Annali d'Italia, vol. 8 - 44
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accettare condizioni inonorate e contrarie alla purità delle fede;
Napoli che se fortuna voltasse il viso più benigno a coloro ai quali
fino allora era stata avversa, non si dubitava che non fosse per mutar
fede, confortavano l'Austria a fare un nuovo sforzo anche prima che la
stagione si fosse intiepidita. Solo dava timore la piazza di Mantova,
che si sapeva essere ridotta agli estremi. Ma Wurmser non indugiava
a torre in questo proposito ogni dubbio: assaltava i giorni 19 e 25
novembre con quasi tutto il presidio i repubblicani a Sant'Antonio
ed alla Favorita, ed, avendoli fatti piegare, predava ed introduceva
dentro la piazza non poca quantità di viveri; ed avendo poi avuto
avviso che erano arrivate nel porto alcune barche cariche di munizioni
da bocca ad uso dei Franzesi, usciva nuovamente molto grosso l'11 e 14
dicembre, e le predava: prezioso sussidio alla sue affamate genti.
L'imperatore, cui era gravemente spiaciuta la tardità di Davidovich,
lo richiamava e gli dava lo scambio nel principe di Reuss. Malgrado
l'infelice successo della guerra testè terminata con la sconfitta
d'Arcole, serbava fede ad Alvinzi, il quale si deliberava a nuovi
disegni, e che, per arrivare a' suoi, fini aveva cinquanta mila
combattenti, se non tutti sperimentati, almeno tutti ardenti.
Maravigliosa cosa è il pensare come l'Austria, dopo tante rotte, abbia
potuto raccorre in sì breve tempo un esercito sì grosso. Ma dal Reno
erano venuti più di tre mila soldati, quattro mila dall'Ungheria:
gli altri Stati ereditarii fornivano a proporzione. Risplendè
principalmente la fedeltà e l'ardore dei Viennesi, perchè quattro
mila giovani delle prime famiglie, lasciati, in sì grave pericolo
della patria, gli agi e le morbidezze, e prese le armi, accorrevano
bramosamente fra le nevi del Tirolo, e fra i veterani dell'esercito
al voler riconquistare al loro signore la perduta Italia; e benchè i
maligni si facessero beffe di questa gente, giovinastri chiamandoli e
ciamberlani, si vide alla pruova ch'erano valenti soldati.
Anno di CRISTO MDCCXCVII. Indiz. XV.
PIO VI papa 23.
FRANCESCO II imperatore 6.
Erasi il generale repubblicano ingrossato per nuove genti venute di
Francia: nonostante non arrivava il suo esercito al novero di quello
d'Alvinzi, perchè, passando quarantacinque mila non arrivava ai
cinquanta. L'aveva egli spartito in cinque, schiere principali, una
delle quali, governata da Serrurier, teneva il campo sotto Mantova;
l'altra con Augereau stanziava a Verona, distendendosi verso le regioni
inferiori dell'Adige; la terza, retta da Massena, alloggiava pure in
Verona, ma spingeva le sue genti innanzi per sopravvedere quello che
fosse per annunziare la guerra dalle sponde della Brenta; la quarta,
che obbediva a Joubert, surrogato a Vaubois, guardava le fauci del
Tirolo, avendo il campo alla Corona, a Rivoli e nei luoghi intermezzi;
la quinta finalmente, quale corpo di ricuperazione, e per assicurare la
destra del lago, aveva le sue stanze a Brescia, Peschiera, Desenzano,
Salò e Lonato.
Da tutto questo si può conoscere che Buonaparte si era persuaso che
lo sforzo dei Tedeschi avesse a indirizzarsi contro Verona; ma però,
siccome astuto e prudente capitano, aveva ordinato i suoi per forma,
che, se la tempesta si scagliasse dal Tirolo, fossero in grado di
resisterle, perchè e Joubert era grosso di dieci mila soldati, ed
Augereau e Massena potevano arrivare prestamente in soccorso di lui
a Verona. Il primo a dar le mosse alla sanguinosa guerra che siam per
vedere fu Provera, che, partito da Padova il dì 7 gennaio, si dirizzava
verso Bevilacqua, terra posta sul rivo che chiamano la Fratta. Era
in Bevilacqua il generale Duphot con una squadra che servia come
antiguardo al presidio di Porto Legnago. Il dì 8 sul far del giorno il
principe Hohenzollern marciava contro Bevilacqua difesa da un picciolo
castello; trovato per istrada un grosso corpo repubblicano, che gli
voleva far contrasto, dopo un aspro combattimento lo fugava. Al tempo
medesimo il colonnello Placseck sulla sinistra s'impadroniva del posto
di Caselle, e sulla destra un capitano Giulay occupava i passi di
Merlara e di San Salvaro. Frattanto i Franzesi si erano rinforzati a
Bevilacqua; ma assaliti in diverse parti dagli Alemanni, fu loro forza
di pensare al ritirarsi, e si ridussero a Bonavigo, ed a Porto Legnago,
non senza grave danno. Conseguiti questi primi vantaggi, confidava
Provera di poter presto passar l'Adige tra Ronco e Porto Legnago. Era,
quando seguirono queste prime battaglie, Buonaparte a Bologna, intento
ad ordinar la guerra contro il papa, e non così tosto ne ebbe avviso,
che, giudicando bene del tempo, comandava a due mila soldati, che
già aveva indirizzato contro gli Stati della Chiesa, retrocedessero e
gissero a congiungersi con Augereau, che difendeva le rive dell'Adige
assaltate da Provera.
Buonaparte, poichè tanto stringeva il tempo, e le cose se gli
dimostravano pericolose, condottosi celeremente, e soprastato alquanto
al campo di Mantova per ordinar quello che fosse a farsi in tanto
pericolo, s'avviava a Verona la mattina del 12, dove trovava Massena
alle mani coi Tedeschi venuti a Bassano. Trovavasi l'antiguardo di
Massena a San Michele, poco distante da Verona, quando, assalito dai
Tedeschi, fu costretto a ritirarsi. Ma Massena, uscito fuori con tutti
i suoi, attaccava la battaglia che fu molto aspra e sanguinosa; rimasto
il campo ai Franzesi.
Non insistevano maggiormente gl'imperiali, contenti all'aver fatto
credere al nemico che lo volessero assalire fortemente e grossi in
questa parte. Si ritraevano per iscaltrimento indietro alle montagne;
anzi una parte, guidata da Quosnadowich, si conduceva celeremente e
con molta prestezza per la valle della Brenta a rinforzare Alvinzi
in Tirolo. Nè qui si arrestavano gli Austriaci, perchè sulle due ali
estreme Provera varcava l'Adige il dì 13, non senza molta difficoltà.
Alvinzi sforzava le strette della Corona con avere obbligato Joubert
a ritirarsi sull'alloggiamento forte e fortificato di Rivoli. Pendeva
in tal modo incerto Buonaparte del vero intento dell'avversario;
nè sapendo a qual parte volgersi, se ne stava tuttavia a Verona,
aspettando che il tempo e più aperte dimostrazioni degli Austriaci gli
dessero maggior lume. Nè tardava ad essere appagato del suo desiderio;
perchè, in primo luogo, un Veronese, amatore dei Franzesi e congiunto
d'antica amicizia con Alvinzi, si era segretamente condotto a Trento
per visitarlo, ed ivi soprastato essendo tre giorni, ebbe trovato modo
di copiare tutto il disegno di guerra del generale austriaco, il quale
disegno, tornatosene a Verona, consegnava ad un Pico, Piemontese, che
incontanente lo dava in mano del generalissimo di Francia. Giungevano,
in secondo luogo, lettere espresse di Joubert, che portavano quanto
grossi fossero comparsi gli Austriaci alla Corona.
