Arrigo il savio - 03

Total number of words is 4533
Total number of unique words is 1734
36.9 of words are in the 2000 most common words
53.8 of words are in the 5000 most common words
61.6 of words are in the 8000 most common words
Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
gli pareva di metterle la mano nei capegli. Cesare Gonzaga era in fondo
un po' triste, perchè aveva trovato il suo nipote troppo savio, troppo
calcolatore, forse per eredità di esempi paterni; ma infine, ci aveva
trovato anche qualche sentimento gentile, soave eredità di sua madre,
che gli affari di banca e le vanità sociali non avevano intieramente
soffocato. Del resto, egli era venuto, e con la sua autorità di zio
sperava di richiamarlo sul retto sentiero. Arrigo, a buon conto, era
ancor giovane, e amava la figliuola di Andrea Manfredi, del suo amico,
del suo compagno di studi, del suo fratello d'armi, del suo....
Ma un'altra scampanellata all'uscio di casa interruppe la conversazione
dei due personaggi, ed è giusto che interrompa anche il periodo al
narratore.
Ritornava il signor Orazio Ceprani, uomo di borsa, e di cappa e di
spada, cavaliere compitissimo e disgraziato per giunta. In un'ora aveva
dato sesto alle cose sue, e giungeva trafelato, quantunque fosse andato
e tornato in carrozza.
— Sono allegri! — diss'egli, entrando nello studio e trovando zio e
nipote ancora in atto di ridere.
— Ma sì; — rispose Arrigo. — E tu, Orazio, hai una cera da funerale. —
Orazio Ceprani tentennò malinconicamente la testa.
— Eh, credi, caro mio, — rispose egli, — che ottantamila lire non sono
come un mucchio di soldi nella scodella di un cieco. Che liquidazione si
prepara! Anche tu, scusami, non hai mica da stare allegro!
— Perchè? — chiese Arrigo, chiudendo gli occhi a mezzo e allungando le
labbra, con quell'aria di cortese ironia che abbiamo già veduto, al suo
primo apparire nello studio.
— Perchè il Verni è fuggito, a quanto dicono, e credo ti levi di tasca
un ventimila lire.
— Una bella somma! — notò Cesare Gonzaga. — Una povera famiglia ci
camperebbe dieci anni.
— Pazienza! — rispose Arrigo, sorridendo ancora, sorridendo sempre. — Il
Verni, per tua norma, io lo avevo già calcolato tra i dubbi. Caro mio,
non ci ha da esser niente di impreveduto nella vita di un uomo. Si
studiano dapprima tutte le probabilità, favorevoli e contrarie, e poi si
giuoca la posta. Così, vedi, Orazio, questa perdita io l'avevo
preveduta. Ho venduto a lui, sapendo in anticipazione di perdere, per
non aver l'aria di un taccagno. Il Verni frequentava la migliore
società. Ora, ecco un uomo in mare. Me ne duole per lui; quanto alla
perdita.... —
In quel momento Happy era comparso sull'uscio per dire:
— Il signor cavaliere è servito.
— Sta bene, — ripigliò Arrigo Valenti. — Quanto alla perdita, essa non
c'impedirà di fare una buona colazione, se il cuoco non è fuggito, o non
ha perduta la testa. Zio, per farti strada! —
E passò avanti, il felice Arrigo, e gli altri due lo seguirono nella
sala da pranzo.


IV.

