Annali d'Italia, vol. 7 - 34
Stavano intanto i curiosi aspettando di vedere, dopo tante dicerie
e lunari, qual esito o destino fossero per avere gli affari della
Corsica, tuttavia fluttuante, e non mai pacificata. Perchè le truppe
Franzesi aveano quivi preso sì lungo riposo, sognarono i novellisti
che la repubblica di Genova fosse in trattato di vendere quell'isola
alla Francia, o di permutarla con qualche altro Stato, o di darla
all'infante di Spagna _don Filippo_ genero del re Cristianissimo.
La vanità di sì fatte immaginazioni in fine si scopri. Non terminò
l'anno presente che la corte di Francia, entrata in impegni di maggior
conseguenza, richiamò il _marchese di Maillebois_ colle sue truppe
in Provenza; laonde la Corsica, accorrendo ogni dì nuovi banditi, e
sciolta dal rispetto e timore de' Franzesi, tornò a poco a poco al
solito giuoco della ribellione, con isdegno e pentimento de' Genovesi,
che tanto aveano speso in procurar de' medici a quella cancrena. Con
tali successi arrivò il fine dell'anno presente; anno, che con tanti
preparamenti di guerra prometteva calamità di lunga mano maggiori al
seguente; ed anno, in cui, oltre alle rivoluzioni dell'Austria, Boemia
e Slesia, altre se ne videro nella Gran Russia, alla quale ancora fu
dichiarata la guerra dagli Svezzesi collegati colla Porta Ottomana; ma
con tornare essa guerra solamente in isvantaggio della Svezia medesima,
non assistita poi dai Turchi, nè capace di far fronte alle superiori
forze della Russia.
Anno di CRISTO MDCCXLII. Indizione V.
BENEDETTO XIV papa 3.
CARLO VII imperadore 1.
Più d'un anno correva che restava vacante il seggio imperiale, non
tanto per li diversi interessi ed inclinazioni degli elettori, quanto
per la disputa insorta intorno al voto della Boemia, il quale veniva
contrastato o negato da chi o per amore o per forza seguitava le
istruzioni della Francia, per essere caduto quel regno in donna, cioè
nella regina d'Ungheria _Maria Teresa d'Austria_. Ma da che _Carlo
Alberto_ duca ed elettor di Baviera si fu impadronito di Praga capitale
d'essa Boemia, e nel dì 19 del precedente dicembre si fece prestare
omaggio dai deputati ecclesiastici e secolari delle città boeme,
forzate fin qui alla sua ubbidienza: si procedè finalmente nella città
di Francoforte all'elezione di un nuovo imperadore nel dì 24 di gennaio
dell'anno presente. Concorsero i voti degli elettori nella persona del
suddetto elettore di Baviera, che da lì innanzi fu intitolato _Carlo
VII Augusto_. Contro di tale elezione la regina d'Ungheria non lasciò
di far le occorrenti proteste. Comparve poscia in quella città il
novello imperadore nel dì 31 del mese suddetto, accolto con incredibil
magnificenza, e nel dì 12 di febbraio seguì la suntuosa funzione
dell'incoronamento suo. Susseguentemente nel dì 8 di marzo con gran
solennità fu coronata imperadrice de' Romani l'Augusta _Maria Amalia_
d'Austria consorte del nuovo imperadore. Non si potea vedere in più
bell'auge l'elettoral casa di Baviera, giunta dopo più secoli a riavere
il diadema imperiale, divenuta padrona del regno di Boemia e di parte
dell'Austria, ed assistita dalla potentissima corte di Francia. O prima
d'ora, o in queste circostanze, si trovò in tal costernazione la corte
austriaca per sentirsi sola e abbandonata in questa gran tempesta, e
dopo aver perduto tanto, in pericolo ancora di perdere molto più, se
non anche tutto, che nel suo consiglio persona vi fu che stimò bene
di persuader la pace anche col sacrifizio della Boemia. Fu questa una
stoccata al cuore della regina. Altro consigliere poi si fabbricò un
buon luogo nella grazia della maestà sua per l'avvenire coll'animare
il di lei coraggio, e conchiudere che si avea a fare ogni possibil
resistenza, confidando nella protezione di Dio per la buona causa, e
col mostrare a quali vicende sia sottoposta la fortuna anche de' più
potenti. In fatti si allestì un buon armamento, si uscì in campagna, e
molto non tardò a venir calando cotanta felicità del Bavaro Augusto.
Imperocchè avendo la regina ammanite molte forze coi vecchi suoi
reggimenti, e colla giunta di gran gente accorsa dall'Ungheria: sul
principio del presente anno il gran duca _Francesco_ suo consorte col
general comandante conte di _Kevenuller_, governatore di Vienna, dopo
avere ricuperato le città di Stair ed Eens, andò a mettere l'assedio
alla città di Lintz. Nello stesso tempo s'impadronirono gli Austriaci
di Scarding, e nel dì 16 o pure 17 di gennaio diedero una rotta ad un
grosso corpo di Bavaresi condotto sotto quella piazza dal maresciallo
bavarese _conte Terringh_. La città di Lintz, benchè fornita d'un
presidio consistente in più di sette mila Gallo-Bavari, pure nel dì
23 dello stesso mese si arrendè con patti onorevoli, essendo restata
libera la guarnigione, ma con patto di non prendere per un anno l'armi
contro la regina d'Ungheria: patto che fu poi per alcune ragioni
mal osservato. Ciò fatto, furiosamente entrarono gli Austriaci nella
Baviera. Braunau e Passavia furono costrette ad arrendersi: il terrore
si stese fino a Monaco capitale d'essa Baviera, la quale, mancando
di fortificazioni e di gente che la potesse sostenere, nel dì 13 di
febbraio con condizioni molto oneste venne in potere degli Austriaci.