Buonaparte allora, solito a spingere con incredibile celerità sempre
innanzi le occasioni, comandava a Massena corresse con tutta la sua
schiera a Rivoli più prestamente che potesse. Lo stesso ordine mandava
a Rey, che se ne stava alle stanze di Desenzano e di Lonato. Egli poi,
la notte medesima del 15, si incamminava frettolosamente a Rivoli per
ivi sostenere la fortuna vacillante. Alvinzi aveva ordinato talmente i
suoi, che una parte urtasse contro il forte passo di San Marco occupato
dalla vanguardia di Joubert, e che è la chiave di chi scende dal Tirolo
verso Verona; l'altra, condotta da Liptay, girasse sui monti per andar
a ferir alla schiena il rimanente corpo di Joubert, che alloggiava in
Rivoli. Un'altra colonna grossa di quattro mila soldati, e governata
dal generale Lusignano, girando più alla larga, doveva riuscire più
alle spalle dei Franzesi per la valle del Tasso. Arrivava intanto
Quosnadowich e romoreggiava alla sinistra dell'Adige. Aveva infatti
Alvinzi con un urto gagliardo acquistato il passo di San Marco. Ma non
era ancora spuntato il giorno 14, che Buonaparte già ingrossato dalle
genti più leggieri di Massena, aveva dato dentro a San Marco, e dopo
un grave conflitto se n'era impossessato. Si accorgeva allora Alvinzi
che i suoi pensieri erano stati penetrati, e che, invece di avere a
combattere col solo Joubert, gli era forza di sostenere l'impeto della
maggior parte dell'esercito repubblicano. Ciò cambiava le sue sorti.
Tuttavia, non diminuendo per questa difficoltà della speranza di
vincere, ed essendo già presente il nemico, non aveva più comodità di
cambiare l'ordine incominciato della battaglia, e dovette far fronte
con mosse non acconcie ad un caso inaspettato.
Già si combatteva asprissimamente dalle due parti alle cinque della
mattina, e siccome gli Austriaci, per ordine del loro generale,
puntavano massimamente contro la sinistra dei Franzesi, per secondare
le colonne che giravano alle spalle, così quest'ala franzese ed anche
la mezzana pativano grandemente, e già, crollandosi, si ritiravano
indietro disordinate. Pareva la fortuna inclinare a favore dei
Tedeschi; mosso Buonaparte dall'estremo pericolo, comandava a Berthier
sostenesse l'inimico in mezzo. Egli poi accorreva alla sinistra,
che tuttavia sempre più piegava e pericolava. Sosteneva Berthier un
urto ferocissimo. Questo sforzo e la terribile trigesimaseconda, che
arrivava, ristoravano in questo luogo la battaglia che inclinava. Ma la
sinistra continuava a cedere del campo: era sempre il rischio estremo,
quando ecco arrivare a gran tempesta Massena, ed entrare su questa
parte nella battaglia. Quivi risvegliatasi in lui la solita caldezza,
e combattendo con grandissimo valore, fe' strage orribile del nemico,
e ricuperò alcuni dei siti perduti sulle eminenze. Mentre Massena
reintegrava la fortuna e guadagnava del campo a sinistra, il mezzo e
la destra dei repubblicani acremente incalzati si ritiravano, e già
gli Austriaci erano in punto d'impadronirsi dell'eminenza di Rivoli
ch'era, a chi l'avesse in poter suo, la vittoria della giornata. In
questo momento compariva sulle alture Liptay, e mettendosi alla scesa,
già era vicino a ferire l'ala sinistra dei repubblicani. Quest'era il
momento determinativo della fortuna. Benchè Alvinzi si trovasse colle
schiere divise, perchè le aveva ordinate piuttosto a circondare che a
combattere, tuttavia, spingendosi avanti con mirabile coraggio, avevano
recato in poter loro il fatal Rivoli; ma Buonaparte, veduto che poteva,
per la separazione delle colonne nemiche, riunire i suoi in un grosso
corpo senza pericolo, il fece, e ricuperava con breve battaglia Rivoli.
Spinsero di nuovo avanti i Tedeschi, e dopo, una mischia spaventevole,
se lo pigliavano una seconda volta. Buonaparte, che vedeva stare ad un
punto la fama e la fortuna sua, comandato a Berthier che trattenesse
con la cavalleria i Tedeschi nel piano che fra le alture a sinistra e
Rivoli a destra si apre, acciocchè non potessero aiutare i difensori di
Rivoli, adunava in un solo sforzo tutti gli squadroni che potè raccorre
in quel momento, ed uniti e grossi li conduceva contro Alvinzi,
occupatore per la seconda volta del contrastato passo. Là erano le
sorti d'Italia e di tutta la guerra, là di Mantova si definiva. Mai più
ostinatamente o più coraggiosamente come in questo fatto si combattè.
Ebbero l'uno assalto e l'altro felice fine pei buonapartiani, perchè
Berthier frenava il nemico nel piano, e Joubert, cacciato a forza il
nemico da Rivoli, se ne impossessava.
Intanto già si era per modo accostato Liptay, che incominciava a
percuotere l'ala sinistra de' Franzesi non ancor del tutto rimessa in
ordine dal precedente scompiglio; e tra per questo e per Lusignano,
che già si approssimava, a grande repentaglio eran ridotte le franzesi
sorti. Ma le ristorava, secondo il solito, quel Massena, che sforzava
Liptay a ritirarsi e ricovrare a Caprino. Prevedendo poi l'arrivo di
Lusignano, andava a porre alcune sue genti su certi colli pei quali
si poteva riuscire dietro a Rivoli. A questo modo la fortuna, che sul
principio e per parecchie ore aveva inclinato a favor degl'imperiali,
voltato il viso, guardava propizia i repubblicani, per opera
principalmente di Buonaparte. Rimaneva Lusignano, che poteva ancor
disordinare la vittoria, se non avesse avuto con la rotta di lui la
sua perfezione. Infatti compariva, già erano le nove della mattina, con
terribile mostra, dopo di aver varcato i monti, nella terra di Pesena,
e già s'incamminava più sotto, verso Affi. Nè il frenava il presidio
alloggiato a Rocca di Garda; ma dopo un grosso affronto a Calcina,
aveva continuato il suo viaggio, e già pervenuto sul monte Fiffaro a
fianco ed alle spalle di Rivoli, rendeva dubbia la vittoria.
Mentre così in una battaglia già tante volte vinta e perduta stavano
ancora sospese le sorti, arrivava Rey, che, come abbiamo narrato, per
ordine di Buonaparte veniva da Desenzano e Lonato in luogo donde già
poteva essere di sussidio a' suoi. Velocemente marciando, superati i
monti di Cavaglione colla rotta de' Croati, che li guardavano, aveva
trovato modo di aprirsi la strada fino a Massena. Si avventavano allora
tutti ad un tempo contro Lusignano, Massena da una parte, Mounier
dall'altra, Rey alle spalle per forma che, attorniato da tutte le
bande, soperchiato dal numero soprabbondante de' nemici, fu costretto
a cedere, deponendo l'armi e dandosi con tutti i suoi prigionieri in
poter de' repubblicani. Dava questo fatto piena vittoria a Buonaparte,
il quale, ritirandosi tutta la restante oste d'Alvinzi rapidamente
verso la parte più alta e più aspra del Tirolo, ed avute le novelle
dell'accostarsi di Provera a Mantova, con celerità eguale a quella con
cui aveva camminato da Verona a Rivoli correva da Rivoli a Mantova,
conducendo con sè Massena e la sua schiera, tanto sicuro fondamento
alle vittorie.
Intanto Joubert, al quale partendo aveva dato il carico di perseguitar
l'inimico, mandava sui monti a sinistra Murat coi soldati più veloci,
i quali, dato dentro negli Austriaci, li rompevano con grande terrore.
