Annali d'Italia, vol. 8 - 65

de' lati in quell'aspra guerra. Ma in una dieta convocata a posta
pullulò grande varietà di opinioni. Una parte, alla testa dei quali era
il generalissimo, voleano dar dentro immediatamente e menare le mani;
l'altra conchiudeva i suoi ragionamenti sostenendo che miglior partito
era l'aspettar il nemico ne' proprii alloggiamenti, che l'andarlo ad
assaltare ne' suoi. Prevalse nel consiglio questa sentenza: raffrenava
Joubert i suoi spiriti, e si riduceva, quantunque mal volentieri, a
questa deliberazione, di aspettare che il nemico venisse a tentarlo
negli apprestati alloggiamenti.
Variavano anche molto gli animi fra gli alleati intorno a quello che
loro convenisse di fare. I generali austriaci, non soliti a commettersi
all'arbitrio della fortuna, dissuadevano la battaglia. Ma le loro buone
ragioni non furono capaci a Suwarow, che si consigliava piuttosto con
l'ardire che con la prudenza, e che per le vittorie dell'Adda e della
Trebbia era venuto in grandissima confidenza di sè medesimo: opinava
perciò diversamente, nè poteva pazientemente udire che si fuggisse il
combattere, e che il vincere fosse posto in dubbio e differito. Molte
ragioni adduceva egli e conchiudeva doversi per onore, per debito, per
sicurezza, dar dentro ed affrontare senza indugio l'inimico; perchè il
tempo dava forza ai repubblicani, e qualche improvvisa fazione avrebbe
soccorso Tortona.
A tali parole di quel vecchio risolato, vittorioso, nudrito nelle armi
e negli esercizii della guerra, s'acquetarono i generali austriaci,
e fu deliberata quella battaglia, in cui si contenevano tutte le
sorti future dell'Italia. Appena era sorto il giorno 15 agosto,
che i confederati givano all'assalto. Kray fu il primo a ingaggiar
la battaglia con l'ala dei Franzesi, in cui il generalissimo della
repubblica si trovava. Fu l'urto gagliardo, nè meno gagliardo il
riurto. Molto sangue già si era fatto di lontano in questo primo
congresso fra le truppe leggieri, molto sangue si faceva per conflitto
delle genti più grosse; piegavano i soldati corridori di Francia.
Joubert sotto speranza di rimetterli, si spingeva innanzi con le
fanterie, gridando con la voce ed accennando col braccio, _avanti_,
_avanti_. Quivi una palla mandata, dicesi, da un esperto cacciatore
tirolese venne a por fine con una onorevole morte ad una delle vite
più onorevoli che sieno state mai, ed a troncare le speranze degli
amatori dell'indipendenza italiana. Fu percosso Joubert in mezzo del
cuore, e senza poter mettere altra voce se ne morì. Recavasi Moreau
in mano il governo dell'esercito. Non isbigottiva il funesto caso i
Franzesi, che già si trovavano sul fervor della battaglia; che anzi,
aggiungendo a valore furore e desiderio di vendetta, fecero pruove
stupende e per sempre memorabili. Sforzavasi Kray, con cui militava
anche Bellegarde, parecchie volte affrontando valorosissimamente il
nemico, di sloggiarlo; ma sempre fu con perdita gravissima di morti
e di feriti rincacciato: pareva disperata da questa parte la fortuna
degli alleati. Nè con migliore augurio combattevano sul mezzo.
Aveva Suwarow mandato Bagrazione ad attaccar di fronte i Franzesi
nel loro alloggiamento di Novi; ma si sforzò invano il principe,
costretto anzi a tornarsene indietro sanguinoso e vinto. Mandava
Suwarow, che pure la voleva spuntare, invece del generale respinto, ad
assaltar una seconda volta Novi con una più grossa schiera Derfelden
accompagnato da Miloradowic; ma quantunque l'uno e l'altro virilmente
si adoperassero, non poterono venir a capo dell'impresa loro, e furono,
come il primo ferocissimamente ributtati, tanta era la fortezza degli
alloggiamenti franzesi, e tanto il valore che i difensori mostrarono
in questa ostinata battaglia. Al primo sparare delle artiglierie e
dell'archibuseria di Francia, andarono a terra o morti o rotti più di
mille soldati di Russia.
