Annali d'Italia, vol. 8 - 85

nè mai cambiamento alcuno nella forma del reggimento. Nel dì 14 fu
promulgato l'atto, e la formula del principe reggente relativa a tale
promulgazione terminava con le parole: _Giuro altresì di esser fedele
al re Carlo Felice_.
A Genova intanto l'ordine pubblico non era stato alterato; ma il dì 21
di marzo, avendo quel governatore pubblicato la dichiarazione del nuovo
re Carlo Felice, la popolazione, siccome quella che portava opinione
doversi anche in Genova promulgare la costituzione, cominciò a dubitare
della veracità del documento, e ad avere per equivoche le espressioni
del governatore relative al principe, che suonavano di questo tenore:
«S. A. S. il principe di Carignano mi ha fatto conoscere che, mosso
dai sentimenti di onore e fedeltà che lo distinguono, si è pienamente
confermato a quanto nella prelodata dichiarazione viene ingiunto.»
Formaronsi pertanto degli attruppamenti che si diressero al palazzo
del governatore. Accolse egli alcuni dei capi, cercò calmarli, ma non
rimasero paghi. Verso sera crebbe il tumulto, e disarmati alcuni corpi
di guardia, con quelle armi la folla s'avviò a Banchi. Intanto i posti
principali erano stati occupati dai soldati, e collocati sulle mura
due cannoni, a dominio di tutta la strada verso Banchi, ove sorgeva
appunto il palazzo del governatore. L'attitudine delle truppe e due
sole cannonate a polvere poterono disperdere gli ammutinati, e la notte
passò tranquilla. Ma la mattina appresso due colpi a scaglia tirati,
non si sa come nè perchè, dal medesimo posto militare, ferirono due
soldati sotto la loggia e due altri individui; del che esacerbaronsi
molto gli animi, e fin dall'alba del dì 23 udivansi dappertutto alti
gridori, accresciuti dalla sparsa voce che il governatore se ne fosse
la notte fuggito, il che non era. Le cose correvano a questo modo
quando le nuove di Torino mutarono la scena. Sorse una confusione
orribile. Fu creduto che l'editto del governatore non fosse leale; i
nemici di lui avvaloravano il sospetto; molti del popolo si unirono
agli stanziali che aveano abbandonato i posti e le caserme: la
moltitudine entrò nel palazzo, e impadronitasi del governatore, avrebbe
su d'esso sfogato l'odio antico se il generale d'Ison e alcuni altri,
accorrendo in suo aiuto, non l'avessero di colà sottratto per condurlo
in sicuro nel palazzo ducale. Se non che per istrada si svenne, ed
allora trasportato in casa Sciaccaluga in Campetto, emanò poco stante
un decreto col quale eleggeva una commissione di governo conferendole
irrevocabilmente tutti quei poteri che erano in lui, e così rimase
alquanto calmata la città.
Continuavano i rumori insurrezionali in Torino. A Novara, Voghera,
Vercelli ed Alessandria, le truppe discordi erano sempre in procinto di
venire tra loro alle mani. La discordia si propagava tra i liberali;
e molti affezionati alla causa regia, abbandonavano il Piemonte. Ma
l'esito delle cose di Napoli disanimò i capi del partito, i quali
da altro canto vedevansi vicini ad essere attaccati dai Tedeschi
comandati dal generale Bubna, che s'era fatto precedere da una grida
onde i liberali si erano vieppiù costernati. Raffreddossi l'ardore che
aveva il primo moto inspirato nel petto degli amatori della novità,
e il seducente e lusinghiero manifesto del conte di Santa Rosa valse
a mantenere il coraggio in chi già si consideravo esposto a tutte le
forze austriache, stante la sommissione totale del regno di Napoli.
Infatti, il conte di Bubna, informato che gl'insorti soldati piemontesi
movevansi verso Novara contro quelli che, rimasti fedeli al re,
militavano sotto il generale La Torre, si deliberò a prestare a
questo capitano il suo aiuto. Laonde, varcato, la notte del 7 all'8
di aprile, il Ticino, e fatta promulgare la grida che dicemmo, il dì
8 la vanguardia tedesca già era dinanzi a Novara. Nel mezzo tempo,
vedendo il principe Carlo Alberto le proteste del duca del Genovese e
la parte attiva che in quelle faccende prendeva il gabinetto austriaco,
notificò in uno suo editto che rinunziava alla reggenza, e abbandonando
l'esercito si ritirò in Toscana, ove poco stante si riparò anche la
sua consorte, figlia di quel granduca. Allora l'esercito si elesse a
capo il marchese di Caraglio, e senza lasciarsi abbattere, si dispose
a resistere agl'imperiali. Ostinato fu il combattimento dato dentro la
stessa Novara; ma i rivoltosi furono costretti a cedere, inseguiti sino
a Vercelli. Questo esercito, che ne' giorni antecedenti ogni ora più
ingrossava, ed era venuto da Torino per indurre i dissenzienti a fare
con esso causa comune, da che si sentì privo di valido appoggio, andò
del continuo scemando, sì che si ridusse al breve numero di cinque mila
soldati. Si mosse il generale Ansaldi, che comandava in Alessandria,
con parte dei suoi in soccorso di Novara; ma fu costretto a rimanersi,
perchè minacciato da una forte colonna austriaca, e che da Piacenza
marciava a Voghera e Tortona; e quindi udita la perdita dei compagni
a Novara, e considerando che quantunque la piazza d'Alessandria ben
provveduta fosse di ogni sorta di munizioni e capace di resistere a
lungo assedio, pure poteva alla fine priva di soccorsi trovarsi al
caso di rimaner vittima con tutti i suoi seguaci, senza utile del suo
partito che sino da quel momento potea dirsi annichilato; con trecento
studenti, alquanti soldati e dragoni, il conte di San Marzan, il conte
Santa Rosa, e molti uffiziali, si diresse verso Genova, dov'ebbe coi
suoi seguaci tutto lo agio d'imbarcarsi per le coste di Spagna, stante
la premura del colonnello Rapello della guardia nazionale genovese,
cui erano stati perciò dati ordini segreti. Con tale evasione, il dì 11
aprile, fu restituita la tranquillità a quelle contrade ancora.
Calmate le cose, il duca del Genovese Carlo Felice, previa rinunzia
del suo regio fratello, assunse il titolo di re e lo esercizio della
potestà suprema. Nel dì 4 di giugno andò ad abboccarsi in Lucca con
esso suo fratello Vittorio, ivi pur ricevendo le chiavi della città
di Alessandria cadute in potere delle armi austriache, e per ordine
dell'imperadore Francesco consegnategli dal generale conte di Bubna.
È noto che il già re Vittorio Emmanuele pregò il suo successore a non
usar il rigore contro i complici della rivolta, volendo considerare
cotale sommossa più come un resultato delle idee del giorno che di
mal animo verso il legittimo sovrano. Pochi adunque furono quelli che
soggiacquero alla morte.
Terminarono finalmente tutte cotali vicissitudini del regno di
Sardegna con una convenzione sottoscritta in Novara il 24 luglio
dai plenipotenziarii piemontesi ed austriaci e con la quale venne
in sostanza fermato: che un corpo austriaco di dodici mila uomini, e
sotto la guarentigia delle alte potenze, rimarrebbe a disposizione di
sua maestà sarda per mantenere, di concerto con le proprie truppe, la
tranquillità interna del regno; corpo da poter essere aumentato ad ogni
richiesta della sua maestà: occuperebbe esso corpo la linea militare di
Stradella, Voghera, Tortona, Alessandria, Valenza, Casale e Vercelli.
In Toscana seguivano, il dì 7 di aprile, gli sponsali tra il granduca
Ferdinando e la principessa Maria Ferdinanda di Sassonia, con giubilo
di quei popoli, i quali nel loro monarca ammiravano il padre e l'ottimo
principe, al loro unanime grido facendo eco i profughi napolitani,
romani e piemontesi, che sotto l'egida delle leggi di lui trovavano
asilo e protezione, essendo che negli Stati per lui governati ricoverò
di essi il massimo numero.
Il dì 5 maggio morì a Sant'Elena Napoleone Bonaparte.


