Beatrice Cenci: Storia del secolo XVI - 14

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Avete ammazzato il cane--sussurroni!--Godetevi i lupi.
Povero Popolo! Tu hai perseguitato ben altri uomini, che non sono io.
Dove giacciono le ossa di Giano della Bella e di Benedetto Alberti? Io
non lo so: quelle dei Medici hanno sepolcro reale in san
Lorenzo.--Dove riposeranno le mie? Chi può saperlo? Pure non ti
chiamerò _ingrato_, nè _maligno_, come Dante; sebbene tu abbia
perpetuata la voce, che correva ai suoi tempi:
_Vecchia fama nel mondo ti chiama orbo_,
Sarebbe carità percuotere il fratello perchè giace infermo? Questo
argomento venne adoperato un giorno, e con ottimo successo; ma da un
Russo, e con Russi[2]: ed io, per la grazia di Dio, nacqui italiano.
Malattia d'ignoranza è più grave di malattia di corpo; e i popoli si
hanno da sanare, non già maledire e percuotere.
Chiunque si apparecchia a travagliarsi pei suoi simili sappia che non
riceverà altra mercede, che d'affanni. Prima assai di Prometeo lo
avvoltoio divorava il cuore degli amici della umanità. Il destino dei
mortali progredisce lento rotando come una macina immensa, e nel
passare frange intelligenze e vite, lasciando dietro a se una traccia
di polvere d'uomini. Cemento tremendo composto di particelle di cuore,
di sangue e di lacrime, che vince in durezza lo stesso granito.
E se la morte fisica arriva precoce per gli anni, anche troppo tarda
sopraggiunge per le cure rodenti, per le passioni che limano, e per
gli occhi diventati ciechi nel contemplare una luce che consuma.
Quando poi l'uomo sopravvive a se stesso, che cosa attende dal suo
cervello e dal suo cuore? Ahimè! Una congestione, od uno aneurisma.
Noi siamo morti; ma dentro al nido composto d'odio, di vendetta e di
vergogna mette l'ale adesso una generazione di aquile, destinate forse
alla vittoria.
Invero la parola ha seminato abbastanza; ora tocca mietere, alla
forza. Il pensiero può dare l'albero della scienza, ma l'albero della
vita è per le mani gagliarde; e la libertà è la vita. Cessi una volta
la generazione dei sofisti, e sorga la generazione dei guerrieri. I
retori non hanno mai combattuto una battaglia. Maledetta la civiltà,
che insegna a portare le catene come i monili da eunuchi. Bolzari,
Odisseo, Colocotroni, ed altri molti eroi, che strapparono un lembo di
terra dalle mani sanguinose del Turco, erano _klefti_.--Io ritorno
alla storia.
La sconsolata vedova era tratta molto soavemente a casa di donna Luisa
Cènci, la quale aveala preceduta insieme ad Olimpio; e con la sagace
sollecitudine di cui le donne sole possiedono il tesoro, aveva già
fatto apparecchiare il letto, e cera, e olio, e cotone sodo, e altri
tali rimedii, che a quei tempi, e forse anche ai nostri, si reputano
meglio efficaci per le scottature: mandò eziandio pel cerusico, e per
una balia. Questa, per buona ventura, fu rinvenuta nella contrada, e
venne subito. Udito il caso, e interrogata se si sentisse capace ad
allattare la creaturina finchè la madre fosse risanata, la buona
popolana rispose «magari!»; e senza altro invito prese il pargolo
nelle braccia, e trattasi in disparte se lo recò alle mammelle.
La madre delirò tutta la notte ora piangendo sommessa, ora gridando
disperatamente, secondochè alla sconvolta fantasia si affacciavano
immagini pietose, o terribili. Il giorno appresso non istette meglio;
il sopravvegnente ricuperò alquanto delle sue facoltà mentali, e
subito cercò il figlio. Risposerle che le dormiva al fianco; volle
muoversi, ma non potè, e con voce languida favellò di nuovo:
--Per amore della gran Madre di Dio non m'ingannate!
