Annali d'Italia, vol. 8 - 63

dimostrava ch'era ancor vivo, e che gl'infortunii presenti non gli
avevano tolto nè la mente nè la fortezza d'animo.
Oramai la guerra che gli romoreggiava tutto all'intorno lo sforzava
a far nuove deliberazioni. I popoli si erano levati a calca contro i
repubblicani: commettevansi crudeltà, saccheggi, uccisioni. Le terre
astigiane grondavano sangue, quasi in sul cospetto di Moreau. Pensava
egli alla salute de' suoi: vedendo piena troppo grossa, e che non era
più tempo di aspettar tempo, passando per Asti, Cherasco e Fossano, e
lasciate ben guardate Alessandria e Tortona, andava a porsi alle stanze
di Cuneo, per avere le strade libere verso Francia pel colle di Tenda
o per la valle d'Argentera. Da Cuneo il generale della repubblica,
lasciatovi un forte presidio, si conduceva, essendo oggimai stremo di
gente, sul destro dorso degli Apennini
Partiti i Franzesi, ciò fu cagione che l'amministrazione del Piemonte
creata da Moreau, passando per Torino, andasse a far capo in Pinerolo,
perchè le valli dei Valdesi, vicine a questa città, ed abitate da
popoli quieti e nemici di ogni scandalo, davano un adito sicuro a
ripararsi in Francia. Per la partenza medesima dei soldati di Francia
si moltiplicavano a dismisura in Piemonte le sommosse popolari. La
rabbia politica, il zelo, come pretendevano, della religione, spesso
ancora l'amore del sacco e gli odii privati producevano questi effetti,
cui venne ad accrescere un manifesto mandato da Suwarow ai Piemontesi
dalle sue stanze di Voghera, incitandogli alle armi. Atroci falli
seguitavano le parole.
Frattanto Suwarow intendeva l'animo all'acquisto di Torino, perchè,
essendo città capitale, si stimava che la possessione di lei, facendo
risorgere l'immagine del regno, inviterebbe i popoli a tornare
all'antica obbedienza. Oltre a questo, importavano agli alleati il
suo sito, molto accomodato alla guerra, e la copia delle artiglierie e
delle munizioni che vi si trovava ammassata. Non aveva potuto Moreau,
per la debolezza delle genti che gli restavano, lasciar in Torino un
presidio sufficiente, e, dalla guarnigione della città in fuori, non
vi era forza che potesse preservar la città, quantunque fosse cinta di
mura forti ed ordinate secondo l'arte a difesa. Arrivava Wukassovich
con genti regolari e turbe paesane; faceva la chiamata. Rispondeva
Fiorella volersi difendere. Principiava dai monte dei Cappuccini e
dar la batteria; e non facendo frutto con le palle, provò le bombe.
S'accesero alcune case vicine alla porta di Po. In questo punto la
guardia urbana apriva la porta. Entrarono a furia i soldati corridori
di Wukassovich: gli accompagnavano, cosa di grandissimo spavento, le
turbe infami di Branda-Lucioni, famoso capo di briganti. Salvaronsi
frettolosamente in cittadella i pochi soldati repubblicani che
alloggiavano in città, dei quali alcuni furono presi, altri uccisi.
Già Torino non era più in potere di Francia, ma non era ancora in
poter d'Austria del tutto, perchè su quel primo giungere le truppe
contadinesche dominavano, uccidevano, davano il sacco; ed insomma
la città piena di spavento aspettava qualche gran ruina, e, se i
confederati non fossero stati presti ad accorrere ed a frenare questi
uomini furibondi, sarebbero forse avvenuti mali peggiori di quelli che
si temevano.
Quando i tumulti che avevano conquassato il Piemonte alcun poco
restarono, entrava, a guisa di trionfatore, il generalissimo Suwarow.