Fu generale la sconfitta, e, se si eccettuino dieci battaglioni ed
otto squadroni che il giorno innanzi aveva Alvinzi spedito a Bassano
per assicurare quel passo, nissun reggimento si ritirava che intero ed
ordinato fosse. Entrava poi Joubert in Trento con bella e lieta mostra
guerriera.
Spente le speranze dell'Austria nei campi di Rivoli, si ravvivavano
alcun poco, ma per breve tempo, nelle regioni vicine a Mantova. Erasi
Provera accostato all'Adige coll'intento di varcarlo per accorrere
prestamente al sussidio di Mantova. Simulava, per ingannare Augereau
che stava schierato sull'altra riva, ora accennando a Ronco, ora a
Porto Legnago. Ma finalmente, gittatosi improvvisamente ad Anghiari, e
fatto star indietro con le artiglierie i Franzesi che dall'opposta riva
lo oppugnavano, vi piantava il ponte, e varcava, come abbiam detto,
il giorno 13 di gennaio. Non così tosto ebbe Provera effettuato il
passo, che, chiamate a sè le bande spartite, marciava velocemente alla
volta di Mantova; perciocchè nella celerità era riposta la vittoria.
Passava per Cerea, Sanguineto e Nogara: alloggiava in questa ultima
terra la notte del 14. Il dì 15, continuando a viaggiare molto per
tempo e prestamente, passato Castellara, compariva in cospetto di San
Giorgio, sobborgo di Mantova. Il seguitavano più che di passo Guyeux ed
Augereau, e sebbene non potessero giungere il corpo principale, davano
nondimeno addosso al retroguardo, e tutto lo ridussero, armi, soldati
e munizioni, in potestà loro. Tuttavia era ancor Provera grosso di
più di cinque mila soldati. Ma Buonaparte, con celerità, unica quasi
nelle storie, marciando, arrivava contra di lui la notte del 15, e da
ogni parte il circondava. Splendeva il giorno 16: Wurmser e Provera
assaltavano la Favorita e Sant'Antonio. Fu tanto impetuoso l'assalto
del maresciallo, che Dumas posto alla guardia di Sant'Antonio fu
costretto a piegare, lasciando le trincee in mano dei Tedeschi. Mandava
Buonaparte un rinforzo di genti fresche a Dumas, con le quali potè
raffrenare l'impeto del nemico, ma non tanto che Wurmser non arrivasse
sino in cospetto della Favorita; già anzi si accingeva ad assaltar
alle terga i repubblicani che guardavano quelle fortificazioni. Ma non
era passato con la medesima felicità l'assalto dato alla fronte della
Favorita da Provera, perchè, ributtato aspramente da Serrurier, che
stava dentro, non potè far frutto. Wurmser, combattuto validamente da
Victor venuto con le genti da Rivoli, temendo di esser tagliato fuori
da Miollis, che poteva uscire da San Giorgio, ed assalito a mano manca
da Massena, si riduceva prontamente in Mantova.
I Franzesi, liberati dagli assalti di Wurmser, stringevano
viemmaggiormente Provera. Percuotevanlo a fronte Serrurier, a stanca
Victor, a destra Miollis, e già tempestando alle spalle Augereau,
che arrivava da Castellare, gli faceva segno che l'arrendersi era più
sicuro del combattere. Pure perseverava, volendo, se la malvagità della
fortuna lo sforzava a depor le armi, averle almeno usate da guerriero
franco e valoroso. Finalmente, costretto dalla forza sopravanzante,
chiedeva i patti, e gli otteneva. Fecero conspicua la vittoria meglio
di cinque mila prigionieri, dei quali non poca parte erano i volontarii
di Vienna. Grave ed importante vittoria, perchè Mantova restava senza
rimedio; tutta l'Italia in balia dei repubblicani: di una parte erano
padroni per la presenza, dell'altra pel terrore.
Combatterono gli Austriaci in tutte le fazioni raccontate con molto
valore; nè si può negare che i disegni dei capitani loro fossero bene
ordinati; ma mancarono di effetto, primieramente perchè penetrati,
secondariamente per l'incredibile celerità di Buonaparte e de' suoi
soldati. Perdettero gl'imperiali in tutte le descritte battaglie,
inclusa quella di Provera, tra morti, feriti e prigionieri circa venti
mila soldati, con sessanta bocche da fuoco e ventiquattro bandiere.
Tutti i volontarii viennesi furono o morti o presi. Scriveva Buonaparte
essere mancati de' suoi, tra morti e feriti, solamente due mila; ma
furono assai più, e se si noveravano i prigionieri, che però montavano
a poca gente, fu perdita di più di sei mila soldati.
In modo tanto misero si terminava il quarto sforzo dell'Austria a
difesa e a ricuperazione de' suoi Stati italiani. Ma Buonaparte non
era di natura tale che volesse lasciare l'opera imperfetta. Per la
qual cosa, risolutosi a non dar posa al nemico, se non quando ei fosse
giunto in luoghi del tutto insuperabili, e volendo anche avere un
campo più largo a cibare i soldati nelle veneziane pianure, si spingeva
oltre, perseguitando le reliquie dei vinti, i quali, incalzati da tutte
le parti, più non ebbero altro rimedio che di ritirarsi, come fecero,
alle regioni più rotte e quasi del tutto chiuse appresso a Bolzano. I
soldati dell'imperatore, abbandonate intieramente le rive della Brenta,
e financo le sue sorgenti, si riposarono nelle invernali stanze,
avendo la fronte loro distesa dai luoghi più alti della riva destra
del Lavisio, passando per le fonti della Piave vicino a Cadore e per la
sinistra di questo fiume fino alla sua foce. Quivi stavano aspettando
ciò che fossero per portare con sè la stagione migliore e la fortuna
fino allora vittoriosa dello arciduca Carlo, che già si vociferava
avere ad essere fra breve capo dell'esercito italico. I Franzesi,
signori di Bassano e di Treviso, attendevano anch'essi, essendo, pel
sopravvenire della vernata, divenuti i tempi sinistri, dall'un de' lati
a riposarsi, dall'altro a ridurre in potestà loro Mantova, a soggezione
il papa.
Buonaparte, conoscendo che dopo la rotta tanto compiuta degli
Austriaci, era Mantova divenuta sua certa preda, si voltava
incontanente contro il pontefice per condurre a fine con l'armi quello
che aveva incominciato col terrore per la rivoluzione di Modena e
delle due legazioni di Bologna e di Ferrara. Era entrato in Roma uno
spavento grande dopo la sconfitta degl'imperiali; se ne stava dubbio il
pontefice del partito che avesse ad abbracciare. Pure si deliberava a
mostrar il viso alla fortuna, perchè con un vincitore fantastico forse
la pace non sarebbe stata peggiore dopo che prima del combattimento.
Colli dava speranza di poter opporsi con qualche frutto, prendendo i
luoghi e fortificando gli alloggiamenti. Fors'anche credeva Pio che
Buonaparte non si sarebbe ardito di precipitar Roma agli estremi.
Oltre a tutto questo, non si ingnorava pel pontefice che, quantunque
il governo da Francia fosse divenuto tanto potente per le armi, una
debolezza interna il rendeva vacillante, e questa consisteva nelle
credenze cattoliche, che per le persecuzioni e per le disgrazie, erano
ripullulate in Francia: il che rendeva necessario il venire ad una
composizione con Roma.
