Colei che non si deve amare: romanzo - 11

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Anzi verrò con te per sceglierli; me ne intendo un poco. Le sere
che andremo a teatro uscirai di casa vestita come al solito, qui ti
cambierai. C’è tutto: pettini, cipria, ferri, forcine; quel che non
c’è, si compera.
— Caro! — ella esclamò con trepidazione, buttandogli le braccia intorno
al collo. — Come ti voglio bene!
Egli finse di non ascoltare, prese un tono d’indulgenza e di
protezione, quasi volesse accontentare i capricci d’una piccola bimba.
— Ci voglion anche altre scarpine; le tue son belle ma non vanno per
sera.
— Eh, lo so!
— Falle fare.
— Sì. Mi piacciono d’un certo cuoio che ha un colore tra il viola e
l’oro, finissime. Le ho vedute in una vetrina. Piacciono anche a te?
Agitava il suo piedino, parlando.
— Sì, certo.
— E le calze? ti piacciono le mie calze? Guarda.
Lì, com’erano, quasi abbracciati, ella protese la gamba fin su l’orlo
del letto e rimboccò la gonna lestamente sopra la caviglia nervosa.
Eran calze a traforo, di finissimo filo, con la freccia che s’aguzzava
su la rotondità del polpaccio. Egli fece l’atto di carezzare quella
caviglia, sopra la calza fina, su la bianca trasparenza della sua
nudità, quella caviglia che usciva troppo scoperta fuor dalla balza
di seta. Ma si trattenne come intimidito, e nel silenzio che pendeva,
dolcemente si sciolse da lei, dolcemente la respinse.
— Ti piacciono? — ella domandò ancora, col suo sorriso di fanciulla e
di femmina.
— Sì... ma vattene, Lora! È tardi.
— Che ora è?
La sua voce pareva un sottil zampillo d’acqua.
— Non so che ora... Ma è tardi... è tardi...
— Vengo domani?
— Sì.
Egli stette lungamente fisso verso la porta per dove la sorella era
uscita.


IV

Tornò il domani, tutta fresca, tutta ilare, odorante come la primavera
nuova che fioriva di graste i davanzali.
Filippo, nell’anticamera, si mise a trattarla con gran dimestichezza:
— Buongiorno, signorina! Le domando scusa per l’equivoco di ieri; ma
proprio non sapevo...
— Oh, non importa! Ora lo sapete; va bene?
— Il signor Arrigo non mi aveva mai parlato di lei.
— Dov’è Arrigo?
— Si veste; ha preso il bagno or ora. Vado súbito ad avvertirlo.
— Non importa, ci vado io.
Col suo passo che non faceva romore andò lesta verso la camera del
fratello, battè all’uscio due colpi leggeri.
— Posso entrare? Son io, Loretta.
— Ah, sei tu? Veramente... ma entra pure, se vuoi.
— Come sei bello in accappatoio! — ella esclamò appena entrata. — È
questa l’ora di prendere il bagno? Sono le tre del pomeriggio, pensa!
— Questa mattina mi svegliai troppo tardi e non ebbi tempo, — disse
Arrigo. — Dunque, come va?
— Non c’è male; ho visto Rafa adesso adesso.
— Ah, sì?
— Ieri avevo un appuntamento con lui alle quattro; non vi sono andata
per venire da te. E stamane, alla Posta, ecco súbito una sua lettera
disperata. Non ho potuto evitare di vederlo oggi. Però me ne sono
liberata in fretta; eccomi qui.
Arrigo era seduto presso la finestra, di fronte alla specchiera, e, con
molte forbici, ferri, legnuzzi e pomate si andava nettando le unghie,
che a poco a poco rilucevano. Aveva i capelli ancor tutti arruffati,
umidi, e fumava, come di consueto.
— Cos’adoperi per le unghie? — domandò la sorella.
— Una pomata francese che si chiama «Roséine». È buonissima.
— Costa cara?
— Cinque lire il vasetto.
