Beatrice Cenci: Storia del secolo XVI - 02

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sala dove mettevano capo le camere delle donne e del fanciullo: egli
poi trasse Nerone in altra stanza, lo aizzò, lo inasprì, e poi,
spalancato allo improvviso l'uscio, lo avventò contro l'uomo di
paglia. Il cane, cieco di rabbia, si lancia a balzi contro il
simulacro, e lo strazia latrando disperatamente. Il Conte traeva
maraviglioso sollazzo a contemplare le prove di cotesta belva, e a
Marzio, che gli si era accostato, così favellò:
--Questo è il figlio della mia predilezione, come disse la voce sul
Giordano; e lo educo, a Dio piacendo, a difendermi dai nemici, ed
anche dagli amici; in ispecial modo dai miei figli dilettissimi; dalla
consorte più diletta ancora, ed anche un po' da te--e toccava la
spalla al cameriere--mio lealissimo Marzio.
Così empita di spavento e di terrore la casa tornò alla stanza, dove
la natura, vinta dalla spossatezza, lo costrinse a breve sonno e
interrotto. Quando si alzò era torbido in vista.
--Ho fatto mal sonno, Marzio.... mi son sognato che stava a mangiare
co' miei defunti. Questo denota morte vicina. Prima però ch'io vada a
mangiare costà, bene altri, Marzio, bene altri mi avranno preceduto ad
apparecchiarmi la tavola.
--Eccellenza, sono giunte lettere dal Regno per cavallari apposta....
Il Conte sporse la mano per riceverle. Marzio continuava:
--E di Spagna col corriere ordinario; le ho messe tutte sul banco
dello studio.
--Bene: andiamo....
E sorretto da Marzio, accompagnato da Nerone, si avviava allo studio.
Sorgeva appena un magnifico sole di agosto, il quale tingeva in oro
co' giovanetti raggi l'azzurro emisfero. Unica gloria, dacchè la viltà
nostra ci ha tolto perfino quello, che sembrava a perdersi
impossibile--il sentimento della nostra abiezione. Dio! Oh come grandi
hanno da essere le nostre colpe e la tua ira, se nè pianto, nè sangue,
nè nulla vale a fecondare sopra questa terra un fiore di virtù!
Il Conte si appressò al balcone, e, fissato il maestoso luminare,
mormorò detti segreti. Marzio, letiziato a tanta bellezza di cielo e
di luce, non potè trattenersi da esclamare:
--Sole divino!
A queste parole gli occhi del Conte, per ordinario spenti,
corruscarono a modo di baleno dentro una nuvola, e gli avventò contro
al cielo. Se è vero che Giuliano l'apostata lanciasse contro il cielo
il sangue, che gli scorreva dalla ferita mortale, deve averlo gittato
come quel guardo, e con quella intenzione.
--Marzio, se il sole fosse una candela, che soffiandovi sopra potesse
spegnersi, la spegneresti tu?
--Io? Le pare, Eccellenza!--lo lascerei acceso.
--Io lo spegnerei.
Caligola aveva desiderato al popolo romano una testa sola, per
recidergliela con un colpo; il Conte Cènci avrebbe voluto stritolare
il sole. Povera creta! Se il sole si accostasse, la cenere della terra
non occuperebbe spazio nell'universo.
Si assise al banco; aprì, e lesse una, due e tre lettere, pacato in
prima, poi precipitosamente; al fine, scorsele tutte, proruppe con
orribile bestemmia:
--Felici tutti! Ah Dio! tu me lo fai proprio per dispetto.
