Annali d'Italia, vol. 8 - 77

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schierato sulle rive dell'Adige. I forti passi del Tirolo erano dati in
guardia all'arciduca Giovanni con una grossa schiera, congiungitrice
de' due eserciti germanico ed italico. Si era fatto disegno che a
queste forze si accostasse, sbarcando in qualche parte d'Italia, un
grosso aiuto di Russi e d'Inglesi, che allora erano raccolti nelle
isole di Corfù e di Malta. Ma Napoleone, contuttochè principal cura
avesse delle cose di Germania, non pretermise quelle d'Italia; e poichè
seppe che l'arciduca Carlo era stato posto al governo della guerra,
avendo più fede nella fortuna di Massena che in quella di Jourdan,
surrogava il capitano italico al capitano germanico. Mandava intanto
nuovi soldati, per modo che tra Franzesi ed Italiani Massena aveva
un esercito fiorito ed uguale pel numero all'alemanno, che sommava
circa ad ottanta mila soldati. Stavasi Massena alloggiato sulla destra
dell'Adige, pronto a tentare il passo, come prima fosse dato il segno
delle battaglie. L'imperadore di Francia, che in tutte le sue guerre,
poco curandosi delle estremità, ed amando le guerre grosse piuttosto
che le sparse, badava sempre al cuore, perchè sapeva che a chi n'andava
il cuore ne andavano anche le estremità, fece, disegno d'ingrossare
sull'Adige con mandarvi quella parte che sotto Gouvion di Saint-Cyr
alloggiava nel regno di Napoli. Il che, perchè con sicurtà potesse
eseguire, aveva con sue pratiche e per mezzo del marchese del Gallo,
ambasciatore del re a Parigi, indotto Ferdinando a sottoscrivere
un trattato di neutralità. S'obbligava per questo trattato il re
a starsene neutrale durante la presente guerra, a respingere colla
forza ogni tentativo fatto contro la sua neutralità, a non permettere
che alcuna truppa nemica sbarcasse, o ne' suoi regni entrasse, a non
ricettare ne' suoi porti alcuna nave nemica, a non commettere i suoi
soldati o le piazze ad alcun ufficiale o russo od austriaco o di altra
potenza nemica, ed in questo capitolo s'intendessero anche compresi i
fuorusciti franzesi: il che particolarmente accennava al conte Ruggiero
di Damas. Dalla parte sua Napoleone, fidandosi, come si spiegava,
nelle obbligazioni e promesse del re, consentiva a sgomberare il regno
dei suoi soldati, ed a consegnare i luoghi occupati agli ufficiali
napolitani. Si obbligava, oltre a ciò, e prometteva di conoscere ed
avere per neutrale nella guerra presente il regno delle Due Sicilie.
Saint-Cyr marciava verso l'Adige.
I discorsi, secondo il solito, procedevano le armi; moderati dal canto
dell'arciduca, più vivi da quello del capitano napoleonico. Quando poi
già le armi suonavano in Alemagna, e già la Baviera era invasa dagli
Austriaci, il principe Eugenio, vicerè d'Italia, pubblicava con parole
molto aspre contro l'Austria la guerra.
Già si combatteva aspramente in Germania, quando ancora si riposava
dalle armi in Italia, imperciocchè, a petizione dell'arciduca, che
desiderava, prima di combattere, sapere a qual via s'incamminassero
gli accidenti della guerra germanica, si era fatto tra lui e Massena
un accordo, perchè le offese non si potessero cominciare prima del 18
ottobre.
Ma già vincevano le napoleoniche stelle. L'imperatore dei Franzesi
arrivando in Alemagna innanzi che gli Austriaci avessero avuto tempo
di riuscir oltre i passi della Selva Nera e di fortificarli, ed innanzi
che i Russi giungessero in aiuto loro, si avventava, in ciò mostrando,
oltre la celerità, una grandezza di militari concetti straordinaria,
contro il nemico tante volte vinto. Trovossi Mack in pochi giorni cinto
da ogni parte, segregato da Vienna, ridotto dentro le mura di Ulma.