— Peuh, non c’è male!
Si avvicinò alla specchiera, sporgendosi un poco sopra la spalla del
fratello e si guardò nello specchio. Non aveva messa veletta quel
giorno; la sua pelle era fresca e rosea, le sue labbra splendevano e
sorridevano anche quando eran chiuse. Lora se ne compiacque ed osservò:
— Mi sta bene questo cappello, non ti sembra?
Era di paglia, d’un’azzurra paglia lucente, con la falda rovesciata
e la cupola molto alta. Aveva una guarnizione di rose rosa ed un nodo
ampio di tulle. I suoi capelli riempivano tutto il vuoto dell’ala con
un bel disordine di riccioli biondi. Arrigo la guardò nello specchio,
sollevando rapidamente gli occhi dalla cura delicata che lo teneva
intento.
— Sì, Lora, ti sta molto bene, — disse; — oppure sei tu che stai molto
bene con quel tuo cappello.
— Però, come tutto è caro oggi! Un cappellino semplice semplice come
questo: sessanta lire. Una rovina!
Il fratello sorrise.
— Eh, già! A te par niente, perchè sei avvezzo con certe signore che
spendono per un cappello molte centinaia di lire. Ma io, vedi, faccio
miracoli!
— Mi domando appunto come riesci a vestirti così benino coi pochi
denari che ti passano in casa?
— Come faccio? Come faccio? Non credere che mi riesca facile. So io
quel che debbo faticare! Ho un grosso conto dalla sarta, uno dalla
modista, un altro dal calzolaio, e mi faccio fare la biancheria per
la metà di quel che costerebbe, in un negozio dove sono amica della
padrona.
— Ma come mai ti fanno credito?
— Quando posso dò loro qualche acconto. Poi le mie fornitrici son donne
furbe; m’hanno guardata in faccia ed hanno compreso bene che un giorno
o l’altro pagherò.
— Ah, vedo!... — egli fece, tra maravigliato e ironico.
— Poi, per esempio, certe camicette me le faccio da me; certi cappelli
di anno in anno li rinfresco, li rinnovo con poche lire; le sottane
qualchevolta le dò a tingere... Insomma è tutta un’arte che tu non puoi
comprendere.
Arrigo non cessava dallo strofinarsi le unghie, mentre gli errava un
sorriso indefinibile su l’orlo della bocca.
— E se te li pagassi io questi conti, ne saresti contenta, Loretta?
— No, Rigo; non voglio che tu spenda per me. Sei buono, ma non voglio.
Del resto non darti pensiero: c’è tempo, e se qualcuno deve mettersi la
mano in tasca, preferisco sia Rafa.
Così dicendo ella si mise a ridere.
— Dunque ne riparleremo.
Ella stava davanti alla specchiera e con la mano s’accomodava i
riccioli.
— Il vento mi ha spettinata; dammi una spazzola, Rigo.
Egli le tese una spazzola d’avorio, larga e piatta.
— Oh, guarda! È piena di capelli! Capelli di donna. Che birbante sei!
Guarda...
E trasse dai crini della spazzola un capello nero e lucente, che depose
con molti riguardi su la manica del suo accappatoio.
— Quello sciocco di Filippo si dimentica sempre di ripassare le mie
spazzole! — osservò Arrigo.
— Dammi un pettine, le ripasserò io.
— Tu vuoi farlo?
— Ma sì, che importa?
Gli sedette accanto, sopra una seggiola, e cominciò a ripulire la
spazzola.
— Ma ne perde, sai, quella brava donna! — esclamò con una risata; e
soggiunse: — Però sono morbidi. Chi è? Sempre la stessa?
— La stessa, — egli confessò con un rassegnato sorriso.
— La vedova?
— Sì.
— Dove tieni i suoi ritratti?
— Nascosti, perchè vuole così.
— Il Riotti ne parlava col papà molto spesso, ma ho dimenticato il suo
nome.
— Clara.