Ed ecco quasi, a riserva d'Ingolstad e di Straubinga, la Baviera
sottomessa alla regina d'Ungheria, ed esposta alla desolazione portata
dall'armi vincitrici, cioè i poveri popoli condannati a far penitenza
degli alti disegni del loro sovrano. Mancò intanto di vita in Vienna
l'augusta imperadrice _Amalia Guglielmina_ di Brunsvich, vedova
dell'imperador Giuseppe. Il dì 10 di aprile fu quello che la condusse
a godere in cielo il premio dell'insigne sua saviezza e pietà, di
cui anche resta in essa città un perenne monumento nel religiosissimo
monistero delle salesiane da essa fondato e dotato, e la di lei Vita
data alla luce per decoro della cattolica religione.
Cominciarono in questi tempi ad udirsi in armi Ungheri, Panduri,
Tolpasci, Anacchi, Ulani, Valacchi, Licani, Croati, Varasdini ed altri
nomi strani, gente di terribile aspetto, con abiti barbarici ed armi
diverse, parte di loro mal disciplinata, atte nondimeno tutte a menar
le mani, e spezialmente professanti una gran divozione al bottino.
Parve in tal occasione che nei tempi passati non avesse conosciuto
l'augusta casa d'Austria di posseder tante miniere d'armati, essendosi
ella per lo più servita delle sole valorose milizie tedesche, e di
qualche reggimento di Usseri e Croati. Seppe ben la saggia regina
d'Ungheria prevalersi di tutte le forze de' suoi vasti Stati; e con
che vantaggio, lo vedremo andando innanzi. Continuò di poi la guerra
non meno in Boemia che in Baviera fra i Gallo-Bavari e gli Austriaci,
nel qual tempo ancora proseguirono le ostilità fra questi ultimi e il
re di Prussia nella Slesia. Dacchè l'esercito della regina d'Ungheria
si trovò sommamente ingrossato sotto il comando del principe _Carlo
di Lorena_, assistito dal maresciallo _conte di Koningsegg_ e dal
_principe di Lictenstein_, i Prussiani giudicarono meglio di ritirarsi
da Olmutz con tal fretta, che lasciarono indietro gran quantità di
viveri e molti cannoni: con che ritornò tutta la Moravia all'ubbidienza
della legittima sua sovrana. Trovaronsi poi a fronte nel dì 17 di
maggio le due nemiche armate austriaca e prussiana; e il principe di
Lorena, che ardeva di voglia di azzardare una battaglia, soddisfece al
suo appetito nel luogo di Czaglau. Alla cavalleria austriaca riuscì
di far piegare la prussiana; ma perchè si perdè a saccheggiare un
villaggio, rimasta la fanteria sprovveduta di chi la sostenesse contro
le forze maggiori prussiane, bisognò battere la ritirata, e lasciare
il campo in potere de' nemici. Secondo il solito, tanto l'una che
l'altra parte cantò maggiori i vantaggi. A udire gli Austriaci, vennero
quattordici stendardi, due bandiere e mille prigionieri in loro mani, e
la cavalleria nemica restò disfatta. Gli altri all'incontro vantarono
presi quattordici cannoni con alcuni stendardi, e fecero ascendere la
mortalità e diserzion degli Austriaci a molte migliaia. Da lì innanzi
si cominciò ad osservare una inazione fra quelle due armate, finchè si
venne a scoprire il mistero; e fu perchè nel dì 11 di giugno riuscì al
_lord Indfort_, ministro del britannico re _Giorgio II_, di stabilir la
pace fra la regina d'Ungheria e il re di Prussia, a cui restò ceduta la
maggior parte della grande e ricca provincia della Slesia; essendosi
ridotta a questo sacrifizio la regina per li consigli della corte
d'Inghilterra, e per la brama di sbrigarsi da sì potente nemico. Questo
accordo, conchiuso in Breslavia, siccome sconcertò non poco la corte
di Francia e del bavaro imperadore _Carlo VII_, così servì ad essa
regina per risorgere ad accudir con più vigore alla resistenza contro
gli altri suoi poderosi avversarii. Per questa privata pace, che riuscì
cotanto fruttuosa a _Federigo_ re di Prussia, anche _Federigo Augusto_
re di Polonia ed elettor di Sassonia saviamente prese la risoluzione di
pacificarsi colla stessa regina: al che non trovò difficoltà veruna.
Sbrigate in questa maniera da quel duro impegno l'armi austriache, si
rivolsero alla Boemia, e andarono in cerca de' Franzesi. Trovavansi in
quelle parti con grandi forze i _marescialli di Bellisle e di Broglio_.
Essendo nondimeno superiori quelle della regina, furono astretti a
cedere varii luoghi, e finalmente si ridussero alla difesa della vasta
città di Praga. Colà in fatti comparve il principe _Carlo di Lorena_
sul principio di luglio col maresciallo _conte di Koningsegg_, e
con un'armata di più di sessanta mila combattenti. Circa venti mila
erano i Franzesi, parte postati nella città, e parte di fuori sotto
il cannone della piazza; ma apparenza di soccorso non v'era, nè si
fidavano que' generali della copiosa cittadinanza, in cui cuore era
già risorto l'affetto verso la casa d'Austria, massimamente dopo aver
provato quei nuovi ospiti, secondo il solito, troppo pesanti. Desiderò
il Bellisle di abboccarsi o col principe di Lorena o col Koningsegg, e
fu compiaciuto da quest'ultimo. Si sciolse la lor conferenza in fumo,
perchè avrebbono i Franzesi lasciata Praga, purchè se ne potessero
andar tutti liberi coi loro bagagli, laddove pretese il maresciallo
austriaco di volerli prigionieri di guerra. Se tanta durezza fosse
poi lodata, nol so dire. Certo è che i Franzesi, stimolati dal punto
d'onore, si sostennero per più mesi, ed avvennero accidenti, per
li quali fu convertito l'assedio in blocco. Ne uscì coi figli il
maresciallo di Broglio, e felicemente si salvò. Tornati poscia gli
Austriaci a stringere quella città, prese il maresciallo di Bellisle
così ben le sue misure, che nel dì 17 di dicembre con circa dieci mila
uomini, bagaglio e cannoni da campagna se ne ritirò, e, guadagnate
due marcie, pervenne in salvo ad Egra, benchè pizzicato per tutto il
viaggio dagli Usseri e Croati. Perdè egli in quella ritirata almeno tre
mila persone o uccise, o disertate, o morte di freddo, e quasi tutta
l'artiglieria, i bagagli e fino i proprii equipaggi. Ciò non ostante,
se gli Austriaci vollero mettere il piede in Praga, furono obbligati ad
accordare una capitolazione onorevole allo smilzo presidio rimasto in
essa città; accordando in fine ciò che sul principio avrebbero potuto
con loro vantaggio concedere, e che avrebbe risparmiato un gran sangue
sparso sotto la città medesima.