Aveva vinto Napoleone una prima battaglia a Vertinga, una seconda a
Gunsborgo. Per tal guisa non solamente furono serrati gli Austriaci, ma
fu ancora Mack separato dall'arciduca Giovanni.
Spuntava appena il giorno 18 ottobre, termine della tregua, che sapendo
già Massena essersi venuto alle mani in Germania con prospero successo
de' suoi compagni, si deliberava a cominciar la guerra. Alle quattro
della mattina, dando due assalti uno sotto l'altro sopra Verona, si
accingeva a sforzare sul mezzo il passo.
Imponeva a questo fine a Duhesme ed a Gardanne che assaltassero
il ponte: era murato e rotto; ma Lacombe Saint-Michel, generale
d'artiglieria, con un petardo, esponendosi a grave pericolo, perchè
i Tedeschi fulminavano dalla riva sinistra, rompeva il muro, ed il
generale Chasseloup con pari valore riattava il ponte. Passarono i
soldati annali alla leggiera; ma fortemente pressati dai Tedeschi,
correvano grandissimo pericolo. Non tardò Gardanne a venire in soccorso
loro col grosso delle sue compagnie, e rinfrescò la battaglia. Si
combattè con molto valore e con vario successo da ambe le parti.
L'arciduca, che aveva il suo campo a San Martino, mandò tostamente
nuovi soldati in soccorso de' suoi, donde nasceva un più vivo e più
generale combattere; Duhesme ancor egli era passato con tutta la
sua schiera. Per quel giorno non fu compiuta pei Franzesi, ancorchè
avessero il vantaggio, la vittoria, e fu loro forza tornarsene ad
alloggiare sulla destra del fiume, conservando però in poter loro la
signoria del ponte.
Massena, o che il ritenesse il forte sito dell'arciduca, o che volesse
aspettare che Saint-Cyr l'avesse raggiunto, o che desiderasse, prima
di cacciarsi avanti, udire i fatti ulteriori della Germania, se ne
stette più giorni senza fare alcun movimento d'importanza. In questo
gli sopraggiungono desideratissime novelle: avere tutto l'esercito di
Mack, salvo una piccola squadra fuggita sotto la condotta dell'arciduca
Ferdinando, deposto le armi, ed essersi dato, il dì 17 ottobre, vinto
e cattivo in mano di Napoleone: il che importava l'annichilazione
quasi intiera delle forze austriache in Alemagna. Cambiavansi le sorti
dell'italica guerra. Fu l'arciduca obbligato a debilitarsi con mandar
parte de' suoi in aiuto dell'imperio pericolante. Sgomentaronsene i
Tedeschi, presero animo i Franzesi. Massena, udito il maraviglioso
caso d'Ulma, si risolveva, senza frappor tempo in mezzo, ad assaltare
l'avversario nel suo forte alloggiamento di Caldiero. Il giorno 29
ordinava il passo del fiume. Duhesme e Gardanne, passato il ponte, si
erano allargati a destra; Seras, passato più sopra, seguitava ad altro
disegno le falde dei monti, ed occupando le alture di val Pontena,
che signoreggiavano il costello di San Felice, che con le artiglierie
aveva molto noiato i Franzesi al passo del ponte, aveva obbligato i
Tedeschi a sgombrare da Veronetta. Ciò diede abilità ad altre squadre
di passare, massimamente ai cavalli, per modo che gli Austriaci,
cacciati da tutti i siti, e perfino da San Michele, si ritirarono con
grave perdita, sempre però animosamente combattendo, oltre San Martino.
I Franzesi pernottarono in Vago. Si risolveva l'arciduca a far fronte
a Caldiero. Si ordinava la mattina del giorno 30 alla battaglia,
distendendosi in siti diligentemente fortificati, e tenendo in serbo
la cavalleria ed un grosso corpo di ventiquattro battaglioni di
granatieri.