Ma Suwarow non era uomo da sgomentarsi per quell'atroce accidente, ed
anche pensava ch'egli solo era stato pertinace a voler la battaglia.
Si faceva egli medesimo innanzi da Rivalta con tutta la squadra di
riscossa, avventandosi contro il conteso Novi. S'attaccò di nuovo la
battaglia tra Russi e Franzesi più furiosa di prima: il coraggio era
uguale da ambe le parti, la strage maggiore da quella dei Russi, perchè
i Franzesi combattevano da luoghi più sicuri, i Russi all'aperto.
Tuttavia si spinsero avanti con tanto singolare intrepidezza,
che, puntando con le baionette, costrinsero a piegare una legione
repubblicana. Ma accorsi i compagni, e rifatto, siccome quelli che
erano esperti ed usi a simili casi, tostamente il pieno, rincacciarono
i Russi, che da questa animosa fazione non ritrassero altro che
ferite e morti. Animava Suwarow anche con pericolo della vita, in
sì fitto bersaglio, i soldati, e nuovamente mandava alla carica gli
squadroni ordinati e stabiliti. Ma non per questo cedevano i Franzesi;
che anzi tanto più fieramente si difendevano quanto più fieramente
erano assaltati. Melas intanto, con la sua sinistra schiera spintosi
avanti, era venuto alle mani col nemico. Ma i repubblicani pur sempre
prevalevano, nè muro tanto fu saldo mai in niuna battaglia, quanto
i petti dei Franzesi in questa. Il generalissimo di Russia dal canto
suo, quanto più duro incontro trovava, tanto più si ostinava a volerlo
superare. Ordinava a Kray, a Bellegarde, a Derfelden, a Rosemberg, a
Bagrazione, a Miloradowich, a Melas, raunassero le schiere, e sì di
nuovo a fronti basse percuotessero l'inimico. Il percossero; furono
con orribile macello ributtati e voltati in fuga manifesta. Già da più
di otto ore si combatteva; la fronte dell'esercito di Francia tuttavia
si conservava intera; gl'imperiali, se non rotti del tutto, certo
disordinati ed in volta. Già si vedeva che la forza, la quale sola
aveva voluto usare Suwarow, non aveva bastato a smuovere i repubblicani
dai loro alloggiamenti. I confederati cominciavano a starne con molta
dubitazione; già i Russi, fuggendo da quella terribile tempesta,
traevano con sè, quantunque quel vecchio robusto ed ostinato fieramente
contrastasse, il generalissimo loro.
I generali austriaci intanto, dei quali questo accidente perturbava
molto gli animi, e per cui quel conflitto era di estrema importanza
pei dominii del loro signore, si studiavano a trovare qualche modo,
poichè dove la forza non vale, vi abbisogna l'arte onde rinfrancare la
fortuna afflitta. Ebbe in questo pericoloso punto Melas un fortunato
pensiero che comprovò ch'egli era non solo d'animo invitto a non
lasciarsi sgomentare in mezzo a tanto fracasso ed a tante morti, ma
ancora di mente serena e di perfetto giudizio. Secondollo volentieri
Suwarow, sperando che per arte altrui si salverebbe quello che o per
eccessiva imprudenza o per eccessivo coraggio aveva egli perduto.