I consiglieri del Vaticano si prevalevano dell'efficacia di queste
opinioni, e si mettevano al fermo di non voler accettare le condizioni
proposte dal direttorio. Ma a Buonaparte, che ora obbediva al suo
governo ed ora no, piaceva la guerra col pontefice, per ampliazione di
fama, malgrado le dolci parole che indirizzava ora al cardinal Mattei,
ora al pontefice medesimo. E se si considerano le scritture in numero
quasi infinito che ogni giorno si pubblicavano nei paesi conquistati
contro il papa e contro le romane cose, non si potrà in alcun modo
dubitare dei pensieri sinistri che il generale repubblicano nutriva
contro Roma. Anzi procedeva tanto oltre in questo la sfrenatezza,
che sul gran teatro di Milano, a ciò stimolando i capi franzesi che
comandavano in questa città, si dava un ballo in cui erano sconciamente
scherniti il papa ed i cardinali. Costoro adunque, che per tutti i
modi s'ingegnavano d'ingannare e di distruggere il papa, si recavano
poi a male ch'egli tentasse di assicurarsi per mezzo di un'alleanza
coll'Austria. Una lettera che il cardinal Busca, segretario di Stato,
scriveva al prelato Albani mandato dal papa a Vienna, ed intrapresa da
Buonaparte, dava occasione al generalissimo di levar rumore.
Buonaparte, usando la occasione della lettera intercetta, e liberato
dal timore delle armi austriache, sdegnosamente dichiarava a Bologna:
essere rotta la tregua col papa; si apparecchiava a fargli la guerra.
Allegava, avere il pontefice ricusato l'esecuzione de' capitoli ottavo
e nono della tregua; gridato la crociata contro i Franzesi; mandato le
sue genti a minacciar Bologna; intavolato un trattato con l'Austria;
condotto generali ed ufficiali austriaci al suo soldo; ricusato
di rispondere alle proposizioni di Cacault, ministro di Francia a
Roma. Delle quali cose si può dire che se Buonaparte pretendeva che
il pontefice fosse in condizione ostile contro i Franzesi, aveva
ogni ragione, ed anche aveva ragione di correre alle armi contro il
pontefice, giacchè il pontefice se ne stava armato contro Francia.
Ma accusarlo di non aver mandato ad esecuzione certi capitoli della
tregua, non può esser altro se non una seduzione d'intelletto o un
abuso di forza; perchè que' capitoli in ciò consistevano: che il
pontefice desse milioni di denari e vettovaglie ai repubblicani. Ora
il trattato proposto o, per meglio dire, imposto dal direttorio al
pontefice, non essendo stato accettato, non si sa comprendere com'ei
dovesse somministrar mezzi al suo nemico di nuocere a sè medesimo.
Delle altre accuse date a Pio questo si può affermare, che, poichè
l'immoderanza del direttorio avea fatto la pace impossibile, e la
guerra inevitabile, non solo poteva, ma doveva usare ogni modo per
restare assicurato delle cose contro la prepotenza altrui.
Intanto Buonaparte intendeva alle sue preparazioni: circa venti mila
soldati stavano pronti a correre contro il papa; e fra i buonapartiani
erano molti soldati italiani delle due repubbliche transpadana e
cispadana. Buonaparte richiamava da Roma Cacault. Erano nell'oste
destinata a far la guerra al papa cinque legioni di fanti franzesi,
due di cavalli, tre battaglioni di fanti lombardi, altrettanti di
cispadani, con pochi cavalleggieri delle due repubbliche. Comparivano
inoltre due compagnie di fanti polacchi, raccolte di disertori e
prigionieri austriaci: questo fu il primo principio di quella legione
polacca che condotta da Dombrowsky, si acquistò poscia nome nelle
guerre italiche. Adunato il generalissimo tutte queste genti in
Bologna, le spingeva oltre contro lo Stato ecclesiastico, partite
in tre schiere, alle quali aveva preposto Victor, testè fatto chiaro
per la vittoria della Favorita. Guidava la prima Lannes, la seconda
Fiorella, la terza La-Salcette. Ordinavasi una banda di corridori e
feritori alla leggiera, che, composta di Lombardi, aveva, sotto il
colonnello Robillard, carico di sopravvedere il paese ed ingaggiare le
prime battaglie. Marciavano il dì primo febbraio; occupata facilmente
Imola, si avviavano alla volta di Faenza per combattere i pontificii
che stavano accampati sulle rive del Senio. Tenevano Lannes e Fiorella
la strada maestra per a Castelbolognese, La-Salcette i colli a
destra. L'intento loro era d'assaltar di fronte il nemico, e nel tempo
medesimo, esplorando i luoghi sul fiume, riuscirgli alle spalle. Ma
siccome Buonaparte più temeva i popoli che i soldati, così mandava
fuori un bando, parte amichevole, parte minaccioso, col quale dall'un
canto annunziava alle terre pacifiche pace ed amicizia, dall'altro alle
ostili rigore e vendetta.
Intanto a Mantova l'infelice battaglia della Favorita aveva persuaso a
Wurmser che, per la carestia de' viveri, la dedizione era inevitabile.
Ciò nonostante, quel suo invitto animo non ancora si sgomentava,
deliberato a patire qualunque estremità, prima di arrendersi. Eppure
le cose sue erano ridotte in angustissimo luogo: il presidio scemato
per morti frequenti, infievolito da febbri mortalissime gli ospedali,
le case tutte piene di soldati moribondi, chi non inabilitato
dalla malattia, inabilitato dalla disperazione; la ultima fame già
tormentava, oggimai erano consumati tutti gli alimenti, gl'infermi
si moltiplicavano ogni momento, mancavano per loro i rimedii. A tale
era giunta la penuria della piazza, che un uovo si vendeva uno scudo,
un pollo quattro, e non se ne trovava; solo pane era di saggina, sola
carne di cavallo, fresca e poca pei ricchi, salata e poca pei poveri.
Si appiccavano i morbi dai soldati ai cittadini: era in ogni luogo uno
squallore, un fetore, una miseria, che male si potrebbe con le parole
descrivere. Ecco intanto arrivare le acerbe novelle a Wurmser, essere
state predate sul lago trentadue barche cariche di vettovaglie, che
Alvinzi, quand'era in possessione delle rive, aveva inviato in soccorso
della travagliata Mantova. Questo accidente, che toglieva al capitano
dell'Austria la speranza con la quale si sostentava nella estremità
della fame, il fece accorto che gli era oggimai necessità di mandar a
prendere accordo co' Franzesi, poichè certamente il poteva fare senza
macchia dell'onor suo. Mandò dunque dicendo a Serrurier che darebbe
la piazza con certe condizioni che non volle il generale repubblicano
consentire, parendogli troppo alte; pure finalmente si convenne tra
Wurmser e Serrurier in questa sentenza: darebbe il maresciallo ai
Franzesi la città, la fortezza e la cittadella; uscirebbe il presidio
onoratamente secondo gli usi di guerra, deporrebbe le armi fuori
della barriera, restasse prigioniero fino agli scambii; uscisse libero
Wurmser, e con lui liberi i suoi aiutanti, duecento soldati a cavallo,
cinquecento altre persone a sua elezione; solo contro la Francia per
tre mesi non militassero; gissene securamente il presidio a Gorizia
per Legnago, Padova e Treviso; curassersi umanamente i malati ed i
feriti; fosse data venia a ciascuno delle cose fatte, e niun Mantovano
potesse esser ricerco, nè molestato per opinioni o per fatti a favor
dell'imperadore: condizioni onorate conformi all'onorata difesa.
Usciva Wurmser circondato da' suoi liberi soldati: ammiravano in
lui la fortezza e la volontà egregia con un corso di fortuna troppo
indegnamente contraria. Debbonsi lodare i vincitori che con più cortese
dimostrazione il vecchio prode ed infelice guerriero onorarono.