E chiuso il pugno, abbassò il braccio con quanto aveva di forza: caso
volle che colpisse in mezzo alla fronte Nerone, il quale col muso
levato e gli occhi pronti seguitava i moti del suo signore. Il cane
diè un balzo di furore, poi irruppe contro la porta, ne spalancò le
imposte, e fuggì via sbuffando. Il Conte gli mosse dietro
richiamandolo, non senza aver prima con un suo riso amaro osservato:
--Vedi, Marzio, s'ei fosse stato un figliuolo mi avrebbe morso!--

NOTE
[1] «La nostra pelle è divenuta bruna come un forno per l'arsura della
fame.» _Geremia_ Lamentaz. V. n. 10.
[2] «E Iddio separò la luce dalle tenebre.» _Genes._ C. I. n. 4.


CAPITOLO II.
IL PARRICIDIO.
........tutta la Caina
Potrai cercare, e non troverai ombra
Degna più di esser messa in gelatina.
DANTE.

Marzio invitò il gentiluomo dal volto chiazzato di sangue a passare
nello studio del Conte. Questi attendevalo in piedi; e tostochè lo
vide, con bella leggiadria di maniere lo salutò dicendo:
--Benvenuto, Principe; in che cosa noi possiamo avvantaggiare le
comodità vostre?
--Conte, ho da parlarvi; ma qui dentro vi è uno di troppo.
--Marzio ritirati.
Marzio, inclinata la persona, usciva. Il Principe, andatogli dietro,
si assicura se avesse chiusa diligentemente la porta; tira la tenda, e
poi si accosta al Conte, che, maravigliando non poco di coteste
cautele, lo invita a sedere, e senza far motto attende ad ascoltarlo.
--Conte! sarà Catilina adesso, che incomincerà la sua orazione _ex
abrupto_. Però io vi dico ad un tratto, che estimando meritamente voi
uomo di cuore e di consiglio, di mente e di braccio, a voi mi rivolgo
per l'una e per l'altro, e spero mi sarete cortese di ambedue.
--Parlate, Principe.
--La svergognata mia genitrice, incominciò costui con voce velata,
vitupera con sozze opere la casa mia ed anche un poco la vostra, pel
vincolo di parentela che passa fra le nostre due famiglie. La età,
invece di spegnere, riarde le sue aride ossa di libidine infame. Lo
usufrutto ampissimo che gode, per disposizione dello stolido mio
padre, sperpera fra turpi drudi:--per tutta Roma ne corrono le
pasquinate:--vedo lo scherno dipinto sopra i volti della
gente:--dovunque passi mi feriscono detti oltraggiosi.... il mio
sangue ribolle nelle vene... il male è a tal ridotto, che non patisce
rimedio, tranne.... Or via, ditemi, Conte, che cosa io mi debba fare.
--La clarissima donna Costanza di Santa Croce! Ma lo pensate voi?
Orsù; se voi fate per giuoco, io vi consiglio a torre per lo scherzo
argomenti meglio dicevoli; se poi favellate da senno, allora,
figliuolo mio, vi ammonisco a non lasciarvi andare alle tentazioni del
demonio, il quale, come padre di menzogna, conturba le menti con
immagini false....
--Conte, lasciamo il diavolo a casa sua. Io posso mostrarvi qui le
prove manifeste, ed obbrobriose pur troppo.
--Vediamo.
--Udite. Essa mi abbandona, per così dire, annegato nella miseria,
mentre con l'entrate di casa tira su fanti e staffieri, e uno stormo
dei loro figliuoli, che si sono annidati nel palazzo peggio che
rondini;--me dal suo cospetto bandisce;--di me non vuol sentire
favellare;--di me, Conte, intendete, di me che non mi sarei dato un
pensiero al mondo dei fatti suoi, se si fosse comportata come madre
benemerita verso figlio benemerente. E, per palesarvi ogni cosa di un
tratto, ieri sera giunse a cacciarmi via di casa--dal mio
palazzo--dalla magione dei miei illustri antenati.
--Avanti, ecci egli altro?
--E parvi poco?