Il generale di Francia aveva partito i suoi in tre schiere, con un
grosso ordinato alle riscosse, e che stava accampato in poca distanza
alle spalle. Massena, avendo inteso che le fazioni ordinate di Seras e
di Verdier avevano avuto il fine ch'egli si era proposto, si deliberava
ad attaccare la battaglia. Non immoreremo a descrivere questo fatto,
che fu egregiamente combattuto da ambe le parti, ma il fine fu che i
Tedeschi, lasciando la vittoria in potestà di chi poteva più di loro,
cedettero, del campo e si ritirarono alle batterie che l'arciduca aveva
piantato sopra le eminenze che torreggiano oltre Caldiero.
Mentre si combatteva a Caldiero, aveva l'arciduca mandato a sua destra
verso i monti una colonna di cinque mila soldati sotto la condotta
d'Hillinger col proposito di circuire e di combattere i Franzesi alle
spalle. Ne nacque un grave accidente a danno delle forze austriache,
poichè Seras, che assai forte marciava su quelle medesime terre, oltre
procedendo ed intromettendosi tra Hillinger e l'arciduca, tagliò fuori
la squadra segregata, e la ridusse alla necessità di arrendersi.
Il fatto di Caldiero, la calamità d'Hillinger, gli ordini
dell'imperatore suo fratello non lasciarono più luogo ad elezione
nell'arciduca. Per la qual cosa la notte del primo novembre principiò
a tirarsi indietro per la strada di Vicenza; poi, continuando con arte
a cedere del campo, conduceva le sue genti, più intere che le perdite
prime e la presta ritirata potessero permettere, sulle sponde della
Sava, ponendosi alle stanze di Lubiana. Il seguitarono velocemente i
Franzesi: raccolsero alcuni corpi, ma piccoli, di sbrancati e grossi
magazzini di viveri, principalmente in Udine e Palmanova. A questo modo
i fertili paesi della terra ferma veneta, conquistati di nuovo dalle
armi vincitrici di Napoleone, furono tolti all'Austria. Solo la città
di Venezia restava in poter dei Tedeschi.
Era in questo mezzo tempo arrivato da Napoli Saint-Cyr. Massena,
trovandosi in necessità di seguitare a seconda l'arciduca nelle
montagne della Carniola e della Carintia, non voleva, per timore di
qualche sbarco di Russi e d'Inglesi, lasciare senza difesa i lidi
veneziani. Ordinava pertanto a Saint-Cyr che si allargasse e custodisse
le spiaggie dalle bocche dell'Adige sino a Venezia. Questa provvidenza
ebbe felice successo, non contro i tentativi di mare, che nessuno
fu fatto, ma contro uno di terra. Occupato Ney il Tirolo tedesco, e
insignoritosi del Tirolo italiano; costretto Augereau il generale
Yellacich alla dedizione; un grosso di sette mila fanti e mille
cavalli, sotto la condotta del principe di Roano, forzato a calarsi
per le sponde della Brenta verso i piani bagnati da questo fiume,
incontratosi a Castelfranco con Saint-Cyr, dopo un furioso conflitto,
fu obbligato ad arrendersi. Dopo questo fatto Massena, sicuro alle
spalle, vieppiù inoltrava la sua fronte, e fermava gli alloggiamenti
in Lubiana, ritiratosene l'arciduca per internarsi nella Croazia, e di
là nel principato di Sirmio in Ischiavonia, tra la Drava e la Sava. I
soldati di Massena e di Ney si congiunsero a Villaco ed a Clagenfurt:
i due eserciti di Francia, germanico ed italico, si congregarono alle
future imprese sul Danubio.
Aveva Ferdinando di Napoli, siccome si è narrato, stipulato la
neutralità; ma quando appunto la guerra si definiva in favor di Francia
in Germania e nell'Italia superiore, essendo già corso oltre il suo
mezzo il mese di novembre, arrivavano nel golfo di Napoli due navi
inglesi con molte onerarie, sopra le quali erano quindici mila soldati,
dodici mila Russi venuti da Corfù, tre mila Inglesi venuti da Malta.