Non provarono già un'egual prosperità nella Baviera l'armi della regina
di Ungheria. L'assedio e bombardamento della città di Straubinga nel
mese di aprile a nulla giovò per forzare alla resa quella fortezza.
Perchè si sapea che i Franzesi comandanti dal _conte d'Arcourt_
venivano con ischiere numerose ad unirsi col generale bavarese
_conte di Seckendorf_, e giunse a Monaco una falsa voce che già si
appressavano a quella città: il _generale Stens_ nel dì 28 del mese
suddetto precipitosamente si ritirò da essa città di Monaco colla
guernigione austriaca di quattro mila persone, lasciandovi un solo
picciolo corpo di gente. Allora i cittadini si misero in armi, e i
villani inseguirono e molestarono non poco la ritirata d'essi. Scoperta
poi la falsità della voce, ed irritati gli Austriaci, ad altro non
pensarono, che a rientrare in essa città. Vi trovarono quel popolo
risoluto alla difesa, e fu misericordia di Dio che non venissero
all'assalto, perchè a questo avrebbe tenuto dietro uno spaventevole
sacco. Accordò il _maresciallo di Kevenhuller_, nel dì 6 di maggio,
una nuova capitolazione a quegli abitanti, gli affari dei quali
nondimeno molto peggiorarono da lì innanzi, finchè sul principio di
ottobre giunse la loro redenzione. Avea il Seckendorf ricuperata la
città di Landshut, dopo di che s'incamminò alla volta di Monaco. Qui
non l'aspettarono gli Austriaci, perchè molto inferiori di forze ai
Gallo-Bavari, e ne asportarono quanto mai poterono con danno gravissimo
di quell'infelice popolo, il quale diede in trasporti di allegrezza
al vedere nel dì 7 del mese suddetto rientrare in quella città le
milizie dell'augusto loro duca ed imperadore _Carlo VII_; ripigliarono
poscia i Bavaresi Borgausen e Braunau; laonde tutta la Baviera tornò,
prima che terminasse l'anno, all'ubbidienza del suo sovrano. Fu poi
condotto in Baviera un poderoso rinforzo di truppe dal _maresciallo di
Broglio_, e continuarono le ostilità, ma senza alcun'altra impresa di
grado. Intanto quello sfortunato paese era il teatro delle calamità,
perchè divorato da amici e nemici. Fu anche superiore alla credenza il
numero de' Franzesi o morti di malattie, o uccisi, o fatti prigionieri
nella Boemia e Baviera. Facevansi in questi tempi dei grandi maneggi
in Inghilterra ed Olanda, per muovere quelle potenze alla difesa della
regina d'Ungheria. La mutazion del ministero in Londra cagion fu che
il re britannico e quella potente nazione si disponessero ad entrare
in ballo, tanto più perchè si sentivano irritati dal vedere la somma
franchezza de' Franzesi in rimettere contro i patti le fortificazioni
di Dunquerque. Perciò si cominciarono i preparamenti della guerra
in Fiandra per l'anno seguente; ma non si potè altro ottener dagli
Olandesi, se non che darebbono il loro contingente di venti mila
soldati, a cui erano tenuti in vigor delle leghe precedenti. Non men di
loro, anzi più vigorosamente, si misero in arnese anche i Franzesi per
far buon giuoco in quelle parti.
Vegniamo oramai all'Italia, condannata anch'essa a sofferire i
perniciosi influssi delle gare ambiziose dei regnanti. Da che fu
fatta gran massa di Spagnuoli ad Orbitello, e nelle altre piazze dei
presidii, sotto il comando del _duca di Montemar_, si mise questa
in marcia, ed entrata in febbraio nello Stato ecclesiastico, andò
a prendere riposo in Foligno, e con lentezza mirabile arrivò poi
finalmente fino a Pesaro. A quella volta ancora s'inviarono dipoi le
milizie napoletane, spedite dal re delle Due Sicilie, per unirsi con
quelle del re suo padre. Ne era generale il _duca di Castropignano_.
Intanto sul Genovesato andarono sbarcando altre milizie procedenti
dalla Spagna, e maggior numero ancora se ne aspettava. Per quanto si
seppe, le idee della corte del re Cattolico erano che il primo più
possente corpo di gente venisse alla volta di Bologna, e l'altro dal
Genovesato verso Parma. Grande armamento in questi tempi avea fatto
anche _Carlo Emmanuele_ re di Sardegna, ma senza penetrarsi qual
risoluzione fosse egli per prendere, se non che i più prevedevano che
anderebbono le sue forze unite con quelle della regina d'Ungheria, sì
perchè così portavano gli interessi suoi, non piacendogli la vicinanza
degli Spagnuoli, come ancora perchè potea sperar maggior ricompensa
da essa regina. Recò maraviglia ad alcuni l'aver questo real sovrano
pubblicati due manifesti, nel quali erano riportate le sue pretensioni
sopra lo Stato di Milano, siccome discendente dall'_infanta Caterina_
figliuola di _Filippo II_ re di Spagna. E pure passava questo sovrano
di concerto in ciò colla corte di Vienna, con cui finalmente si venne a
scoprire ch'egli avea stabilito nel dì primo di febbraio un _trattato
provvisionale_ per difendere la Lombardia dall'occupazione delle armi
straniere. In tale trattato comparve la rara avvedutezza del marchese
d'Ormea suo primo ministro, perchè restò esso re di Sardegna colle
mani sciolte, cioè in libertà di ritirarsi quando a lui piacesse,
colla sola intimazione di un mese innanzi, dall'alleanza della regina.