Fece Melas avviso che non fosse impossibile di circuire l'ala destra
dei repubblicani, e di riuscir loro alle spalle, al che dava facilità
la possessione di Serravalle. Per la qual cosa, volendo mandare ad
effetto questo intento, lasciata solamente la prima fronte de' suoi
a combattere contro i repubblicani, tirò indietro le altre squadre,
alle quali ne aggiunse alcune altre testè arrivate da Rivalta. Fatto
un grosso di tutte queste genti, erano otto battaglioni di granatieri,
sei battaglioni di fanti, gli uni e gli altri austriaci, sollecitamente
marciava sulla sinistra sponda della Scrivia ascendendo. Liberò
d'assedio Serravalle; occupò Arquata. Perchè poi in mezzo a quella
confusione di battaglia non si aprisse l'occasione al nemico, che già
il tentava, di far correre una picciola squadra sulla destra del fiume
sino a Tortona, comandava al conte Nobili che se ne andasse a Stazzano
con una sufficiente squadra, e frenasse i Franzesi. Già era Melas
giunto tra Serravalle e Novi, quando divideva i suoi in tre colonne,
la prima con Froelich e Lusignano, perchè assaltasse la punta dell'ala
destra dei Franzesi, la seconda, condotta da Laudon, che si sforzasse
di spuntare e di circuire quella estremità medesima dell'esercito
repubblicano; la terza, governata dal principe di Lichtenstein, che
girasse più alla larga, arrivasse alle spalle dei Franzesi e troncasse
loro la strada da Novi a Gavi. Intanto Suwarow, rannodate alla meglio
le sue truppe disordinate, rinfrescava la battaglia. Lusignano, ferito
di palla e di taglio, fu fatto prigione; tutta la colonna di Froelich
pericolava; ma accorreva Laudon e recavasi in mano la vittoria. Nè
potè Moreau, quantunque molto vi si affaticasse, riordinare i suoi
a sostenere l'impressione dell'inimico. Questo fu il momento ed il
combattimento decisivo della giornata. Piegarono sempre più i Franzesi;
gli Austriaci, perseguitandoli, gli scacciarono, sebbene non senza
grave strage dal canto loro, dal forte alloggiamento che avevano sulle
alture dietro e a fianco di Novi. I fuggiaschi vi si ripararono: ma
assaltata al tempo stesso questa città dai Russi, fu da loro presa di
viva forza a colpi di cannone che atterrarono le porte. I vincitori
vi commisero molta e crudele uccisione, facendo man bassa ugualmente
su chi si arrendeva e su chi non si arrendeva. Mentre così Melas
vinceva con la sua prima e seconda colonna, e vincendo apriva anche
il varco della vittoria a Suwarow, la sua terza, giunta sui gioghi
di Monterosso, era riuscita sulla strada che da Novi porta a Gavi,
e per tal modo aveva tagliato ai repubblicani la strada del potersi
ritirare per la Bocchetta. Già era, quando queste cose succedevano,
il giorno trascorso fino alle sei della sera, e, per conseguente,
durava lo stupendo combattere già più da dieci ore. Vinta l'ala
destra ed il centro dei repubblicani, non restava più per essi alcun
modo di ristorare la fortuna della giornata; però fece Moreau andar
attorno i suoni della ritirata. In questa guisa, per una ordinazione
maestrevole del generale austriaco, fu tolta ai Franzesi la vittoria,
che già tenevano in mano, di una lunga, grave, ostinata e terminativa
battaglia.
Tagliato il ritorno per Gavi, furono costretti i Franzesi a ritirarsi
per la strada meno facile di Ovada. Marciavano prima ordinatamente;
un accidente inopinato cambiò subitamente l'ordine in disordine,
la ritirata in fuga. Fecero i generali Perignon, Grouchy, Colli,
Partonneaux quanto per valorosi soldati si poteva per rannodare le
genti loro sconvolte e spaventate, ma furono le loro fatiche sparse
indarno. Pieni di spavento, ed incapaci di udire qual comandamento che
si fosse, fuggivano a tutta corsa i repubblicani a destra, a stanca,
e dove più il terrore che il consiglio li portava. Furono i generali
suddetti feriti gravemente di arma bianca, e tutti fatti prigionieri. I
gregarii, che per la fuga non si poterono salvare, furono per la rabbia
concetta nella battaglia, e per comandamento di Suwarow, tutti uccisi
inesorabilmente dai Russi: orribile macello da aggiungersi a quello di
Novi!