Sbarcarono soldati, armi e munizioni tra Napoli e Portici, annunziando,
venire non solo per proteggere il regno, ma ancora per correre verso
Italia superiore in aiuto degli Austriaci. Non fece il re, non bene
considerando quel che potesse portare seco il tempo futuro, alcuna
dimostrazione nè protesta per impedire lo sbarco di queste genti
nemiche a Francia. L'ambasciator di Napoleone, viste le insegne del
nemico, molto acerbamente si risentiva, e, calati gl'imperiali stemmi
dalla fronte del suo palazzo, richiedeva il re dei passaporti, e
l'infedele terra (come diceva) abbandonando, se ne partiva alla volta
di Roma. Per mitigarlo, mandava fuori il governo un editto, per cui
prometteva ai Franzesi, Italiani, Liguri e ad altre nazioni unite
all'impero franzese, che sarebbero le proprietà loro ed i traffici
sicuri e salvi. Fu la dimostrazione indarno, perchè non solo nissuna
protestazione conteneva contro il moto dei confederati, ma nemmeno
mostrava alcun dispiacere di quello che la Francia avea sentito sì
acremente. Gli effetti che ne seguitarono, e che per molti anni tolsero
al re la possessione del regno di qua dal Faro, saranno fra breve
raccontati.
Vinceva Napoleone nei campi d'Austerlitz una campale battaglia. Vinti
i Russi ausiliarii, fu l'Austria costretta a consentire ai patti.
Si fermarono a Presborgo in Ungheria il dì 26 dicembre. Consentiva
l'imperatore di Alemagna e d'Austria a tutte le unioni dei territorii
italiani; riconosceva le risoluzioni prese dall'imperator di Francia
rispetto a Lucca ed a Piombino; riconosceva l'imperator di Francia
come re d'Italia con ciò però che, seguita la pace generale, le due
corone, a seconda delle promesse fatte dall'imperator Napoleone,
l'una dall'altra fossero separate, nè mai in perpetuo potessero esser
riunite; dava in potestà dell'imperatore medesimo di Francia tutti
gli Stati dell'antica repubblica di Venezia a lui ceduti pel trattato
di Campo Formio, e consentiva che fossero uniti al regno d'Italia;
riconosceva ancora nei duchi di Vittemberga e di Baviera la qualità
ed il titolo di re; cedeva a quest'ultimo, oltre parecchi paesi, i
principati di Brissio e di Bolzano, le sette signorie di Voralberga e
parecchi altri paesi sulle rive del lago di Costanza; dal canto suo
l'imperator Napoleone guarentiva l'interezza dell'impero d'Austria,
consentiva che Salisborgo, già dato all'arciduca Ferdinando di Toscana,
al medesimo imperio si unisse, e si obbligava ad intromettersi appresso
al re di Baviera, perchè cedesse Visborgo all'arciduca in compenso di
Salisborgo.


Anno di CRISTO MDCCCVI. Indizione IX.
PIO VII papa 7.
FRANCESCO II imperadore 15.

Si mandava ad effetto il trattato del 26 dicembre. Venezia e gli
antichi suoi territorii, dopo otto anni di dominio austriaco, tornavano
sotto quello di Francia. Venne Law Lauriston a prenderne possesso da
parte del re d'Italia. Il dì 19 gennaio arrivarono in Venezia i soldati
di Napoleone; li comandava Miollis. Arrivava il dì 5 di febbraio in
Venezia Eugenio vicerè, testè sposato ad Amelia di Baviera. Fecersi i
soliti rallegramenti.
A questo tempo rinfrescavansi le napolitane ruine. Napoleone vittorioso
pensava a soddisfare all'ambizione ed alla vendetta. Già sull'uscire
del precedente anno aveva pubblicato, parlando a' suoi soldati, queste
parole:
«Da dieci anni io feci quanto per me si potè per salvare il re di
Napoli e da dieci anni ei fece quanto per lui si potè per perdersi.