— E le vuoi bene?
— Perchè me lo domandi?
— Così; voglio sapere se sei innamorato.
— Oh, innamorato no! Le voglio bene, perchè è buona. Forse un po’
noiosa, un po’ gelosa... Ma, insomma, t’interessa tutto questo?
— Certo. Devi sapere che sono molto curiosa... di certe cose almeno.
Dimmi dunque, dimmi: ne sei stato innamorato?
— Sì, una volta, non proprio innamorato, ma quasi. Ora è passato.
— Perchè non la lasci allora?
— Brava! Tu credi che quando si è cominciato con una signora, sia così
facile staccarsene? Poi, qualche volta, vi sono certe ragioni che tu
non puoi capire.
— Ti sbagli, Rigo; io capisco tutto.
— Anche più del necessario forse... Ma insomma è una cosa che dura da
parecchio tempo, e questa donna mi vuol bene come poche amanti sanno
voler bene. Qualche volta la faccio soffrire, perchè in fondo sono un
brutto tipo, io!
Egli disse queste parole con gravità, ma ella si mise a ridere.
— Tieni. La spazzola è pulita.
Egli s’alzò, prese un’altra sigaretta e l’accese.
— Ora fammi un piacere, — disse. — Guarda un momento fuori dalla
finestra perchè mi debbo vestire.
— Fa pure; mi luciderò le unghie intanto.
E ritrattasi nel vano della finestra, si mise con attenzione a
lisciarsi le unghie, raggruppando insieme i ditini affusolati.
— Di’, Rigo, — ella fece, — hai pensato a Rafa?
Egli stava curvo presso il letto ad allacciarsi le giarrettiere.
— Sì, Lora, vi ho pensato, e molto. Ho anche abbozzata la trama di un
piccolo romanzo, che tu gli dovrai raccontare dopo che ci avrà veduti
insieme. Questa sarà una grande sorpresa per lui, e in fondo avrà forse
paura.
— Me lo immagino.
— Gli spiegherai che io sto fuori di casa per certi vecchi dissensi
col padre, ch’è un originale, un po’ avaro, un po’ bisbetico, il
quale vorrebbe far vivere i suoi figli lontano da quel ceto al quale
appartengono. E gli dirai: «Ma ora che sapete chi sono veramente,
non posso più conoscervi, per quanto me ne dispiaccia...» Mostra una
grande paura di me; fa in modo ch’egli pure mi tema, e accusati d’esser
stata una ragazza dalle idee troppo emancipate, la quale, forse per
leggerezza, forse per debolezza, si sia lasciata condurre da lui fino a
questo punto. Ma digli risolutamente che non intendi fare un passo più
in là. È un sentimentale: bisogna che tu gli sappia recitare molto bene
la commedia dell’amore; è uno sciocco, avvezzo per solito a riuscire:
bisogna che tu gli appaia come l’amante necessaria, ma impossibile,
bisogna che tu divenga per lui quello che un’altra non può essere...
M’intendi? Gli farai comprendere a mezza voce che la strada verso il
tuo letto è un’altra... Tutto questo forse non riuscirà, ma val la pena
d’essere tentato. Sopra tutto assicúrati del suo silenzio e nascónditi
bene quando gli dovrai parlare. Che nessuno ti veda per carità!
S’era quasi vestito e le parlava ora da vicino, curvo su lei,
guardandola. Per qualche attimo la fanciulla restò silenziosa, raccolta
e quasi rifugiata contro la persona del fratello che le dava questi
suggerimenti. Poi disse:
— Non credo che mi sposerà mai. Sarebbe inutile farci questa illusione.
— Perchè, Lora? Tu non conosci gli uomini. Qualche volta
l’esasperazione d’un desiderio conduce a ben altre pazzie. Non mi
dicevi che ha perduta la testa? non eri persuasa di poter ottenere
qualsiasi cosa da lui?
— Sì, ma veramente non pensavo al matrimonio.