Andava in sul giungere nella chiesa metropolitana di San Giovanni per
ringraziare Iddio dell'acquistata vittoria. Intanto Fiorella, che
governava la cittadella, traeva con le artiglierie; i confederati
traevano contro di lui; era vicino un altro sterminio. Infine le
due parti convennero, perchè altrimenti la sede del re ne andava in
subbisso, che i confederati non assalterebbero la cittadella dalla
parte della città, ed i Franzesi non infesterebbero la città dalla
cittadella. Era Suwarow continuamente veduto e corteggiato dai nobili;
i più savii consigliavano la moderazione, gli altri il rigore.
Il Russo, quantunque fosse di natura molto risentita, ed anzi acerba,
massime in queste faccende di Stato, più volentieri udiva i primi che i
secondi, perchè giudicava secondo la ragione, non secondo la parzialità
del luogo o i desiderii di vendetta. Chiamava a sè il marchese Thaon di
Sant'Andrea, e gli dava carico di riordinare i reggimenti del re; ed il
marchese pubblicava un suo manifesto, e alle sue parole senza tardità
i soldati si raccoglievano. Poi Suwarow, consigliandosi col marchese
medesimo e con gli altri capi del governo regio, creava, per dar forma
alle cose sconvolte, un governo interinale sotto nome di consiglio
supremo, insino al ritorno del re.
Vedeva il consiglio che per confermare lo Stato del re, principalmente
nella capitale, si rendeva necessario l'espugnare la cittadella;
perchè non solamente ella era di sicurtà grande al Piemonte, ma non
si giudicava nemmeno onorevole l'avere quel morso in bocca nella sede
stessa della potestà suprema: laonde, acciocchè la faccenda camminasse
con maggior diligenza, si offerse a far le spese dell'oppugnazione. Il
dì 13 giugno principiarono i confederati a lavorare al fosso ed alla
trincea della prima circonvallazione. Non mancarono gli assediati a sè
medesimi nel volere impedire colle artigliere che i nemici tirassero a
perfezione la trincea. Ma questi con le solite arti affaticandosi, ed
aiutati con molto fervore dai contadini, che niuna fatica o pericolo
ricusavano, apprestarono le batterie, e la mattina del 18 diedero mano
a bersagliare la fortezza. Prodotti gravissimi danni, faceva Keim, che
da Suwarow aveva avuto carico di questa oppugnazione, la intimata alla
piazza. Fiorella rispondeva, volersi tuttavia difendere. Il bersaglio
ricominciava più forte che per lo innanzi, e continuava sino al mezzodì
del 19. La caserma, i magazzini, la casa stessa del governator Fiorella
ardevano, una conserva di polvere aveva fatto scoppio; le casematte,
per esservi trapelata molta acqua, non offerivano rifugio. Morti erano
la maggior parte dei cannonieri; le batterie scavalcate, i parapetti
distrutti; la piazza ridotta senza difese d'artiglieria. Già la seconda
circonvallazione si cavava a gittata di pistola dalla strada scoperta,
e gli oppugnatori la continuavano con la zappa per modo che già erano
vicini a sboccare nel fosso.
Il perseverare nella difesa sarebbe stato piuttosto temerità che
valore; perciò Fiorella trattò della resa. Si fermarono, il dì 20, i
capitoli, pei quali si pattuì che il presidio uscisse con gli onori di
guerra; che deponesse le armi; che avesse libero ritorno in Francia
coi cavalli e colle bagaglie; che desse fede di non servire contro i
confederati sino agli scambi; Fiorella e gli altri ufficiali maggiori
fossero, come prigionieri di guerra fino agli scambi, condotti in
Germania. Uscirono i vinti in numero di circa tre mila; entrarono
i vincitori il dì 22. Ottenuta la cittadella, se ne giva Keim ad
ingrossare sulle sponde della Bormida Suwarow, al quale la fortuna
stava preparando nuove fatiche e nuovi trionfi. Fecersi in Torino
molti rallegramenti civili, militari e religiosi per la riacquistata
cittadella. Ne pigliarono i regi felici augurii. Mandava Suwarow
pregando il re, acciocchè se ne tornasse nel regno ricuperato. Ma
l'Austria, che aveva altri pensieri, attraversava questo disegno.