Finalmente i repubblicani giunsero a salvamento ai sicuri ricetti delle
montagne genovesi. Niun campo di battaglia fu mai tanto spaventoso
quanto questo pel sangue sparso, per le membra lacerate, pei cadaveri
accumulati. Ne fu l'aria infetta; orribile tanfo durò molta pezza:
spaventevoli terre fra Alessandria, Tortona e Novi, prima infami per
gli assassinii, poscia contaminate dalle battaglie.
L'assedio di Tortona, ora stretto, ora allargato più volte, secondo
che i confederati ebbero comodità di adoperarvi le forze loro, o
necessità di usarle altrove, s'incamminava dopo la vittoria di Novi al
suo fine. Vi stava dentro il colonnello Gast, il quale con forse due
mila Franzesi si difendeva molto virilmente. Fino dai primi giorni di
luglio si erano cominciate dal conte Alcaini, uomo veneziano ai servigi
d'Austria, a cui Suwarow aveva dato il carico dell'espugnazione, le
trincee. Ma la bisogna lentamente procedeva per la resistenza degli
assediati, per la natura del suolo, e per essere state le opere
interrotte dalle vicine battaglie. Nondimeno, soprantendendo ai lavori
della oppugnazione un ingegnere Lopez, fu tirata a perfezione nei primi
giorni di agosto la prima trincea di circonvallazione. Ma si faceva
poco frutto contro la piazza, perchè, stante il suo sito eminente,
piuttosto con le bombe che con le palle si poteva espugnare. Laonde,
continuando a lavorare indefessamente gli oppugnatori, tanto fecero che
vennero a capo di ordinare la loro seconda trincea, e questa armarono
di numero grande di cannoni e di mortai. Non si sbigottiva per questo
Gast, perchè ed era uomo di gran cuore, e le casematte di grosse e
triplicate volte non cedevano a quella orribile tempesta. Ciò non
ostante, un guasto considerabile fu fatto dalle bombe negli artiglieri
e nelle artiglierie della fortezza. I Franzesi con arte e costanza
somma le riattavano, e continuavano a tuonare contro gli assalitori.
Si vedeva che molta fatica e molto sangue bisognava ancora spendere per
espugnare Tortona. Ma per la giornata di Novi non vedendo Gast speranza
di poter più allungare la difesa, convenne di arrendersi, se infra un
certo tempo non fosse soccorso. Stipulossi adunque il dì 22 agosto fra
le due parti un accordo, pel quale si sospesero per venti giorni le
offese, obbligandosi il Franzese a dare la piazza, se nel detto termine
l'esercito non arrivasse a liberarlo; uscirebbe a tempo pattuito la
guernigione con armi e bagagli, con le bandiere all'aria, col suono dei
tamburi; deporrebbe le armi sulla piazza di San Bernardino, e per la
più breve se n'andrebbe in Francia sotto fede di non militare contro
gli alleati per quattro mesi. Il dì 11 settembre non essendo comparso
aiuto da nissuna parte, uscivano i repubblicani dalla fortezza,
entravanvi gl'imperiali.
Venne Suwarow in molta allegrezza per l'acquisto di Tortona, perchè il
faceva sicuro della guerra genovese, e si vedeva aver ricuperato al
nome del re quasi tutti i dominii del Piemonte, oggimai liberi dalla
presenza dei repubblicani. Ora i principali suoi pensieri si volgevano
ad assicurare il Piemonte superiore dalle armi franzesi con rompere la
forza di Championnet e con espugnar Cuneo. Ma il compimento di queste
fazioni lasciava a Melas ed a Kray, perchè egli se ne partiva con tutte
le genti russe per alla guerra elvetica.