Dopo le battaglie di Dego, di Mondovì e di Lodi, deboli forze gli
restavano per resistermi: fidaimi nelle sue parole, anteposi la
generosità alla forza. Risolvè poscia Marengo la seconda lega: aveva
il re, di tutti il primo, incominciato la guerra: da' suoi alleati
abbandonato a Luneville, solo e senza difesa rimase. Implorò perdono,
gliel concedei. Voi, a Napoli già vicini, avevate in poter vostro il
regno: i tradimenti io sospettava, le vendette poteva fare: novella
generosità amaimi; che sgombraste il regno, ordinarvi; la terza volta
restommi della salute sua la casa dei reali di Napoli obbligata.
Perdonerò io la quarta ad una corte senza fede, senza onore, senza
ragione? No; ceda dal regno la napolitana famiglia: non può ella
col riposo d'Europa, coll'onore della mia corona sussistervi. Ite,
marciate, precipitate nell'onde quei deboli battaglioni dei tiranni del
mare, seppure a loro basterà l'animo di aspettarvi; ite, e mostrate
al mondo come da noi si puniscano gli spergiuri; ite e fate ch'egli
presto s'accorga che nostra è l'Italia, che il più bel paese della
terra ha ormai gettato via dal collo il giogo d'uomini perfidissimi:
ite, e mostrate che è la santità dei trattati vendicata, che sono le
ombre de' miei soldati, sopravvissuti ai naufragii, ai deserti, a cento
battaglie ed alle uccisioni nei porti della Sicilia, mentre tornavano
dall'Egitto, placate e paghe. Guideravvi mio fratello; partecipe della
mia potenza, partecipe dei miei consigli, in lui fidatevi, come io in
lui mi fido.»
A queste aspre parole del terribile vincitore di Austerlitz tenevan
dietro consenzienti fatti. Giuseppe fratello con esercito poderoso
marciava contro il regno; gli aveva dato Napoleone, conoscendolo
irresoluto e solito a lasciarsi portare dalla volontà degli altri,
per compagno e sostenitore de' suoi consigli Massena. Pruovossi
Ferdinando di stornare la tempesta con mandar Ruffo cardinale appresso
allo sdegnato signore per iscusare il fatto dello sbarco. Mostrossi
Napoleone inesorabile; preparava reali seggi ai fratelli; voleva
formare in ogni luogo Stati dipendenti intieramente da lui.
Quando pervennero a Ferdinando le novelle della volontà di Napoleone,
si ristrinsero insieme i suoi consiglieri per deliberare su quanto
la necessità del caso richiedesse. Ma la partenza dei Russi per
Corfù, con corriero espresso comandata dall'imperatore Alessandro,
rendè necessaria anche quella degl'Inglesi, che passarono in Sicilia,
lasciato Ferdinando nell'ultima ruina.
Lasciava Ferdinando la real sede il dì 23 gennaio, in Sicilia
ritirandosi. Così finiva allora il suo regno.
Partito Ferdinando sul vascello reale l'Archimede, fu lasciata una
reggenza composta dal generale Naselli, dal principe di Canosa, da don
Michelagnolo Cianciulli e da don Domenico Sofia. Era la città paventosa
delle cose avvenire; si temeva del popolo, dei Franzesi, dei Calabresi.
Accrebbe il terrore un grave tentativo dei carcerati al serraglio, che,
se avesse avuto effetto, Napoli sarebbe andata a rovina. Marciavano
intanto i Franzesi alla conquista. Giuseppe, fulminato vendetta
contro la corte, e promesso dolcezza al popolo se si sottomettesse,
velocemente viaggiava contro la capitale. Correva a destra a riva il
mare Regnier, nessuno ostacolo in nessun luogo incontrando, salvo
in Gaeta, piazza forte di sito, e custodita dal principe di Assia,
capitano valoroso. Intimata la resa, rispose negando. Assaltarono i
Franzesi il bastione di Sant'Andrea, e se lo presero, non senza sangue.