Animato si trovò egli spezialmente a tale impegno dalla sicurezza
datagli del _cardinale di Fleury_ primo ministro di Francia che il
re Cristianissimo _Luigi XV_ non intendeva di spalleggiar l'armi del
re Cattolico _Filippo V_ per conto dell'Italia. Svelaronsi solamente
nei mese di marzo questi arcani; e il re Sardo, da che ebbe ritirato
dalla Savoia gli archivii e tutto ciò che era di maggiore rilievo,
cominciò a far marciare parte delle sue truppe alla volta di Piacenza.
Verso la metà del medesimo mese anche il maresciallo _Otto Ferdinando
conte di Traun_ governatore di Milano spedì a Modena a rappresentare
al duca _Francesco III d'Este_ la necessità in cui il mettevano i
movimenti dei nemici Spagnuoli, di avanzarsi con vari reggimenti nei
principati di Correggio e Carpi. La licenza non si potè negare a chi se
la potea prendere anche senza richiederla. Perciò vennero a postarsi
gli Austriaci in quelle parti, tirando un cordone verso la Secchia, e
penetrando anche nel Reggiano.
Trovossi in un grave labirinto in questi tempi il duca di Modena,
giacchè si miravano due nemiche armate venir l'una da levante e
l'altra da ponente con tutte le apparenze che egli e i suoi Stati
rimarrebbono esposti a deplorabili traversie, e forse diverrebbero il
teatro della guerra, perchè ognun brama di far, se può mai, questa
danza in casa altrui; e più rispetto si porterebbe agli Stati della
Chiesa che ai suoi. Ognun sa, in casi di tanta angustia, quanto sia
pericoloso il partito della neutralità per chi ha poche forze, giacchè,
senza farsi merito nè coll'una nè coll'altra parte de' contendenti,
si soggiace alla disgrazia d'essere divorato da amendue; e a peggio
ancora, se avviene che l'un degli eserciti prevalga, troppo facilmente
suscitandosi sospetti e ragioni per prevalersi in suo pro degli Stati
e delle piazze altrui. Persuaso dunque esso duca che col tenersi
neutrale non si facea punto merito con alcun di essi, e verisimilmente
gli avrebbe avuti nemici tutti e due, si appigliò alla risoluzione
di abbracciare uno d'essi partiti. L'ossequio ed affetto ch'egli
professava all'augusta casa d'Austria e al gran duca di Toscana il
consigliavano ad unirsi con loro, ma troppo pericoloso era per un
vassallo dell'imperio di prendere l'armi contra dell'imperadore _Carlo
VII_ nemico delle suddette potenze, e l'aderire alla regina d'Ungheria,
la quale, invece d'inviar nuove genti alla difesa dell'Italia, avea
richiamata di là dai monti una parte di quelle che qui si trovavano,
ed avea inoltre confessato ad un suo ministro venuto in Italia di
non potersi impiegare a sostener questi Stati; e tanto anche fece
intender al papa e ai Veneziani per loro governo. Manteneva il duca
buona corrispondenza colla corte di Torino; ma questa il più che potè
gli tenne occulto il trattato di lega conchiuso con quella di Vienna.
Oltre a ciò, nè pur comportavano gl'interessi della propria casa al
duca d'aver per nemici l'imperadore e la Spagna, stante l'essersi
scoperto che la casa di Baviera nudriva delle pretensioni sopra la
Mirandola e suo ducato, e il sapersi che _don Francesco Pico_, già
duca d'essa Mirandola, protetto dagli Spagnuoli ne conservava delle
altre, e che sopra la contea di Novellara e sopra il ducato di Massa
s'erano svegliate liti, mal fondate senza dubbio, ma che nel tribunale
cesareo, se fosse stato nemico, avrebbono forse avuto buona fortuna. Il
perchè, mosso il duca di Modena da tali riflessioni, cercò più tosto di
aderire alla parte de' più possenti potentati della cristianità, cioè
dell'imperadore e dei re di Francia e Spagna. Avea egli per sua difesa
in armi un bel reggimento di Svizzeri, e un altro d'Italiani, ch'era
intervenuto alla battaglia di Crostka nella Servia, in tutto tre mila
soldati. In oltre avea quattro mila dei suoi miliziotti reggimentali,
disciplinati, ben vestiti ed armati, e circa quattrocento cavalli
fra corazze e dragoni: sussidio non lieve, uniti che fossero ad una
giusta armata, oltre alla cittadella di Modena e alla fortezza della
Mirandola.
Fu ben accolta in Madrid la proposizione del duca di entrar seco
in lega; ma mentre si andava maneggiando in tanta lontananza questo
affare, non si sa come, ne trapelò l'orditura ai ministri della regina
d'Ungheria, o pure del re di Sardegna. Verso il fine di marzo erasi
avanzato, siccome dicemmo, esso re sardo fino a Piacenza, facendo
intanto sfilare le sue truppe alla volta di Parma, ed ivi avea tenuto
consiglio di guerra col maresciallo _conte di Traun_ governator di
Milano; giacchè l'armata napolispana si era inoltrata sino a Rimini.
