Colei che non si deve amare: romanzo - 13

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E quel po’ di chiarore che, andando, si vedeva qua e là tralucere da
finestre chiuse, nelle case addormentate ove brillavano i nascondigli
dell’amore, e quel fantastico apparire di coppie nottambule fuor dai
vicoli oscuri, e quel profumo d’invisibili giardini che soverchiava
le muraglie, e il sonnolento andare dei cavalli sui selciati sonori, e
quel silenzio che incantava la notte fra le ventate del mese di Marzo,
tutto questo insieme, come un sottile malefizio, come una subdola
poesia, esagitava nei loro cuori malati il fantasma nascosto.
Salirono su per le scale, mal rischiarate dalla luna che imbiancava
i gradini, tenendosi a braccio, avendo per tutte le vene diffusa la
dolcezza del loro colpevole amore. Egli la portava quasi, e la sentiva,
tutta ebbra, tutta calda, palpitare contro di sè.
Si sapevano soli, sapevano che il loro peccato sarebbe sepolto in una
notte d’oblìo.
Egli aperse l’uscio; entraron a tastoni, nel buio. Ed entrambi amarono
quel buio, quell’ombra in cui sentivano d’essere vicini, avvinti alla
divina colpa, senza riconoscersi più. Egli la trattenne, si appoggiò
con tutta la persona contro la sua persona; sentì che il suo morbido
corpo femminile, pieno di brividi, gli si avvolgeva intorno come per
stringerlo in una carezza sola.
— Loretta... — mormorò egli pianamente. E non seppe dire che il suo
nome, più volte, con una voce paurosa.
Erano soli, nel pericolo della notte; li vestiva l’oscurità, li
avvolgeva il silenzio della casa invigilata. E fra quel buio, tra
quel silenzio, indugiavano con ebrietà, come nel tepore d’una coltre
voluttuosa.
Ella si sentiva stanca, deliziosamente stanca; aveva bevuto un po’
troppo Sciampagna, ed or le ronzava dentro il cervello qualcosa
d’inconsueto, come un turbinio di farfalle, di continue farfalle,
bianche e nere. La sua bella e forte giovinezza era tutta un palpito
di vita che soverchiava il suo piccolo cuore. Sentiva ondeggiare,
fremere, intorno alle sue narici trasparenti una calda vampata, un
soffio di profumi torbidi; le sue reni snelle avevan quasi la voglia
ostinata di flettersi in uno sforzo doloroso e rappacificante contro la
gagliardìa d’un petto virile. Le pareva che la musica d’un’orchestra
pazza cantasse, cantasse dentro di lei, senza tregua, una canzone
scapigliata; le pareva in quel buio di veder tutti i colori, di
respirare tutti i profumi, di patire una gioia senza nome, di godere
una sofferenza infinita... e davanti a’ suoi occhi ripassavano densi
turbini di farfalle, di continue farfalle, grandi e piccole, bianche e
nere.
La sua verginità non era più che un brivido, una cosa infinitamente
sottile, infinitamente vicina al peccato.
In lui era stato dapprima un fatto oscuro, impreciso, una di quelle
sensazioni ambigue che attraversano lo spirito come baleni, e pur vi
lasciano un solco. Nel suo cuore sensuale e forte, questa idea furtiva
s’era infiltrata scivolando, come una piccola donna fasciata di veli
tra una schiera d’uomini irti d’armature.
La colpa gli era penetrata nell’essere insidiosamente, senza lasciargli
tempo di riflettere, come la sopraffazione di un profumo voluttuoso,
come l’ubbriachezza d’una bevanda forte. A lui, ch’era consumato e
cinico nelle scaltrezze dell’amore, aveva dato certe sensazioni vaghe,
certe paure, certi fremiti, come si hanno talvolta, quando balena la
possibilità di una gioia superiore alle nostre forze. Era il primo de’
suoi desiderii ch’egli non avesse osato guardare in faccia, la prima
frode che lo avesse impaurito.