— E cosa pensavi allora? Questo vorrebbe dire che sei anche disposta
a....
Ella ebbe un piccolo moto nervoso:
— Bah!... senti... una volta o l’altra....
— Peccato! — egli esclamò con un accento di sincerità profonda,
investendo la sorella con uno sguardo ch’era quasi un desiderio di lei.
— Cosa dici, Rigo?
— Dico che è peccato, molto peccato, benchè di questo, in fondo, non vi
sia nessun giudice migliore di te.
Egli metteva nel tono della voce una sarcastica irritazione quasi un
veemente rancore. Anche la sua fisionomia s’era un poco mutata.
— Dici che è peccato? — ella rispose dopo una riflessione. — Ma,
ragiona: che avvenire ho io davanti a me, nel quale mi sia lecito
confidare onestamente? A parte questo matrimonio, di cui parli ma
nel quale non credo, chi altro mi sposerà? Un signore dal quale
possa attendermi la vita che voglio, certamente no. E allora chi? Un
bottegaio? Un droghiere qualsiasi come quello che ha sposato Luisa?
Eh, no, via! Ti sembro fatta per andar a vendere la cannella ed i
pani di zucchero? Poi no, insomma! Questi, per me, non son uomini, e
piuttosto che fare quella vita mi metterei sottobraccio al primo venuto
e me n’andrei via. Ti ho già detto che i miei gusti sono come i tuoi:
tu non eri nato per startene in un negozio, e neanch’io. A te piace
vestirti bene, avere una bella casa, poter spendere, andare a teatro,
frequentare persone eleganti, vivere insomma... e tutto questo piace
anche a me. Tu ci sei riuscito come hai potuto... anch’io sono pronta a
riuscirvi come potrò.
Parlando, gli era venuta vicino e familiarmente or l’aiutava ad
allacciarsi le brettelle, come se non vi fosse alcun impaccio fra loro.
Eran davanti l’armadio a specchio e si vedevan riflessi tra il contorno
della camera.
— Forse non hai torto, — disse Arrigo, dopo avervi pensato. — Io
son del parere che ognuno debba cercare nella vita la sua migliore
felicità. Sopra tutto non ti posso disapprovare io, che te ne ho dato
l’esempio. Certo però, come fratello, dovrei parlarti altrimenti.
— Oh, Dio!... tu sei così poco mio fratello! — ella esclamò con una
singolare timidezza. — Nella nostra casa non sei stato quasi mai, ed
ero bambina quando c’eri. Se venivi a trovarci, mi pareva che venisse
un estraneo, del quale ogni volta ero più curiosa. Tutto quello che
raccontavano di te mi dava una sensazione strana.... — Fece una pausa,
poi soggiunse abbassando gli occhi: — Senti... è sciocco forse quel
che dico, ma quando vengo da te, certo non penso di andare da mio
fratello.... — Esitò ancora, poi disse: — Mi sembra quasi d’andar a
trovare un amante....
Quand’ebbe pronunziata la frase un poco temeraria, se ne fece rossa
e guardò negli occhi il fratello, pur vergognandosi della propria
confusione.
— Ah, sì?... questo ti sembra? — egli mormorò, volgendo il viso, come
per occuparsi d’altra cosa.
Durò tra loro un lungo attimo di silenzio, poi egli l’interruppe,
dicendole:
— Bene, continua.
Ella parve che avesse smarrito il filo del suo discorso e indugiò a
ritrovar le parole.
— Dunque, — riprese infine, — se non è prevedibile ch’io mi mariti, per
cosa o per chi mi conserverei onesta?
Egli scrollò le spalle con un moto nervoso e disse:
— Non mi piace sentirti parlare così! — La sua faccia divenne
aspramente severa e soggiunse: — Qualchevolta ci si può conservare
oneste anche per sè stesse.
— Dici sul serio?... No, via! Per sè stesse! Bel merito! Bel
tornaconto! Poi dev’essere anche immensamente noioso! Io, ti dirò,
ho avuto la fortuna che Rafa, come uomo, proprio non mi piacesse;
altrimenti a quest’ora....