La contessa Giovanna Morati di Castelbianco, presso la quale andremo ad
aspettare i nostri personaggi, con la certezza di conoscerne altri
parecchi, fior di cavalieri e di dame, la contessa Giovanna, dico, era
una bella donna sui trentadue. È una brutta cosa, lo so, contar gli anni
alle donne; ma i narratori hanno dall'ufficio loro il triste obbligo di
essere più noiosi dei presidenti di tribunale; i quali, almeno,
procedendo all'interrogatorio di una bella testimone, possono
incominciare, quando sono galanti, press'a poco così:
— Signora, quanti anni ha? Ventidue, non è vero? —
Dunque, la contessa Giovanna ne aveva già trentadue; età, dopo tutto, in
cui la bellezza è giunta al suo pieno rigoglio, e può ancora aspettare
una lieta maturità. Una bell'alba, sicuramente, ha i suoi pregi, e
piacerebbe anche al re Saulle, che fu, come sapete, l'uomo più scontroso
e bisbetico della storia. Ma un sole al meriggio, Dei immortali! Un sole
al meriggio scotta. E la bellezza della contessa Giovanna era proprio
così, per testimonianza di molti, che s'erano argomentati di godere
accanto a lei d'un calor temperato; scottava senz'altro. Molto grave,
tuttavia, sotto le mostre di una conversazione arguta e di una
affabilità costante; più grave allora, quasi melanconica, e in certi
momenti anche triste. Pareva che la sorte, concedendole la ricchezza e
lo sfarzo di una condizione invidiata, le fosse stata avara di ciò
ch'ella avrebbe desiderato assai più, come a dire una felicità più
modesta e più ignota. E taceva, nondimeno, il suo intimo tormento; e si
padroneggiava, obbligata com'era a ricevere, a sorridere, a dir parole
garbate; ma in quell'ufficio di cortesia si indovinava lo sforzo, e
quella sera più che mai.
Povera donna, mal maritata! Sentite i discorsi che le faceva, dopo
tavola, il suo signore e padrone. Avevano pranzato un poco prima del
solito, perchè ella avesse tempo a disporre ogni cosa per il suo tè. Era
un tè semplice e semplicemente annunziato; ma diventava sempre, aiutando
il numero dei convitati e le voglie della gioventù, un tè danzante. Si
dice danzante, o danzato? Nè l'uno, nè l'altro, probabilmente; era
invece un tè, che quando c'eravate tutti voi, insieme con tutti noi e
con tutti loro, si tirava discretamente nell'ombra, e lasciava che da
una parte si ballasse, dall'altra si giuocasse, e più in là si trovasse
anche una succulenta imbandigione, la quale non so perchè non si
chiamasse cena a dirittura. I tè, chiamati anche _martedì_, della
contessa Giovanna, duravano dai primi di gennaio fino agli ultimi di
febbraio, e godevano di una riputazione straordinaria; ma non ci si era
ammessi molto facilmente, e il numero dei cavalieri non oltrepassava
d'ordinario i cinquanta, tra vecchi amici di casa ed altri, che, avendo
conosciuto i Castelbianco in qualche società e portato al palazzo della
contessa due biglietti di visita, erano stati ricambiati da un biglietto
di visita del conte. Le amiche e nemiche intime di Giovanna, quasi
sarebbe inutile il dirlo, accorrevano tutte, e, sebbene non ci fosse la
pretesa di un ballo, ci andavano in _grand décolleté_. Dico la cosa in
francese, perchè non c'è in italiano, e se c'è, non mi piace trovarla.
I Castelbianco si erano alzati da tavola, e la contessa si muoveva per
andare nelle sue camere ad abbigliarsi, mentre il conte aveva accennato
all'idea di dare una corsa fuori di casa.
— È sperabile, — notò la signora, — che non farete stasera come l'altro
martedì, e non andrete al vostro eterno circolo.
— Non andrò; — disse il conte, sospirando.
— Capisco, per voi è un sacrifizio rinunziarci; — replicò la signora.
— Che dite, mia dolce amica? Mi ci diverto, in casa, mi ci diverto un
mondo. Ma quando mi ci sarò ben divertito, — continuò il conte, mutando
il sospiro in un mezzo sbadiglio, — non saprò più che fare, nella mia
beatitudine. Ah, Giovanna, perchè non siete voi... la moglie di un
altro? Vi farei una corte spietata, e non senza qualche speranza.
— Vi ringrazio del buon concetto che avete di me.
— Si scherza. Ma, dopo tutto, essendo io l'aspirante.... Vedete che il
rischio non è tale da spaventarmi. Siete bella, Giovanna, avete una
testa da imperatrice, e, per andare fino in fondo, il primo piedino
dell'universo. Ma non siete più sola, badate!
— Che cos'è quest'altra stravaganza? — domandò la contessa, seccata da
quei discorsi sciocchi, ma non potendo tuttavia trattenersi dal ridere.
— Eh, vorrei che lo aveste veduto, come l'ho veduto io questa mattina,
in via Sallustiana. Un piedino, che pareva il vostro! Non andate in
collera, mia dolce amica. Ammirandolo come ho fatto, non son venuto meno
a nessuno dei miei doveri. Mi pareva tanto la stessa cosa, che a tutta
prima ho pensato a voi, e mi son chiesto quale delle vostre amiche
abitasse lassù.