Perciò bisognava togliersi da quel buio, da quella molle tenebra che li
fasciava, rompere quel silenzio, distruggere quella dolcezza mortale.
S’allontanò da lei barcollando, cercò lungo il muro, accese.
Erano assai pallidi entrambi e non osarono guardarsi.
Egli disse, con una voce opaca:
— Vatti a vestire, Loretta.
E poich’ella indugiava, perplessa:
— Fa presto, — soggiunse, — fa presto...
Ella ebbe quasi paura di lui, tanto la sua faccia era mutata.
— Che hai, Rigo? — mormorò, allungando una mano per accarezzarlo.
— Nulla; fa presto.
Allora ella raccolse il mantello, che le era scivolato giù dalla
spalla, vi si fasciò dentro come se avesse freddo, e, chinando il
volto, a piccoli passi andò verso la camera. Quando fu sul limitare, si
volse, gli sorrise. Rideva in lei, nel suo cuor femminile, l’orgoglio
della seduzione che sentiva di spargere intorno a sè.
Con un gesto nervoso Arrigo si contorse le mani e cominciò a camminare.
Fischiettava piano piano, fra i denti, come per mordere la sua
canzone. Si guardava la punta delle scarpe lucide che leggermente
scricchiolavano sul tappeto. Poi di botto si fermò presso la finestra
chiusa, ne aperse un’imposta, poggiò la fronte contro il vetro e stette
a guardare.
Fuori, la luna imbiancava le muraglie con il suo chiarore fantastico,
gettando qualche lunga ombra da un comignolo all’altro, balenando su le
grondaie.
— Rigo, — disse la sorella dall’altra camera — perchè stai lì?
Egli non rispose.
— Rigo!... — ripetè la sorella con una voce impaziente, — vieni dunque!
Egli s’affacciò all’uscio e rimase fermo sul limitare. Ella s’era
cambiata in fretta le scarpe, la sottana, s’era messa la camicetta e
stava ora abbottonandola. Ma s’interruppe nel mezzo, gli corse vicino e
gli buttò le braccia al collo.
— Che hai? Cosa ti ho fatto, Rigo? — disse con una voce perfida,
appoggiandosi contro di lui, come per fargli sentire quanto il suo
corpo fosse morbido e pieno di tentazione.
Ritta sui piedini cercava di giungere alla sua bocca, gli molestava la
faccia con la piuma d’oro de’ suoi capelli.
— Io so bene cos’hai... — disse, inarcandosi ancor più, ancor più.
Egli la guardò ambiguamente, fra il sorriso e l’ira.
— Senti... — ella fece. E colle mani congiunte gli piegò il collo per
parlargli all’orecchio.
Disse, in un bisbiglio, in un alito, in un bacio:
— Mio amore... mio amore... anch’io vorrei... come te...
Con le labbra calde, avide, egli la baciò sul collo nudo. Ella dette un
piccolissimo grido, si scoverse con furia la gola, si torse, tremò.
— Sì, báciami!... tutta... tutta...
Gli offriva la sua gola turgida, calda, che ansava, ed il collo, il
petto, le spalle: tutta la sua nudità odorosa, cercandolo con la bocca
convulsa, velando gli occhi appassiti come due viole mammole.
Era scapigliata, piena di vampe, bellissima.
— Che fai? che fai?... che fai!... — gridò egli dissennatamente.
— Báciami!... — ella ripeteva ostinata, contraendosi nella febbre del
suo tormento. — Báciami ancora, tutta...
E quand’ebbe estenuata ogni forza nell’attorcigliarsi contro la
sua persona, quando gli ebbe convulsamente cacciate le mani entro i
capelli, ferita la bocca, bevuto il respiro, d’un tratto imbiancò,
s’ammollì come un cencio, rise, pianse, gli rimase tra le braccia,
inerte.