Buonaparte stesso non ommise di esaltare il guerriero austriaco,
scrivendo al direttorio, con altre cose, avere con intento proprio
voluto dimostrare la franzese generosità verso il vecchio Wurmser,
Napoli che se fortuna voltasse il viso più benigno a coloro ai quali
fino allora era stata avversa, non si dubitava che non fosse per mutar
fede, confortavano l'Austria a fare un nuovo sforzo anche prima che la
stagione si fosse intiepidita. Solo dava timore la piazza di Mantova,
che si sapeva essere ridotta agli estremi. Ma Wurmser non indugiava
a torre in questo proposito ogni dubbio: assaltava i giorni 19 e 25
novembre con quasi tutto il presidio i repubblicani a Sant'Antonio
ed alla Favorita, ed, avendoli fatti piegare, predava ed introduceva
dentro la piazza non poca quantità di viveri; ed avendo poi avuto
avviso che erano arrivate nel porto alcune barche cariche di munizioni
da bocca ad uso dei Franzesi, usciva nuovamente molto grosso l'11 e 14
dicembre, e le predava: prezioso sussidio alla sue affamate genti.
L'imperatore, cui era gravemente spiaciuta la tardità di Davidovich,
lo richiamava e gli dava lo scambio nel principe di Reuss. Malgrado
l'infelice successo della guerra testè terminata con la sconfitta
d'Arcole, serbava fede ad Alvinzi, il quale si deliberava a nuovi
disegni, e che, per arrivare a' suoi, fini aveva cinquanta mila
combattenti, se non tutti sperimentati, almeno tutti ardenti.
Maravigliosa cosa è il pensare come l'Austria, dopo tante rotte, abbia
potuto raccorre in sì breve tempo un esercito sì grosso. Ma dal Reno
erano venuti più di tre mila soldati, quattro mila dall'Ungheria:
gli altri Stati ereditarii fornivano a proporzione. Risplendè
principalmente la fedeltà e l'ardore dei Viennesi, perchè quattro
mila giovani delle prime famiglie, lasciati, in sì grave pericolo
della patria, gli agi e le morbidezze, e prese le armi, accorrevano
bramosamente fra le nevi del Tirolo, e fra i veterani dell'esercito
al voler riconquistare al loro signore la perduta Italia; e benchè i
maligni si facessero beffe di questa gente, giovinastri chiamandoli e
ciamberlani, si vide alla pruova ch'erano valenti soldati.
Anno di CRISTO MDCCXCVII. Indiz. XV.
PIO VI papa 23.
FRANCESCO II imperatore 6.
Erasi il generale repubblicano ingrossato per nuove genti venute di
Francia: nonostante non arrivava il suo esercito al novero di quello
d'Alvinzi, perchè, passando quarantacinque mila non arrivava ai
cinquanta. L'aveva egli spartito in cinque, schiere principali, una
delle quali, governata da Serrurier, teneva il campo sotto Mantova;
l'altra con Augereau stanziava a Verona, distendendosi verso le regioni
inferiori dell'Adige; la terza, retta da Massena, alloggiava pure in
Verona, ma spingeva le sue genti innanzi per sopravvedere quello che
fosse per annunziare la guerra dalle sponde della Brenta; la quarta,
che obbediva a Joubert, surrogato a Vaubois, guardava le fauci del
Tirolo, avendo il campo alla Corona, a Rivoli e nei luoghi intermezzi;
la quinta finalmente, quale corpo di ricuperazione, e per assicurare la
destra del lago, aveva le sue stanze a Brescia, Peschiera, Desenzano,
Salò e Lonato.
Da tutto questo si può conoscere che Buonaparte si era persuaso che
lo sforzo dei Tedeschi avesse a indirizzarsi contro Verona; ma però,
siccome astuto e prudente capitano, aveva ordinato i suoi per forma,
che, se la tempesta si scagliasse dal Tirolo, fossero in grado di
resisterle, perchè e Joubert era grosso di dieci mila soldati, ed
Augereau e Massena potevano arrivare prestamente in soccorso di lui
a Verona. Il primo a dar le mosse alla sanguinosa guerra che siam per
vedere fu Provera, che, partito da Padova il dì 7 gennaio, si dirizzava
verso Bevilacqua, terra posta sul rivo che chiamano la Fratta. Era
in Bevilacqua il generale Duphot con una squadra che servia come
antiguardo al presidio di Porto Legnago. Il dì 8 sul far del giorno il
principe Hohenzollern marciava contro Bevilacqua difesa da un picciolo
castello; trovato per istrada un grosso corpo repubblicano, che gli
voleva far contrasto, dopo un aspro combattimento lo fugava. Al tempo
medesimo il colonnello Placseck sulla sinistra s'impadroniva del posto
di Caselle, e sulla destra un capitano Giulay occupava i passi di
Merlara e di San Salvaro. Frattanto i Franzesi si erano rinforzati a
Bevilacqua; ma assaliti in diverse parti dagli Alemanni, fu loro forza
di pensare al ritirarsi, e si ridussero a Bonavigo, ed a Porto Legnago,
non senza grave danno. Conseguiti questi primi vantaggi, confidava
Provera di poter presto passar l'Adige tra Ronco e Porto Legnago. Era,
quando seguirono queste prime battaglie, Buonaparte a Bologna, intento
ad ordinar la guerra contro il papa, e non così tosto ne ebbe avviso,
che, giudicando bene del tempo, comandava a due mila soldati, che
già aveva indirizzato contro gli Stati della Chiesa, retrocedessero e
gissero a congiungersi con Augereau, che difendeva le rive dell'Adige
assaltate da Provera.
Buonaparte, poichè tanto stringeva il tempo, e le cose se gli
dimostravano pericolose, condottosi celeremente, e soprastato alquanto
al campo di Mantova per ordinar quello che fosse a farsi in tanto
pericolo, s'avviava a Verona la mattina del 12, dove trovava Massena
alle mani coi Tedeschi venuti a Bassano. Trovavasi l'antiguardo di
Massena a San Michele, poco distante da Verona, quando, assalito dai
Tedeschi, fu costretto a ritirarsi. Ma Massena, uscito fuori con tutti
i suoi, attaccava la battaglia che fu molto aspra e sanguinosa; rimasto
il campo ai Franzesi.
Non insistevano maggiormente gl'imperiali, contenti all'aver fatto
credere al nemico che lo volessero assalire fortemente e grossi in
questa parte. Si ritraevano per iscaltrimento indietro alle montagne;
anzi una parte, guidata da Quosnadowich, si conduceva celeremente e
con molta prestezza per la valle della Brenta a rinforzare Alvinzi
in Tirolo. Nè qui si arrestavano gli Austriaci, perchè sulle due ali
estreme Provera varcava l'Adige il dì 13, non senza molta difficoltà.
Alvinzi sforzava le strette della Corona con avere obbligato Joubert
a ritirarsi sull'alloggiamento forte e fortificato di Rivoli. Pendeva
in tal modo incerto Buonaparte del vero intento dell'avversario;
nè sapendo a qual parte volgersi, se ne stava tuttavia a Verona,
aspettando che il tempo e più aperte dimostrazioni degli Austriaci gli
dessero maggior lume. Nè tardava ad essere appagato del suo desiderio;
perchè, in primo luogo, un Veronese, amatore dei Franzesi e congiunto
d'antica amicizia con Alvinzi, si era segretamente condotto a Trento
per visitarlo, ed ivi soprastato essendo tre giorni, ebbe trovato modo
di copiare tutto il disegno di guerra del generale austriaco, il quale
disegno, tornatosene a Verona, consegnava ad un Pico, Piemontese, che
incontanente lo dava in mano del generalissimo di Francia. Giungevano,
in secondo luogo, lettere espresse di Joubert, che portavano quanto
grossi fossero comparsi gli Austriaci alla Corona.
