teneano
l’assedio, e fece questo sì prestamente, che i Lucchesi, ch’aveano
assai di buoni capitani, non vi poterono riparare, ma veduto ch’ebbono
ch’e’ nemici aveano tolto loro la via del pane, non vidono potere
mantenere l’assedio al castello; e però si strinsono insieme, e arsone
il campo loro, e ricolsonsi in alcuna parte ivi presso senza potere
essere danneggiati da’ nemici; e raccolti quivi, senza alcuno danno
di là si partirono salvamente, e valicarono l’alpe, e capitarono nel
Frignano, e di là catuno con accrescimento d’onta, senza altro danno,
perduta la speranza di tornare in Lucca, catuno tornò a procacciare
sue condotte per vivere al soldo, e ’l castello rimase libero
all’ubbidienza de’ Pisani.

CAP. LXX.
_Come i Catalani non vollono la pace co’ Genovesi fatta per i
Veneziani._
Il re d’Araona essendo in Ispagna dopo l’acquisto fatto della Loiera,
e dell’accordo preso col giudice d’Alborea, sentendo che i Veneziani
aveano fatta pace co’ Genovesi senza il suo consentimento contro
al giuramento della loro compagnia, fece di presente armare venti
galee per sua sicurtà: e domandaronli i Genovesi la Loiera e altre
terre di Sardigna, se con loro volea pace. E questa fu la cagione già
scritta addietro, perchè il comune di Genova ribandì le quindici galee
ch’aveano preso Tripoli, le quali feciono per tre mesi gravi danni
nella riviera di Catalogna, spezialmente d’ardere e di profondare loro
navili ne’ porti. Le venti galee del re avendo fortificate e fornite le
terre di Sardigna, e reiterata la pace col giudice, si ritornarono in
Catalogna senz’altra novità fare.

CAP. LXXI.
_Come messer Ruberto di Durazzo lasciò il Balzo._
Di questo mese d’agosto, essendo stato messer Ruberto di Durazzo
stretto da’ Provenzali nel Balzo per modo, che non avea potuto correre
il paese nè fare prede com’avea cominciato, benchè ’l castello potesse
tenere lungamente, parendogli stare con sua vergogna senza guadagno, di
sua volontà s’uscì del castello, e rilasciollo a’ signori del Balzo.
Alcuni dissono, che ’l papa gli diè alcuni danari co’ quali si mise
in arme, e andò a servire il re di Francia nelle sue guerre ove morì a
onore, come a suo tempo racconteremo.

CAP. LXXII.
_Come arse la bastita da Modena._
Essendo lungamente mantenuta per la forza di messer Bernabò di Milano
una grande e forte bastita sopra la città di Modena con molti cavalieri
e masnadieri, i quali aveano per stretto modo assediata la città,
e recata in grandi stremi, come piacque a Dio, quello che non avea
potuto fare la gran compagnia nel caso della ribellione di Bologna,
nè appresso tutta la forza della lega di Lombardia, fece subitamente
un fuoco che vi s’apprese, ma piuttosto fu fama ch’un soldato corrotto
dal signore di Bologna il vi mise. Questo fuoco infiammò per sì fatto
modo la bastita, che per la gente dentro non si potè ammortare. I
Modenesi stati a vedere lungamente, e sentendo il romore, presono
l’arme, e corsono verso la bastita con smisurato romore. I cavalieri
e’ masnadieri, che ve n’erano assai, impacciati dal fuoco, e impauriti
del romore, si ritrassono fuori della bastita con animo di fermarsi di
fuori, ma non ebbono potere di farlo, che di presente catuno cominciò
a fuggire senza essere cacciati, e abbandonarono la bastita. I Modenesi
la presono e spensono il fuoco: e appresso per tema che messer Bernabò
non la rifacesse da capo riporre, ch’era il luogo molto forte, la
feciono riparare e rafforzare, e misonvi gente a guardarla lungamente
per sicurtà della terra.