— Lora... Loretta... — mormorò egli più volte, poichè pareva ella non
udisse. Quel desiderio veemente aveva sopraffatto il suo, l’aveva quasi
annientato. Allora la portò sopra un divano, si mise a carezzarla piano
piano, a toccarla paurosamente.
Dopo qualche attimo ella sorrise, come se l’avessero destata da un
profondo sogno, come se un’ubbriachezza svanisse dal suo cervello,
dalle sue vene, a poco a poco.
— Dimmi... — ella mormorò.
— Che vuoi?
— Dimmi...
Ed invece nulla disse; intrecciò le dita nelle sue; ma non aveva più
forza.
Curvo sopra la sua bocca, egli le ripeteva quasi per addormentarla:
— Taci...
La sua verginità non era più che un brivido, una cosa infinitamente
sottile, infinitamente vicina al peccato.
E tornarono a piedi, per la notte chiara, verso il rifugio della casa
paterna.


VI

Rafa intanto non si era dato pace. Ma il giorno dopo Lora stava male,
e non andò alla Posta. Il doman l’altro ancora se ne dimenticò. Se
ne sovvenne il terzo giorno, ed ecco v’erano tre lettere: la prima
interrogatoria, l’altra supplichevole, la terza disperata. Che almeno
accettasse di vederlo un’ultima volta, se non voleva ch’egli si
risolvesse a qualche grande imprudenza!... Loretta gli scrisse di
venire il domani, all’ora solita, nel solito giardino.
Già cominciava il Maggio, il bel Maggio de’ fiori, e le aiuole
saltavano fuor dal verde come smalto vivo; l’ombra, nelle boscaglie, si
colorava del color del sole.
Avevano scelto per i loro convegni un viale deserto, che principiava
in vicinanza d’una cascatella, poi tortuosamente s’infoltava, per
giungere ad un gabbione rugginoso, dove stavano appollajati quattro
fagiani decrepiti. Li avevan messi lì, a consumare la loro triste
vecchiaia, per quella riconoscenza crudele che l’uomo ha talvolta
verso gli animali; li avevan messi lì, a nascondere le tristi penne,
a beccare qualche duro grano, invece d’accopparli o di venderli ad un
imbalsamatore, perchè in altri tempi eran stati la delizia dei bimbi
e delle bambinaie, quando il lor pennaggio era lustro e la gente si
fermava in gran numero davanti alle lor gabbie spaziose.
Loretta s’era preso Rafa in antipatia già dal primo giorno che ne aveva
parlato con Arrigo. Adesso poi lo trovava quasi ridicolo, e volentieri
glielo avrebbe detto, se una ragione d’utilità troppo evidente non
l’avesse persuasa a continuare nel suo gioco.
Venne, quel giorno, vestita come la primavera, di tinte chiare; il
suo labbro arcato, pieno d’impertinenza, sorrideva già di lontano al
giovine, che l’aspettava pazientemente percorrendo il viale.
Rafa era timido; questo implacabile persecutore di donne era, sopra
tutto nei primi momenti, d’una timidezza incredibile. Si trovò dunque
molto impacciato a cominciare il discorso.
— Vi ho veduta in teatro sere fa, — disse con esitazione.
— Ah? davvero? — ella esclamò col suo più candido sorriso.
— Via, non burlatevi di me! Stavate molto bene. — E cercò di prenderle
un braccio.
— Piano... — fece Loretta, respingendo la sua mano. — Dunque stavo
bene, voi dite?
— Sì, molto bene, troppo bene; tanto che tutti ne parlavano.
— Ah?
— Ma voi, perchè avete finto di non vedermi?
— Così!
E roteò l’ombrellino di seta chiara, che le somigliava un poco, tanto
era fresco e frivolo d’apparenza.
— Non mi volete rispondere, Loretta?
— Ma, Dio buono! ho finto di non vedervi perchè non potevo fare
altrimenti...
— Dunque il del Ferrante è proprio vostro fratello?
— Già, è proprio mio fratello. Ve ne meravigliate? — ella fece, con un
certo sussiego.