Allora il fratello si mise a ridere.
— Brava! tu almeno sei franca! Dici pane al pane....
— Ci mancherebbe altro che mi mettessi a fingere con te! Sei il solo
che mi possa capire e quasi quasi mi diverto nel dirti la verità.
— Dunque ti sembra che debba essere noioso? — egli ripetè, sempre
ridendone.
— Sicuro! Perchè, vedi, le ragazze, in genere, queste cose non le
dicono... ma in fondo siamo fatte come voi, e qualchevolta...
Non volle spiegar oltre, rovesciò indietro la testolina, con un
atto rapido e nervoso ch’ella ripeteva di sovente. Ma quella idea le
ritornava e le martellava nel capo. Allor si mise a riderne forte ed
esclamò:
— Di’, Rigo... sei un bel tipo tu!
— Io?... perchè?
— Mi guardi con un’aria così maravigliata...
— Pensavo a quello che hai detto.
— Ecco, dicevo che, presto o tardi, bene o male, finirei così. Meglio
dunque valermi di questo mezzo per ottenere ciò che mi piace. Anche
tu, in fondo, per quanto ne so io, devi press’a poco aver battuta la
medesima strada...
E per soffocare la sua risata impertinente, nascose il volto contro la
spalla del fratello, che cercava ora una sottoveste nell’armadio.
— Cosa ne sai tu? Cosa ne sai tu?...
— Eh, via, se non lo avessi capito da me stessa, c’è Paolo, e c’è il
Riotti, che ne parlano quasi tutte le sere. Ma che buon profumo hai!
Dámmene una goccia sul fazzoletto.
Egli prese una boccetta, ne tappò l’orlo con il fazzoletto minuscolo e
due volte la capovolse.
— Anche qui... — fece la sorella, segnandosi l’alto del petto, su la
mussola fina, che lasciava trasparir la sua gola. Dalla giacchetta
sbottonata il petto le fioriva rotondo, come dal gonfio involucro la
rosa muscosa che si apre nel mese di Maggio.
— Qui... — disse ancora.
Egli si rivolse la boccetta nel palmo della mano e con una leggera
carezza le profumò la gola.
— Ti piace?
— È un profumo delizioso. Come si chiama?
— Chevalier d’Orsay. Lo vuoi?
— E tu?
— Me ne prenderò un altro.
— Grazie.
Le sue narici, nell’odorarlo, avevano la palpitazione di certe lievi
ali di api morte, luccicanti come lamine d’oro, che piovono per l’aria,
l’estate, quando il vento cade.


V

Una sera, quando la sarta ebbe fatto l’abito, Arrigo andò a prendere
Loretta per condurla a teatro.
— Tu le dài troppi vizi! — disse il padre ad Arrigo, poi che seppe
lo scopo della visita. E scoteva la sua testa grigia con un atto
d’indulgenza rassegnata.
— Via, non essere troppo severo! — fece Arrigo. — Loretta ha voglia di
svagarsi; e lo si capisce: è la sua età.
Loretta era già pronta, ritta su la soglia, e trepidava.
— Va bene; ma devi sapere che, d’idee poco serie, questa figliola ne ha
già da vendere, — disse il padre con la sua voce mite.
Capitò il Riotti proprio in quel punto. Benchè in dissapori con Arrigo
dopo il congedo brusco che ne aveva ricevuto, non seppe frenare la sua
maledetta lingua.
— Oh, il ritorno del figliuol prodigo!... — esclamò. — Che bella
improvvisata!
Loretta, che non lo poteva soffrire, gli rimandò di botto:
— Se si mischiasse un po’ dei fatti suoi, signor Riotti?
— Veh, la pettegola! — rifece lui con bile.
Arrigo l’onorò di un saluto cerimonioso.
— Prendi le chiavi con te, Loretta; lo spettacolo finirà tardi, — egli
suggerì alla sorella.