CAP. LXXIII.
_Come fu fatto il castello di Sancasciano._
Tornando alquanto nostra materia al fatto di Firenze, occorse in
questi dì, che tornando a memoria a’ collegi del nostro comune i
danni ricevuti a’ tempi delle persecuzioni fatte al nostro comune, e
i pericoli che occorsi erano alla città ponendosi i nemici a oste in
sul poggio del borgo di Sancasciano in Valdipesa, e questo conosciuto
per esperienza dell’imperadore Arrigo di Luzimborgo, e appresso di
Castruccio tiranno di Lucca, e novellamente della gran compagnia di
fra Moriale, che catuno nimicando il nostro comune tennono campo
in quel luogo con podere, per lo vantaggio del sito, di potere
vantaggiare assai e non potere essere danneggiati: acciocchè questo
non potesse più avvenire, deliberò il comune di farvi un forte e
nobile castello di mura, e incontanente del mese d’agosto del detto
anno 1355 si cominciarono a fare i fossi, e all’uscita di settembre
del detto anno si cominciarono a fondare le mura, e tutte s’allogarono
in somma a buoni maestri con discreti e avvisati provveditori, dando
d’ogni braccio quadro soldi sette di piccioli, di lire tre soldi
nove il fiorino dell’oro, dando il comune a’ maestri solo la calcina,
acciocch’e’ maestri avessono cagione di fare buone le mura. Le mura
furono larghe nel fondamento braccia quattro, e fondate braccia
uno sotto il piano del fosso, e sopra terra grosse braccia due,
ristrignendosi a modo di barbacane, e sopra terra alle braccia dodici,
con corridoi intorno i beccatelli, e armate di torri intorno intorno,
di lungi braccia cinquanta dall’una torre all’altra, alzate braccia
dodici sopra le mura e con due porte mastre, catuna con due torri
più alte che l’altre e bene ordinate alla guardia. E questo circuito
comprese il poggio e il borgo, e senza arresto fu compiuto e perfetto
il lavorio del mese di settembre seguente 1356. E veduto il conto del
detto edificio, costò al Comune di Firenze trentacinque migliaia di
fiorini d’oro.

CAP. LXXIV.
_Come in Firenze s’ordinò la tavola delle possessioni._
Di questo mese d’agosto, alquanti cittadini di Firenze, parendo loro
che dovesse essere util cosa al comune per levare la briga a’ creditori
di ritrovare i beni del debitore, misono innanzi a’ signori che si
facesse una tavola, nella quale si scrivessono tutti i beni immobili
della città e del contado per popolo e per confini, e diedono il modo
a catuno quartiere della città e del contado per se; e’ signori misono
la petizione, e vinsesi, parendo a tutti che dovesse essere utile
cosa. Agli uomini antichi, e savi e pratichi parea la cosa impossibile
a potere avere perfezione, ma non fu loro creduto, se non quando per
pratica si conobbe. Furono comandate le recate a ogni possessore sotto
grave pena, e nondimeno ch’e’ reggitori de’ popoli anche le dovessono
recare, catuno si provvidde di recare e di fare recare i beni in cui
volle, e confinavali secondo che trovava l’usata vicinanza, e quando
tali nelle loro recate mutavano i primi possessori, e così d’ogni parte
discordavano i confini, e oltre a questa inconvenienza ve n’accorrevano
molte altre maggiori. Per la qual cosa dopo la lunga scrittura, e la
grande spesa cresciuta parecchi anni, in confusione senza frutto rimase
abbandonata, e la sperienza ammaestrò il nostro comune alle sue spese.
Avenne fatta memoria per esempio di coloro che verranno appresso,
acciocch’e’ notino quello ch’è detto provato per opera; e ancora, che
molti recavano una medesima cosa per mostrare che possedessero i beni:
ma quello ch’è più forte, si è la mutazione de’ beni, che più occorre
nella nostra città che altrove, perchè più abbonda di mercatanzie e di
mestieri e d’arti, c’hanno a fare la mutazione de’ beni immobili.