— Me ne meraviglio nel senso che vi ho finora conosciuta sotto un altro
nome.
— E non trovate naturale che avessi le mie buone ragioni per
nascondervi la verità?
— Quali, se è lecito?
— Ma, Rafa, che domande mi fate! Il giorno in cui aveste saputo chi
ero, avrei dovuto per forza interrompere la nostra conoscenza, non
vi pare? Così ho preferito lasciarvi credere che fossi un’altra, una
ragazza qualsiasi, una delle tante che s’incontrano per istrada...
— Oh, Loretta, questo non l’ho pensato mai.
— In ogni modo avete agito come se lo pensaste, e, poichè la cosa mi
divertiva, io v’ho lasciato fare.
— Non dite così! Mi pare di avervi rispettata sempre.
— Per forza, mio caro!
— Sì, per forza... non dico di no; ma in ogni modo v’ho rispettata,
e se aveste avuta in me tanta fiducia da confessarmi la verità, sarei
stato ancora più paziente.
— No, Rafa, non vi faccio alcun rimprovero. Voi, oggi, avete il diritto
di credermi una ragazza leggera: la colpa, in caso, è tutta mia. Lo
riconosco. Mi son lasciata fermare per istrada, mi avete sempre veduta
sola, e fino ad un certo punto libera; ho anche accettato qualche
vostro ricordo, sicchè, ve lo ripeto, la colpa è mia. Però, però...
adesso che mi conoscete meglio, non dovete giudicarmi solo dalle
apparenze. Vi sono alle volte certe ragioni di famiglia che non si ama
raccontare agli estranei. Certo io vivo in un modo un po’ singolare, ma
questo proviene da tante cause che voi non conoscete.
E si fece compunta, seria, come Rafa non l’aveva mai veduta. Rafa era
un uomo di buona fede; queste parole dell’amica lo impensierirono,
quasi lo commossero.
— Se potessi fare qualcosa per divenire più intimamente il vostro
amico!... — disse. — Con me non siete mai del tutto sincera.
Ed entrambi rimasero per qualche tempo in silenzio.
Passò un bimbo che correva dietro un cerchio, passò un soldato di
fanteria che teneva per mano una domestica rubiconda. Sopra un banco
c’era un vecchio, il quale portava un soprabito color nocciuola,
i calzoni a quadrettini e le ghette bianche; aveva disegnato nella
sabbia, con la punta della mazza, un complicatissimo arabesco, ed ora
leggeva il giornale scandendo le parole con le labbra.
— Mah... peccato! — esclamò finalmente Loretta con un sospiro.
— Peccato di che?
— Sarebbe stato meglio se non aveste mai saputo chi ero; perchè
adesso...
— Adesso? che?
— Oh, capirete... non è più possibile che ci si veda.
— Loretta!
— Mio buon Rafa, lo dovreste comprendere da voi senza che io ve lo
dica. Potevo scherzare fin quando ero una sconosciuta, o quasi, per
voi. Ma ora che sapete a quale famiglia appartengo... insomma no! sarei
d’una leggerezza imperdonabile. Non tanto per me... Io, ve lo ripeto,
sono un po’ eccentrica... Ma per mio fratello, che voi conoscete, che
frequentate quasi giornalmente... Insomma, non si può!
E parlando lo guardava di sotto le ciglia, con una malizia ben
dissimulata. Rafa era passato per tutte le alternative del dolore,
dell’impazienza e della collera.
— Allora è per dirmi addio che siete venuta oggi? — domandò con una
voce quasi rauca.
— Eh, sì... pur troppo! — fece Lora, con scoraggiamento.
Egli si fermò di botto, e curvandosi un poco sopra di lei, una luce
cattiva, quasi violenta, gli trasfigurò il viso.
— Ebbene, questo no! — proruppe. — Accada quel che accada, ma
rinunziare a voi, no!