--Mi pare anche troppo: e veramente, a confessarvelo _in secretis_,
corre buon tempo che io mi sono accorto come la Principessa Costanza
nutra per voi, Dio la perdoni, naturale avversione. Adesso fanno
appunto otto giorni ch'ella mi tenne lungo proposito di voi....
--Sì?--E che cosa mai vi disse cotesta sciagurata di me?
--Metter legna sul fuoco non è da cristiano; però taccio.
--A quest'ora, Conte, lo incendio acceso dalle vostre parole è tanto,
che poco più vi potete aggiungere;--e questo comprenderete di leggieri
coll'ottimo vostro giudizio.
--Pur troppo! E poi il silenzio mi grava, imperciocchè le mie parole
vi serviranno di governo, e v'impediranno di farvi capitare male. La
signora Costanza dichiarò espressamente, alla presenza di parecchi
insigni prelati e baroni romani, che voi sareste il vituperio della
famiglia; voi ladro,--voi omicida--voi, soprattutto, bugiardo....
--Ella disse?--E al Santa Croce, diventato per rabbia come tizzo
acceso, tremava la voce.
--E disse ancora, voi scialacquatore sciaguratissimo di ogni vostra
sostanza; voi aver tolto a usura danari dai giudei sodandoli sul
palazzo dei vostri illustri antenati, per cui ella ha dovuto
riscattarlo del suo per fuggire la vergogna di andare ad albergare
altrove;--disse avervi pagato più volte debiti, e voi commetterne
quotidianamente dei nuovi, e più grossi, e più brutti che mai: voi
giuocatore disperato; non darsi laidezza nella quale non vi siate
ingolfato fino alla gola; di Dio spregiatore, e di ogni umano
rispetto... Per ultimo, onde mettere il colmo alla brutalità vostra,
aver preso a imbestialirvi col vino e con acqua arzente per modo, che
spesse volte vi riportarono su di una scala malconcio della persona.
--Disse?...
--E a tanto essere arrivata la inverecondia della vostra vita, da non
trattenervi la reverenza materna o il rispetto del luogo, di condurre
nel palazzo dei vostri illustri antenati femmine di partito; con altre
più infamie, che a rammentarle soltanto mi sento salire il rossore
sopra la fronte....
--Mia madre?...
--Ed aggiunse ancora, reputarvi di ogni correzione incapace; e, per
quanto al suo materno cuore riuscisse dolorosissimo, essere ormai
decisa di ricorrere a Sua Santità perchè vi chiudesse in castello... a
far visita allo Imperatore Adriano. In fè di gentiluomo cotesto si
chiama starsi in prigione con ottima compagnia...
--Così ella disse?... Proseguiva a interrogare il Principe con suono
strozzato, mentre il Conte rispondeva con la medesima voce acre ed
irritante:
--O a Civita Castellana... a perpetuità.
--A perpetuità!--Propriamente ella disse a perpetuità?
--E presto;--e ciò dovere alla memoria onorata dell'inclito consorte,
alla reputazione della prosapia clarissima, ai nobili parenti, alla
sua coscienza, a Dio...
--Egregia madre! Non ho una buona madre io? esclamava il Principe con
voce, che tentava rendere beffarda, quantunque male potesse celare lo
insolito terrore.--E i prelati che cosa rispondevano eglino?
--Eh! voi sapete il precetto dello Evangelo? L'albero che non fa buon
frutto va reciso... ed essi lo ripetono con tale una voce amorosa, che
pare proprio v'invitino a bere la cioccolata.
--Or dunque, il tempo stringe più che io non credeva. Conte,
suggeritemi voi qualche consiglio... io mi sento povero di partiti....
sono disperato....
Il Conte, crollando il capo, con voce grave rispose:
--Qui, dove scorre la fontana di tutte grazie, voi potrete attingerne
a secchi pieni. Ricorrete a monsignor Taverna governatore di Roma, od
anche, se avete danari molti e senno poco, al clarissimo avvocato
signor Prospero Farinaccio, che farebbe a mangiar con l'interesse.