— Bella! — esclamò la contessa. — Son forse andata a far visite?
— Capisco, ma che volete? Lì per lì, mi era parso che poteste esser voi.
Per fortuna, se non ho veduto il viso, ho veduto una veste color
marrone; e voi il marrone lo odiate.
— Esagerazione! Non mi piace tanto, ecco tutto; — rispose la contessa,
scuotendo la sua bella testa da imperatrice. — E che cosa andavate voi a
fare lassù?
— Volete saperlo? Andavo a trovare il mio amico Valenti; quel poveraccio
che voi non potete soffrire.
— Altra esagerazione! — ribattè la signora. — Mi è indifferente, e voi,
a furia di dire queste cose, finirete col fargli credere che qui si
parla molto di lui.
— Giustissima, l'osservazione! — disse il conte. — A proposito, stasera
vi presento suo zio, tornato dall'India, il signor Cesare Gonzaga, un
bell'uomo, ancor giovane, coi suoi capegli grigi, che ha la debolezza di
non voler essere chiamato marchese, essendolo: come un altro, non
essendolo, avrebbe quella di farsi dare quel titolo. È un carissimo
uomo, del resto, e metterà un po' di brio in questi vostri ricevimenti,
che mi paiono, scusate, un tantino monotoni.
— Ci vengono tutti i vostri amici, e le mie amiche migliori; — osservò
la contessa.
— Ah, sì, parliamone, delle vostre migliori amiche. La Savelli, che non
è male, ma sta dura, intirizzita, come un idolo indiano. La Carini, che
è carina, ma non ha preferenze che per i capegli bianchi; che posa! La
Robusti, che non ha spalle, e vuol farlo sapere. La Gleisenthal, che è
stravecchia e oramai dovrebbe smettere.
— Smetter che? Di venire a vedere un'amica? — ripigliò la contessa. —
Del resto, le volete giovani e belle? C'è la Manfredi.
— Sicuro, una fanciulla. Ma che strana tenerezza vi ha presa, che volete
dappertutto quel fiorellino appena sbocciato? A teatro con voi; in
carrozza con voi; a casa, non se ne parla neanche. E al solito capiterà
per la prima. Badate, Giovanna; una marchesa che amai, quando ero
giovane, cioè, quando ero più giovane, mi diceva....
— Qualche storiaccia delle solite!
— Bene, vi farò grazia della storia, vi riferirò soltanto la morale:
“Noi donne abbiamo il torto di non esser gelose delle ragazze; e queste,
frattanto, si prendono la nostra bellezza, si vestono della nostra
grazia, e ci rubano il posto.„
— A me, — disse Giovanna, — non ha da rubar nulla.
— E non parlo per voi, moralizzo in genere; — rispose il conte. — Ma io,
ora, vi faccio perdere un tempo prezioso, e dimentico di avere anch'io
qualche cosa da fare. A rivederci tra un'ora, mia dolce amica, e non vi
adirate con la mia esperienza. Quando saremo vecchi, ci servirà. —
Vispo come un ramarro, saltellante come una cutrettola, il ritinto
Alcibiade se ne andò a prendere una boccata d'aria, non senza
l'intenzione di dare una scorsa al suo circolo. La contessa si ritirò
nelle sue camere per abbigliarsi. Mai, come quella sera, Giovanna di
Castelbianco aveva avuto così poca voglia di mettersi in abito di
ricevimento. Piuttosto, ne aveva molta di piangere; e non poteva, pur
troppo, perchè la cameriera doveva venire a vestirla, e una padrona di
casa, giovane e bella, non ha da farsi vedere mai con gli occhi rossi
dalla sua gente di servizio.