Partito Suwarow dalle terre italiche, ne fu molto diminuita la
forza dei confederati in Piemonte. E però non poterono i capitani
dell'imperator Francesco, innanzi che arrivassero nuovi rinforzi
dagli Stati ereditarii, tentar cosa d'importanza. Solo attendevano a
conservare gli acquisti fatti, e si apparecchiavano, quando gli aiuti
fossero giunti, alla oppugnazione di Cuneo, piazza molto forte, e che,
per essere vicina alle frontiere di Francia, è molto facile a venir
difesa e soccorsa dai Franzesi. Dall'altra parte primo pensiero dei
repubblicani era il conservare la possessione di Cuneo, e tribolare
talmente il nemico intorno a lui, che ne nascesse una grave diversione
in favor di Massena che aveva a fronte nella Svizzera l'arciduca
Carlo, e presto avrebbe non solamente Suwarow con le genti vincitrici
d'Italia, ma ancora Korsakow, ch'era vicino ad arrivare con nuovi
squadroni di Russi. Ma l'aver voluto distendersi in una fronte tanto
lunga con poche forze fu cagione che la guerra, che doveva esser
grossa, si cangiò in guerra minuta e fastidiosa, con moltiplicate
scaramucce ed affronti, che niuno effetto, non solamente terminativo,
ma nemmeno d'importanza potevano partorire. Sarebbe troppo molesta
narrazione il raccontar tutto: la somma fu che il forte di Santa
Maria, che sta a difesa del golfo della Spezia, e soggetto principale
di contesa, finalmente cadde in potestà degl'imperiali; il quale
accidente aperse libero l'adito alle navi di Inghilterra in quel
magnifico seno di mare, e fece facoltà agli Austriaci d'inoltrarsi
di nuovo fino assai prossimamente, sentendosi sicuri alle spalle, a
Genova, donde la poterono cingere di assedio, quando, alcun tempo dopo,
le armi imperiali vennero a romoreggiarle intorno, anche dalla parte
d'Occidente.
Le medesime minute fazioni tribolavano e repubblicani e imperiali sulla
Scrivia e sulla Bormida, ed ancor più gli abitatori del paese, che si
trovavano fra quelle due genti per loro strane, e l'una contro l'altra
infuriate. Melas ponderate tutte le cose che accadevano, lasciando
Kray alla guardia dei paesi in cui la Scrivia e la Bormida infondono
le loro acque, andava a posarsi nei contorni di Bra con circa trenta
mila soldati abili a campeggiare in quelle facili pianure. Era questo
suo alloggiamento non senza fortezza, siccome quello che, posto tra
il Tanaro e la Stura, si mostrava opportuno a sopravvedere i moti che
potessero fare i Franzesi da Mondovì, di cui erano in possessione,
dal colle di Tenda e dalle valli della Stura e di Pratogelato, che
massimamente accennavano a quel luogo come a centro comune. Suo
intendimento principalissimo era di guarentire il Piemonte, e di
trovar modo di combattere felicemente nelle battaglie che aspettava,
per andare a porre il campo sotto Cuneo. Nè i Franzesi ricusavano il
cimento. Aveva Championnet, in cui, dopo la partenza di Moreau andato
alle guerre del Reno, era investita l'autorità, suprema sopra tutte le
genti che si distendevano dalla Magra per tutto il circuito, dei liguri
Apennini e delle Alpi sino alla Dora Baltea, chiamato a sè la schiera
di Victor, annestandola alla sua destra ala verso Mondovì. Al tempo
stesso ordinava che si accostasse al suo fianco sinistro per Pinerolo e
per Saluzzo una squadra di genti venute dall'Alpi Cozie, e condotta dal
generale Duhesme.