L'assicurarono con giuramento. Allora pianse: poi domandò del marito,
e le dissero, con pietosa menzogna, giacersi malconcio assai della
persona nell'ospedale, ma non senza speranza di guarigione.
Luisa, che travestita da uomo la vegliava del continuo, la confortò a
tacersi, e a starsi di buono animo; avvegnadio da cotesto smaniarsi
non gliene potesse venire se non che aumento di male, e ritardo del
giorno desiderato di stringersi al collo il figliuoletto; ed ella
allora non flato più.
Luisa aveva posto maraviglioso affetto alla desolata vedova, la qual
cosa non ha da parere strana; chè siccome la offesa pei petti mortali
somministra ragione per offendere, così il benefizio antico persuade
il nuovo; e noi amiamo altrui meno pel bene che ci fa, che per le cure
che ci costa. Se poi questo muova da costanza o da presunzione, o da
altre buone o cattive qualità, io non saprei affermare: bene io so,
che quantunque riesca arduo, più che altri non pensa, rinvenire la
origine vera delle nostre azioni, il motivo non è quasi mai solo, ma
complesso e attorto di fili forniti in parte dagli Angioli, e in parte
dai demonii. Quale poi fosse la proporzione di questi fili nell'animo
di donna Luisa non è dato giudicare; giova credere fossero angelici
tutti; a me basti accertare, che ella amava cordialmente la vedova.
Se forte pungesse la donna il desiderio di conoscere i particolari del
commercio, ch'ella supponeva avesse mantenuto seco lei il suo marito,
non è da dire; ma la trattenevano dall'appagarlo molte considerazioni.
E prima di tutto non le pareva onesto prevalersi dello stato di
cotesta misera per istrapparle il segreto: poco cristiano, e meno che
consentaneo alla generosità fin lì dimostrata da lei, tribolare, forse
non senza danno della sua guarigione, la inferma per farla parlare; e
finalmente avendo accolto un dubbio, comunque debolissimo, intorno
alla verità dei suoi sospetti, amò piuttosto oscillare in cotesta
incertezza, che disperarsi nella odiata realtà.
Ma non vi è misura che tanto presto si colmi, quanto quella della
impazienza. Certo giorno ella sedeva accanto al letto della vedova.
Angiolina, che tale parmi aver detto si chiamasse la vedova,
contemplava il volto di Luisa con l'adorazione dei devoti verso le
immagini miracolose, e mormorava per lei benedizioni e preghiere.
Luisa la guardò fisso a sua volta; vide che le tornavano i floridi
colori della salute per la faccia, le scottature non lasciavano segno
veruno, e la donna ridiveniva bella più che mai fosse stata. Il cuore
palpitò alla gelosa impetuosamente nel seno, e sorridendo un cotal suo
riso amaro la interrogò:
--Ma sono io l'unico vostro protettore davvero?
--E chi volete che si prenda cura di una povera femmina come sono io,
se non voi per vostra carità?
--E sì.... e sì che la memoria, io credo, non vi aiuta a rammentar
bene le cose.... in questo momento.
--Ah! voi dite la verità, esclamò Angiolina, facendosi vermiglia come
per vergogna di fallo commesso. Signore! O come possiamo, senza
volerlo, diventare ingrati?
--Dunque.... tu hai un altro protettore?
--Un altro protettore, come voi dite, il quale ci ha beneficato
assai....
--Sì, eh! E come si chiama egli?
--Egli?--Il Conte Cènci.