La contessa Giovanna era pur da compiangere. I suoi ricevimenti, le sue
feste, l'avevano gradevolmente occupata da principio, mettendo un po'
d'allegrezza nei primi anni di un matrimonio malaugurato. La donna è
così lieta di brillare, che per un tratto dimentica perfino di non esser
felice. Ma l'uso, ahimè, toglie il pregio alle cose; si acquista l'abito
della società, e i balli e i lieti ritrovi non hanno più
quell'attrattiva che li faceva tanto desiderare dapprima. Sebbene,
diciamolo, in quella scuola ristretta e geniale del mondo, quanto meno
si gode lo spettacolo superficiale, tanto più s'incomincia ad osservare
molte cose non vedute, o troppo leggermente, in principio, e si
paragona, e si giudica, non sempre a proprio vantaggio, in mezzo a tanti
esempi di colpe fortunate, di gioie effimere, ma non meno gradite, e di
ebbrezze profonde. Crediamo così volentieri alla felicità degli altri,
quando non ce n'è ombra per noi! Allora una povera donna, piena di
sentimento e turbata da vaghe sollecitudini che nessun rimorso è ancora
venuto a condannare, incomincia, senza volerlo, a cercare per sè. La
cosa non è neanche difficile, poichè è lei la cercata, è lei la
desiderata, e le tentazioni, sotto la veste dell'ammirazione,
dell'omaggio, della preghiera, volano a lei come uno sciame d'amorini.
Fra i molti che la circondano e le dicono tante cose, anche quando non
dicono nulla, c'è il prode capitano, che ha deposte le armi, terror dei
nemici, per segnare il suo nome nel taccuino dalla guardia di
madreperla; c'è il brillante gentiluomo, che alterna maravigliosamente i
trionfi di salotto coi _meets_, il _turf_ e lo _sport_; c'è l'uomo
illustre ed ammirato, che sa interrompere una pagina destinata ai
posteri, per iscrivere un madrigale sull'angolo d'un ventaglio; c'è il
cavaliere pensoso, e sopra tutti pericoloso, che, mostrando di non saper
nulla di nulla, accenna di esser disposto a commettere ogni pazzia; c'è,
infine, il buono e compiacente giovanotto, che ambisce gli uffici del
servitore, non aspettando altra ricompensa che il titolo d'amico, e
lascia intorno a sè un profumo di modestia, che può farlo ricercare, in
un momento di poetica tenerezza, come si ricerca all'odore la violetta
de' campi. E che gioia, quando si crede di aver trovato! Che turbamento
ai primi incontri, che battiti di cuore, che angosce, che contrasti
dolorosi e cari! Ma la passione prorompe; non si resiste alla piena, e
giova dar colpa di ogni cosa al destino; poi, quando si è travolti,
avviene come in fondo a certe cascate della favola, che sotto allo
scroscio vorticoso delle acque irrompenti nascondono un laghetto
tranquillo, angolo riposto e felice, illuminato di miti trasparenze, non
offeso dai raggi del sole, in cui si dimentica volentieri e si confida
di essere dimenticati dal mondo. Vita, son queste le tue oasi
verdeggianti. Ognuno reca ai primi incontri le sue doti migliori, la
bontà serena, la grazia ingenua, la delicatezza squisita, la generosità
commovente, infine, che vi dirò? l'anima vestita a festa. Ma non è festa
ogni giorno: e giungono pur troppo, seguaci non prevedute ma certe, le
ore della stanchezza, in cui la finzione si tradisce e l'inganno si
scopre. Maschere geniali, addio; la commedia è finita. E v'hanno cuori
che non si spezzano, alla triste scoperta, che non disperano, che
cercano ancora, errando di delusione in delusione; tanta è la sete del
vero! Ma, allora miei poveri cuori! A correrne parecchie, di queste
prove dolorose, come giungerete laceri, irriconoscibili, o miei poveri
cuori, alla meta!