La guerra, che insanguinava le terre italiche, non risparmiava le
greche. Ma noi non potremo dilungarci dalle cose nostre per narrare
come le isole del mare Ionio ed altre terre circostanti, tolte
sotto specie di amicizia dai repubblicani di Francia all'imperio dei
Veneziani, venissero per forza d'armi sotto quello dei Turchi e dei
Russi. Il termine fu, che dopo i fortunosi casi di questa guerra, piena
di fatti altri alti e generosi, altri crudeli ed atroci, il consiglio
generale di Corfù, convocato dai confederati, secondo gli ordini
antichi, decretava che si ringraziasse santo Spiridione, e con annua
processione si onorasse; si ringraziassero i comandanti russo e turco
e l'ammiraglio d'Inghilterra Orazio Nelson; si ringraziassero Paolo I,
Giorgio III, Selim III. Fu data la somma del governo non solo di Corfù,
ma ancora di tutte le isole e territorii ionici, ad una delegazione
di sei nobili. In tale forma si visse a Corfù finchè dai confederati
fuvvi ordinato governo stabile di repubblicani sotto tutela della
Porta Ottomana. A questo modo, per opera, prima dei Franzesi, poi dei
confederati, fu alienato per sempre dall'imperio d'Italia all'imperio
degli oltramontani o degli oltremarini il dominio del mare Ionio,
che Venezia avea saputo conservare per tanti secoli contro tutte le
forze dell'impero dei Turchi. Venuto Corfù in poter dei confederati,
divenne ricovero sicuro a coloro, cui cacciava dall'Italia la presenza
dei repubblicani. Vennervi le principesse esuli di Francia: vennervi
i cardinali Braschi e Pignatelli, il principe Borghese, i marchesi
Gabrielli e Massimi, il cavalier Ricci e molti altri personaggi. Le
flotte russa e turca andarono ad altre fazioni nell'Adriatico e nel
Mediterraneo, le quali siamo per vedere in progresso.
Come prima ebbe Moreau il governo supremo dell'esercito italico, avea
applicato i suoi pensieri a far venire sul campo delle nuove battaglie
le genti che sotto l'impero di Macdonald custodivano il regno di
Napoli. Per la qual cosa aveva speditamente mandato a Macdonald che
partisse da Napoli con tutto l'esercito, solo lasciasse presidio nei
castelli, nelle piazze più forti, e con esso lui venisse prestamente a
congiungersi, determinando il luogo della congiunzione dei due eserciti
nei contorni di Voghera. A questo fine, volendo dar mano più presto
che fosse possibile alle genti vincitrici di Napoli, e considerato che
Macdonald, per essere le strade del littorale della riviera di Levante
troppo difficili e da non dar passo alle artiglierie, era necessitato a
camminare fra l'Apennino e la sponda destra del Po; e temendo che fosse
troppo debole a sostener l'impeto dei corpi sparsi dei confederati,
che prevalevano di cavalleria nelle pianure di Bologna e di Modena,
avea mandato Victor con la sua schiera ad incontrarlo sui confini
della Toscana e del Genovesato. Partiva Macdonald, accompagnandolo
Abrial, da Napoli, lasciati presidii franzesi, sebbene deboli, nei
castelli di Napoli e nelle fortezze di Gaeta, di Capua e di Pescara.