--Cènci? Cènci hai tu detto? Cènci?--gridò Luisa come se l'aspide
l'avesse morsa nel cuore, e si tacque. Ma l'altra, secondo che la
consiglia affetto, e il desiderio di ammendare il fallo involontario,
aggiungeva appassionata:
--Cavaliere sopra quanti altri conobbi, eccetto voi, compitissimo e
gentile. Per lui ci venne restaurata la casa, che, guasta prima
dall'acqua, adesso ha distrutto il fuoco:--egli volle che io mi
comprassi vesti sfoggiate,--orgoglio di una ora;--ed ebbi a toccare da
lui solenne rimprovero perchè non lo scelsi compare del mio figliuolo.
Luisa si morse le labbra in modo che spicciarono sangue, e la
interruppe con aspra voce dicendo:
--Basta!
E mentre per non tradirsi si allontanava a precipizio, combattuta da
passioni diverse mormorava:
--Sfacciata! E nemmeno si rattiene da palesare la propria vergogna.
Signore! Ma tu veramente comandi di allevare le serpi che ci mordono
il cuore?

NOTE
[1] Questi sintomi angosciosi dell'asfissia io descrivo non già per
sentito dire, bensì per averli provati. Ciò avvenne quando il
signor marchese Cosimo Ridolfi, iniziatore in Toscana del
reggimento costituzionale, investito di pieni poteri per sedare in
Livorno una cospirazione, che non era mai stata, ordinò mi
traessero a Portoferrajo con le mani incatenate nella notte dell'8
al 9 gennaio 1818, e quivi mi gittassero entro un sotterraneo del
forte Falcone. Il sotterraneo era umido e freddo: io poi infermo
gravemente di male d'intestini, ed estenuato di forze; sicchè mi
lasciai andare semivivo sopra un lurido letto da soldato, che
rinvenni in cotesta lurida buca. Il carceriere, o di proprio moto
o per commissione altrui, mi portò un focone di brace accesa, ed
uscì chiudendo la porta del sotterraneo, e la finestra munita di
due inferriate, due graticole ed una impannata. Appena chiusi gli
occhi incominciarono a travagliarmi i sintomi descritti nel testo:
allora con ineffabili sforzi scesi dal letto, e strascinandomi
carpone giunsi alla finestra, apersi la impannata, e sporsi la
bocca tra i ferri per bere un sorso di aria pura... cioè quale
poteva aversi traverso due inferriate e due graticole e piovuta
dentro una chiostruccia che mi stava davanti. E poichè i posteri
sappiano chente si fossero i Conti, i Baroni, e i Marchesi
promotori delle libertà politiche in Toscana, e giudichino, dirò
(cosa incredibile, e non pertanto vera): quattordici dei miei
compagni d'infortunio furono gli uni sopra gli altri accatastati
dentro un altro sotterraneo sterrato, che prendeva aria da un
pertugio nel soffitto; un altro certa notte gridava dal
sotterraneo, dov'era stato posto solo, lo salvassero perchè in
procinto di affogare a cagione dei torrenti di pioggia che colà
rovesciavansi; nè quinci venne remosso se prima il suo corpo non
gli si gonfiò mostruosamente. Tale provai il signor Marchese
Ridolfi: qual egli provasse me quando il popolo, contro lui
infellonito, lo vituperava con ogni maniera di oltraggi, tentava
appiccargli fuoco alla casa, e lo minacciava di peggio, ne porgono
testimonianza i documenti ricavati dagli archivii dello Stato, e
che appartengono al mio ministero. Io li ho pubblicati, e chi ne
avesse talento può consultarli: a me basti dirne questo, che seppi
e volli, assumendo il maestrato, attaccare qualunque passione
privata al cappellinaio, e procedere con tutti imparziale; anzi se
taluna parzialità mostrai, fu nel difendere coloro che più mi
avevano offeso in generale, e il signor Marchese Ridolfi in
particolare. Se io mi sia stato degnamente corrisposto, i discreti
decidano. Piacemi unicamente avvertire, come allorquando i Signori
del Municipio fiorentino, e la Commissione aggiunta si posero a
capo della reazione, che confidarono governare, il mentovato
signor Marchese scriveva lettere dalla Spezia, che intercettate
furono rese pubbliche a Livorno, con le quali egli reputava onesto
aizzarli contro di me; e quivi notai, tra le altre, queste
espressioni: «non crediate «a b... f... galantuomini!» Concetto, e
modo, ch'io ricisamente sostengo non degni di lui: di lui, che si
diceva innamorato così della civiltà del Popolo toscano da
anteporla alla virtù militare, per la quale avrebbe potuto
rivendicarsi dal servaggio, e sostenere la sua libertà.