Tutte queste genti unite insieme componevano un esercito quasi pari
in numero a quello di Melas: la guerra, fin allora sparsa e vaga, si
riscontrava in un solo punto, e tutto lo sforzo si riduceva nelle
vicinanze di Fossano e di Savigliano: sulle rive della Stura era
per definirsi quest'ultimo atto dell'italiana contesa ed il destino
di Cuneo. Ardevano l'una parte e l'altra di venir alle mani: il
che era da lodarsi dal lato di Melas, perchè assai gl'importava di
combattere prima dell'arrivo di Duhesme, ma non parimente dal lato di
Championnet, che doveva indugiarsi insino a tanto che la congiunzione
di Duhesme avesse avuto intieramente il suo effetto. L'uno esercito
nel momento stesso si avventava contro l'altro il dì 9 novembre.
I primi ad attaccarsi furono Grenier ed Otto. Combatterono ambidue
tra Savigliano e Marene con estremo valore, essendo il coraggio e la
perizia militare uguali da ambe le parti. Fu lunga e forte e variata
la mischia; gli uni con gli altri parecchie volte si mescolarono. Ma
prevalendo gli Austriaci per le cavallerie (a questo fine appunto Melas
aveva tirato il suo avversario sui campi aperti) furono finalmente
i Franzesi costretti a ritirarsi a Savigliano, e di là cacciati, a
retrocedere, incamminandoli a Genola. Le cose succedettero diversamente
tra Esnitz e Victor. Uscito il primo da Fossano, aveva assaltato il
secondo a Genola; ma il Franzese gli rispose con tanta gagliardia, che,
quantunque il Tedesco per tre volte desse furiosamente la carica, ne
fu sempre risospinto con grave danno, e fino sforzato a ritirarsi più
che di passo dentro le mura di Fossano; donde poi uscendo di nuovo,
per usar l'occasione, acquistava Genola, e perseguitava continuamente
Victor alle spalle. Melas, raccolti i suoi, non volendo dar posa al
nemico in su quel fervore della vittoria, assaltava Lavaldigi, e, dopo
un lungo conflitto, se ne impadroniva. Ritiravansi i Franzesi parte a
Centallo, parte a Marozzo. In questo mentre giungeva Duhesme sul campo
in cui si era combattuto sul principio della battaglia, e trovato
Savigliano con debole presidio, se ne rendeva padrone, poi marciava
per combattere Marene. Diveniva la sua mossa molto pericolosa pei
Tedeschi, e se fosse stata fatta qualche ora prima, sarebbe stata per
loro pregiudiziale all'estremo. Ma già erano talmente in possessione
della vittoria, che fu loro agevole il portar rimedio contro
quell'improvviso accidente. Ordinava Melas al generale Sommariva che
andasse a combattere Duhesme. Potè egli giungerlo, quantunque il giorno
già inclinasse, e lo costrinse, fattasi dal generale franzese breve
resistenza, perchè aveva ricevuto le novelle della rotta dei compagni,
a ritirarsi fino a Saluzzo.
Avevano gli Austriaci in mano loro la vittoria; restava che l'usassero.
Il giorno seguente sforzarono a darsi un grosso squadrone lasciato
a Ronchi, indi una schiera più grossa che stanziava a Murazzo.