--Ahimè! non ho danari....
--Veramente senza danari vi potreste volgere ai colossi di Monte
Cavallo con maggior profitto....
--E poi la faccenda riuscirebbe contenziosa, ed io ho bisogno di
rimedii che non muovano rumore.... e soprattutto spediti....
--E allora umiliatevi ai piedi beatissimi:--perchè avvertite bene, che
nel corpo del Santo Padre ogni membro è beatissimo, e però anche i
piedi _et reliqua_ del Pontefice: lo predicano _insignis pietatis
vir_, come Virgilio canta di Enea.
--Domine fallo tristo! Papa Aldobrandino nacque a un parto con la lupa
dell'Alighieri, _che dopo il pasto ha più fame di pria_. Vecchio,
spigolistro, e testardo peggio di un mulo delle Marche; cupido di far
roba per arricchire i suoi consorti, da provarsi a scorticare il
Colosseo. Anzichè ricorrere a costui mi getterei nel Tevere a
capofitto.
--Sì, cessato il tenue sorriso ironico, riprese a dire turbato il
Conte; sì, ora che penso, voi gettereste il tempo e i passi. Dopo il
solenne fallo di aver dato favore alla mia ribelle figliuola contro
me, sarà diventato più difficile ad ascoltare i lamenti dei figli
contro i genitori. Chiunque voglia custodire illesa l'autorità, o
spirituale o regia, bisogna che studiosamente conservi la patria
potestà: tutte le autorità derivano da principio comune, nè puoi
offendere l'una, senza che se ne risenta anche l'altra. Il padre e il
re non hanno mai torto; i figli e i sudditi mai ragione. Donde viene
in essi il diritto di lagnarsi, donde l'audacia di sollevare la
fronte? Vivono perchè il padre li generò, vivono perchè il re gli
lascia vivere. Guardate Ifigenia e Isacco; cotesti sono esempii della
vera subiezione dei figli, come Agamennone, Abramo, Jefet della
purezza della patria potestà. Roma si mantenne gagliarda finchè il
padre ebbe diritto di vita e di morte sopra la sua famiglia. Quelle
leggi delle dodici Tavole furono pure il benedetto trovato! Per esse,
che cosa mai rappresentava la famiglia? La comunanza della moglie, dei
figli e degli schiavi sottoposta al dominio assoluto del padre. Secoli
di oro, e mi smentisca chi può, volsero per Roma quando poterono
vendersi i figli sanguinolenti.
--Dunque?.. domandò il Santa Croce, sbalordito da cotesto impensato
rabbuffo, lasciandosi cadere come disperato le braccia.
Il Conte Cènci, pentito per non aver potuto reprimere quello sfogo
impetuoso dell'animo suo, si affrettò a rispondere:
--Oh! ma per voi è diversa la cosa.
Il Santa Croce, confortato da quelle parole, e più dallo sguardo
paterno che gli volse il Conte, accosta la sedia; e, sporgendo in
avanti la testa, gli sussurra dentro le orecchia:
--Aveva sentito dire... e si trattenne; ma il Conte, con maniera
beffarda imitando i modi dei confessori, lo animava:
--Via, figliuolo, dite su!
--Mi avevano supposto che voi, Conte, come uomo discreto e prudente
molto, eravate riuscito sempre... quando taluno v'infastidiva, torvi
cotesto pruno dagli occhi con garbo maraviglioso. Versato nelle
scienze naturali, voi non dovete ignorare la virtù di certe erbe, le
quali mandano al paese dei morti senza mutare cavalli; e, quello che
importa massimamente, senza lasciar vestigio di carreggiata sopra la
strada maestra.
--Certamente è mirifica la virtù dell'erbe; ma come vi possano giovare
io non comprendo davvero.
--In quanto a questo giova che voi sappiate, come la clarissima
Principessa Costanza costumi prendere seralmente certo lattovaro per
conciliarsi il sonno...