CAP. LXXV.
_Come il re d’Inghilterra con grande apparecchio valicò a Calese._
Avendo noi addietro narrata la morte del conestabile di Francia, della
quale il re di Navarra fu operatore, seguita, che d’allora innanzi il
re di Navarra era in odio del re Giovanni di Francia, e per questa
cagione tenne trattato col re d’Inghilterra di riceverlo nelle sue
terre. Il re d’Inghilterra era di questo molto contento, e però mise
in concio sua gente e suo navilio per valicare con forte braccio; e
nel soprastare che facea, per sollecita operazione del cardinale di
Bologna e d’altri baroni e’ fu fatta la pace tra ’l re di Francia a
quello di Navarra, e perdonatoli liberamente l’offesa della morte del
conestabile, e per suo amore a tutti gli altri ch’erano a ciò stati.
Il re d’Inghilterra avendo apparecchiata la sua gente d’arme e ’l
suo navilio, del mese di settembre del detto anno valicò a Calese.
Il re di Francia avea d’altra parte apparecchiata la sua baronia, e
con quindicimila cavalieri e molti sergenti gli si fece incontro in
Normandia. Il re d’Inghilterra sentendo la pace fatta tra’ due re, e
vedendo la gran forza apparecchiata contro a sè dal re di Francia,
non si attentò d’uscire a campo, nè di seguire sua impresa, e data
la volta, con sua vergogna si ritornò con tutta la sua oste in
Inghilterra. Il re di Francia sentendo i suoi nemici tornati nell’isola
si ritornò a Parigi, e dimostrando grande amore al re di Navarra, gli
accomandò il Delfino suo maggiore figliuolo, i quali d’allora innanzi
si congiunsono di fraternale amore, e di grande compagnia.

CAP. LXXVI.
_Come il re Luigi s’accordò colla compagnia del conte di Lando._
Mandaci il tempo materia di ritornare in Italia. Di questo mese di
settembre del detto anno, essendo la compagnia ritornata presso a
Napoli in Terra di Lavoro, e il re per arroto al danno per la gente
condotta nel Regno alle sue spese, volendo atare i Napoletani che non
perdessono le loro vendemmie, e non avendo il podere altro che con
danari, rifece la nuova concordia, e promise loro centocinque migliaia
di fiorini d’oro; le trentacinque migliaia contanti, e le settanta
in due paghe a venire: e mentre che le penassono ad avere si doveano
stare in Puglia. E per fornire la prima paga, il re Luigi gravò di
fatto i Napoletani, e certi baroni, e forestieri, e mercatanti, e le
loro mercatanzie, e pagò la compagnia, e andossene in Puglia alla roba
d’ogni uomo, non senza grande rammarichio, contro alla corona degli
uomini di quel paese.

CAP. LXXVII.
_Come il conte da Doadola fu sconfitto e morto dal capitano di Forlì._
Avendo il legato rivolto tutto suo intendimento di volere abbattere
la tirannia di Francesco degli Ordelaffi capitano di Forlì, e
guerreggiando la città di Cesena, il conte Carlo da Doadola con due
figliuoli del conticino da Ghiaggiuolo de’ Malatesti si mise in preda
con cento cavalieri e con assai masnadieri, e corsono insino presso
alle mura di Cesena; e avendo raccolta una buona preda d’uomini e di
bestiame, si raccoglievano per tornare al campo. Avendo questo sentito
madonna Cia moglie del capitano, a cui egli avea accomandata la guardia
di quella città, non come femmina, ma come virtudioso cavaliere montò a
cavallo coll’arme indosso gridando, e smovendo i cavalieri soldati che
v’erano che la dovessono seguire contro a’ nemici ch’erano di fuori. I
cavalieri inanimati, vedendo tanto ardire in una femmina, di presente
la seguitarono, e abboccatosi co’ nemici per forza li sconfissono, e
fuvvi fedito il conte Carlo per modo che poco appresso morì, e presi
i due figliuoli del conticino da Ghiaggiuolo, e la maggior parte de’
cavalieri e assai masnadieri furono prigioni; e riscossa la preda, con
grande onore si tornarono in Cesena del mese d’agosto predetto.