Avrebbe voluto Melas correre sulla destra della Stura per dar addosso
a Lemoine; ma inteso che i Franzesi avevano fatto due campi, con
intenzione di preservare Cuneo, condusse le sue genti vincitrici contro
quei nuovi alloggiamenti del nemico; i Franzesi, non aspettandolo, si
ritirarono ai monti. Se non che, premendo a Melas di fargli allargar
da Cuneo, perchè l'oppugnazione della piazza non gli potesse venire
sturbata, li perseguitava da tutte bande; li cacciava sino all'erto
giogo di Tenda, occupava le Barricate e l'Argentiera, Dronero, e
sforzava Duhesme e tornarsene nella valle d'Icilia, alle radici del
monte Ginevra. Restava che gli Austriaci togliessero ai Franzesi
Mondovì, dove si erano riparati Victor, Lemoine e Championnet. Riuscì
lor la fazione, perchè, sloggiati i Franzesi sforzatamente da due
subborghi e dalle eminenze che dominano la città, l'abbandonarono,
ritirandosi ai luoghi più alti della valle del Tanaro. Occuparono i
Tedeschi, sempre ritirandosi i Franzesi, Garessio, Ormea, e si spinsero
avanti fino al ponte di Nava, ch'è il passo più difficile e quasi la
chiave della strada che porta su quelle alture. Per tal guisa i varii
corpi di Championnet, che, partendosi da diversi punti di una larga
periferia, eran venuti a concorrere, quasi come in centro comune,
nelle vicinanze di Fossano e di Savigliano, dopo la battaglia ivi
combattuta, che alcuni chiamano di Fossano, altri di Genola, dispersi,
e l'uno dall'altro discostandosi di nuovo, si allargarono, ed ai
punti medesimi della periferia ritornarono. Ritirossi il capitano del
direttorio, Championnet, a Nizza, dove, tra varie cagioni di cordoglio
e l'infezione di una malattia gravissima, che quasi a guisa di peste
infuriava, passò da questa all'altra vita.
Travagliavansi gli Austriaci intorno a Cuneo, piazza forte e di molta
importanza pel suo sito. Conoscevano questa importanza i generali
dell'imperatore, e però, sebbene la stagione già divenisse sinistra
alle opere di oppugnazione, si accinsero all'impresa, sperando di
compensar con le forze soprabbondanti la contrarietà del tempo.
Obbediva il presidio al generale Clement. Sommava il numero di due mila
cinquecento soldati, ma disanimati per le sconfitte e pel desiderio
di tornarsene in Francia, parendo loro disperate le cose d'Italia;
oltre a questo, non era bene provvista la piazza di munizioni nè da
bocca nè da guerra, perchè e per le ingordigie solite e per l'angustia
dei tempi non era stata mai sufficientemente empiuta. Ciò nonostante,
Clement, non perdutosi d'animo, fece quello che per capitano valoroso
si poteva, a fine di sturbare le opere del nemico, ora sortendo
a combattere, ed ora fulminando con tutte le artiglierie contro
coloro che si affaticavano alle trincee. Ma tanti erano i soldati
dell'Austria, e tanti i paesani accorsi, che in brevissimo tempo fu
condotta a perfezione la prima parallela e vi si piantarono diciannove
batterie pronte a bersagliare gli assediati. Tirarono con tanto
impeto il 2 dicembre, che i difensori furono obbligati ad abbandonare
le opere esteriori, ritirandosi di tutto allo interno della piazza.
Al tempo stesso arse una conserva di polvere con orribile fracasso,
e schiantò fin dalle fondamenta un ridotto. Usarono gli assalitori
l'occasione, facendo, la notte che seguì, un alloggiamento nelle ruine,
ed attendendo a tirar avanti la seconda trincea di circonvallazione.
Ma già un altro magazzino scoppiava, le case vicine ardevano, il
fuoco, rapidamente distendendosi, minacciava generale incendio. Nè vi
era modo o volontà di spegnerlo, perchè i soldati stavano sulle mura
a combattere, i cittadini spaventati non avevano più consiglio; la
tempesta mandata continuamente dal nemico accendeva l'intero; tanta
era la quantità che soprabbondevolmente gittava Lichtenstein di palle,
di bombe e di granate reali. Mandarono i Cunesi, pregando che avesse
compassione di loro, od almeno risparmiasse le case, posciachè eglino
non combattevano. Rispose non farsi alcun divario, quando si oppugnano
le piazze, fra chi combatte e chi non combatte: capitolasse il
Franzese; cesserebbe la tempesta.
Vedeva Clement la necessità della dedizione, perchè già la fortezza
era straziata, la breccia si preparava, nissun soccorso gli appariva
da nissuna parte, ed erano mancati tutti i fondamenti del difendersi.