Grave e difficile carico gli era addossato, ma del pari glorioso, se il
portasse a felice fine. Viaggiava con molto disfavore dei paesi per cui
gli era necessità di passare, perchè le popolazioni sollevate a cose
nuove, stavano in armi e pronte a contrastargli il passo. Tumultuava
il regno sulle sponde del Garigliano, tumultava lo Stato romano, e da
Roma in fuori non v'era luogo che fosse sicuro ai Franzesi. Tumultuava
la Toscana molto furiosamente, già sì pacifica e dolce. Le strade, che
davano il passo da una parte all'altra degli Apennini, specialmente
Pontremoli, sito di non poca importanza, erano in possessione dei
collegati. Nè egli aveva cavalleria bastante a spazzare i paesi, a
procacciarsi le notizie, a far vittovaglie, a difendersi dagli assalti
improvvisi. Nè è dubbio che l'impresa di Macdonald non fosse delle più
malagevoli ed ardue che capitano di guerra sia stato mai obbligato di
fornire.
Si metteva in via, diviso il suo esercito in due parti. Marciava
la destra guidata da Olivier accosto agli Apennini con l'intento di
riuscire per la strada di San-Germano, Isola, Ferentino, Valmontone e
Frascati, verso Roma. La sinistra, condotta da Macdonald, seguitava
verso la capitale medesima dello Stato romano la strada più facile
della marina. Erano con questa le più grosse artiglierie e le
principali bagaglie. Fu la prima necessitata a combattere, non senza
molto sangue, parecchie volte per condursi al suo destino. San-Germano
si oppose con le armi; fu preso per forza e saccheggiato. Isola si
persuase di poter arrestare con genti tumultuarie soldati regolari,
agguerriti e bene armati: assaltarono i Franzesi, dopo di aver ricerco
gl'Isolani del passo la terra: si difesero i terrazzani con tale
ostinazione che un accanito combattimento durava già più di sei ore,
e non se ne prevedeva il fine. All'ultimo, cacciati di casa in casa a
viva forza, si ritirarono, lasciando la città in mano degli assalitori,
i quali, sdegnati all'antica nimistà degl'Isolani, allo aver tratto al
messo mandato avanti per trattare l'accordo del passo, e alla tanto
ostinata resistenza, per cui non pochi dei loro erano stati morti,
mandarono la terra a ruba ed a sangue. Quanti poterono aver nelle mani,
tanti ammazzarono. Entrati nelle case, uccisi prima gli abitatori,
facevano sacco. Poi si diedero in sul bere di quei vini generosi, per
modo che il furore della presente ebbrezza, congiunto col furore della
precedente battaglia, li fece trascorrere in opere abbominevoli. Nè più
davano retta ai loro ufficiali o generali, che li volevano frenare, che
alla ragione od alla umanità. Sorse la notte; era una grande oscurità,
pioveva a dirotto. Gl'infuriati repubblicani, dato mano alle facelle,
incesero la città, che in poco d'ora fu da sè stessa tanto disforme che
non era più che un ammasso spaventevole di sangue, di fango e di ruine.
Passarono i Franzesi a Veroli senza difficoltà, passarono a Ferentino
ed a Valmontone; finalmente congiuntisi entrarono il dì 16 maggio del
presente anno 1799 nelle sicure stanze di Roma. Quivi Macdonald, dato
animo con promesse e con discorsi, lasciate per marciare più spedito
le artiglierie e gl'impedimenti più gravi, e guernite di presidii le
piazze di Civitavecchia, di Ancona e di Perugia, s'incamminava alla
volta di Toscana. Era in questa provincia succeduta una mutazione
grandissima; eccettuati i luoghi in cui i Franzesi insistevano coi
presidii, tutti gli altri si erano voltati in favor degli alleati, con
gridare il nome di Ferdinando. Ma questa mutazione si era fatta con
tanto tumulto, con tanto furore e con tanta ferocia, che tutt'altre
cose si sarebbero aspettate dai Toscani che queste.
La sede principale della sollevazione erano Arezzo e Cortona, le
quali il sito rendeva sicure. Arezzo si era con ogni miglior modo
fortificata, anzi ogni edifizio era fortezza. Numerose squadre di
gente venuta dal contado e variamente armata custodivano le porte, e
curiosamente e diligentemente esaminavano chi entrava e chi usciva.