— Siate buono, Rafa; non fatemi ora una scena, — ella disse con una
voce piena di mansuetudine.
— Non faccio scene, ma vi dico solo che non posso rimanere senza
vedervi, senza parlarvi qualchevolta. Insomma sentite, Loretta: mi sono
innamorato di voi, scioccamente innamorato, perchè tutto questo non
serve che a farvi ridere... Tuttavia comprenderete che non si rinunzia
in un giorno alla cosa che ci è più cara.
— Non ho mai riso di voi, Rafa, — ella disse con soavità.
— Sì, riso, riso, e non volete far altro che ridere!... Ma non importa.
Vi dico solamente questo, Loretta: non pensate a ritogliermi quel
pochissimo che m’avete concesso finora, perchè in tal caso non so cosa
potrebbe accadere.
Quell’uomo timido aveva trovato un accento così pieno d’energia, che
Loretta ne fu meravigliata.
— Via, Rafa, calmátevi, — disse. — Non prendete le cose a questo modo e
non guardatemi così, perchè mi fate quasi paura. Vorrei che ragionaste
invece, che pensaste ad una cosa, ad una solamente: Se mio fratello
venisse a saperlo?...
— Non lo saprà.
— Oh, è presto detto! Voi non lo conoscete; quello è capace... so io di
cosa è capace! Insomma, sarei una ragazza rovinata, e ciò vi basti.
Rafa si calmò un poco dinanzi a tali ragioni.
— Ebbene, aumenteremo le precauzioni; farò tutto quello che vorrete.
— Al mondo, mio caro, si viene a sapere ogni cosa, e quando supponiamo
d’essere ben nascosti, mille occhi ci spiano.
— Ma insomma questo pericolo c’era anche prima, eppure...
— Appunto, appunto; è una cosa che non può più durare. Sono stata
leggera, molto leggera con voi, ma non posso andar oltre.
— Loretta, — egli disse dolcemente, con una voce persuasiva, — pensa
che ti voglio bene, pensa che tutto il giorno mi stai nella mente, mi
stai così forte nell’anima che non posso rinunziare a te... Non essere
così crudele, te ne supplico!
Egli le prese un braccio ed ella non cercò di allontanarlo.
— Silenzio, Rafa... — mormorò, — silenzio!
Ma egli riprese:
— Ho tutto lasciato, per godere solo di questi pochi momenti che mi
dài. Vedi, non sono esigente, non insisto più; mi accontento per ora di
vederti, di parlarti qualchevolta... Se dovevi un giorno interrompere
così bruscamente la dolcezza dell’amore che ho per te, meglio era non
permettere che t’avvicinassi mai. Ora è tardi.
— Ma no, Rafa, tu... voi non capite!
— Capisco benissimo; ti sono indifferente, ti ho divertita un poco,
adesso ne hai abbastanza; hai paura, e nulla osi rischiare per me.
— Non capite, vi dico. Se non avessi una famiglia, se non avessi tante
apparenze da salvaguardare, se insomma fossi libera, sola... allora,
forse... Ma invece, ripeto, guai, guai se mio fratello avesse di ciò il
minimo sospetto!
— Si farà in modo che non sappia nulla.
— No, Rafa. E poi c’è un altro pericolo...
— Quale?
— Oh Dio! c’è un altro pericolo, vi dico; non insistete.
— Su, via, dimmelo! sii sincera una buona volta!
Camminavano; ella si fermò; prese un’aria birichina:
— Perchè mi date del tu, per esempio? Sapete bene che non voglio.
— Non fa nulla, continua: qual’è il pericolo?...
— Insomma voi dite che rido, che rido... È facile dirlo! Invece
potrebbe darsi che, in fin dei conti, avessi anch’io paura di non
ridere più...
— Come ti amo, Loretta! — egli esclamò ingenuamente, serrandole con un
braccio la vita.