--Bene...
--Voi potete comprendere che tutta la quistione sta in un sonno breve,
o in un sonno lungo;--un dattilo, o uno spondeo; una cosa da nulla, in
verità--semplice prosodìa:--e lo scellerato si sforzava di ridere.
--_Misericordia Domini super nos_! Un parricidio, così per cominciare.
Elle sarebbono buone mosse per dio! Sciagurato uomo! e lo pensate voi?
_Honora patrem tuum et matrem tuam_. E qui non vi ha cavillo, che
valga, imperciocchè abbia detto così chi lo poteva dire lassù sul
Sinai.
Il principe, ostentando fermezza, riprese:
--In quanto a pensarvi andate franco, chè io vi ho pensato delle volte
più di mille: rispetto poi alle prime mosse, io vo' che sappiate non
essere mica questo il primo palio che corro.
--Lo credo senza giuramento: e allora fatevi qua, e ragioniamo di
proposito. L'arte di manipolare i veleni non si trova più in fiore
come una volta: della più parte dei tossici stupendi, noti ai nostri
virtuosissimi padri, noi abbiamo perduto la scienza. I principi Medici
di Firenze si sono molto lodevolmente affaticati intorno a questo ramo
importantissimo dello scibile umano; ma, se consideriamo la spesa, con
poco buon frutto. Qui, come altrove, corre lo invitatorio del Diavolo:
_de malo in peius venite adoremus_. Ecci l'acqua _tofana_; buona a
nulla per un lavoro a garbo: cadono i capelli, si staccano le unghie,
i denti si cariano, la pelle vien via a stracci, e tutta la persona si
empie di luride ulcere--sicchè, come voi vedete, ella lascia dietro a
se tracce troppo manifeste e diuturne. L'adoperò sovente la buona
memoria di Alessandro VI; ma a lui poco importava si lasciasse dietro
le tracce. Per me faccio di berretta ad Alessandro Magno; col ferro si
taglia netto ogni nodo gordiano, e ad un tratto...
--Ohimè, il ferro! O che non lascia dietro a se traccia il ferro?
--Una volta ci era un re, e si chiamava Eduardo II, il quale avendo di
se, o di altri un figliuolo, amoroso a un dipresso come voi, ebbe le
viscere forate ed arse per suo comandamento, senza che ne rimanesse
vestigio. Curioso trovato in fè di Dio![1] Ma chi vi consiglia di
tenere nascosta la morte di donna Costanza? Anzi la dovete palesare, e
voi dirvene apertamente autore.
--Conte, voi burlate....
--Non burlo io; anzi parlo del miglior senno che io mi abbia. Non
avete voi mai letto le storie, almeno le romane?--Sì, le avete lette.
Or bene; e a che pro leggete libri, se non ne fate vostro vantaggio
per ben condurvi nel mondo? Rammentatevi la minaccia di Tarquinio a
Lucrezia: egli, dove non gli assentisse la moglie di Collatino, le
dichiarò l'avrebbe uccisa, e poi messo al fianco uno schiavo
trucidato, pubblicando averla sorpresa nel turpe adulterio, e morta
per giusto dolore della offesa fatta al parente, per vendetta della
sacra maestà delle leggi; con altre più parole assai, che si costumano
dagli uomini sinceri. Così voi, nè più nè meno, vi avete a ingegnare
di cogliere in fallo la Principessa con qualche suo drudo, e
ammazzateli entrambi. La gravità della ingiuria scusa la strage: nel
Codice (non mi rammento la pagina, ma cercate e troverete) hanno ad
essere leggi, che scolpano in questo caso il misfatto...
--Ma io, rispose il Principe visibilmente imbarazzato, non so bene
s'ella si rechi in camera i suoi drudi.
--O dove volete, ch'ella li conduca?
--E poi, coglierli per l'appunto su l'atto reputo
impossibile.