Movevansi sospetti ad ogni tratto in mezzo a quei contadini infuriati
per voci date, o a ragione o a torlo, di giacobino. Era lo stare
cattivo, il viaggiare peggiore. Tuttavia questi uomini, tanto sfrenati
contro i Franzesi e contro coloro che avevano o che parevano aver
odore di essi, mostravansi obbedienti, al nome di Ferdinando. Erasi
in mezzo a questi tumulti creato in Arezzo un magistrato supremo, in
cui entravano preti, nobili e notabili; uomini nè sfrenati nè feroci,
ma non potevano impedire il furore del popolo; solo s'ingegnavano di
dargli regola e legge. Questa fu la mossa di Arezzo, alla quale, come
quasi un antiguardo, consuonava quella di Cortona. In grave pericolo
si mettevano, perchè le cose dei Franzesi erano ancora in essere,
e potevano risorgere, e Macdonald pensava a passare per la Toscana.
Pure Arezzo si salvò, Cortona pagò qualche fio; l'una e l'altra furono
cagione che il nome di Ferdinando risorgesse in Toscana innanzi che i
confederati vi arrivassero. Fu Cortona messa a dura prova da' Polacchi
venuti di Perugia; ma si difese sì valorosamente, che gli assalitori se
ne rimasero, avviandosi a Firenze. Venne poscia una colonna franzese
molto forte, ch'era l'antiguardo di Macdonald. Cortona si arrese
con patto che fossero salve le sostanze e le persone; il che fu loro
osservato.
Avrebbe desiderato Macdonald, che arrivava verso il finir di maggio a
Siena, sottomettere Arezzo, e gli faceva l'intimazione. Mandò contro
gli Aretini un bando terribile. Ma tutto fu indarno: gli Aretini
non si sbigottirono; il Franzese non si accinse a domarli, però che
volea camminar veloce all'impresa. Si mosse Albiano, terra vicina al
Genovesato, a sollevazione contro i Franzesi, non senza commettere i
soliti atti di crudeltà. Andarono i Franzesi, saccheggiarono ed arsero
la terra. Simili spaventi succedevano in altre parti della Toscana:
ogni cosa sconvolta e sanguinosa. Marciava spedito al suo destino
Macdonald, e perchè non avesse intoppi di ammutinamenti di truppe per
mancanza dei soldi, Bertolio, che come ambasciadore di Francia reggeva
a posta sua Roma, e Reinhard come commissario la Toscana, trovarono
molti estremi di raccor denaro.
Erano a questo tempo le genti dei confederati molto sparse. Una
grossa parte attendeva all'oppugnazione di Mantova: Klenau correva
il Ferrarese ed il Bolognese; il principe Hohenzollern il Modenese;
Otto stava sugli Apennini, massime a Pontremoli; Bellegarde, venuto
dai Grigioni, circondava d'assedio Alessandria e Cortona; Suwarow e
Keim alloggiavano in Piemonte per dar sesto al governo, per ridurre a
devozione alcune valli delle Alpi, e per osservare a che fine volesse
Moreau incamminare le sue operazioni, o verso Cuneo o verso la riviera
di Ponente. Guerra troppo spicciolata era questa, mentre Macdonald
se ne veniva intero da Napoli, e Moreau poteva tornare più grosso da
Francia.
Moreau, dato voce che avesse avuto rinforzi di Francia, e che
maggiori ne dovesse ricevere, essendo anche a quel tempo arrivata nel
Mediterraneo una flotta franzese proveniente da Brest con qualche
battaglione da sbarco, era andato a piantare i suoi alloggiamenti
presso a Savona per accennare contro Suwarow in Piemonte; poi,
speditamente marciando, si era condotto a Genova, verso la quale faceva
concorrere le sue genti. Queste mosse apertamente indicavano in Moreau
il pensiero di congiungersi con Macdonald, che già era arrivato in
Toscana; nè Suwarow le poteva ignorare. Ciò nondimeno, ei se ne stava
a consumarsi intorno alle fortezze ed alle montagne piemontesi. Ma
non istette lungo tempo ad accorgersi che se per valore ei non era
inferiore agli avversarii, gli avversarii lo avanzavano per arte.