[2] Il CANTU, nella _Storia di cento anni_, narra di Souwarow il
quale di tanto in tanto visitava gl'infermi soldati, e li curava
così: se gli parea che fingessero, ordinava li bastonassero; se li
reputava ammalati davvero, faceva amministrare loro sale, aceto, e
non ricordo quale altra sostanza. In questa guisa i suoi ospedali
militari stavano sempre vuoti.


CAPITOLO XII.
DELLO ASINO.
Sol l'Asino gentil, l'Asino fino
Lodar si debbe, e mi par che sia quello
Da scriverne in volgar, greco, e latino.
GAB. SIMEONI, _Cap. dell'Asino_.

E Verdiana si era fatta venti volte alla finestra; altrettante si era
posta ad annoverare i passi, che secondo i suoi calcoli la canonica
distava da Roma. Scese sul prato; e comecchè tremolante su le gambe,
si stese boccone, ed accostò le orecchie a terra per udire qualche
lontano rumore, che le annunziasse il ritorno del Curato;--niente.
Sorse, cantò le litanie, lo _stabat Mater_ recitò dieci volte il
rosario, e poi si spazientì.
--Oh! vedete, borbottava, quanto mai tarda quel benedetto uomo
stamani.... ma che stamani? Ormai è passato vespro, e qui la minestra
diventa tutta una pania. Io per me non so chi mi trattiene da desinare
sola; e se poi giunge, e non potrà mangiare, suo danno. Ma forse sarà
trattenuto da qualche faccenda.... o forse qualche malanno sarà
capitato addosso a Marco (Marco era l'asino che cavalcava il
curato)... od anche al povero reverendo. Ahimè! meschina, che cosa io
vado immaginando? E perchè non potrebbe essere questo? Se male può
incogliere a Marco, non ci è ragione perchè non possa succedere anche
al curato. Santissima Vergine! pur troppo in fatto di disgrazie non
corre differenza alcuna fra Marco e il Curato, e per tutti, o vogli
uomini o vogli bestie, elleno stanno sempre apparecchiate come le
tavole degli osti.
Qui tolse i suoi ferri dai quali pendeva una calza mezza fatta, e si
mise a proseguirla con molta prestezza; ma chi l'avesse osservata
poteva accorgersi di leggieri, che nella sua mente si formava un
pensiero dolente come nei suoi occhi adagio adagio andavano crescendo
due lacrime, e le lacrime e il pensiero proruppero in un medesimo
punto; però che gittando smaniosa da parte e ferri e calza, esclamò:
--Sicuro eh! se qualche disgrazia fosse avvenuta a cotesto povero
uomo, non avrebbe altrimenti bisogno di calze nè di solette.... E
perchè non ne avrebbe più bisogno? o che forse tutte le disgrazie
rendono inutili le calze?
E qui stesa la mano riprendeva i ferri, cacciandone uno dentro al
bacchetto.
--E poi, proseguiva, o morto o vivo, le calze a qualcheduno saranno
sempre buone...
Intanto riponeva in tasca il gomitolo del refe.
--Buone per qualche poverello di Dio,... ed anche per me...