L'altra parte si difendeva egregiamente; ma essendo i napoleoniani
grossi, lasciate genti all'oppugnazione, passarono. Massena a sinistra
senza impedimento alcuno camminando, poichè Capua già si era data,
arrivava al 14 di febbraio sotto le mura dell'appetita città. Si
arresero castel Nuovo, castel dell'Uovo, castel del Carmine e castel
Sant'Elmo. Entrava Duhesme il primo con una scelta fronte di soldati
leggieri sì fanti che cavalli.
Faceva il dì seguente il suo ingresso Giuseppe a cavallo con molto
seguito di generali e con tutte le ordinanze in bellissima mostra.
Smontò al palazzo reale; trovollo squallido, e spogliato dai fuggitivi.
Addì 16, visitava la chiesa di san Gennaro; udita la messa di Ruffo
cardinale, presentava il santo con doni, primizie del futuro regno.
Tornatosi nella regia sede, dava le udienze ai magistrati, vedeva con
viso benigno la reggenza di Naselli; ma tosto la cassava, per crearne
un'altra: fecene capo Saliceti. Per far denaro, si mantennero le tasse
vecchie, se ne imposero delle nuove; per far sicurezza, si tolsero le
armi ai cittadini, e si venne sul suono di far morire soldatescamente
chi le portasse.
Intanto le Calabrie non quietavano. Si era il duca di Calabria
accostato, con un corpo di soldati uscito con lui da Napoli, al conte
Ruggiero, che con una squadra riempiuta di soldati siciliani, tedeschi,
napolitani, e con qualche misto di raunaticci, parte buona, parte
pessima, aveva fatto un alloggiamento fortificato sulle rive del Silo
nel principato di Salerno. Arso il ponte, schierava i suoi sulla riva.
Parve il caso d'importanza; vi fu mandato Regnier. Andò il Franzese
all'assalto, mandò i Napolitani in rotta, perseguitò i vinti fino a
Lagonero. Rannodaronsi i regi a Campotenese; venne loro sopra Regnier,
il dì 9 marzo e con un forte assalto li risolvette facilmente in fuga.
A stento salvossi il conte con mille soldati tra fanti e cavalli. Il
Franzese vittorioso s'inoltrava nella Calabria Ulteriore: occupava
Reggio, muniva di presidio la fortezza di Scilla, posta alla punta
d'Italia, dove è più vicina alla Sicilia, il che dava freno e sospetto
agl'Inglesi che in Messina si erano raccolti a difesa dell'isola.
Da un'altra parte Duhesme, oltratosi nella Basilicata, cacciava i
nemici da Bernarda e da Torre, ed entrava in Taranto, città opportuna,
pel suo sito, ad accennare ugualmente a Corfù ed alla Sicilia. Alcuni
rimasugli dei vinti si erano rannodati a Castrovillari, ma, combattuti
da Regnier, furono dispersi.
Sbaragliati i regolari, sorgevano, parte per la mutazione del governo,
parte per gl'istigamenti di Sicilia, parte per amore della vendetta,
parte per cupidigia del sacco, in diverse parti della Calabria, bande
collettizie di soldati spicciolati e di uomini facinorosi che mettevano
la provincia a terrore, a ruba ed a sangue. In questi orribili
ravvolgimenti perdeva chi aveva, acquistava chi non aveva; i buoni
solamente perivano, gli scellerati trionfavano. La ferocia di uomini
quasi ancora selvaggi era stimolata da uomini feroci per consetuedini;
il male si appiccava e dominava in ogni parte. Spargevansi voci che
la regina fomentasse questi moti: i Franzesi ed i partigiani loro
accrescevano questi romori, e davano loro più credito collo intento di
seminare viemmaggiormente rancori ed odii contro quel governo che da
loro era stato cacciato. Da questi accidenti nasceva che non solamente
il desiderio di Ferdinando diminuisse continuamente nelle popolazioni
quiete e negli uomini facoltosi, ma ancora con minor avversione si
vedesse il dominio dei Franzesi.