--O come mai! Le volpi si prendono sempre alla tagliola.
--No... a cotesto rischio di far le cose alla scoperta non voglio,
anche potendo, avventurarmi io...
--Dite piuttosto, interruppe il Conte con maligno sorriso, dite
piuttosto che i drudi di femmina sessagenaria voi gli avete nella
immaginativa vostra pescati pel bisogno di trovare in altri le colpe,
che scusino le vostre; dite, che la cagione che vi muove sta nel
desiderio, che l'usufrutto di vostra madre cessi; nè in questo so
darvi torto, imperciocchè conosca come i padri eterni facciano i figli
crocifissi se non co' chiodi, almeno coi debiti;--il torto, che io vi
do, è aver voluto prendervi beffe di un povero vecchio--e giucare meco
dello astuto...
--Signor Conte, in verità io vi giuro...
--Silenzio co' giuramenti; io credo, o non credo; e i giuramenti mi
danno aria di puntelli alle fabbriche, segno certo che le minacciano
rovina: però a voi senza giuramenti non credo, e co' giuramenti anche
meno.
--Deh! via non mi abbandonate.--E questo disse costui tanto avvilito,
che parendo al Cènci avere ormai scosso a sazietà cotesto sacco di
farina ria, e volendo dar fine al conversare, irridendo rispose:
_O dignitosa coscïenza e netta,
Come ti è picciol fallo amaro morso!_
Andiamo, riprendete animo: _Minor vergogna, maggior colpa lava_. Però,
a confessarvi il vero, non posso darvi consiglio che valga.--Ricordo
aver letto come in altri tempi, in certo caso affatto simile al
vostro, fosse veduto adoperare con ottimo successo questo argomento.
Notte tempo appoggiarono al muro del palazzo una scala, che arrivava
per l'appunto alle finestre della camera da letto della persona, o
delle persone che si volevano ammazzare: s'involarono poi e si
distrussero diligentemente alcuni arnesi di oro, e di argento, o altre
masserizie minute per colorire la cosa, e dare ad intendere, che
l'omicidio fosse commesso in grazia del furto: finalmente si lasciò la
finestra aperta fingendo, che quinci i ladri avessero preso la fuga.
In tal guisa si allontanarono i sospetti dalla persona a cui cotesta
morte tornò utile; e lo erede ebbe fama di pio, ordinando funerali
magnifici e copia di messe. Tuttavolta egli non si rimase qui, e volle
acquistarsi eziandio nome di rigido vendicatore del suo sangue: e
allora assediò la giustizia onde si facessero ricerche sottilissime;
non rifinì mai di lagnarsi della oscitanza della Corte, e giunse
perfino a promettere una taglia di ventimila ducati al denunziatore
secreto, o palese del colpevole.--Così i nostri virtuosi padri ebbero
in sorte di godersi in tempo utile il bene dei morti in santissima
pace.
--Ah!, dandosi del palmo della mano su la fronte, esclamò il Santa
Croce, voi siete pure il degno valentuomo, signor Conte! Io mi vi
professo schiavo a catena. Questo appunto è il partito che mi sta
proprio a taglio. Ma qui non è tutto; voi porreste il colmo alla
beneficenza vostra e all'obbligo mio, se vi degnaste chiamare da Rocca
Petrella qualcheduna di quelle brave persone, che incaricate di simili
lavori...
--Di che lavori,--di che persone andate farneticando voi? La matassa è
vostra; a voi sta trovare il bandolo per dipanarla; badate che il filo
non vi tagli le dita. Noi non ci siamo visti, e non ci dobbiamo più
rivedere. Da qui innanzi io me ne lavo le mani come Pilato. Addio, don
Paolo. Quello che posso fare per voi, e farò, sarà pregare il cielo
nelle mie orazioni ond'egli vi assista.