Diciamolo a gloria del vero. Verdiana aveva pensato a se dopo il
curato e la sua cavalcatura, dopo il prossimo, dopo di tutti; la sua
carità si era estesa fin dove poteva estendersi, e dalla periferia
ritornava al centro. Per altra parte col medesimo amore d'imparzialità
dobbiamo aggiungere, che le sue mani non si erano mostrate mai tanto
sollecite come quando ebbe avvertita la probabilità che le calze
potessero rimanere per se.
Allo improvviso l'aria dintorno rintronò dei ragli di Marco. Verdiana
corse alla finestra, e di là dalla siepe le comparvero entrambi i cari
capi del Curato e dello Asino: non già che volesse mettere l'uno a
fronte dell'altro; Dio ne liberi! Ma alla fine se al curato non
potevano negarsi meriti grandi, anche l'asino aveva i suoi; e per di
più il curato, come Marco, non aveva bevuto la luna.
Bevuto la luna? Così almeno crederono un tempo in casa del curato, e
fuori; poi per le persuasioni di lui Verdiana incominciò a concepirne
qualche dubbio; ma in quanto a Giannicchio non ci fu verso a farlo
ricredere, e lo avrebbe giurato anche sotto la corda.
Giannicchio era un garzone più povero di Lazzaro; portava vesti di cui
metà era mota, e l'altra toppe di ogni maniera, colore, e misura; una
soprammessa all'altra come la calca degli accattoni si affolla su la
punta dei piedi a sporgere la pentola alla porta del convento dove il
cappuccino dispensa la minestra. Giannicchio era uno di quei poveri
figliuoli, i quali dalla madre natura non hanno ricevuto altra
benedizione, tranne uno schiaffo. Quanto si poneva a fare, tanto gli
riusciva a traverso: se prendeva una stoviglia la rompeva; se correva
per soccorrere, o urtava col capo nel muro, o andava a dare di cozzo
nel naso della persona che intendeva sovvenire; a chiedergli acqua
avrebbe portato fuoco. Il Curato affermò più volte, ch'egli doveva
essersi trovato alla torre di Babele a fare da manovale. Nonostante
ciò Giannicchio _malanno_, chè tale gli avevano appiccato nomignolo,
era di così buona pasta, tanto serviziato e amoroso, che sempre stava
per casa al curato, e da campare alla meglio ogni giorno rimediava.
Ora è da sapersi come fuori della canonica si trovasse un pozzo, e
accanto al pozzo la pila da abbeverare le bestie, e lavare i panni.
Certa sera Marco tornò tardi a casa perchè il Curato lo aveva
imprestato al Dottore, al quale in quel giorno la cavalla erasi
azzoppita dalla terza gamba; e fu deciso che ormai nessuno potesse
salirvi sopra, senza la quasi sicurezza di fiaccarsi il nodo del
collo. Nè Marco tornò solamente a casa tardi, ma vi tornò trafelato.
_Trivia rideva nel plenilunio sereno_, come dice Dante, e vagheggiava
il tondo disco nella poca acqua avanzata nel fondo della pila come una
ricca dama si contempla, in difetto di meglio, dentro uno specchio da
quattro soldi. Giannicchio menò Marco alla pila, e volgendo gli occhi
in giù vide la luna. L'Asino assetato bevve avidamente fino all'ultima
stilla l'acqua raccolta nella pila, e la luna scomparve. Allora
Giannicchio, preso da maraviglia e da spavento, si dette a gridare che
Marco aveva bevuto la luna. Tale era Giannicchio.
--O cari! o desiderati!--esclamava la buona Verdiana, e si affrettava
affannosa verso l'Asino e il Curato. Abbracciò Marco pel collo nè più
nè meno con lo affetto di Sancio Panza; baciò la mano al Curato, e lo
aiutò a smontare. Siccome nella povera gente il dolore della perdita
si fa sentire più acuto assai che la speranza del guadagno, io non
saprei ridire quali, e quante suonassero le lamentazioni della
Verdiana vedendo la tonaca lacerata, e le altre cose più riposte sotto
in pessimo arnese, fatte manifeste in virtù dello strappo della
tonaca: molto più che dal volto nuvoloso del curato le pareva potere
argomentare, che il viaggio fosse riuscito indarno.