— State fermo... state fermo, via! — E riprese: — Naturalmente
anch’io non sono di cera n’è di stoppa... Un giorno o l’altro, che
so? trovandoci soli, per esempio, con i discorsi che sempre mi fate...
o per caso, o per isbaglio, o per un’altra ragione qualsiasi, potrei
magari perdere... Insomma, si fa presto a commettere una sciocchezza!
Roteò di nuovo l’ombrellino, lo ficcò profondo in una siepe, soggiunse:
— E poi?...
Rafa volle rispondere, ma ella non gliene dette il tempo:
— Già, voi uomini fate presto: buon giorno, buona sera, e chi s’è
visto s’è visto! Noi ragazze paghiamo per tutt’e due. La leggerezza, il
vapore d’un momento, può costarci chissà qual prezzo, e voi dite che si
ride? Naturalmente si ride, si ride... fin chè si può...
— Ma io sono un galantuomo, Loretta! — egli proclamò sonoramente.
— Benissimo. E perchè siete un galantuomo dovrei darmi a voi? Non è una
buona ragione, vi pare? Ma io, carissimo Rafa, ho tutta la mia vita
da vivere, e ci sono, vi ripeto, certe ragioni mie proprie le quali
mi vietano il lusso di fare quello che forse piacerebbe anche a me.
Non sono certo una ragazza da strada e non ho, come qualche altra, uno
stemma e parecchi milioni che mi assicurino l’impunità. Se mi trovassi
in uno di questi due casi, ebbene sì, io sarei forse tipo da dire ad
uno, a voi per esempio: «Mio caro Rafa, tu mi piaci; fa di me quello
che vuoi.» Ma nel mio caso questo vorrebbe dire offrirvi l’intera mia
vita, giocarmi tutto l’avvenire, materiale e morale, per la sventatezza
d’un momento... E questo è un po’ troppo, non vi pare?
Avendogli fatto questo bel discorso, ella pensò involontariamente ad
Arrigo, rammaricandosi ch’egli non potesse udirla. Ebbe voglia di dirsi
queste due parole, anzi se le disse mentalmente: «Sei fina!»
Rafa impiegava un certo tempo a cavarsi d’impaccio; in quell’intervallo
ripassarono entrambi davanti al vecchio che monosillabava il giornale,
e videro, traverso il verde, per un altro viale, tornare il soldato di
fanteria con la sua domestica rubiconda.
— Loretta, — egli disse, al termine di quel silenzio, — ti ho già
parlato una volta con molta chiarezza; ma tu, certi discorsi, non li
vuoi nemmeno udire.
— So bene a che alludete!... — ella fece con sarcasmo. — Ormai che
se n’è parlato una volta si può anche riparlarne. Ed io preferisco le
situazioni chiare, le parole nette. Mi avete offerto denaro... molto
denaro!...
— Non così, Loretta... — egli esclamò arrossendo.
— Così, così! Che valgono le perifrasi? Questa è la verità nuda e cruda.
Ella fece una pausa, ch’egli non osò interrompere.
— Ora, sentite, Rafa. Non so quale opinione abbiate di me, anzi non me
ne curo. Tutto può farvi credere ch’io sia capace anche di vendermi...
e questo non mi offende, perchè una volta di più confesso che la colpa
è stata mia. Vedete che parlo apertamente, come non ho fatto ancora.
Però, se credete questo, v’ingannate. Non ho bisogno di nulla: da
casa mia ricevo tutto quanto m’occorre, potrei ricevere molto più se
volessi sottostare a certe discipline familiari che son contrarie al
mio carattere. Non siamo ricchissimi, però vedete che mio fratello, per
esempio, fa una vita invidiabile. Se domani volessi maritarmi, potrei
scegliere, e scegliere bene, come ha fatto mia sorella, perchè ho pure
una sorella. Ma tutto questo non mi piace. Vi ho già detto che sono
una ragazza diversa dalle altre. Appunto per le mie idee singolari, mi
sono già messa in urto con la mia famiglia; ho preteso ad una specie
d’indipendenza, ed avrei fatto anche di più, se non avessi paura
precisamente di mio fratello.