Il Conte si alzò per accomiatare il Principe; e mentre con modi
cortesi lo accompagnava alla porta, andava ruminando fra se questi
pensieri:--e poi vi ha taluno che sostiene, che io non avvantaggio il
prossimo! Calunniatori! Maldicenti! Più di quello che mi faccia io è
impossibile. Contiamo un po' quanti stanno adesso per guadagnare in
grazia mia. Il becchino _in primis_; poi vengono i sacerdoti, che sono
il mio amore; succedono i poeti per la elegia, e i predicatori per
l'orazione funebre; seguita mastro Alessandro il giustiziere, e
finalmente il diavolo, se diavolo vi ha.--Frattanto arrivati alla
porta il Conte aperse l'uscio, e, licenziando il Principe col solito
garbo pieno di urbanità, aggiunse con voce paterna.
--Andate, don Paolo, e Dio vi tenga nella sua santissima guardia.
Il Curato, udendo coteste parole, mormorò sommesso:
--Che degno gentiluomo! Si vede proprio che gli partono dal cuore.

NOTA
[1] Eduardo III, dopo aver preso la corona, fece trasportare suo
padre Eduardo II al castello di Corff, e quinci a Bristol; ma i
cittadini avendo fatto vista di volerlo liberare, Maltraverse e
Gournay segretamente, nella notte, lo traslocarono al castello di
Berkley. Considerando che le asprezze di ogni maniera non
bastavano al vecchio Re, il Vescovo di Hereford, d'accordo con la
Regina, mandò ai custodi un ordine sibillino, da interpretarsi in
due maniere. Ecco l'ordine: _Edwardum occidere nolite timere bonum
est_; il quale, giusta la diversa ortografia, poteva dire: Non
temete uccidere Eduardo, ch'è buon partito;--ovvero: Non vogliate
uccidere Eduardo, che la è cosa da temersi.--I custodi, secondo
che naturale talento e diuturna pratica di ogni maniera di
bassezza e d'infamia sogliono mai sempre in siffatti casi
persuadere, intesero il peggio punto; quindi sorpreso il vecchio
Re giacente nel letto, gli forarono gl'intestini con un ferro
rovente passato traverso un corno bugio introdotto nell'ano. Il
Vescovo e la Regina s'infiammarono in grandissima ira pel piacere
di essere stati intesi per filo e per segno: i sicarii fuggirono.
Uno di loro, il men destro, arrestato subito a Marsiglia, per non
parere, ebbe ad essere impiccato: l'altro poi, più svelto, si
ridusse in Germania, donde in capo a qualche tempo potè ottenere
di ridursi incolume a casa sua.
_Chroniques_ di Froissart. L. I. c. 23.


CAPITOLO III
Il Ratto
Ma tutto è indarno: chè fermata e certa
Piuttosto era a morir, ch'a satisfarli.
Poichè ogni priego, ogni lusinga esperta
Ebbe e minacce, e non potean giovarli,
Si ridusse alla forza a faccia aperta.
ARIOSTO, _Orlando Furioso_.

Il Conte, dato uno sguardo nell'anticamera, accennando all'altro
gentiluomo favellò:
--Signor Duca, favorite...
Il giovane dal pallido sembiante entrò nella stanza a guisa di
smemorato: alla cortese proposta di sedersi o non intese, o non volle
tenere lo invito. Solo, come se lo avesse colto la vertigine, con una
mano si appoggiò al banco, e dalla parte più lontana del petto
disciolse un sospiro lunghissimo.
--Che sospiri, quali affanni sono eglino questi? domandò il Conte con
voce lusinghiera.--O come mai, alla età vostra, può avanzarvi tempo
per farvi infelice?
E il Duca, con un suono che parve lene sussurre di acque, rispose:
--Io amo.