Si venne ancora intendendo che il grosso corpo di Spagnuoli sbarcato
in più volte sul Genovesato, senza più pensare a far irruzione dalla
parte del Parmigiano, s'era come amico incamminato per la Toscana
a fine di accoppiarsi coll'altro maggiore de' duchi di _Montemar_
e _Castropignano_. Non senza maraviglia delle persone fece quella
gente un gran giro. Se fosse calata pel Giogo a Bologna, e colà fosse
pervenuto il Montemar, nulla era più facile che il passar fino sul
Parmigiano, e il prevalersi poi delle buone disposizioni del duca di
Modena ed unirsi seco. Essendo giunto a Parma nel dì 30 d'aprile il
re di Sardegna, portossi parimente esso duca di Modena nel dì 2 di
maggio con tutta la corte al delizioso suo palazzo di Rivalta, tre
miglia lungi da Reggio. Colà fu ad abboccarsi seco nel dì 6 di esso
mese il _marchese d'Ormea_, primo ministro del re di Sardegna, che
tosto sfoderò una copia informe del trattato preteso intavolato dal
duca colla corte di Spagna. Onoratamente confessò il duca di aver
fatto dei maneggi a Madrid, ma che nulla s'era conchiuso, nè sapea se
si conchiuderebbe: e questa era la verità. Calde istanze fece l'Ormea
per indurlo alla neutralità; ma perchè il duca ben previde che,
accordando questo primo punto, passerebbe la pretensione a richiedere
in pegno una almeno delle sue piazze per sicurezza di sua fede, non
volle consentire, e prese tempo a pensarvi. Per molti giorni poscia
s'andò disputando, essendo passato il duca a Sassuolo con tutta la
famiglia: nel qual mentre il _duca di Montemar_, che per più settimane
s'era fermato coll'esercito suo in Forlì a divertirsi con una opera
in musica, finalmente si mosse alla volta di Bologna. Fama correa che
i Napolispani ascendessero a quarantacinque mila persone: erano ben
molto meno, ancorchè il Montemar avesse ricevuto il poderoso rinforzo
di fanti e cavalli, passati amichevolmente per la Toscana. Parea questa
nondimeno un'armata da far gran fatti, se non che la diserzione, da
cui non va esente alcuno degli eserciti, si trovò stupenda in essa,
fuggendo spezialmente quegli Alemanni che furono presi nell'apparente
battaglia di Bitonto, e in altre azioni, allorchè fu conquistato il
regno di Napoli dall'infante _don Carlo_. Giorno non v'era, in cui
qualche centinaio d'essi Napolispani non disertasse, attribuendone
alcuni la cagione all'aver lasciata cotanto in ozio quella gente, ed
altri all'aspro trattamento degli uffiziali, giacchè non si può credere
per difetto di paghe, perchè, se ne scarseggiavano gli uffiziali, al
semplice soldato non mancava mai l'occorrente soldo.
Dopo la metà di maggio comparvero sul Bolognese le truppe napolispane,
e a poco a poco vennero nel dì 20 a postarsi alla Samoggia, e nel dì
29 si stesero fino a Castelfranco. Certa cosa è, che se il Montemar si
fosse inoltrato di buon'ora sino al Panaro, siccome allora superiore di
forze, avrebbe potuto occupar quei siti, e stendersi a coprir Modena,
e a passar anche verso Parma, stante l'avere sul principio dell'anno
per mezzo del _conte senatore Zambeccari_ chiesto ed ottenuto dal duca
di Modena il passaggio. Parve dunque ch'egli non peraltro fosse venuto
in quelle vicinanze, se non per burlare esso duca di Modena, il quale
intanto si andava schermendo dal prendere risoluzione alcuna sulla
speranza che lo stesso Montemar passasse a difendere i suoi Stati:
del che non gli mancarono delle lusinghevoli promesse dalla parte del
medesimo generale spagnuolo. Diede agio questa inazion de' Napolispani
al maresciallo _conte di Traun_ di ben postarsi alle rive inferiori
del Panaro con dodici mila Tedeschi, e similmente a _Carlo Emmanuele_
re di Sardegna, passato nel dì 19 di maggio sotto le mura di Modena,
di andare anch'egli a fortificarsi alle rive superiori d'esso fiume.
Di giorno in giorno s'ingrossarono le sue milizie sino a venti mila
persone, giacchè gli era convenuto lasciare un'altra parte delle sue
truppe alla guardia di Nizza e Villafranca, e ai varii confini del
Piemonte, per opporsi ai disegni d'un'altra armata di Spagnuoli che
si andava formando in Provenza contro i suoi Stati, e che dovea esser
comandata dall'infante _don Filippo_, già pervenuto ad Antibo. Nel dì
17 di maggio presero pacificamente i Savoiardi il possesso della città
di Reggio, da cui precedentemente avea il duca dì Modena ritirate le
truppe regolate. Durava intanto una spezie, ma assai dubbiosa, di calma
fra esso duca, dimorante in Sassuolo, e gli Austriaco-Sardi, aspettando
questi che giungessero al loro campo cannoni, mortari e bombe, per
poter parlare dipoi con altro linguaggio. Non avea il duca fin qui
conchiuso accordo alcuno colla corte di Spagna, e neppure ricavato
da essa un menomo danaro per fare quell'armamento, come ne dubitavano
gli Austriaco-Sardi; pure non sapea indursi a cedere volontariamente
le fortezze di Modena e della Mirandola, richieste dagli alleati;
perchè quanto si trovò egli sempre deluso dal _duca di Montemar_,
largo promettitore di ciò che non osava intraprendere, altrettanto
abborriva di non comparire alla corte di Spagna qual principe di doppio
cuore, perchè quivi si sarebbe infallibilmente creduto un concerto co'
collegati la forza che gli avesse fatto cedere quelle piazze.