In tutto questo si sentiva la zampa d’Arrigo, ma era detto bene,
con disinvoltura, con un certo calor naturale che ne accresceva la
persuasione. Riprese:
— Che volete? Non mi sento nata per avere un marito mediocre, molti
bambini, e litigare con le serve come fa mia sorella. Credo che
nella vita ci sia di meglio, e, se m’inganno, avrò il coraggio di non
pentirmene. Sposarmi o non sposarmi, questo forse non è l’essenziale.
Voglio amare, anzi tutto, ed essere amata, sopra tutto. Un giorno o
l’altro me ne andrò; farò probabilmente per qualcuno quello che voi
mi domandate ora; ma non per un uomo il quale garbatamente mi offra un
prezzo, dispostissimo dopo, quando m’avesse innamorata e... sciupata,
a lavarsene le mani, continuando per la sua strada. Eh, mio caro, ho
vent’anni, ma conosco un po’ la vita!
Rafa l’ascoltava e la guardava, sorpreso e perplesso, come alcuno che
per la prima volta si trovi davanti all’aspetto vero d’una persona male
conosciuta.
— Ma io, — disse — non ho mai avute le intenzioni che m’attribuisci, e
quello che tu cerchi potrei appunto esser io.
La ragazza si passò l’ombrellino dietro la schiena, e tenendolo a
guisa di sbarra nella piegatura delle due braccia, inarcò la sua bella
persona, dondolandosi con una specie d’insidia e lasciandosi venire a
fior di labbro un sorriso pieno d’ironia:
— Tu?... — fece. — No! Voi non mi amate abbastanza per questo.
Nella gabbia rugginosa i quattro fagiani si spulciavano le penne
antiche, lasciando pendere le code mozze con una inerzia piena di
malinconia.
Era il Maggio, il bel Maggio de’ fiori; le aiuole saltavano fuor dal
verde come smalto vivo; l’ombra, nelle boscaglie, si colorava del color
del sole.


VII

Tutt’e due sapevano che vedersi ancora voleva dire buttarsi ciecamente
nella perdizione del peccato. S’eran divisi, l’ultima sera, con una
specie di spavento, e però, toccandosi la mano fredda, scambiandosi
l’ultimo bacio sul limitare della casa paterna, una promessa era corsa
fra loro, ineffabile, orrenda, non detta con parole, perchè nessuna
parola avrebbe osata profferirla.
— Quando?... — gli aveva ella domandato, serrandosi contro di lui,
tremandone come un’amante impaurita. Egli voleva rispondere: «Mai più!
mai più!» Ma sentì che tutta la sua vita pendeva da quel desiderio, e
le promise un giorno prossimo, le suggerì di tacere.
— Addio... scrivi, — ella disse. Poi scomparve nel buio delle scale.
Ma tutt’e due sentirono che il tormento cresceva, che nessuna forza
umana li avrebbe salvati più dal pericolo meraviglioso nel quale si
sentivano avvolti.
Quando il giorno fissato venne, Arrigo, si recò a prenderla, mentre
ancora, su la mensa paterna, il pranzo non era imbandito. Per tutto
il giorno Loretta era stata nervosa, irritabile, insolente. Fin dal
mattino aveva rimbeccata la madre perchè questa si era permessa di
osservarle:
— Tuo padre ha ragione. Arrigo ti dà troppi vizii: teatri, cene... Vi
sei stata pochi giorni fa; che bisogno c’era di tornarvi oggi?
A colazione aveva coperto d’insolenze il fratello Paolo, perchè questi,
vedendo ch’ella non toccava cibo, si era messo a borbottar sottovoce:
— La signorina ha i vapori! Ormai per lei ci vogliono le beccaccine e
le lingue di pappagallo!
Loretta diede una scrollata di spalle, poi s’irritò. E l’altro, più
scherzevole, ripeteva: — Sì, ha i vapori! ha i vapori!