— Si va dunque a teatro? — osservò il farmacista. — E tu la lasci
andare? — soggiunse, rivolto all’occhialaio.
— È il fratello che l’invita, — rispose costui a mo’ di scusa.
— Allora buona sera a tutti, — fece Arrigo.
E prestamente uscirono insieme, il fratello e la sorella, parlandosi
piano, ridendo.
— Sei fortunato nei figli! — esclamò il Riotti con una voce quanto mai
sardonica. Ma l’occhialaio, per tagliar corto:
— Be’, facciamo la scopa?
— Facciamola pure.
Poi fiatò col suo gran torace, e soggiunse: — Mah... vecchio mio!...
se tu avessi avuto il polso più fermo, non ti troveresti ora a far da
burattino in casa tua!
E consultò con lo sguardo Paolo, ch’egli sapeva essere del suo parere.
Difatti questi non se la intendeva per nulla nè con Arrigo nè con
Loretta; quasi mai apriva bocca se il primogenito era presente,
limitandosi a ribattere con ironie un po’ grossolane tutti gli
argomenti della sorella minore. Nella casa di Stefano i vincoli
familiari s’eran andati assai rallentando; la figlia maritata vi
bazzicava di rado, assorta nelle cure del suo proprio focolare;
Arrigo, da lungo tempo, non vi contava più se non come un visitatore
avventizio, che talvolta con la sua presenza metteva un certo impaccio
in tutti; Loretta, col suo carattere imperioso e ribelle, stava per
seguirne le tracce, mal tollerando i freni della potestà familiare;
Paolo invece era quegli che mandava innanzi la bottega: solerte,
morigerato, economo, qualchevolta un po’ bisbetico, e nulla più. Egli
peraltro, come tutti i mediocri, non evitava di far valere i suoi
meriti mediocri, e poichè di tenerezza nè d’affetto non esuberava,
rimanevan soli que’ due poveri vecchi, ormai delusi nelle più care
speranze, lui, stanco d’una vita inutilmente operosa, lei, che
ingrassava ed insordiva ogni giorno, pur restando quella frivola donna
ch’era stata in gioventù.
Nello stesso tempo il Riotti s’inacidiva, sfogando contro tutti
l’ingeneroso rancore di non aver maritata la figlia. Ora la pigra
Eugenia s’era fatta più corpulenta e somigliava al padre in un modo per
lei deplorabile. Aveva cinque anni meno d’Arrigo, cioè ventiquattro
ormai, e le speranze d’un marito si facevan ogni giorno più rade.
Jettatura, non altro che jettatura! — pensava il padre, perchè la
ragazza, in ogni senso, era un partito più che appetibile. Ma ella
certo non se ne faceva cattivo sangue; era pigra, d’una pigrizia di
marmotta; purchè non la facessero faticare, tutto le andava bene.
Aveva tanto dormito in vita sua, che i suoi ventiquattr’anni parevano
a lei stessa d’una brevità sorprendente. Era abile in tutti i lavori
femminili, cucinava come una cuoca provetta: possedeva insomma tutte le
virtù d’una onesta massaia. Dopo quel suo calamitoso amore per Arrigo,
non si erano scatenate altre tempeste nella sua calma vita. Aveva bensì
vedute sposarsi l’una dopo l’altra quasi tutte le sue amiche, però
senz’alcuna invidia. Chi se ne crucciava sino allo sdegno era solamente
il padre, che aveva una settimana d’umor bestiale ad ogni matrimonio
del quale udisse parlare.
Ma l’Eugenia, no; ell’aveva amato Arrigo, lo amava ancora, lo amerebbe
sempre... e però questo amore non le dava alcun disturbo; era divenuto
in lei come una malattia cronica, una di quelle malattie che non si
curano più e che non dànno alcun dolore. Quando per caso le capitava
di vederlo, si faceva tutta rossa, balbettava, scappava; poi la sera,
nel mettersi a letto, ne piangeva per cinque minuti, s’addormentava.