--Già m'immagino, incominciò Verdiana, che anche per questa volta avrà
fatto fallo la promessa del _chiedete, e vi sarà_ _dato_:--e intanto
che andava forbendo il curato dalla polvere, continuava:--il santo
Evangelo avrà inteso parlare della grazia _gratis data_, non già dei
ducati del sole.
--Silenzio, Verdiana; non mormorate contro la Provvidenza, ch'è
peccato; ho bussato, e mi fu aperto; ho chiesto, e mi furono dati
cento scudi...
--Cento scudi! E allora facciamo i fuochi...
Il Curato sospirò; si pose a cena; poco mangiò, bevve meno, e rispose
rade e tronche parole alle frequenti domande di Verdiana, la quale
standogli attorno non rifiniva mai d'interrogarlo così:
--Vi sentireste per avventura incomodato, Reverendo?--Vi è forse
accaduto qualche malanno in cammino?--Avete avuto paura?--Benedetto
uomo, ma parlate! Volete che io vi faccia un po' d'acqua di salvia col
miele.... o piuttosto un cotogno cotto nel vino.... o veramente lo
pezzette di aceto sopra le tempie? Un senapismo.... un pediluvio....
un semicupio.... un cristeo?
--Ouf!--soffiò il Curato, e disse poi:--fate tutta questa roba per
voi, Verdiana, se ne avete bisogno; sto bene, prima Dio, ed ecco i
cento ducati...
--Ve' belli... belli! E' non hanno mica torto a tenerseli stretti
coloro che li possiedono.
--Date retta, Verdiana, questi sono cento ducati; ma non bastano a
gran pezza per la canonica, per le masserizie di casa, e per la
chiesa...
--Pazienza! Rifacciamoci intanto dalla chiesa; alle altre cose il buon
Gesù provvederà...[1]
--Provvederà, sì; ma vedete bene, Verdiana mia, che se non prendiamo
cura della canonica, un giorno o l'altro ci troveremo a nuotare in
casa.
--Meglio nuotare noi in casa, che Cristo in chiesa.
--Sì; ma se il sacerdote annega, il servizio divino rimane interrotto
con danno gravissimo dei parrocchiani.
--Già, _in primis_, non rimane interrotto per nulla, dacchè, e Dio vi
faccia campare mille anni, morto un papa se ne fa un altro, come dice
il proverbio; e poi in casa ci piove, è vero, ma non vi si nuota, nè
vi si affoga, che io sappia...
--Sì; ma il savio Ippocrate insegna: _principiis obsta sero medicina
paratur_; la quale sentenza sapete che cosa vuol dire, Verdiana? Vuol
dire che se non si ripara in tempo, la buca diventa fossa. Inoltre la
veste abietta fa cascare nello avvilimento chi la porta. Per colpa del
sozzo servo talora venne in dispregio anche il padrone.
--Ma egli è troppo peggio, che prendano in odio il servo per la
ingratitudine che mostra al suo signore; e pensate un po' voi di quale
signore si tratta.
Al curato pareva giacere sopra la gratella di san Lorenzo, e
sospirando ruminava fra se: come diascolo tutto ad un tratto è
capitato tanto giudizio a Verdiana!--E Verdiana proseguiva:
--Io ho detto begli ai ducati, perchè davvero mi piacciono; ma non mi
paiono più belli della mia coscienza, nè del mio obbligo, e molto meno
poi del mio Gesù; chè se niente niente temessi che vi avessero a far
prevaricare, vedete come io ne userei?--Verdiana ne prese due pugni, e
mostrò volerli gittare fuori della finestra--io li butterei per
granturco alle galline...