Li aveva un poco infatti; era pallida come fosse incipriata, con gli
occhi divenuti più vasti e più lucenti; non poteva star ferma; s’era
pettinata male. Verso le quattro del pomeriggio aveva cominciato a
rivestirsi, piano piano, con una infinità di cure; s’era tutta lavata,
profumata, coltivata, come un fiore prima di metterlo in vaso. Era
stata un’ora a lisciarsi i capelli, a strofinarsi le unghie; aveva pure
pensato ad annerirsi un po’ gli occhi, ma vedendo che ciò le riusciva
male, se li era nettati con un pannolino umido. S’era messa la camicia
più fina, le mutande più adorne di pizzi, ed in particolar modo, prima
di vestirsi, s’era guardata nello specchio, tutta nuda, con un lungo
brivido. Nondimeno, a dispetto di tante cure minuziose, quel giorno non
era del tutto bella, non le riusciva d’esser bella come di consueto.
Aveva passata qualche notte insonne, con il pensiero torbido che le
accendeva il sangue, facendola rivolger nel letto e smaniare nelle dure
pazienze della verginità.
Quando giunse Arrigo, ed appena intese il rumore del suo passo,
ella temette di non potersi levare, dubitò che ognuno vedesse il suo
turbamento, poichè si era sentita il sangue scorrer giù dalle vene del
viso.
Egli pure non aveva quella sua spavalderia consueta, non era franco, si
moveva e parlava con un certo impaccio, evitava di guardare Loretta.
— Visto che sei pronta, ti conduco fuori a pranzo, se vuoi...
— Ben volentieri, — ella fece.
Il padre, la madre, non osarono dir nulla; solo Paolo osservò:
— Sarebbe più semplice che rimanessi qui anche tu. Una volta ogni tanto
non ti farebbe male.
— Verrò un’altra sera, se vi fa piacere, — Arrigo rispose con una
certa umiltà. — Questa sera fa così bel tempo, che preferisco mangiare
all’aperto.
— Bene, bene; dicevo per dire.
Stavano mettendosi a tavola; Paolo era già seduto davanti al suo tondo;
aspettava. Padre e madre si tenevano in piedi, un po’ irresoluti, come
se ricevessero in casa loro una visita inconsueta.
— Questo è mio padre e questa è mia madre, — pensò Arrigo fugacemente,
guardando i due poveri vecchi.
E una pietà nuova gli sorse dal cuore, acuta come una sofferenza.
— Ti avverto, — riprese Paolo — che la «tua» Loretta si dà certe arie
addirittura da principessa. Cerca, se puoi, di non scaldarle la testa.
Ella scattò su come una viperetta:
— No, mio bel signorino! la testa non me la scaldo, io! Pensa tu
piuttosto ad essere meno triviale, e ci guadagnerai.
— Insomma, caro Arrigo, — intervenne il padre, — la mia casa è un
inferno. Si sente sempre strillare. Che brutta cosa!
E la sua mansuetudine si accontentò di questo calmo lamento. Arrigo,
preso da non so quale tenerezza improvvisa, gli andò vicino e gli pose
una mano su la spalla:
— Via, papà non ti crucciare. È la stessa cosa in tutte le famiglie;
quando si vive insieme c’è sempre qualche contrasto.
— Bah!... — disse il vecchio a mo’ di conclusione, — se voi ve ne
andate, noi cominciamo a mangiare.
La domestica aveva portato la zuppiera e la madre versava nelle
fondine; poi tutti e tre curvarono le facce sopra il fumo denso, che
odorava, e cominciarono lentamente, golosamente a mangiare.
L’antica tavola famigliare era troppo grande per quelle tre persone; i
posti vuoti vi lasciavano una specie di tristezza, come se alcuno, che
avrebbe dovuto esservi, ne avesse disertato. Per primo se n’era andato
il maggiore, il primogenito, quello nel quale il padre si riconosce,
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