CAP. LXXVIII.
_Come la gente del Biscione prese le mura di Bologna e furono cacciati._
Poco addietro ci ricorda, che noi trattammo de’ duemila cavalieri e
de’ molti masnadieri che messer Bernabò avea mandati sopra Bologna,
e le mute che fatte aveano di luogo in luogo; all’ultimo, all’uscita
del mese d’agosto del detto anno, erano tornati al borgo a Panicale
forniti di molte scale, e bolcioni ferrati da cozzare mura della città,
e di queste cose il signore di Bologna non si prendeva guardia. E però
una notte ordinata tutta l’oste se ne venne alle mura di Bologna dalla
parte del prato, dov’era più solitario, ed ebbono poste le scale alle
mura, e di subito vi montarono suso più di dugento cavalieri armati,
ch’erano smontati de’ cavalli, e assai masnadieri, e traboccate le
guardie che vi trovarono dalle mura in terra, cominciarono a perquotere
le mura co’ bolcioni tanto che già l’aveano forate e aperte le mura da
piè, innanzi che ’l signore o i cittadini se n’avvedessono, e alquanti
per gagliardia erano scesi dentro e entrati per la piccola rottura;
e parendo agli assalitori avere la forza delle mura e l’entrata,
avvisando che dentro fosse dato loro alcuno aiuto per lo loro trattato,
cominciarono a gridare ad alte boci: Vivano i popolani, e muoia il
signore. A questo romore il popolo si cominciò a sentire, e ogni uomo
a prendere l’arme, e certe masnade di fanti a piè toscani con alquanti
cittadini trassono in quella parte ov’erano i nemici, e quanti ne
trovarono a basso entrati uccisono, e ingrossandosi alla difesa quelli
della terra a cavallo e a piè, con molti balestrieri cacciarono a terra
quelli ch’erano montati su per le mura; e avvedendosi i capitani della
gente di messer Bernabò, che per lo fallo dell’affrettato romore la
città era difesa, con vergogna sonarono a ricolta e tornarsi al borgo a
Panicale, e indi cavalcate le contrade d’intorno, e fatto assai danno
d’arsione presono loro cammino e andarono a Milano; e il signore di
Bologna, vedendo il pericolo ch’avea corso, prese miglior guardia.

CAP. LXXIX.
_Novità state in Udine._
Di questo medesimo mese d’agosto: o che il patriarca d’Aquilea
facesse fare gravezze con oppressione al popolo della città d’Udine
a lui soggetta, o che il vicario ch’era testa lucchese, chiamato
messer Iacopo Morvello, per soperchia baldanza, ch’avea per moglie
la figliuola del patriarca, facesse da sè cose sconce, a furore di
popolo con l’aiuto d’alquanti terrieri del paese fu preso nel palazzo
del comune, e tratto di là, fu racchiuso in prigione, e poco appresso
senza processo dicollato, in grande vituperio e vergogna del patriarca,
ch’era fratello dell’imperadore.

CAP. LXXX.
_Come abbondarono grilli in Cipri e in Barberia._
In questo tempo abbondarono nell’isola di Cipri tanti grilli, che
riempierono tutti i campi alti da terra un quarto di braccio, e
consumarono ciò che verde trovarono sopra la terra, e guastarono i
lavori per modo, che frutto non se ne potè avere in quest’anno. E ’l
simigliante avvenne questo medesimo anno 1355 in molte parti della
Barberia, e massimamente nel reame di Tunisi; ed essendo mancato il
pane al minuto popolo di Barberia, metteano i grilli ne’ forni, e cotti
alquanto incrosticati li mangiavano i Saracini, e con questa brutta
vivanda mantennero la misera vita, ma grande mortalità seguitò di quel
popolo.