Anno di CRISTO MDCCCXXII. Indizione X.
PIO VII papa 23.
FRANCESCO I imperad. d'Austria 17.

Gli Stati di Napoli di qua dal Faro, o fosse la presenza di numerosi
presidii tedeschi, o la vigilanza della polizia, che senza posa
preveniva tutte le combriccole che di soppiatto si tenevano, godevano
d'una quiete da molto tempo insolita. I masnadieri e gli assassini del
continuo perseguitati e senza remissione puniti. Ma così non era in
Sicilia, ove le opinioni continuavano ad essere in guerra fra loro, e
le falangi alemanne potevano a stento reprimere nelle vicinanze delle
città popolose il brigantaggio. Frequenti erano gli assassinii e gli
omicidii: le carceri rigurgitavano di sospetti, di rei e di prevenuti.
Fecersi le vendette private quasi più che altrove sentire, e fu
d'uopo a' magistrati d'una fermezza particolare per giungere nel corso
dell'anno a rendere la pace alle famiglie, la quiete a' cittadini, la
sicurezza ai viandanti.
La condizione critica nella quale da molto tempo trovavasi la Spagna,
consigliò i monarchi ad unirsi in congresso a Verona, dove convennero
gl'imperatori d'Austria e di Russia, i re di Prussia e delle Due
Sicilie, il re e la regina di Sardegna, il granduca di Toscana con suo
figlio, la duchessa di Parma, il duca di Modena ed il principe reale
di Svezia, le altre potenze mandato avendo i loro plenipotenziarii.
Le risoluzioni di questo congresso non solamente furono notificate
all'Europa con una circolare dei monarchi alleati diretta a tutte le
loro rispettive legazioni e rese pubbliche, ma ben anche portate ad
esecuzione con la guerra nell'anno dopo fatta alla Spagna. Per quelle
conferenze maggiore concordia risultò tra le alte potenze unite nella
sacra alleanza, e tutte le loro misure furono più specialmente dirette
a sopire ogni germe di novità negli ordini di pubblico reggimento, e
viemmaggiormente solidare il principio della legittimità nei troni.
Il dì 13 ottobre morì a Venezia Antonio Canova.
E qui, alla morte di questo sommo ingegno, onor delle arti belle e del
suolo natio, qui in mezzo alla profonda pace e tranquillità dell'Italia
deponiamo la penna per non ripigliarla mai più in trattazioni
tanto superiori alle nostre forze, e nelle quali solo una eccessiva
condiscendenza ci ha impegnato.

FINE DEGLI ANNALI.