Il cuore di Giovanna, non pervertito, nè sciocco, rifuggiva da queste
ricerche. La povera donna aveva creduto ed errato; non voleva
ricominciare. In verità, era così misero l'uomo, e così brutto il
pericolo! Turbata da vaghe paure, agitata dai rimorsi, voleva finirla, e
in un impeto di sincerità dolorosa lo aveva già detto a quell'uomo. A
lui toccava, a lui, di ribellarsi a quella sentenza in nome dell'amore,
onnipossente quando è vero. Ma poteva Arrigo Valenti far ciò? Aveva egli
trovata una di quelle frasi che escono dal profondo del cuore, e
possono, se non mutar nome alla colpa, nobilitarla almeno e renderla
cara come una eccelsa sventura? No, non l'aveva trovata: aveva detto:
intendo, sì, avete ragione, fummo pazzi. E non una lagrima, il vile, non
una lagrima, che temperasse quelle acerbe parole! Ah, povera donna! Un
giorno, forse, a quell'angoscia sarebbe sottentrata la calma, e con la
calma il pensiero di una vita nuova. Quante belle cose, nel mondo, senza
le febbri della passione per l'essere immeritevole! L'arte, per esempio,
a lei così cara! Infine, per qualche alta cagione passiamo noi
pellegrini su questa terra, che la medesima povertà delle nostre
cognizioni davanti all'infinito visibile ci ammonisce non esser altro
che una via. E perchè, intanto, sacrificare ad una fermata, ad un
errore, ad un rimorso, tutte le sublimi curiosità del viaggio? Quanta
gente non vive, e felice, senza le febbri maledette? Passare nella
gioventù belle e superbe, col cuore aperto a tutte le nobili commozioni,
a tutti i confessabili amori, guardando con serena alterezza dintorno a
sè, non costrette a temere lo sguardo indiscreto, ad arrossire davanti a
un testimone volgare; accostarsi alla vecchiezza, onorate e gloriose,
orgoglio ed esempio ai figliuoli, grato ricordo ai gentili compagni di
vita, condanna vivente ai rotti costumi del tempo; spegnersi benedette e
sacre, potendo dire con l'ultimo soffio di vita: “non vedrò là severo il
volto di mia madre;„ orbene, ecco la gran meta, l'ideale, il sogno
divino. La virtù, che è bella nel suo immacolato candore, il pentimento
che raggia a lei con intelletto d'amore, ecco i conforti, le gioie, il
viatico dell'esistenza; il resto è nulla.
Ottime ragioni, o lettori. Speriamo che la contessa Giovanna le trovi
più tardi da sè. Per oggi ella è triste, ferita nel suo amor proprio,
punita nella sua vergogna. Ha dovuto tremare; ha dovuto mentire; e per
chi? La bella dama è vestita di tutto punto, per recitare la sua parte.
È l'ora di metter la maschera, ed ella con uno sforzo supremo ci riesce.
È lo sforzo della necessità. Intanto, nelle sale di ricevimento si è
lavorato alacremente; i candelabri, i doppieri, i lampadarii si
accendono, e per lunga fila d'immagini si ripetono fiammelle, canestri
di fiori, e quadri e bronzi dorati, su tutte le vaste specchiere. Ogni
cosa è all'ordine, e il maggiordomo ne ha recato l'annunzio alla padrona
di casa. Ora non mancano che i convitati, ed è naturale che manchino,
poichè non sono ancora le nove. Ma ecco qualcheduno in anticamera. È
troppo presto, per la folla; non può esser che lei, la giovane amica, il
fiore appena sbocciato, Gabriella Manfredi.


V.

Snella di forme ed aggraziata nella sua giusta statura, bianca di neve
la carnagione, il viso aperto, risolutamente modellato, ma di contorni
finamente accarezzati, Gabriella Manfredi prometteva a diciott'anni una
rigogliosa maturità di bellezza, ed era già, fin d'allora, un miracolo
di leggiadria, di freschezza giovanile. La fronte, nitida e breve, era
nascosta a mezzo da due ciocche increspate dei suoi capegli neri, che,
raccogliendosi dietro agli orecchi piccini, scendevano in abbondante
cascata di riccioli lungo il collo giunonio. Gli occhi grandi, profondi,
color di zaffiro cupo, splendevano di luccicori cristallini di sotto
agli archi prominenti delle sopracciglia nerissime. Ampia era la guancia
e piena; il naso diritto, sporgente alla radice, risentito nel classico
disegno delle nari; le labbra belle e carnose; il superiore alquanto più
tumido, che, rialzandosi col sorriso, rosseggiava vivace sulla
bianchezza luminosa dei denti; il mento, ovale e rilevato, completava
degnamente quel tipo maraviglioso di bellezza greca, con tocchi più
vigorosi di sentimento romano. Non fiori tra i capegli, o nel timido
scollo del seno: era lei, lo sapete, il fiore appena sbocciato. Vestita
di bianco e di nero, quasi per naturale richiamo alle due note
caratteristiche di colore della sua bellissima figura, portava al collo,
per unico ornamento, un sottil vezzo di perle. A vederla, quando volgeva
da un lato la magnifica testa, nobilmente rilevata in arco al sommo
della cervice, ricordava l'atteggiamento statuario di Diana, che par
muovere il capo ai rumori della selva, mentre leva la mano all'omero,
dove stanno raccolte le frecce infallibili. E forse accresceva
l'illusione quel suo aspetto sereno, ma non senza indizi di osservazione
precoce, di testolina forte, come sono generalmente le ragazze rimaste
per tempo senza madre e costrette a studiar molto da sè, timide ancora
nel soave candore della beata adolescenza, ma già salde di tempera ed
agguerrite oltre l'età.