Buonaparte allora, solito a spingere con incredibile celerità sempre
innanzi le occasioni, comandava a Massena corresse con tutta la sua
schiera a Rivoli più prestamente che potesse. Lo stesso ordine mandava
a Rey, che se ne stava alle stanze di Desenzano e di Lonato. Egli poi,
la notte medesima del 15, si incamminava frettolosamente a Rivoli per
ivi sostenere la fortuna vacillante. Alvinzi aveva ordinato talmente i
suoi, che una parte urtasse contro il forte passo di San Marco occupato
dalla vanguardia di Joubert, e che è la chiave di chi scende dal Tirolo
verso Verona; l'altra, condotta da Liptay, girasse sui monti per andar
a ferir alla schiena il rimanente corpo di Joubert, che alloggiava in
Rivoli. Un'altra colonna grossa di quattro mila soldati, e governata
dal generale Lusignano, girando più alla larga, doveva riuscire più
alle spalle dei Franzesi per la valle del Tasso. Arrivava intanto
Quosnadowich e romoreggiava alla sinistra dell'Adige. Aveva infatti
Alvinzi con un urto gagliardo acquistato il passo di San Marco. Ma non
era ancora spuntato il giorno 14, che Buonaparte già ingrossato dalle
genti più leggieri di Massena, aveva dato dentro a San Marco, e dopo
un grave conflitto se n'era impossessato. Si accorgeva allora Alvinzi
che i suoi pensieri erano stati penetrati, e che, invece di avere a
combattere col solo Joubert, gli era forza di sostenere l'impeto della
maggior parte dell'esercito repubblicano. Ciò cambiava le sue sorti.
Tuttavia, non diminuendo per questa difficoltà della speranza di
vincere, ed essendo già presente il nemico, non aveva più comodità di
cambiare l'ordine incominciato della battaglia, e dovette far fronte
con mosse non acconcie ad un caso inaspettato.
Già si combatteva asprissimamente dalle due parti alle cinque della
mattina, e siccome gli Austriaci, per ordine del loro generale,
puntavano massimamente contro la sinistra dei Franzesi, per secondare
le colonne che giravano alle spalle, così quest'ala franzese ed anche
la mezzana pativano grandemente, e già, crollandosi, si ritiravano
indietro disordinate. Pareva la fortuna inclinare a favore dei
Tedeschi; mosso Buonaparte dall'estremo pericolo, comandava a Berthier
sostenesse l'inimico in mezzo. Egli poi accorreva alla sinistra,
che tuttavia sempre più piegava e pericolava. Sosteneva Berthier un
urto ferocissimo. Questo sforzo e la terribile trigesimaseconda, che
arrivava, ristoravano in questo luogo la battaglia che inclinava. Ma la
sinistra continuava a cedere del campo: era sempre il rischio estremo,
quando ecco arrivare a gran tempesta Massena, ed entrare su questa
parte nella battaglia. Quivi risvegliatasi in lui la solita caldezza,
e combattendo con grandissimo valore, fe' strage orribile del nemico,
e ricuperò alcuni dei siti perduti sulle eminenze. Mentre Massena
reintegrava la fortuna e guadagnava del campo a sinistra, il mezzo e
la destra dei repubblicani acremente incalzati si ritiravano, e già
gli Austriaci erano in punto d'impadronirsi dell'eminenza di Rivoli
ch'era, a chi l'avesse in poter suo, la vittoria della giornata. In
questo momento compariva sulle alture Liptay, e mettendosi alla scesa,
già era vicino a ferire l'ala sinistra dei repubblicani. Quest'era il
momento determinativo della fortuna. Benchè Alvinzi si trovasse colle
schiere divise, perchè le aveva ordinate piuttosto a circondare che a
combattere, tuttavia, spingendosi avanti con mirabile coraggio, avevano
recato in poter loro il fatal Rivoli; ma Buonaparte, veduto che poteva,
per la separazione delle colonne nemiche, riunire i suoi in un grosso
corpo senza pericolo, il fece, e ricuperava con breve battaglia Rivoli.
Spinsero di nuovo avanti i Tedeschi, e dopo, una mischia spaventevole,
se lo pigliavano una seconda volta. Buonaparte, che vedeva stare ad un
punto la fama e la fortuna sua, comandato a Berthier che trattenesse
con la cavalleria i Tedeschi nel piano che fra le alture a sinistra e
Rivoli a destra si apre, acciocchè non potessero aiutare i difensori di
Rivoli, adunava in un solo sforzo tutti gli squadroni che potè raccorre
in quel momento, ed uniti e grossi li conduceva contro Alvinzi,
occupatore per la seconda volta del contrastato passo. Là erano le
sorti d'Italia e di tutta la guerra, là di Mantova si definiva. Mai più
ostinatamente o più coraggiosamente come in questo fatto si combattè.
Ebbero l'uno assalto e l'altro felice fine pei buonapartiani, perchè
Berthier frenava il nemico nel piano, e Joubert, cacciato a forza il
nemico da Rivoli, se ne impossessava.
Intanto già si era per modo accostato Liptay, che incominciava a
percuotere l'ala sinistra de' Franzesi non ancor del tutto rimessa in
ordine dal precedente scompiglio; e tra per questo e per Lusignano,
che già si approssimava, a grande repentaglio eran ridotte le franzesi
sorti. Ma le ristorava, secondo il solito, quel Massena, che sforzava
Liptay a ritirarsi e ricovrare a Caprino. Prevedendo poi l'arrivo di
Lusignano, andava a porre alcune sue genti su certi colli pei quali
si poteva riuscire dietro a Rivoli. A questo modo la fortuna, che sul
principio e per parecchie ore aveva inclinato a favor degl'imperiali,
voltato il viso, guardava propizia i repubblicani, per opera
principalmente di Buonaparte. Rimaneva Lusignano, che poteva ancor
disordinare la vittoria, se non avesse avuto con la rotta di lui la
sua perfezione. Infatti compariva, già erano le nove della mattina, con
terribile mostra, dopo di aver varcato i monti, nella terra di Pesena,
e già s'incamminava più sotto, verso Affi. Nè il frenava il presidio
alloggiato a Rocca di Garda; ma dopo un grosso affronto a Calcina,
aveva continuato il suo viaggio, e già pervenuto sul monte Fiffaro a
fianco ed alle spalle di Rivoli, rendeva dubbia la vittoria.
Mentre così in una battaglia già tante volte vinta e perduta stavano
ancora sospese le sorti, arrivava Rey, che, come abbiamo narrato, per
ordine di Buonaparte veniva da Desenzano e Lonato in luogo donde già
poteva essere di sussidio a' suoi. Velocemente marciando, superati i
monti di Cavaglione colla rotta de' Croati, che li guardavano, aveva
trovato modo di aprirsi la strada fino a Massena. Si avventavano allora
tutti ad un tempo contro Lusignano, Massena da una parte, Mounier
dall'altra, Rey alle spalle per forma che, attorniato da tutte le
bande, soperchiato dal numero soprabbondante de' nemici, fu costretto
a cedere, deponendo l'armi e dandosi con tutti i suoi prigionieri in
poter de' repubblicani. Dava questo fatto piena vittoria a Buonaparte,
il quale, ritirandosi tutta la restante oste d'Alvinzi rapidamente
verso la parte più alta e più aspra del Tirolo, ed avute le novelle
dell'accostarsi di Provera a Mantova, con celerità eguale a quella con
cui aveva camminato da Verona a Rivoli correva da Rivoli a Mantova,
conducendo con sè Massena e la sua schiera, tanto sicuro fondamento
alle vittorie.
Intanto Joubert, al quale partendo aveva dato il carico di perseguitar
l'inimico, mandava sui monti a sinistra Murat coi soldati più veloci,
i quali, dato dentro negli Austriaci, li rompevano con grande terrore.