--Verdiana! Verdiana!--gridò il Curato abbracciando forte la fantesca
a mezza vita, e respingendola addietro,--ma che siete spiritata?
Quante fossero le parole dette dalla Verdiana, e come pungessero
acerbamente il Curato io tralascio; basti sapere, che il Curato piegò
il capo e pregò mentalmente che se poteva farsi quel calice amaro,
cioè Verdiana, fosse rimosso da lui; sospirò; si pentì ripetendo dieci
volte l'atto di contrizione; deliberò rendere i ducati. Allo
improvviso fissandoli, gli parvero i trenta danari di Giuda; e,
spaventato dal fine di cotesto traditore, guardò tutto rabbrividito il
fico dell'orto della canonica, e si scostò dalla finestra; ma nel
punto in cui stava per darsi in balìa della disperazione, ecco
balenargli un pensiero nella mente: esultò come Archimede, quando ebbe
trovato il modo di conoscere se nella corona di oro avessero mescolato
rame; si sarebbe per l'allegrezza dato un bacio, se con le labbra
avesse potuto toccarsi le gote; e sollevando la testa umiliata, a mo'
di cervo che ripresa lena continua la corsa, egli disse:
--Uditemi, Verdiana; voi avete parlato molto e male, Dio vi perdoni. E
chi vi ha insegnato a pensare tanto tristamente del prossimo... di un
curato... di me?... Parvi essere io stato, per tutto il tempo che
vivete con me, cosiffatto uomo da meritarmi simili rabbuffi? E se nol
fui, come da un punto all'altro di vino sarei diventato aceto?
Uditemi. Dal campo ha da uscire la fossa. Io e Giannicchio scerremo
gli embrici e i tegoli sani dal tetto della canonica, e gli adatteremo
sul tetto della chiesa: alla canonica gli riporremo nuovi: potremo
tagliare sei camicie alquanto lunghe, e quando ne occorrerà bisogno
per chiesa aggiunteremo una striscia di trina a qualcheduna di quelle,
e serviranno per camici: dalla coperta di cataluffo ricaveremo due
pianete; una gialla, e l'altra faremo tingere in rosso; le lampade e
le ampolline si adoperano così in Chiesa come in casa:--farò ancora
raschiare, ritingere, riconficcare, insomma riporre a nuovo il
Crocifisso che tengo accanto al letto, e per le feste lo esporremo in
chiesa.
Il buon prete col suo cervello aveva armeggiato in questa guisa: il
patto fatto mi obbliga a non impiegare nemmeno uno scudo in chiesa.
Maladetto quel patto! Ma se tolgo le tegole e gli embrici dalla
canonica impedisco che l'acqua coli in chiesa, e osservo la promessa:
bene è vero, che così mi tocca a rifare il tetto alla canonica; sia:
ma potrò sempre sostenere, che per la chiesa non ho speso un papetto.
e rifiutare addirittura il danaro. Ma no... perchè se non accettava
non poteva sguarnire la casa per addobbare la chiesa. Quando il
lenzuolo è corto, il capo o i piedi hanno da restare scoperti. Dunque
ho fatto benissimo... benone!
E contento di se, si voltava sul fianco sinistro. Oh curiosa! Qui
trovava tutt'altra opinione: una voce, che pareva nascosta nel
capezzale, lo rampognava così:--garbuglione, imbroglione, cavillatore,
tu vorresti servire mezzo a Dio, mezzo a Mammone. Signor no; o tutti a
Dio, o tutti a Mammone: qui non vi ha strada di mezzo. Sono questi gli
esempii che ti porgevano il profeta Elisèo e san Pietro? La tua sorte
sarà quella di Simone Mago, che salì per aria in virtù del diavolo, e
cascò in terra per virtù di Dio fiaccandosi le gambe; o per lo meno
quella di Ghehazi, quando diventò bianco da capo a piedi di lebbra[2].