Già Victor, camminando per la riviera di Levante, appariva vicino
a congiungersi con Macdonald, e già gli avvisamenti dei generali di
Francia si approssimavano al loro compimento. Macdonald s'incamminava
alle accordate fazioni, per le quali si prometteva l'assicurazione
d'Italia. L'ala sua dritta, condotta da Montrichard, marciava contro
Bologna; la sinistra si conduceva nella valle del Taro. Victor faceva
il suo alloggiamento in Fornuovo. Dambrowski s'incamminava a Reggio.
Macdonald si era calato col grosso dell'esercito per la valle del
Panaro, e inoltrato sino al casino Brunetti a piccola distanza do
Modena. Moreau dal suo lato si era ingrossato sulla Bocchetta col
pensiero di correre contro Cortona ed Alessandria. Già aveva mandato,
per dar la mano più verso il piano e più da vicino a Macdonald, il
generale Lapoype con una schiera di Liguri a Bobbio.
Queste mosse dei capitani della repubblica fecero accorti i
generali de' due imperi ch'era loro mestiero di rannodarsi con molta
prestezza, a tale strettezza essendo condotte le cose, che un giorno
solo d'indugio poteva aprir l'occasione di una totale vittoria ai
Franzesi. Per la qual cosa Kray, che stringeva Mantova, convertita
la oppugnazione in assedio, andava a porsi con dieci mila soldati
a Borgoforte sulla riva del Po, rompendo tutti i ponti. Un grosso
di queste genti passarono anche il Po per fare spalla a Klenau ed a
Hohenzollern, ch'erano in pericolo d'essere pressati da Macdonald. Il
principale sforzo del generale franzese accennava contro Hohenzollern;
però Klenau se gli accostava sulla destra. Per tal modo Montrichard
colla destra dei Franzesi andava a ferire Klenau, il grosso
Hohenzollern, Victor con la sinistra Otto, e tutto il pondo della
guerra si riduceva nei ducati di Modena e di Parma. Ma i raccontati
rimedii usati dagli alleati non erano bastanti per distornare la
tempesta, perchè Macdonald solo era più forte di Klenau, Hohenzollern
ed Otto uniti insieme; Moreau assai più di Bellegarde.
Adunque l'importanza dell'impresa era posta nell'esercito proprio
di Suwarow, che insisteva in Piemonte. Se lo vide il generalissimo
di Paolo, e si mise senza indugio a correre con prestissimi passi a
Piacenza, sperando di poter combattere Macdonald prima che si fosse
congiunto con Moreau, e di arrivare a tempo perchè il Franzese non
rompesse del tutto le schiere unite dei tre generali austriaci. Intanto
fortemente già si combatteva sulle rive del Panaro. Il giorno 10 giugno
succedeva un grosso affronto tra i soldati armati alla leggiera delle
due parti, ed i Franzesi furono costretti a ritirarsi con grave perdita
verso le montagne. Si combattè il giorno seguente con uguale ardore da
ambe le parti, e la terra di Sassuolo rimase in poter dei Tedeschi.
Non erano questi moti di molta importanza, e dimostravano piuttosto
un ardore inestimabile di combattere in ambe le parti che un evento
terminativo di battaglie. Ma il 12 giugno fece Macdonald un motivo
assai più grosso per isbrigarsi da quei corpi nemici, che, sebbene
meno grossi de' suoi, il molestavano e gl'impedivano il passo a' suoi
disegni ulteriori. Ordiva per tal modo la forma della fazione che
Hohenzollern ne venisse non solamente rotto, ma ancora impossibilitato
al ritirarsi.