Fu generale la sconfitta, e, se si eccettuino dieci battaglioni ed
otto squadroni che il giorno innanzi aveva Alvinzi spedito a Bassano
per assicurare quel passo, nissun reggimento si ritirava che intero ed
ordinato fosse. Entrava poi Joubert in Trento con bella e lieta mostra
guerriera.
Spente le speranze dell'Austria nei campi di Rivoli, si ravvivavano
alcun poco, ma per breve tempo, nelle regioni vicine a Mantova. Erasi
Provera accostato all'Adige coll'intento di varcarlo per accorrere
prestamente al sussidio di Mantova. Simulava, per ingannare Augereau
che stava schierato sull'altra riva, ora accennando a Ronco, ora a
Porto Legnago. Ma finalmente, gittatosi improvvisamente ad Anghiari, e
fatto star indietro con le artiglierie i Franzesi che dall'opposta riva
lo oppugnavano, vi piantava il ponte, e varcava, come abbiam detto,
il giorno 13 di gennaio. Non così tosto ebbe Provera effettuato il
passo, che, chiamate a sè le bande spartite, marciava velocemente alla
volta di Mantova; perciocchè nella celerità era riposta la vittoria.
Passava per Cerea, Sanguineto e Nogara: alloggiava in questa ultima
terra la notte del 14. Il dì 15, continuando a viaggiare molto per
tempo e prestamente, passato Castellara, compariva in cospetto di San
Giorgio, sobborgo di Mantova. Il seguitavano più che di passo Guyeux ed
Augereau, e sebbene non potessero giungere il corpo principale, davano
nondimeno addosso al retroguardo, e tutto lo ridussero, armi, soldati
e munizioni, in potestà loro. Tuttavia era ancor Provera grosso di
più di cinque mila soldati. Ma Buonaparte, con celerità, unica quasi
nelle storie, marciando, arrivava contra di lui la notte del 15, e da
ogni parte il circondava. Splendeva il giorno 16: Wurmser e Provera
assaltavano la Favorita e Sant'Antonio. Fu tanto impetuoso l'assalto
del maresciallo, che Dumas posto alla guardia di Sant'Antonio fu
costretto a piegare, lasciando le trincee in mano dei Tedeschi. Mandava
Buonaparte un rinforzo di genti fresche a Dumas, con le quali potè
raffrenare l'impeto del nemico, ma non tanto che Wurmser non arrivasse
sino in cospetto della Favorita; già anzi si accingeva ad assaltar
alle terga i repubblicani che guardavano quelle fortificazioni. Ma non
era passato con la medesima felicità l'assalto dato alla fronte della
Favorita da Provera, perchè, ributtato aspramente da Serrurier, che
stava dentro, non potè far frutto. Wurmser, combattuto validamente da
Victor venuto con le genti da Rivoli, temendo di esser tagliato fuori
da Miollis, che poteva uscire da San Giorgio, ed assalito a mano manca
da Massena, si riduceva prontamente in Mantova.
I Franzesi, liberati dagli assalti di Wurmser, stringevano
viemmaggiormente Provera. Percuotevanlo a fronte Serrurier, a stanca
Victor, a destra Miollis, e già tempestando alle spalle Augereau,
che arrivava da Castellare, gli faceva segno che l'arrendersi era più
sicuro del combattere. Pure perseverava, volendo, se la malvagità della
fortuna lo sforzava a depor le armi, averle almeno usate da guerriero
franco e valoroso. Finalmente, costretto dalla forza sopravanzante,
chiedeva i patti, e gli otteneva. Fecero conspicua la vittoria meglio
di cinque mila prigionieri, dei quali non poca parte erano i volontarii
di Vienna. Grave ed importante vittoria, perchè Mantova restava senza
rimedio; tutta l'Italia in balia dei repubblicani: di una parte erano
padroni per la presenza, dell'altra pel terrore.
Combatterono gli Austriaci in tutte le fazioni raccontate con molto
valore; nè si può negare che i disegni dei capitani loro fossero bene
ordinati; ma mancarono di effetto, primieramente perchè penetrati,
secondariamente per l'incredibile celerità di Buonaparte e de' suoi
soldati. Perdettero gl'imperiali in tutte le descritte battaglie,
inclusa quella di Provera, tra morti, feriti e prigionieri circa venti
mila soldati, con sessanta bocche da fuoco e ventiquattro bandiere.
Tutti i volontarii viennesi furono o morti o presi. Scriveva Buonaparte
essere mancati de' suoi, tra morti e feriti, solamente due mila; ma
furono assai più, e se si noveravano i prigionieri, che però montavano
a poca gente, fu perdita di più di sei mila soldati.
In modo tanto misero si terminava il quarto sforzo dell'Austria a
difesa e a ricuperazione de' suoi Stati italiani. Ma Buonaparte non
era di natura tale che volesse lasciare l'opera imperfetta. Per la
qual cosa, risolutosi a non dar posa al nemico, se non quando ei fosse
giunto in luoghi del tutto insuperabili, e volendo anche avere un
campo più largo a cibare i soldati nelle veneziane pianure, si spingeva
oltre, perseguitando le reliquie dei vinti, i quali, incalzati da tutte
le parti, più non ebbero altro rimedio che di ritirarsi, come fecero,
alle regioni più rotte e quasi del tutto chiuse appresso a Bolzano. I
soldati dell'imperatore, abbandonate intieramente le rive della Brenta,
e financo le sue sorgenti, si riposarono nelle invernali stanze,
avendo la fronte loro distesa dai luoghi più alti della riva destra
del Lavisio, passando per le fonti della Piave vicino a Cadore e per la
sinistra di questo fiume fino alla sua foce. Quivi stavano aspettando
ciò che fossero per portare con sè la stagione migliore e la fortuna
fino allora vittoriosa dello arciduca Carlo, che già si vociferava
avere ad essere fra breve capo dell'esercito italico. I Franzesi,
signori di Bassano e di Treviso, attendevano anch'essi, essendo, pel
sopravvenire della vernata, divenuti i tempi sinistri, dall'un de' lati
a riposarsi, dall'altro a ridurre in potestà loro Mantova, a soggezione
il papa.
Buonaparte, conoscendo che dopo la rotta tanto compiuta degli
Austriaci, era Mantova divenuta sua certa preda, si voltava
incontanente contro il pontefice per condurre a fine con l'armi quello
che aveva incominciato col terrore per la rivoluzione di Modena e
delle due legazioni di Bologna e di Ferrara. Era entrato in Roma uno
spavento grande dopo la sconfitta degl'imperiali; se ne stava dubbio il
pontefice del partito che avesse ad abbracciare. Pure si deliberava a
mostrar il viso alla fortuna, perchè con un vincitore fantastico forse
la pace non sarebbe stata peggiore dopo che prima del combattimento.
Colli dava speranza di poter opporsi con qualche frutto, prendendo i
luoghi e fortificando gli alloggiamenti. Fors'anche credeva Pio che
Buonaparte non si sarebbe ardito di precipitar Roma agli estremi.
Oltre a tutto questo, non si ingnorava pel pontefice che, quantunque
il governo da Francia fosse divenuto tanto potente per le armi, una
debolezza interna il rendeva vacillante, e questa consisteva nelle
credenze cattoliche, che per le persecuzioni e per le disgrazie, erano
ripullulate in Francia: il che rendeva necessario il venire ad una
composizione con Roma.