Tale era, nello splendore dei suoi diciott'anni, Gabriella Manfredi.
L'accompagnava il senatore suo padre, e veniva con essi il conte di
Castelbianco, ritornato allora, e miracolosamente a tempo da quel suo
“eterno circolo.„
Giovanna accolse la fanciulla tra le sue braccia, e la baciò sulla
fronte. Quel bacio all'innocenza la rianimò; le parve per un istante di
non aver più nulla, e le fiorì sulle labbra il più lieto sorriso; poi
stese la mano al senatore, in atto di saluto e di ringraziamento ad un
tempo.
— Contessa, si arriva primi, secondo l'uso; — disse Andrea Manfredi,
ridendo. — Ma voi lo volete, Gabriella lo vuole, ed io, non avendo da
volere, obbedisco.
— Grazie, senatore. L'amo tanto, il vostro angelo! — rispose la
contessa. — Come sei carina! sembri una bella ninfa antica! — proseguì,
rivolgendosi alla fanciulla.
— E tu? — disse Gabriella. — Non c'è che l'antico paragone, per te. Sei
sempre bella come un sole.
— Al tramonto, bambina! Pochi anni di più, e potrei essere tua madre.
— Se Pompeo lo permette, contessa, — entrò a dire il Manfredi, — vi
costituisco tale, senz'altro, e corro via.
— Ve ne andate?
— Per una mezz'ora; il tempo di giungere all'Albergo di Roma, per
stringer la mano, o lasciare un biglietto di visita, ad un amico mio di
giovinezza, che oggi è stato da me e non mi ha trovato in casa.
— So chi è; — disse il conte. — Cesare Gonzaga.
— Per l'appunto. E chi t'ha fatto indovino a quel modo?
— Non c'è niente di maraviglioso. Per intanto puoi rimanere, perchè a
momenti egli sarà qui. Ci siamo conosciuti stamane. Che simpatico uomo!
È lo zio del Valenti.
— Del Valenti? — esclamò Andrea Manfredi. — Del giovane sodo?
— Sì, proprio lui: non lo sapevi?
— No, davvero. Cesare Gonzaga ha lasciato l'Italia trentatrè anni fa, e
col Valenti, sai, ci vediamo poco.
— Sei come mia moglie, tu! — osservò il Castelbianco, dando una
sbirciata alla contessa, che stava fortunatamente ragionando in disparte
con Gabriella. — Quel Valenti le è uggioso, direi quasi antipatico. Ma
perchè, dico io, perchè? Non è forse un savio ragazzo?
— Troppo savio; — rispose Andrea, — e la contessa, che ha rettitudine di
giudizio, lo avrà subito indovinato, come l'ho indovinato io. Quelli lì,
mio caro Pompeo, non sono giovani, e tu spendi male con essi il tuo bel
titolo di ragazzo. Hanno l'anima vuota di nobili idee, il cuore
risecchito: chiamali banchi ambulanti, orologi a pendolo, incapaci di un
errore, ma anche di un largo concepimento e di uno scatto generoso.
— Sì, hai ragione; — disse il conte. — Ma noi, con le nostre follìe, col
nostro cuore esaltato e con le nostre mani bucate, che guadagni abbiam
fatti? Parlo per me, si capisce. —
Andrea Manfredi sorrise, e, ficcando il suo braccio sotto quello del
conte Pompeo, soggiunse arguto:
— Tu, con tua buona pace, sei un vecchio impenitente.
— Vecchio? Oh, questa poi!... — rispose il conte. — È la prima volta che
me lo dicono; e per fortuna non è un giudizio di donne.