E il Conte, per dargli spirito, giocondamente soggiunse:
--È la vostra stagione, figliuolo mio; e fate ottimamente ad amare con
tutta l'anima, ed anche con tutto il corpo: e se non amate voi,
giovane e bello, o chi dovrebbe amare? Forse io? Vedete, gli anni mi
piovono neve sopra i capelli, e mi stringono il cuore di ghiaccio. A
voi parlano di amore e cielo e terra; a voi da tutta la Natura sorge
una voce, che vi consiglia ad amare:
_Le acque parlan d'amore, e l'ôra, e i rami,
E gli augelletti, e i pesci, e i fiori, e l'erba
Tutti insieme pregando ch'io sempre ami;_
cantava quel dolcissimo labbro di messer Francesco Petrarca. Su, via,
giovanetto, ella è cosa da vergognarsi questa? Predicatela dai
pulpiti, banditela di sopra i tetti; chè buona novella è amore. Non si
vergognava già confessare il Petrarca, che pure fu uomo grave e
canonico, come amore lo avesse tenuto anni ventuno ardendo per madonna
Laura mentre era in vita, e più dieci dopo che la si volava al
cielo[1]. Misericordia! Amori erano quelli da disgradarne le querce.
Nè per avere insegnato l'amore suo in mille rime si chiamava sazio,
chè sul declinare degli anni desiderò averle fatte dal sospirar suo
prima:
_In numero più spesse, in stil più rare_[2].
A santa Teresa, vedete, fu perdonato molto perchè aveva molto amato; e
vi ha chi dice anche troppo. La stessa santa chiamava infelicissimo il
diavolo; e sapete perchè? perchè non poteva amare. Amate dunque _totis
viribus_; chè altramente operando offendereste la Natura, la quale è,
come sapete, figliuola primogenita di Dio.
Il giovanetto, turandosi il volto con ambe le mani, e tratto un altro
lungo sospiro, esclamò:
--Ah! disperato è l'amor mio...
--Non dite questo, che senza speranza non sono neppure le porte dello
inferno. Ragioniamo. Vi sareste per avventura invaghito della donna
altrui? Avvertite, che allora incontreremmo uno inciampo; anzi due; il
marito prima, e poi il Decalogo. E' pare che quando Dio promulgò la
sua legge sul Sinai, si sentisse forte corrucciato contro la sua
figliuola Natura; però che, a dirla fra noi, nè più nè peggio potevano
contrariarsi gli appetiti di lei. Non pertanto confortatevi di questo:
che quanto il Decalogo proibisce il cuore permette.
--Oh! no, signor Conte, il mio è diritto amore.
--E allora sposatela in _facie Ecclesiæ_, per filo e per segno,
secondo il _sacrosanctum Concilium Tridentinum_, e non mi venite...
--Dio sa se io lo farei; ma, ahimè! un tanto bene mi è tolto.
--E allora non la sposate.
--La donna, che amo, trasse troppo più che io non vorrei umilissimi i
natali; ma se si consideri il portento delle forme leggiadre, o
piuttosto l'altezza dell'animo, ella è in tutto meritevole d'impero...
--_Alma real degnissima d'impero_, lo ha detto anche messer Francesco
Petrarca; e se così è, e voi sposatela.
--Freddo cenere ed ombra, durerà in me questo amore eternamente.
--Di quanto tempo comporrete voi questa eternità? Nelle donne, secondo
i computi più accurati, la eternità di amore dura una settimana
intera: in alcune, ma rare, si prolunga anche un poco al secondo
lunedì, e basta.
Il giovane, tanto era sprofondato in cotesto suo amore, che
accorgendosi allora del modo beffardo col quale gli favellava don
Francesco, diventato in volto vermiglio per vergogna e per dispetto,
rispose:
--Signore, voi mi fate torto; sperava trovar consiglio;--mi sono
ingannato--scusate;--e fece atto di andarsene. Ma il Conte
ritenendolo, dolcemente favellò:
--Piacciavi rimanere, Duca; io vi ho parlato così per provarvi: ora
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