I consiglieri del Vaticano si prevalevano dell'efficacia di queste
opinioni, e si mettevano al fermo di non voler accettare le condizioni
proposte dal direttorio. Ma a Buonaparte, che ora obbediva al suo
governo ed ora no, piaceva la guerra col pontefice, per ampliazione di
fama, malgrado le dolci parole che indirizzava ora al cardinal Mattei,
ora al pontefice medesimo. E se si considerano le scritture in numero
quasi infinito che ogni giorno si pubblicavano nei paesi conquistati
contro il papa e contro le romane cose, non si potrà in alcun modo
dubitare dei pensieri sinistri che il generale repubblicano nutriva
contro Roma. Anzi procedeva tanto oltre in questo la sfrenatezza,
che sul gran teatro di Milano, a ciò stimolando i capi franzesi che
comandavano in questa città, si dava un ballo in cui erano sconciamente
scherniti il papa ed i cardinali. Costoro adunque, che per tutti i
modi s'ingegnavano d'ingannare e di distruggere il papa, si recavano
poi a male ch'egli tentasse di assicurarsi per mezzo di un'alleanza
coll'Austria. Una lettera che il cardinal Busca, segretario di Stato,
scriveva al prelato Albani mandato dal papa a Vienna, ed intrapresa da
Buonaparte, dava occasione al generalissimo di levar rumore.
Buonaparte, usando la occasione della lettera intercetta, e liberato
dal timore delle armi austriache, sdegnosamente dichiarava a Bologna:
essere rotta la tregua col papa; si apparecchiava a fargli la guerra.
Allegava, avere il pontefice ricusato l'esecuzione de' capitoli ottavo
e nono della tregua; gridato la crociata contro i Franzesi; mandato le
sue genti a minacciar Bologna; intavolato un trattato con l'Austria;
condotto generali ed ufficiali austriaci al suo soldo; ricusato
di rispondere alle proposizioni di Cacault, ministro di Francia a
Roma. Delle quali cose si può dire che se Buonaparte pretendeva che
il pontefice fosse in condizione ostile contro i Franzesi, aveva
ogni ragione, ed anche aveva ragione di correre alle armi contro il
pontefice, giacchè il pontefice se ne stava armato contro Francia.
Ma accusarlo di non aver mandato ad esecuzione certi capitoli della
tregua, non può esser altro se non una seduzione d'intelletto o un
abuso di forza; perchè que' capitoli in ciò consistevano: che il
pontefice desse milioni di denari e vettovaglie ai repubblicani. Ora
il trattato proposto o, per meglio dire, imposto dal direttorio al
pontefice, non essendo stato accettato, non si sa comprendere com'ei
dovesse somministrar mezzi al suo nemico di nuocere a sè medesimo.
Delle altre accuse date a Pio questo si può affermare, che, poichè
l'immoderanza del direttorio avea fatto la pace impossibile, e la
guerra inevitabile, non solo poteva, ma doveva usare ogni modo per
restare assicurato delle cose contro la prepotenza altrui.
Intanto Buonaparte intendeva alle sue preparazioni: circa venti mila
soldati stavano pronti a correre contro il papa; e fra i buonapartiani
erano molti soldati italiani delle due repubbliche transpadana e
cispadana. Buonaparte richiamava da Roma Cacault. Erano nell'oste
destinata a far la guerra al papa cinque legioni di fanti franzesi,
due di cavalli, tre battaglioni di fanti lombardi, altrettanti di
cispadani, con pochi cavalleggieri delle due repubbliche. Comparivano
inoltre due compagnie di fanti polacchi, raccolte di disertori e
prigionieri austriaci: questo fu il primo principio di quella legione
polacca che condotta da Dombrowsky, si acquistò poscia nome nelle
guerre italiche. Adunato il generalissimo tutte queste genti in
Bologna, le spingeva oltre contro lo Stato ecclesiastico, partite
in tre schiere, alle quali aveva preposto Victor, testè fatto chiaro
per la vittoria della Favorita. Guidava la prima Lannes, la seconda
Fiorella, la terza La-Salcette. Ordinavasi una banda di corridori e
feritori alla leggiera, che, composta di Lombardi, aveva, sotto il
colonnello Robillard, carico di sopravvedere il paese ed ingaggiare le
prime battaglie. Marciavano il dì primo febbraio; occupata facilmente
Imola, si avviavano alla volta di Faenza per combattere i pontificii
che stavano accampati sulle rive del Senio. Tenevano Lannes e Fiorella
la strada maestra per a Castelbolognese, La-Salcette i colli a
destra. L'intento loro era d'assaltar di fronte il nemico, e nel tempo
medesimo, esplorando i luoghi sul fiume, riuscirgli alle spalle. Ma
siccome Buonaparte più temeva i popoli che i soldati, così mandava
fuori un bando, parte amichevole, parte minaccioso, col quale dall'un
canto annunziava alle terre pacifiche pace ed amicizia, dall'altro alle
ostili rigore e vendetta.
Intanto a Mantova l'infelice battaglia della Favorita aveva persuaso a
Wurmser che, per la carestia de' viveri, la dedizione era inevitabile.
Ciò nonostante, quel suo invitto animo non ancora si sgomentava,
deliberato a patire qualunque estremità, prima di arrendersi. Eppure
le cose sue erano ridotte in angustissimo luogo: il presidio scemato
per morti frequenti, infievolito da febbri mortalissime gli ospedali,
le case tutte piene di soldati moribondi, chi non inabilitato
dalla malattia, inabilitato dalla disperazione; la ultima fame già
tormentava, oggimai erano consumati tutti gli alimenti, gl'infermi
si moltiplicavano ogni momento, mancavano per loro i rimedii. A tale
era giunta la penuria della piazza, che un uovo si vendeva uno scudo,
un pollo quattro, e non se ne trovava; solo pane era di saggina, sola
carne di cavallo, fresca e poca pei ricchi, salata e poca pei poveri.
Si appiccavano i morbi dai soldati ai cittadini: era in ogni luogo uno
squallore, un fetore, una miseria, che male si potrebbe con le parole
descrivere. Ecco intanto arrivare le acerbe novelle a Wurmser, essere
state predate sul lago trentadue barche cariche di vettovaglie, che
Alvinzi, quand'era in possessione delle rive, aveva inviato in soccorso
della travagliata Mantova. Questo accidente, che toglieva al capitano
dell'Austria la speranza con la quale si sostentava nella estremità
della fame, il fece accorto che gli era oggimai necessità di mandar a
prendere accordo co' Franzesi, poichè certamente il poteva fare senza
macchia dell'onor suo. Mandò dunque dicendo a Serrurier che darebbe
la piazza con certe condizioni che non volle il generale repubblicano
consentire, parendogli troppo alte; pure finalmente si convenne tra
Wurmser e Serrurier in questa sentenza: darebbe il maresciallo ai
Franzesi la città, la fortezza e la cittadella; uscirebbe il presidio
onoratamente secondo gli usi di guerra, deporrebbe le armi fuori
della barriera, restasse prigioniero fino agli scambii; uscisse libero
Wurmser, e con lui liberi i suoi aiutanti, duecento soldati a cavallo,
cinquecento altre persone a sua elezione; solo contro la Francia per
tre mesi non militassero; gissene securamente il presidio a Gorizia
per Legnago, Padova e Treviso; curassersi umanamente i malati ed i
feriti; fosse data venia a ciascuno delle cose fatte, e niun Mantovano
potesse esser ricerco, nè molestato per opinioni o per fatti a favor
dell'imperadore: condizioni onorate conformi all'onorata difesa.
Usciva Wurmser circondato da' suoi liberi soldati: ammiravano in
lui la fortezza e la volontà egregia con un corso di fortuna troppo
indegnamente contraria. Debbonsi lodare i vincitori che con più cortese
dimostrazione il vecchio prode ed infelice guerriero onorarono.
Buonaparte stesso non ommise di esaltare il guerriero austriaco,
scrivendo al direttorio, con altre cose, avere con intento proprio
voluto dimostrare la franzese generosità verso il vecchio Wurmser,
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