CAP. LXXXI.
_Come messer Maffiolo Visconti fu morto da’ fratelli._
Messer Maffiolo de’ Visconti di Milano essendo il maggiore de’ tre
fratelli signori di Milano, perchè era dissoluto nella sua vita e senza
alcuna virtù era riputato il minore nel reggimento della signoria:
tuttavia messer Bernabò e messer Galeazzo gli rendeano assai onore.
Avvenne, che per scellerato stemperamento della sua lussuria accolse
nella camera sua venti tra donne maritate, e fanciulle, e altre
femmine, colle quali, avendole fatte spogliare ignude, si sollazzava a
suo diletto con loro bestialmente; e ricordandosi in quello sformato
e sfrenato ardore di libidine d’una bella giovane moglie d’un buono
cittadino di Milano, mandò per lei, e minacciandolo di farlo morire
se immantinente non glie la menasse, o mandasse. Vedendosi questo
buono uomo a così villano partito, come disperato piangendo se n’andò
a messer Bernabò, e contogli il grave partito a che messer Maffiolo
l’avea messo, dicendo, che innanzi volea morire ch’assentire a cotanta
sua vergogna, pregandolo che ’l dovesse atare. Messer Bernabò disse:
Io non ho a gastigare il mio maggiore fratello, per non mostrare a
colui la sua intenzione, e di presente cavalcò all’ostiere di Messer
Maffiolo, e trovò la scellerata danza del suo fratello; e senza dire
alcuna cosa diede la volta, e accozzossi con messer Galeasso, e disse:
Noi corriamo gran pericolo di nostro stato, e le sconce e dissolute
cose di messer Maffiolo ci faranno cacciare della signoria, se per noi
non si ripara a cotanto pericolo a che ci conduce. E manifestatoli
ciò che facea delle donne de’ buoni uomini di Milano, e il richiamo
che n’avea avuto, di presente s’accordarono alla morte sua, che altro
gastigamento non avea luogo. E però essendo andato messer Maffiolo
a Moncia a fare una caccia, la sera di sant’Agnolo di settembre, li
feciono dare con quaglie veleno; e la mattina vegnente essendo nella
caccia si cominciò a sentir male nel ventre, e di presente se ne tornò
a Milano; e vicitato la sera da’ fratelli, la mattina si trovò morto in
sù ’l letto. Alcuni dissono, che in quella visitazione e’ fu soffocato
da loro, e altri tennono che morisse delle quaglie; e l’una cagione e
l’altra potè essere, per non farlo storiare. Il vero fu che morì come
un cane, senza confessione, di violenta morte, e forse degnamente per
la sua dissoluta vita.

CAP. LXXXII.
_Come messer Bernabò ebbe la Mirandola._
Dappoichè la bastita da Modena per l’arsione fu ripresa da’ Modenesi,
messer Bernabò tenne nelle castella ch’avea acquistate nel Modenese
gente d’arme per scorrere il paese, e fare continova guerra a Modena:
e oltre a ciò mise a campo tra Reggio e Modena millecinquecento
cavalieri e assai masnadieri, i quali assediavano il castello della
Mirandola, il quale era di certi gentili uomini loro patrimonio: e non
essendo potenti a poterlo lungamente difendere da’ signori di Milano,
s’accordarono con loro, e diedono la guardia del castello a messer
Bernabò, ed egli li ricevette in amistà, e con provvisione li mise
nelle sue guerre. E in questi dì, vedendosi messer Giovanni da Oleggio
in pericolo della guardia di Bologna, cercò accordo con messer Bernabò;
e messer Bernabò per poterlo rimettere in confidenza, per meglio potere
venire alla sua intenzione, s’accordò con lui; e messer Giovanni
gli promise di guardare Bologna per lui, e dopo la sua morte gliela
lascerebbe, e riceverebbe nella città continuamente un suo potestà. E
fece questo messer Giovanni da Oleggio senza volontà o consiglio de’
cittadini di Bologna, sperando rimanere in pace nella signoria, nella
quale rimase in continovi aguati, come leggendo per innanzi si potrà
trovare: e ricevette in prima per potestà di Bologna il signore della
Mirandola sopraddetto.