Il Riotti aveva finito con dirle più volte: — Ragazza mia, tu manchi di
«temperamento!»
A questa parola «temperamento», che gli piaceva assai, il farmacista
dava insieme un senso patologico e letterario, qualcosa di più anche:
un senso erotico. E intanto aveva messo gli occhi addosso a Paolo,
benchè il ragazzotto, nonostante le sue virtù, non gli finisse di
piacere. Lui lo spalleggiava, lui lo decantava, ma in fondo in fondo,
per i suoi gusti un po’ romantici e molto ambiziosi, quel figlio minore
del suo vicino era decisamente troppo bottegaio. Aver educata una
figlia ed averla ornata come la sua Eugenia per darla poi ad un Paolo
qualsiasi gli faceva un po’ l’effetto di mettere una pianta rara in un
vaso di terra cotta.
Arrigo invece era stato il suo sogno nascosto, nè ancor cessava
d’esserlo per quanto fossero grandi le sue dissolutezze. Gliel’avrebbe
data a braccia aperte, anche dopo quella sua vita impudente, e
nonostante le gherminelle ch’egli aveva giocate loro. Un po’ testardo
come tutti i piccoli borghesi, s’era fitto in capo di maritar l’Eugenia
con Arrigo, ed anche certo di far così la sua sciagura non avrebbe
forse mutata decisione. Senonchè ogni speranza si dimostrava ormai
vana, e da quell’uomo pratico ch’egli era, sapendo che il tempo ha
le gambe leste, mentre le zitelle invecchiando si fanno bisbetiche,
umiliava la sua smoderata ambizione fino a desiderar come genero quel
sempliciotto di Paolo, dai capelli rasi a macchina ed ignorante come un
bue.

Arrigo e Loretta erano giunti a casa, frettolosi ed un po’ storditi
quella sera, come se andassero a commettere un peccato. Era presto
ancora, perchè in casa dell’occhialaio si cenava di buon’ora.
L’abito nuovo era steso sul letto d’Arrigo; sopra una seggiola era
uno scatolone contenente il cappello che aveva comperato egli stesso
per farle una improvvisata. C’erano le scarpine, a piè del letto,
piccolissime, di quel colore viola ed oro ch’ell’amava; due scarpine da
bambola, con il tacco esageratamente alto. I guanti lunghi erano sul
cuscino; dalla spalliera d’una seggiola pendeva una sciarpa di velo a
pagliuzze luccicanti.
A quell’ora il domestico era fuor di casa per la cena. Entrarono al
buio, ella tenendosi al suo braccio per non urtare contro i mobili, in
quella casa che non conosceva bene. Quando furon giunti nella camera
da letto ed Arrigo ebbe accesa la luce, tutto quel paradiso femminile,
ch’era lì per aspettare la fanciulla, s’illuminò come d’incanto:
Loretta, presa da una commozione quasi triste, non potè trattenersi
dall’esclamare:
— Oh, Rigo, come sei buono! come sei caro!... — e mettergli le braccia
al collo, e baciarlo, poichè la sua tenerezza era così grande che ne
aveva le ciglia umide.
— Sei contenta? — egli le domandò, passandole una mano su la guancia
con un gesto di protezione e d’amore.
— Tanto, tanto! — ella fece, alzandosi un po’ su la punta de’ piedi per
giungere alla sua bocca.
E diceva: — Come potrò mai ringraziarti di tutte queste cose?
— Eh, via, sciocchina! Ti pare che valga la pena? Véstiti ora, ch’è
tardi. Io vado di là per lasciarti più libera. Se ti occorre qualcosa,
chiámami.
— Te ne vai? — ella fece, quasi rattristata.
— Come vuoi tu...
— Sì, naturalmente... — ella disse, quasi a malincuore. — Ma ti
chiamerò per allacciarmi la camicetta. Sai allacciare gli abiti?
Egli sorrise.