Fecero egregiamente i Franzesi l'opera del loro perito ed audace
capitano. Fu la zuffa sostenuta con grandissimo valore dai Franzesi e
dai Tedeschi, e durò molte ore; i cavalli massimamente andarono alle
prese parecchie volte, e sempre se ne spiccarono laceri e sanguinosi.
Le fanterie vennero replicatamente alla pruova delle baionette. La
sinistra ala dei repubblicani riusciva nell'intento, perchè, cacciati
i Tedeschi ed occupata la strada che dà a Reggio, s'intrometteva
fra Hohenzollern e Otto. La mezza schiera medesimamente del generale
tedesco, dove egli medesimo combatteva animando i suoi, fu obbligata a
piegare e lasciare, fuggendo, Modena in potestà del vincitore. Sarebbe
stato tutto questo corpo austriaco, secondo il disegno ordito dal
generale franzese, circondato o preso se Montrichard avesse vinto sulla
destra come Macdonald aveva sulla mezza e sulla sinistra. Ma Klenau,
non aspettando che il nemico venisse a lui, era uscito a combattere,
ed aveva rotto i repubblicani. La resistenza di Klenau fu la salute
di Hohenzollern; perchè questi, trovate le strade aperte, si ritirava
alla Mirandola; poi, non credendosi sicuro sulla riva sinistra del Po,
venuto a San Benedetto e quivi lasciato un piccolo presidio, varcava
sopra un ponte di barche a San-Nicolò per andarsene ad aspettare
sulla sinistra quello che i fati portassero. Klenau, vittorioso,
poi vinto per le nuove genti mandate da Macdonald contro di lui, si
condusse celeremente alle sue prime stanze di Cento; poscia vieppiù
dilungandosi, andò a posarsi a Vigarano della Mainerba, sito poco
distante da Ferrara. Già Ferrara era piena di spavento, e Klenau vi
faceva provvisioni d'armi e di munizioni, come se il nemico fosse fra
breve per arrivare.
Perdettero gli Austriaci in tutte le raccontate fazioni quindici
centinaia di prigionieri è forse pari numero, tra morti e feriti.
Dei Franzesi mancarono, fra morti e feriti, circa un migliaio; pochi
vennero in poter de' vinti. Macdonald fu ferito non da Tedeschi
nè nella mischia, ma dopo la vittoria da' Franzesi del reggimento
Bussy che militava sotto le insegne austriache. Cinquanta di questi
vollero aprirsi il varco con le armi in mano a traverso i nemici per
raggiungere i compagni; e riuscirono, ridotti da cinquanta a sette.
Era la sorte d'Italia in pendente e doveva fra breve giudicarsi.
Marciava celeremente Macdonald per unirsi a Moreau; Moreau mandava,
come già fu detto, una squadra di Liguri sotto il governo di Lapoype
a Bobbio, perchè servisse di scala alla congiunzione. Egl'intanto si
apparecchiava a sboccare con tutto il suo esercito dalla Bocchetta
per andar all'incontro di Macdonald. Suwarow marciava a gran passi
da Torino per trovare o Moreau o Macdonald innanzi che fra di loro si
fossero congiunti.
Erasi Macdonald, dopo i fatti d'armi combattuti contro Hohenzollern,
condotto in Piacenza, nella quale era entrato il dì 15 di giugno.
Quindi gli si era accostato Victor, che, mandato da Moreau ad
ingrossare l'esercito del compagno, era arrivato al suo destino.
Macdonald, volendo prevenire il nemico e romperlo prima che fosse
fatto più grosso, nè forse sapendo che Suwarow già fosse arrivato con
l'esercito sul campo, incominciava la guerra. Trovavasi il generale
tedesco Otto, come antiguardo, alloggiato fra la Trebbia ed il Tidone.