Questi rumori non ignorava Napoleone. Però, giudicando che fosse
arrivato il momento propizio per mandar fuori quello che si aveva
giù da lungo tempo concetto, nominava Giuseppe re delle Due Sicilie.
Annestava la solita condizione, che le due corone di Francia e di
Napoli non potessero mai essere posate sul medesimo capo.
La creazione del re Giuseppe fu sentita con qualche allegrezza in
Napoli: furonvi luminarie, spari, feste, teatri, canzoni, sonetti, al
solito; e di questi sonetti chi ne aveva più fatto per Carolina, più
ne faceva per Giuseppe. Vi furono anche non insolite, ma indecenti
cose: rivoltamenti di animi. Ruffo cardinale esultando ricevè Giuseppe
sotto il baldachino; il marchese del Gallo, ambasciatore di Ferdinando
a Parigi, il divenne di Giuseppe, poi incontanente suo ministro degli
affari esteri; il duca di Santa Teodora, ambasciatore di Ferdinando
in Ispagna, accettò carica in corte di Giuseppe. La Turchia stessa,
cui Napoleone avea voluto torre quel granaio dell'Egitto, adulava: il
giorno dell'assunzione di Giuseppe, il suo inviato in Napoli cacciò
fuori sulla fronte del suo palazzo, in mezzo a certa lumineria, questo
motto in lingua turca e franzese: _L'Oriente riconosce l'eroe del
secolo._
Le vittorie e di Lagonero e di Campotenese, avendo rotto le forze regie
in Calabria, tutto il paese era venuto, salvo alcuni moti incomposti, a
divozione dei Franzesi. Solo Gaeta e Civitella di Tronto resistevano.
Poca speranza restava al re di far frutto, sebbene sapesse che non
mancavano mali semi contro il nuovo signore, se gl'Inglesi, sbarcando
sulle terre calabresi, non avessero somministrato qualche forte
soccorso di battaglioni ordinati. Ma grandemente ripugnava ad una
spedizione in terraferma Stuart, che, essendo succeduto a Craig nel
governo de' soldati britannici in Sicilia, continuava a starsene nelle
stanze di Messina. Gli pareva che il principal fine degl'Inglesi fosse
la conservazion della Sicilia. Ma era a questo tempo giunto in Sicilia
un uomo a cui piacevano le imprese avventurose; questi era Sidney
Smith, che, arrestata la fortuna prospera di Buonaparte in Oriente, si
era persuaso di poterla arrestare in Occidente. Stimolato dalla propria
natura, dalle preghiere di Ferdinando e dalle instigazioni della
regina, continuamente esortava Stuart alla fazione. Ma la prudenza
dell'uno superava l'audacia dell'altro, e niuna cosa si risolveva. Si
deliberava Sidney a fare qualche sforzo da sè colle forze marittime
per far vedere a Stuart che la materia era meglio disposta ch'ei non
credeva. Per la qual cosa partiva dalla Sicilia con qualche nave grossa
da guerra e molte annorarie, con intento d'andar a visitare le coste di
Napoli.
Vi scoperse inclinazioni favorevoli, ma non sufficienti, perchè
potessero fare da sè. Tornossene in Sicilia: con intente esortazioni
tanto fece, che il prudente Stuart si lasciò muovere a tentare qualche
fatto su quella tribulata e tumultuosa terra. Sbarcava sul principiar
di luglio con circa cinque mila soldati sulle coste del golfo di
Sant'Eufemia: chiamava, ma con poco frutto, le popolazioni a levarsi.