— Mi proverò.
Arrigo si ritrasse nell’altra stanza, lasciando la porta socchiusa. Da
prima ella lo intese camminare, poi sedersi, aprire un giornale.
— Farò presto, sai...
— Va bene; ma non ho fretta.
— Hai pranzato, Rigo?
— Non ancora.
— Perchè?
— Questo mi cápita spesso. Ceno dopo il teatro.
— Del resto anch’io ho mangiato pochissimo questa sera.
— Dunque ceneremo, — egli disse.
Ed ascoltava il romore di lei che andava per la camera, quel romore
continuo, leggero, frusciante, che la donna fa nel togliersi le vesti,
quel romore che parla e descrive e fa vivere davanti agli occhi la viva
immagine di colei che si spoglia.
L’ascoltava e la vedeva: s’era tolto prima il cappello; gli
spilloni avevano dato un suono metallico posando sul cristallo della
pettiniera. Poi s’era levata la camicetta, rimanendo a braccia nude
in un copribusto color di rosa. Guardandosi nello specchio s’era
lasciata scivolare giù dai fianchi la sottana, che le aveva fatto
intorno ai piedi un cerchio alto e gonfio, dal quale era balzata fuori
prestamente, rimanendo in gonnella; una gonnella con una leggiadra
balza in basso ed un nastrino che vi correva dentro e fuori, per gli
occhielli del pizzo, anch’esso color di rosa.
Un piccolo spogliatoio era contiguo con la camera da letto; l’aveva
intesa versar l’acqua nei catini; s’era immaginato di veder l’acqua
scorrere in veloci rivoli per le sue braccia delicate.
Poi era tornata nella camera, e s’asciugava, camminando in su in giù,
a piccoli passi; l’asciugamano le rovesciava indietro dalla fronte i
riccioli scomposti; s’era seduta davanti alla specchiera, ed ora si
pettinava.
Le linee del suo giornale parevano a lui un arabesco incomprensibile.
Non gli era mai accaduto di provare un turbamento così forte, nè di
badare a queste minime cose. Eppure aveva tante volte pazientato nel
lungo abbigliarsi d’altre donne.
Un’idea tempestosa gli rabbuiava il cervello, gli contorceva i nervi,
dolorosamente. Lo prendeva una voglia insensata d’affacciarsi all’uscio
per guardare; doveva compiere uno sforzo quanto mai violento per
allontanare da sè la tentazione.
— Permetti che mi serva della tua cipria? — ella domandò.
— Se vuoi; ma ce n’è un’altra più fina, lì presso, nella scatola
d’argento.
— No, voglio la tua.
E la immaginò che s’incipriava, che s’incipriava le braccia, la gola,
il viso; gli parve di sentir l’odore che aveva la sua pelle commisto a
quell’odor di cipria. Buttò il giornale, accavallò le gambe, si mise
a martellarsi con le dita i ginocchi, poi gli venne una specie d’ira
gelosa, pensando a quel Rafa che la voleva.
— Ti annoi, Rigo?
— No.
— Che fai laggiù?
— Fumo.
Ella esitò un momento, poi disse:
— Vieni qui... tanto è lo stesso!
Egli ebbe un piccolo tremito.
— Sì? posso venire?
Apparve dietro l’uscio, un po’ stravolto, con gli occhi fissi.
— Come ti sei pettinata bene! — osservò.
Ella si volse a lui, per essere veduta in faccia, con un atto pieno di
civetteria:
— Ti piaccio?
Egli rispose di sì, con gli occhi, senza dir nulla.
C’era già in tutta la camera quell’odor femminile che turba i sensi
come un forte bacio.
Ella era di fatti in gonnella, con le braccia nude, un copribusto che
le giungeva solo a mezzo il petto ed a mezzo la schiena. Non gli era
sembrata mai così bella. Arrigo le si avvicinò, un poco titubante, non
sapendo che fare per sembrarle naturale. Nell’accomodarsi i riccioli
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