— Matto!... — replicò il Manfredi. — Sai che ho sessantacinque anni, io?
E che ai nostri tempi eravamo quasi coetanei?
— Quasi? — borbottò il conte. — Mettici quindici anni almeno, nel tuo
quasi.
— Via, contentati di cinque, e diciamo sessanta.
— T'inganni, oh t'inganni! — rispose il conte Pompeo, che non voleva
adattarcisi... — Vedi, Andrea; la mattina, quando non è ancora venuto il
parrucchiere, ho cinquant'anni: dopo che è venuto, ne ho quaranta: sul
Corso, a Villa Borghese e prima del pranzo, ne ho trenta....
— Ed ora ne hai venti, — conchiuse il senatore. — Se la va di questo
passo, mi diventi bambino tra le braccia, e dovrò portarti io a dormire,
in mancanza di balia. —
Mentre i due vecchi ridevano, avviandosi verso il salotto attiguo, le
due donne chiacchieravano sedute sopra un divano.
— Che vuol dir ciò, che ti amo tanto, Giovanna? — diceva la fanciulla. —
Vorrei star sempre con te. Sai che è una cosa triste, essere senza
madre? Anche tu, da qualche tempo sei triste. Oh, non lo negare, non sei
più quella di prima. C'è un dispiacere di mezzo. Vuoi confidarmelo?
— No, non ho nulla; — rispose Giovanna. — Contrarietà, forse, piccoli
malumori in famiglia, ed anche passeggeri; non mette conto parlarne.
Ragioniamo invece di te, mia bella fanciulla. Come va il cuore? Chi ami?
— Nessuno.
— Nessuno, è troppo poco. Neanche un principio? Tra tanti giovani che
vedi....
— Ah, troppi ne vedo, — interruppe Gabriella, — e tutti si
rassomigliano. Gravi, impettiti, inamidati, prepotenti, vengono in
società per dettar sentenze, come altrettanti consiglieri di Cassazione.
Sorridono di compassione ad ogni discorso un po' caldo, e sembrano
accusarti di vanità, di leggerezza, di poesia, tutti sinonimi, per loro!
Già, essi non parlano che di cavalli, come se fossero nati e allevati in
scuderia, o di affari bancarii, o di politica. La politica non mi
dispiace; anche il babbo ne parla, qualche volta, ma per paragonare i
bei tempi, i tempi dell'apostolato, della pugna, del sacrifizio, insomma
i tempi eroici... con questi! Essi ne parlano per fare i loro calcoli
sulla stabilità o sulla caduta del Ministero, senza badare se questo si
regge senza gloria, o cade con dignità. Non vedono che il fatto, essi,
non ragionano che sulle conseguenze bancarie di quello, e sulle
oscillazioni che potrà cagionare alla Borsa. Capisco che hanno da
guadagnare e da perdere. Anche il babbo è banchiere; ma, tranne un'ora,
ed anche meno, di conferenza col suo segretario, non c'è caso che tu lo
senta ragionare di queste miserie. Come è giovane, mio padre! E loro,
invece, è una pietà doverli sentire. Se ti parlano di musica, lo
ricordi? non fanno che sentenziare brevemente, asciuttamente, tra la
tedesca e l'italiana, come se ci fossero due musiche, separate e
distinte fin dalla nascita. Se ti parlano di letteratura, non li senti
far altro che condannare ogni idealità, bollandola con una parola di
disprezzo: retorica! Un nobile entusiasmo non è, infatti, che retorica;
un impeto di passione è falsità, poesia introdotta a forza nel
linguaggio comune, offesa alla serenità di quella lastra fotografica che
è l'arte. E se tu ardisci fare una piccola osservazione, ti lasciano
dire, perchè sei donna, ma ti guardano in viso con aria gentilmente
canzonatoria, come se fossi incapace d'intenderle, quelle nuove ragioni
dell'arte. E fumano, poi, come vulcani, e mangiano molto e ballano poco.
A teatro, i famosi giudici delle due scuole musicali, quando c'è
l'opera, sonnecchiano nelle loro poltrone, o vanno a chiacchierare nei
corridoi, fino all'ora del ballo, quando si tratta di ammirare le
capriole. Questo è l'unico momento di gioventù e d'entusiasmo per essi.