Chiese perciò i patti e gli ottenne. Fu stipulato ai 5 dicembre che la
guernigione uscisse onorevolmente al modo di guerra, che deponesse le
armi sullo spalto, che fosse condotta sotto scorta, come prigioniera,
negli Stati ereditarii, che si avesse cura degli ammalati e dei feriti:
erano ottocento. A questo modo fu domato per forza, in men di dieci
giorni, Cuneo, che aveva vinto la gara contro le forze di Francia nel
1691 e nel 1744.
La presa di Cuneo e la stagione avversa ebbero posto fine alla guerra
nella superiore Italia, e sgravarono gli eserciti confederati di molte
fatiche. Tuttavia, sebbene il Piemonte fosse governato in nome del
re, non si consentì mai ch'ei vi tornasse, nè che il duca d'Aosta vi
comparisse.
Intanto molto doloroso fu questo anno alla famiglia reale di Sardegna
per mali veri e per le speranze vane; perchè morì a Cagliari l'unico
figliuolo del duca d'Aosta, al quale, dopo la morte del padre, spettava
la corona; passò anche da questa vita in Algheri di Sardegna il duca
di Monferrato, fratello del re, giovane di ottima natura e di costumi
dolcissimi.
Ma dobbiamo tornare alle cose del regno di Napoli, dove gli accidenti
sono fierissimi e pieni di sangue.
Ferdinando, Carolina, Acton eransi ritirati in Sicilia, lasciando
Napoli in mano dei Franzesi che badavano ai fatti loro ed ai
Napolitani, amatori di libertà che sognavano la repubblica. Ma non
se ne stava il governo regio senza speranza che le sue cose avessero
presto a risorgere, perchè non ignorava la forte lega, che si era
ordita in Europa contro la Francia, e sapeva che i dominii dei Franzesi
nei paesi forastieri, massimamente in Italia, sono sempre brevi. Egli
medesimo si era congiunto per trattati d'alleanza con le potenze che
facevano o volevano far la guerra ai Franzesi. Già fin dall'anno ultimo
l'aveva stipulato con l'Austria; aveva anche il re contratto amicizia
con la Gran Bretagna, e Nelson vittorioso molto confortava le siciliane
speranze; medesimamente un trattato erasi concluso con l'imperadore
Paolo di Russia. Perchè poi quella repubblica franzese, che era per
sè stessa una tanto strana apparenza, avesse a produrre nel mondo
accidenti ancor più strani, il re Ferdinando aveva fatto alleanza coi
Turchi, con avergli il Gran Signore promesso che manderebbe, ad ogni
sua richiesta e senza alcun suo aggravio, dieci mila Albanesi in suo
aiuto: a questo dava favore e facilità la conquista di Corfù fatta
dai Russi e dai Turchi, quando appunto gli aiuti loro erano divenuti
più necessarii al re Ferdinando. Era arrivato il tempo propizio a
conquistare il regno per la ritirata di Macdonald da Napoli. Non aveva
la repubblica messo forti radici nel regno, sì pel duro dominio dei
repubblicani di Francia, sì per le astrazioni di quelli di Napoli, e sì
finalmente per gl'ingegni mobili dei Napolitani.
Sperava adunque Ferdinando negli aiuti degli alleati e nelle
inclinazioni dei popoli. Per conservarsi la grazia dei primi, aveva
in Sicilia tenuto Acton in istato, per muovere i secondi mandato Ruffo
in Calabria. Già abbiamo narrato come il cardinale, creato l'esercito
con gli aderenti proprii, poi ingrossato coi nemici dei repubblicani,
aveva mosso a rumore e ricondotto all'obbedienza le due Calabrie quasi
tutte, la terra d'Otranto, la terra di Bari ed il contado di Molise.
Erano accorsi con le bande loro al cardinale Proni, Mammone, Sciarpa,
Fra Diavolo, Decesari, gente ferocissima. Un'altra mossa popolare era
sorta che molto aiutava il cardinale per istigazione del vescovo di