In questo antiguardo urtando Macdonald, lo sforzava a ritirarsi, a
passar il Tidone ed a correre fino a Castel San Giovanni, inseguendolo
passo passo i cavalleggieri della repubblica. Ma Otto, indietreggiando,
aveva fatto abilità alle prime genti di Suwarow d'arrivare correndo
in suo soccorso; imperciocchè primamente Melas, udito il pericolo
di Otto, aveva celeremente spinto avanti la schiera di Froelich,
che sostenne la impressione dei Franzesi; poscia sopraggiunse
opportunamente la vanguardia russa, e tutte queste genti insieme
unite fecero un tale sforzo che i repubblicani, quantunque con molta
costanza contrastassero, furono rincacciati sulla destra del Tidone.
Sopraggiunse la notte: cessavasi per poche ore dagli sdegni e dalle
ferite. Erano i due eserciti separati dal torrente Tidone.
Avevano i due forti capitani della repubblica e dell'impero preparato,
durante la notte, i soldati loro alla battaglia: erano le due parti
ostinate alla vittoria o alla morte. Comandava Suwarow a' suoi
che venissero in sul primo scontrarsi all'arma bianca, non dessero
quartiere a nissuno e scannassero gridando _urrà, urrà_. Ma nel fatto i
soldati mostrarono maggiore umanità del loro generale. Era l'esercito
repubblicano schierato sulla sinistra della Trebbia, più vicino a
questo fiume che al Tidone. Dalla parte sua Suwarow aveva ordinato
l'esercito per guisa che fosse diviso in quattro parti. Passato il
giorno 18 di giugno il Tidone a guazzo, venivano avanti gli alleati
ad affrontare i repubblicani, che stavano preparati a ricevere l'urto
loro. Avevano i primi fatto pensiero di urtare principalmente la
sinistra del nemico; Bagrazione guidava la vanguardia; ma, essendo
la campagna piena di fossi e di siepi, non arrivava se non tardi al
cimento. I Franzesi, vedutolo a venire, impazienti di aspettarlo, si
scagliarono furiosamente contro di lui. L'impeto loro fu tale che
già i soldati del principe si crollavano e sarebbero anche andati
in rotta s'ei non fosse stato presto a soccorrerli, ordinando una
fortissima carica di cavalleria. Ne seguitò che non solo la fortuna
della battaglia si ristorò dal canto degli alleati, ma ancora i
Franzesi erano rincacciati fino agli alloggiamenti loro. Il quale
accidente veduto da Macdonald, mandava alcuni reggimenti di Victor che
frenarono Bagrazione, e facevano di nuovo piegare la fortuna in loro
favore. In questo punto Rosemberg muoveva Schweicuschi in soccorso di
Bagrazione, e per l'impeto di tante genti si attaccava in questa parte
un'asprissima battaglia che durò molte ore. Al tempo stesso Forster con
la sua vanguardia, composta massimamente di Cosacchi e di uno squadrone
austriaco, si attaccava con la vanguardia repubblicana, e, dopo un
ostinato conflitto, la sforzava a piegare. Sopravvenne il colonnello
Lawarow con alcune compagnie, ed urtando a forza la vanguardia
franzese che già si ritirava, la ruppe. L'impeto delle genti rotte, che
disordinate urtarono nel centro dei repubblicani, lo scompigliarono,
sforzandolo a ritirarsi, acremente perseguitato, oltre la Trebbia.
Macdonald, che vedeva che in questo fatto andava la fama propria e la
fortuna della battaglia, rannodò i suoi di nuovo, facendo in questo
tutte le veci di capitano esperto, valoroso e forte. Indi, bene
ordinato e di nuovo confidente, marciava al riscatto della battaglia.
Ne sorse una mischia molto feroce: Forster era molto pressato, e
sarebbe eziandio stato vinto se Froelich, veduto il caso, non gli
avesse mandato nuove genti in soccorso. Questo avviso di Froelich
ristorò la pugna dalla parte degli alleati; la fortuna si pareggiava.