CAP. LXXXIII.
_Come i Perugini presono a difendere Montepulciano._
I Sanesi vedendosi avere perduta in tutto la signoria ch’avere soleano
in Montepulciano, trattavano della guerra; ed essendo cercato se
co’ Sanesi si potea trovare modo d’accordo senza fargliene signori,
You have read 1 text from Italian literature.
Next - Cronica di Matteo Villani, vol. 3 - 06
  • Parts
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 3 - 01
    Total number of words is 4506
    Total number of unique words is 1390
    41.0 of words are in the 2000 most common words
    54.4 of words are in the 5000 most common words
    61.2 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 3 - 02
    Total number of words is 4523
    Total number of unique words is 1397
    39.5 of words are in the 2000 most common words
    56.3 of words are in the 5000 most common words
    63.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 3 - 03
    Total number of words is 4506
    Total number of unique words is 1342
    37.2 of words are in the 2000 most common words
    53.4 of words are in the 5000 most common words
    59.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 3 - 04
    Total number of words is 4573
    Total number of unique words is 1367
    38.5 of words are in the 2000 most common words
    54.4 of words are in the 5000 most common words
    62.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 3 - 05
    Total number of words is 4604
    Total number of unique words is 1394
    37.8 of words are in the 2000 most common words
    50.8 of words are in the 5000 most common words
    58.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 3 - 06
    Total number of words is 4591
    Total number of unique words is 1356
    40.1 of words are in the 2000 most common words
    55.3 of words are in the 5000 most common words
    61.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 3 - 07
    Total number of words is 4674
    Total number of unique words is 1458
    39.0 of words are in the 2000 most common words
    54.5 of words are in the 5000 most common words
    62.2 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 3 - 08
    Total number of words is 4623
    Total number of unique words is 1371
    38.3 of words are in the 2000 most common words
    51.9 of words are in the 5000 most common words
    58.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 3 - 09
    Total number of words is 4729
    Total number of unique words is 1413
    38.3 of words are in the 2000 most common words
    51.0 of words are in the 5000 most common words
    57.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 3 - 10
    Total number of words is 4570
    Total number of unique words is 1361
    37.4 of words are in the 2000 most common words
    52.6 of words are in the 5000 most common words
    59.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 3 - 11
    Total number of words is 4730
    Total number of unique words is 1397
    39.7 of words are in the 2000 most common words
    53.9 of words are in the 5000 most common words
    61.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 3 - 12
    Total number of words is 4615
    Total number of unique words is 1421
    40.0 of words are in the 2000 most common words
    53.6 of words are in the 5000 most common words
    60.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 3 - 13
    Total number of words is 4649
    Total number of unique words is 1340
    40.4 of words are in the 2000 most common words
    54.6 of words are in the 5000 most common words
    60.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 3 - 14
    Total number of words is 4706
    Total number of unique words is 1386
    38.7 of words are in the 2000 most common words
    53.5 of words are in the 5000 most common words
    61.2 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 3 - 15
    Total number of words is 4664
    Total number of unique words is 1433
    39.6 of words are in the 2000 most common words
    54.1 of words are in the 5000 most common words
    60.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 3 - 16
    Total number of words is 4705
    Total number of unique words is 1406
    38.6 of words are in the 2000 most common words
    52.7 of words are in the 5000 most common words
    60.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 3 - 17
    Total number of words is 1822
    Total number of unique words is 723
    47.3 of words are in the 2000 most common words
    60.5 of words are in the 5000 most common words
    65.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.