Bella figura se ti presentassi in pulpito come maestro Biagio il
molinaro! E che cosa direbbe Verdiana? Le offerte presentate senza il
cuore puro vengono respinte dal cielo: informi Caino; e tu accettasti
danaro con patto espresso di non adoperarlo nel servizio di Dio. Non è
questo peggio della simonia, e della geezzia? Chi non adora Dio egli è
già diventato servo del Maligno. Levati... levati e va al letto di
Verdiana, e chiedile perdono; cotesta donna ha tanta carità da
vendertene. Levati... torna a Roma, magari in camicia; rendi i ducati
al Cènci, e digli: lasciatemi la mia povertà con la mia innocenza;
ricchezza col peccato non è affare che mi garbi.--Ouf! che caldo,
esclamava ad alta voce il curato; stanotte non mi riesce a prendere
sonno; e dando un gran voltolone pel letto tornò sul lato destro. Da
questa parte lo aspettava sempre il suo buon Genio, e:--consolati,
gli mormorava soavemente dentro gli orecchi, perchè la intenzione
giustifica la opera, e in questo mondo chi è savio si governa secondo
il vento e la corrente; chè se Verdiana continuasse a darti fastidio,
tu le potrai allegare lo esempio degli Ebrei, i quali prima di uscire
dall'Egitto tolsero in prestanza i vasellami di oro e di argento degli
Egiziani, e verosimilmente gli adoperarono nella fabbricazione
dell'Arca: e le potrai citare eziandio il caso dei figliuoli di
Giacobbe, i quali per vendicarsi della sorella rapita persuasero i
Sichemiti a tagliarsi[3]... ma no... cosiffatti esempii non sono da
raccontarsi a Verdiana... gliene racconterai un altro più
accomodato... e più decente. Insomma la intenzione giustifica le
opere, se non presso gli uomini, almeno presso a Dio.--Dunque ho fatto
benissimo, benone! E a cui non piace mi rincari il fitto;--e si
addormentò.
Egli era un bel pezzo che dormiva, quando allo improvviso gli venne
rotto il sonno dalla testa da non so quale insolito rumore: balzò a
sedere sul letto, e gli parve udire un lieve imprimere di orme sul
pavimento; ond'egli ritenendo che il gatto di casa avesse inciampato
in qualche masserizia, allungò un braccio fuori della sponda del
letto, e presa una scarpa grave di chiodi di ferro e per le fibbie
d'argento, la gittò dalla parte donde gli parve che il rumore
muovesse; la scarpa colpì in pieno uno armario, che suonò come un
tamburo, perchè era vuoto. Verdiana destatasi allo strepito,
incominciò a strillare dalla stanza accanto:
--Reverendo, reverendo. Trista moneta è quella che disturba i sonni, e
Dio le mandi il mal giorno, e il male anno: quando eravate più povero
riposavate fino a giorno; adesso non dormite, nè lasciate dormire.
Il curato messe il capo sotto le lenzuola, e si turò le orecchia con
le coperte per non udire cotesta persecuzione.
La mattina don Cirillo, quando si levò, guardò prima il cielo, e poi
sott'occhio Verdiana; quello gli prometteva una buona, questa una
trista giornata. Si pose a cantare a mezza voce matutino e le laudi, e
prese a darsi grandissimo moto per provocare qualche parola amica; ma
e' fu tutto uno: a colezione, così per rompere il ghiaccio, incominciò
a domandare con disinvoltura il prezzo ora di questa, ora di
quell'altra cosa, e poi bravamente, con un tratto da disgradarne ogni
più arguto diplomatico, allo improvviso osservò, come per tanta roba
centocinquanta ducati gli paressero pochi. Verdiana, colta alla
sprovvista sul tasto delle biancherie, per le quali ogni buona massaia
sente tanta passione, dimenticata la origine degli scudi, si pose a
fare i conti con don Cirillo.--Questi, sebbene fosse non mediocremente
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