Infine, Giovanna mia, sono molto serii, e sotto quella vernice di
serietà s'indovina il materialismo. Mi fermo, per non entrare in
filosofia; ti dirò solo, per conchiudere, che appena uscita dal
conservatorio, con tante idee per la testa, li credevo migliori. Non
saranno cattivi a dirittura, gran che! Sono mediocri, e mi basta.
— Il ritratto non è abbellito, davvero; — osservò la contessa,
sorridendo, — ma nel complesso è abbastanza rassomigliante. Il conte
Guidi, per altro, non è così.
— Eh, non saprei; — disse Gabriella. — Lo studio.
— Tu, bambina?
— Io, sì; ti pare orgogliosa, la risposta? ma che cosa possiamo far noi,
obbligate a parlar poco e ad ascoltar molto, se non studiare un pochino
chi ci parla? Il conte Guidi mi pare uno dei migliori, qualche volta, e
qualche altra non me lo pare. Che ne so io? È un cavaliere tenebroso.
— Ti amerà, forse, e non ardirà parlare troppo chiaramente. Sai che non
è ricco?
— Oh, questo vorrebbe dir poco; non amo i ricchi.
— Perchè lo sei tu, birichina?
— No, sai, non ci penso neanche; e se ci penso... Vedi, Giovanna, — e
così dicendo la fanciulla si strinse al fianco della contessa, come per
parlarle all'orecchio, — ci sono dei momenti che, se non fosse per il
babbo, vorrei essere... la mia cameriera. Lei almeno è felice; ama tanto
sua madre, l'aiuta, e non ha altri pensieri. Se un uomo le dirà di
volerle bene, non glielo dirà mica per la sua dote. La poverina non ha
che la sua bellezza e il suo buon cuore; ma ci avrà la consolazione di
non essere amata per altro.
— Cara! — esclamò la contessa, baciando sui capegli la sua giovane
amica. — Ti passeranno, queste idee bizzarre, ti passeranno! Poichè tu
studi la vita, la vedrai tutta meno bella, e ti piacerà di essere nata
You have read 1 text from Italian literature.
Next - Arrigo il savio - 04
  • Parts
  • Arrigo il savio - 01
    Total number of words is 4359
    Total number of unique words is 1597
    42.3 of words are in the 2000 most common words
    58.8 of words are in the 5000 most common words
    66.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Arrigo il savio - 02
    Total number of words is 4530
    Total number of unique words is 1514
    40.4 of words are in the 2000 most common words
    57.2 of words are in the 5000 most common words
    64.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Arrigo il savio - 03
    Total number of words is 4533
    Total number of unique words is 1734
    36.9 of words are in the 2000 most common words
    53.8 of words are in the 5000 most common words
    61.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Arrigo il savio - 04
    Total number of words is 4472
    Total number of unique words is 1612
    41.0 of words are in the 2000 most common words
    58.3 of words are in the 5000 most common words
    65.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Arrigo il savio - 05
    Total number of words is 4538
    Total number of unique words is 1643
    38.2 of words are in the 2000 most common words
    55.2 of words are in the 5000 most common words
    63.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Arrigo il savio - 06
    Total number of words is 4457
    Total number of unique words is 1558
    42.2 of words are in the 2000 most common words
    58.4 of words are in the 5000 most common words
    65.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Arrigo il savio - 07
    Total number of words is 4431
    Total number of unique words is 1450
    42.5 of words are in the 2000 most common words
    59.5 of words are in the 5000 most common words
    66.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Arrigo il savio - 08
    Total number of words is 4504
    Total number of unique words is 1436
    41.4 of words are in the 2000 most common words
    57.6 of words are in the 5000 most common words
    65.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Arrigo il savio - 09
    Total number of words is 4467
    Total number of unique words is 1498
    42.5 of words are in the 2000 most common words
    59.5 of words are in the 5000 most common words
    68.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Arrigo il savio - 10
    Total number of words is 4510
    Total number of unique words is 1569
    41.4 of words are in the 2000 most common words
    57.8 of words are in the 5000 most common words
    65.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Arrigo il savio - 11
    Total number of words is 3310
    Total number of unique words is 1429
    36.2 of words are in the 2000 most common words
    50.6 of words are in the 5000 most common words
    57.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.