Prese egli dunque il partito di abbandonar tutto alla discrezione di
chi gli era addosso coll'armi, e dopo aver messi quattro mila uomini
di presidio nella cittadella di Modena, e tre mila in quella della
Mirandola, nel dì 6 di giugno colla duchessa consorte e colle due
principesse sorelle, lasciati i figli colla nuora in Sassuolo, che
poi col tempo si riunirono con lui, prese la via del Ferrarese, e andò
a ritirarsi a Crespino, e di là passò poi al Cataio degli Obizzi sul
Padovano, e finalmente si ridusse a Venezia, portando seco il coraggio,
costante compagno delle sue traversie. Perchè aveva egli lasciato ogni
potere ad una giunta di suoi cavalieri e ministri in Modena, furono
spediti deputati al re di Sardegna, e dopo avere ottenuta la promessa
d'ogni miglior trattamento, nel dì 8 di giugno aprirono le porte della
città a circa mille e cinquecento Savoiardi, che ne presero quietamente
il possesso, con provar da lì innanzi quanta fosse la moderazione e
clemenza del re di Sardegna, quanta la rettitudine de' suoi ministri,
e la disciplina de' suoi soldati. Comandante in Modena fu destinato
il _conte commendatore Cumiana_, cavaliere che non lasciava andarsi
innanzi alcuno nella prudenza, e sapea l'arte di farsi amare e stimare
da ognuno. Nel dì 12 di giugno fu dato principio alle ostilità contro
la cittadella di Modena, alzando terra dalla parte del mezzodì fuori
della città i Savoiardi, e i Tedeschi da quella di settentrione. Perchè
gli assediati fecero una vigorosa sortita, necessario fu il rinforzare
il campo con molta gente. Erette due diverse batterie di mortari, nel
dì seguente cominciarono a tempestare essa cittadella con bombe di dì
e di notte, e seguitò questo flagello sin per tutto il dì 27. Non avea
il _duca Francesco_ avuto tempo di provvedere essa cittadella di case
matte e di ripari contro le bombe; e però in breve si trovò sconcertata
la maggior parte di que' casamenti, non restando luogo alcuno di riposo
e sicurezza alla guarnigione. Essendosi nel dì 28 alzate anche due
batterie di cannoni contra d'essa fortezza, il _cavaliere del Nero_
e lunari, qual esito o destino fossero per avere gli affari della
Corsica, tuttavia fluttuante, e non mai pacificata. Perchè le truppe
Franzesi aveano quivi preso sì lungo riposo, sognarono i novellisti
che la repubblica di Genova fosse in trattato di vendere quell'isola
alla Francia, o di permutarla con qualche altro Stato, o di darla
all'infante di Spagna _don Filippo_ genero del re Cristianissimo.
La vanità di sì fatte immaginazioni in fine si scopri. Non terminò
l'anno presente che la corte di Francia, entrata in impegni di maggior
conseguenza, richiamò il _marchese di Maillebois_ colle sue truppe
in Provenza; laonde la Corsica, accorrendo ogni dì nuovi banditi, e
sciolta dal rispetto e timore de' Franzesi, tornò a poco a poco al
solito giuoco della ribellione, con isdegno e pentimento de' Genovesi,
che tanto aveano speso in procurar de' medici a quella cancrena. Con
tali successi arrivò il fine dell'anno presente; anno, che con tanti
preparamenti di guerra prometteva calamità di lunga mano maggiori al
seguente; ed anno, in cui, oltre alle rivoluzioni dell'Austria, Boemia
e Slesia, altre se ne videro nella Gran Russia, alla quale ancora fu
dichiarata la guerra dagli Svezzesi collegati colla Porta Ottomana; ma
con tornare essa guerra solamente in isvantaggio della Svezia medesima,
non assistita poi dai Turchi, nè capace di far fronte alle superiori
forze della Russia.
Anno di CRISTO MDCCXLII. Indizione V.
BENEDETTO XIV papa 3.
CARLO VII imperadore 1.
Più d'un anno correva che restava vacante il seggio imperiale, non
tanto per li diversi interessi ed inclinazioni degli elettori, quanto
per la disputa insorta intorno al voto della Boemia, il quale veniva
contrastato o negato da chi o per amore o per forza seguitava le
istruzioni della Francia, per essere caduto quel regno in donna, cioè
nella regina d'Ungheria _Maria Teresa d'Austria_. Ma da che _Carlo
Alberto_ duca ed elettor di Baviera si fu impadronito di Praga capitale
d'essa Boemia, e nel dì 19 del precedente dicembre si fece prestare
omaggio dai deputati ecclesiastici e secolari delle città boeme,
forzate fin qui alla sua ubbidienza: si procedè finalmente nella città
di Francoforte all'elezione di un nuovo imperadore nel dì 24 di gennaio
dell'anno presente. Concorsero i voti degli elettori nella persona del
suddetto elettore di Baviera, che da lì innanzi fu intitolato _Carlo
VII Augusto_. Contro di tale elezione la regina d'Ungheria non lasciò
di far le occorrenti proteste. Comparve poscia in quella città il
novello imperadore nel dì 31 del mese suddetto, accolto con incredibil
magnificenza, e nel dì 12 di febbraio seguì la suntuosa funzione
dell'incoronamento suo. Susseguentemente nel dì 8 di marzo con gran
solennità fu coronata imperadrice de' Romani l'Augusta _Maria Amalia_
d'Austria consorte del nuovo imperadore. Non si potea vedere in più
bell'auge l'elettoral casa di Baviera, giunta dopo più secoli a riavere
il diadema imperiale, divenuta padrona del regno di Boemia e di parte
dell'Austria, ed assistita dalla potentissima corte di Francia. O prima
d'ora, o in queste circostanze, si trovò in tal costernazione la corte
austriaca per sentirsi sola e abbandonata in questa gran tempesta, e
dopo aver perduto tanto, in pericolo ancora di perdere molto più, se
non anche tutto, che nel suo consiglio persona vi fu che stimò bene
di persuader la pace anche col sacrifizio della Boemia. Fu questa una
stoccata al cuore della regina. Altro consigliere poi si fabbricò un
buon luogo nella grazia della maestà sua per l'avvenire coll'animare
il di lei coraggio, e conchiudere che si avea a fare ogni possibil
resistenza, confidando nella protezione di Dio per la buona causa, e
col mostrare a quali vicende sia sottoposta la fortuna anche de' più
potenti. In fatti si allestì un buon armamento, si uscì in campagna, e
molto non tardò a venir calando cotanta felicità del Bavaro Augusto.