Stava sospeso, stante la freddezza dei popoli, se dovesse tornare
alle navi, o persistere sulla terraferma, quando gli pervennero le
novelle, che Regnier con un corpo di circa quattro mila soldati aveva
posto il campo a Maida, terra distante dieci miglia dal mare. Udì al
tempo stesso che una nuova schiera di tre mila soldati accorreva in
soccorso di Regnier, perciocchè la nuova della venuta degl'Inglesi già
si era sparsa nelle vicinanze. Si deliberava pertanto ad assaltare il
nemico innanzi che il soccorso si fosse congiunto con esso lui. Forte
e quasi inespugnabile era il sito di Regnier, e se si avesse aspettato
l'inimico, la sua vittoria sarebbe stata certa. Ma o nel proprio valore
troppo confidando, o di quello del nemico troppo debolmente giudicando,
consentì al commettere all'arbitrio della fortuna un'impresa certa,
e scese, varcato il fatale fiume Amato, che gli stava alla fronte,
nella pericolosa pianura. Arrivavano in questo mentre i tre mila; il
quale accidente accrebbe nei Franzesi l'opinione del vincere. Si fece
dalla sua parte avanti l'esercito d'Inghilterra: le due emole nazioni
venivano al cimento.
Incominciò la battaglia, correva il dì 6 luglio, dall'affronto
incomposto e sparso dei soldati armati alla leggiera; poi si venne
alla zuffa delle genti grosse. Trassero poche volte con gli archibusi:
mossi dall'emulazione, ed impazienti del combattere da lontano, si
avventarono colle baionette in canna gli uni contro gli altri. La
mischia era spaventosa; vivi erano i Franzesi, stabili gl'Inglesi.
Dopo varii accidenti, la battaglia si facea pericolosa per questi,
quando un nuovo reggimento partito da Messina, e testè sbarcato a
Santa Eufemia, arrivò sul campo, e posto dietro un po' di riparo che
il terreno offeriva, fece fronte ai cavalli franzesi che incalzavano, e
coi tiri spesseggiando, non solamente arrestò l'impeto loro, ma ancora
li costrinse alla ritirata più rotti che interi. Dopo questo fatto, i
soldati di Regnier si posero in fuga sconposti e sbaragliati, cercando
ciascuno salute senza ordine e norma, come meglio avvisava. Fu compiuta
la vittoria degli Inglesi. Dei dispersi, che furono un grosso numero,
molti venuti in mano dei Calabresi, furono crudelmente ammazzati:
alcuni, condotti cattivi al cospetto di Stuart, salvi restarono.
La vittoria di Maida die' nuova cagione ai Calabresi di levarsi a
romore: ad uso barbaro ammazzavano quanti venivano loro alle mani. I
Franzesi, dal canto loro irritati contro uomini che a nissun uso civile
attendevano, saccheggiavano ed ardevano tutte le terre che loro si
scoprivano contrarie, uccidendo i terrazzani, e nissun rispetto avendo
o al sesso o all'età. La Calabria tutta fumava d'incendii e di sangue.
Furono i Franzesi obbligati a sgombrarne.
Il trionfo di Maida poco durava. Si ingrossavano di nuovo i
napoleoniani; gli assassinii erano cattivo fondamento; il capitano
d'Inghilterra si ritirava in Sicilia, solo lasciando un presidio nel
forte di Scilla, di cui s'era impadronito.
Si accalorava l'oppugnazione di Gaeta. Già per molti mesi l'aveva
virilmente difesa il principe d'Assia: vi morirono molti buoni
Franzesi, fra gli altri il generale Vallelongue. Il principe ferito
gravemente fu portato in Sicilia. Si diede la fortezza, che già,
aperta una breccia molto grande nel muro della cittadella, i terribili
granatieri di Francia erano pronti all'assalto, il dì 18 luglio.
La resa di Gaeta avvantaggiò le condizioni dei Franzesi nel regno. La
forte schiera che l'aveva oppugnata andava a ricuperare le Calabrie;
e stantechè il nome di Massena era di molto terrore, gli fu dato il
governo della spedizione. Perchè un uomo terribile avesse podestà
terribili, decretava Giuseppe, fossero e s'intendessero le Calabrie in
istato di guerra; i magistrati civili e militari obbedissero a Massena;
creasse commissioni militari pei giudizii, ed i giudizii si eseguissero
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