Imperocchè avendo la regina ammanite molte forze coi vecchi suoi
reggimenti, e colla giunta di gran gente accorsa dall'Ungheria: sul
principio del presente anno il gran duca _Francesco_ suo consorte col
general comandante conte di _Kevenuller_, governatore di Vienna, dopo
avere ricuperato le città di Stair ed Eens, andò a mettere l'assedio
alla città di Lintz. Nello stesso tempo s'impadronirono gli Austriaci
di Scarding, e nel dì 16 o pure 17 di gennaio diedero una rotta ad un
grosso corpo di Bavaresi condotto sotto quella piazza dal maresciallo
bavarese _conte Terringh_. La città di Lintz, benchè fornita d'un
presidio consistente in più di sette mila Gallo-Bavari, pure nel dì
23 dello stesso mese si arrendè con patti onorevoli, essendo restata
libera la guarnigione, ma con patto di non prendere per un anno l'armi
contro la regina d'Ungheria: patto che fu poi per alcune ragioni
mal osservato. Ciò fatto, furiosamente entrarono gli Austriaci nella
Baviera. Braunau e Passavia furono costrette ad arrendersi: il terrore
si stese fino a Monaco capitale d'essa Baviera, la quale, mancando
di fortificazioni e di gente che la potesse sostenere, nel dì 13 di
febbraio con condizioni molto oneste venne in potere degli Austriaci.
Ed ecco quasi, a riserva d'Ingolstad e di Straubinga, la Baviera
sottomessa alla regina d'Ungheria, ed esposta alla desolazione portata
dall'armi vincitrici, cioè i poveri popoli condannati a far penitenza
degli alti disegni del loro sovrano. Mancò intanto di vita in Vienna
l'augusta imperadrice _Amalia Guglielmina_ di Brunsvich, vedova
dell'imperador Giuseppe. Il dì 10 di aprile fu quello che la condusse
a godere in cielo il premio dell'insigne sua saviezza e pietà, di
cui anche resta in essa città un perenne monumento nel religiosissimo
monistero delle salesiane da essa fondato e dotato, e la di lei Vita
data alla luce per decoro della cattolica religione.
Cominciarono in questi tempi ad udirsi in armi Ungheri, Panduri,
Tolpasci, Anacchi, Ulani, Valacchi, Licani, Croati, Varasdini ed altri
nomi strani, gente di terribile aspetto, con abiti barbarici ed armi
diverse, parte di loro mal disciplinata, atte nondimeno tutte a menar
le mani, e spezialmente professanti una gran divozione al bottino.
Parve in tal occasione che nei tempi passati non avesse conosciuto
l'augusta casa d'Austria di posseder tante miniere d'armati, essendosi
ella per lo più servita delle sole valorose milizie tedesche, e di
qualche reggimento di Usseri e Croati. Seppe ben la saggia regina
d'Ungheria prevalersi di tutte le forze de' suoi vasti Stati; e con
che vantaggio, lo vedremo andando innanzi. Continuò di poi la guerra
non meno in Boemia che in Baviera fra i Gallo-Bavari e gli Austriaci,
nel qual tempo ancora proseguirono le ostilità fra questi ultimi e il
re di Prussia nella Slesia. Dacchè l'esercito della regina d'Ungheria
si trovò sommamente ingrossato sotto il comando del principe _Carlo
di Lorena_, assistito dal maresciallo _conte di Koningsegg_ e dal
_principe di Lictenstein_, i Prussiani giudicarono meglio di ritirarsi
da Olmutz con tal fretta, che lasciarono indietro gran quantità di
viveri e molti cannoni: con che ritornò tutta la Moravia all'ubbidienza
della legittima sua sovrana. Trovaronsi poi a fronte nel dì 17 di
maggio le due nemiche armate austriaca e prussiana; e il principe di
Lorena, che ardeva di voglia di azzardare una battaglia, soddisfece al
suo appetito nel luogo di Czaglau. Alla cavalleria austriaca riuscì
di far piegare la prussiana; ma perchè si perdè a saccheggiare un
villaggio, rimasta la fanteria sprovveduta di chi la sostenesse contro
le forze maggiori prussiane, bisognò battere la ritirata, e lasciare
il campo in potere de' nemici. Secondo il solito, tanto l'una che
l'altra parte cantò maggiori i vantaggi. A udire gli Austriaci, vennero
quattordici stendardi, due bandiere e mille prigionieri in loro mani, e
la cavalleria nemica restò disfatta. Gli altri all'incontro vantarono
presi quattordici cannoni con alcuni stendardi, e fecero ascendere la
mortalità e diserzion degli Austriaci a molte migliaia. Da lì innanzi
si cominciò ad osservare una inazione fra quelle due armate, finchè si
venne a scoprire il mistero; e fu perchè nel dì 11 di giugno riuscì al
_lord Indfort_, ministro del britannico re _Giorgio II_, di stabilir la
pace fra la regina d'Ungheria e il re di Prussia, a cui restò ceduta la
maggior parte della grande e ricca provincia della Slesia; essendosi
ridotta a questo sacrifizio la regina per li consigli della corte
d'Inghilterra, e per la brama di sbrigarsi da sì potente nemico. Questo
accordo, conchiuso in Breslavia, siccome sconcertò non poco la corte
di Francia e del bavaro imperadore _Carlo VII_, così servì ad essa
regina per risorgere ad accudir con più vigore alla resistenza contro
gli altri suoi poderosi avversarii. Per questa privata pace, che riuscì
cotanto fruttuosa a _Federigo_ re di Prussia, anche _Federigo Augusto_
re di Polonia ed elettor di Sassonia saviamente prese la risoluzione di
pacificarsi colla stessa regina: al che non trovò difficoltà veruna.
Sbrigate in questa maniera da quel duro impegno l'armi austriache, si
rivolsero alla Boemia, e andarono in cerca de' Franzesi. Trovavansi in
quelle parti con grandi forze i _marescialli di Bellisle e di Broglio_.
Essendo nondimeno superiori quelle della regina, furono astretti a
cedere varii luoghi, e finalmente si ridussero alla difesa della vasta
città di Praga. Colà in fatti comparve il principe _Carlo di Lorena_
sul principio di luglio col maresciallo _conte di Koningsegg_, e
con un'armata di più di sessanta mila combattenti. Circa venti mila
erano i Franzesi, parte postati nella città, e parte di fuori sotto
il cannone della piazza; ma apparenza di soccorso non v'era, nè si
fidavano que' generali della copiosa cittadinanza, in cui cuore era
già risorto l'affetto verso la casa d'Austria, massimamente dopo aver
provato quei nuovi ospiti, secondo il solito, troppo pesanti. Desiderò
il Bellisle di abboccarsi o col principe di Lorena o col Koningsegg, e
fu compiaciuto da quest'ultimo. Si sciolse la lor conferenza in fumo,
perchè avrebbono i Franzesi lasciata Praga, purchè se ne potessero
andar tutti liberi coi loro bagagli, laddove pretese il maresciallo
austriaco di volerli prigionieri di guerra. Se tanta durezza fosse
poi lodata, nol so dire. Certo è che i Franzesi, stimolati dal punto
d'onore, si sostennero per più mesi, ed avvennero accidenti, per
li quali fu convertito l'assedio in blocco. Ne uscì coi figli il
maresciallo di Broglio, e felicemente si salvò. Tornati poscia gli
Austriaci a stringere quella città, prese il maresciallo di Bellisle
così ben le sue misure, che nel dì 17 di dicembre con circa dieci mila
uomini, bagaglio e cannoni da campagna se ne ritirò, e, guadagnate
due marcie, pervenne in salvo ad Egra, benchè pizzicato per tutto il
viaggio dagli Usseri e Croati. Perdè egli in quella ritirata almeno tre
mila persone o uccise, o disertate, o morte di freddo, e quasi tutta
l'artiglieria, i bagagli e fino i proprii equipaggi. Ciò non ostante,
se gli Austriaci vollero mettere il piede in Praga, furono obbligati ad
accordare una capitolazione onorevole allo smilzo presidio rimasto in
essa città; accordando in fine ciò che sul principio avrebbero potuto
con loro vantaggio concedere, e che avrebbe risparmiato un gran sangue
sparso sotto la città medesima.
Non provarono già un'egual prosperità nella Baviera l'armi della regina
di Ungheria. L'assedio e bombardamento della città di Straubinga nel
mese di aprile a nulla giovò per forzare alla resa quella fortezza.
Perchè si sapea che i Franzesi comandanti dal _conte d'Arcourt_
venivano con ischiere numerose ad unirsi col generale bavarese
_conte di Seckendorf_, e giunse a Monaco una falsa voce che già si
appressavano a quella città: il _generale Stens_ nel dì 28 del mese
suddetto precipitosamente si ritirò da essa città di Monaco colla
guernigione austriaca di quattro mila persone, lasciandovi un solo
picciolo corpo di gente. Allora i cittadini si misero in armi, e i
villani inseguirono e molestarono non poco la ritirata d'essi. Scoperta
poi la falsità della voce, ed irritati gli Austriaci, ad altro non
pensarono, che a rientrare in essa città. Vi trovarono quel popolo
risoluto alla difesa, e fu misericordia di Dio che non venissero
all'assalto, perchè a questo avrebbe tenuto dietro uno spaventevole
sacco. Accordò il _maresciallo di Kevenhuller_, nel dì 6 di maggio,
una nuova capitolazione a quegli abitanti, gli affari dei quali
nondimeno molto peggiorarono da lì innanzi, finchè sul principio di
ottobre giunse la loro redenzione. Avea il Seckendorf ricuperata la
città di Landshut, dopo di che s'incamminò alla volta di Monaco. Qui
non l'aspettarono gli Austriaci, perchè molto inferiori di forze ai
Gallo-Bavari, e ne asportarono quanto mai poterono con danno gravissimo
di quell'infelice popolo, il quale diede in trasporti di allegrezza
al vedere nel dì 7 del mese suddetto rientrare in quella città le
milizie dell'augusto loro duca ed imperadore _Carlo VII_; ripigliarono
poscia i Bavaresi Borgausen e Braunau; laonde tutta la Baviera tornò,
prima che terminasse l'anno, all'ubbidienza del suo sovrano. Fu poi
condotto in Baviera un poderoso rinforzo di truppe dal _maresciallo di
Broglio_, e continuarono le ostilità, ma senza alcun'altra impresa di
grado. Intanto quello sfortunato paese era il teatro delle calamità,
perchè divorato da amici e nemici. Fu anche superiore alla credenza il
numero de' Franzesi o morti di malattie, o uccisi, o fatti prigionieri
nella Boemia e Baviera. Facevansi in questi tempi dei grandi maneggi
in Inghilterra ed Olanda, per muovere quelle potenze alla difesa della
regina d'Ungheria. La mutazion del ministero in Londra cagion fu che
il re britannico e quella potente nazione si disponessero ad entrare
in ballo, tanto più perchè si sentivano irritati dal vedere la somma
franchezza de' Franzesi in rimettere contro i patti le fortificazioni
di Dunquerque. Perciò si cominciarono i preparamenti della guerra
in Fiandra per l'anno seguente; ma non si potè altro ottener dagli
Olandesi, se non che darebbono il loro contingente di venti mila
soldati, a cui erano tenuti in vigor delle leghe precedenti. Non men di
loro, anzi più vigorosamente, si misero in arnese anche i Franzesi per
far buon giuoco in quelle parti.
Vegniamo oramai all'Italia, condannata anch'essa a sofferire i
perniciosi influssi delle gare ambiziose dei regnanti. Da che fu
fatta gran massa di Spagnuoli ad Orbitello, e nelle altre piazze dei
presidii, sotto il comando del _duca di Montemar_, si mise questa
in marcia, ed entrata in febbraio nello Stato ecclesiastico, andò
a prendere riposo in Foligno, e con lentezza mirabile arrivò poi
finalmente fino a Pesaro. A quella volta ancora s'inviarono dipoi le
milizie napoletane, spedite dal re delle Due Sicilie, per unirsi con
quelle del re suo padre. Ne era generale il _duca di Castropignano_.
Intanto sul Genovesato andarono sbarcando altre milizie procedenti
dalla Spagna, e maggior numero ancora se ne aspettava. Per quanto si
seppe, le idee della corte del re Cattolico erano che il primo più
possente corpo di gente venisse alla volta di Bologna, e l'altro dal
Genovesato verso Parma. Grande armamento in questi tempi avea fatto
anche _Carlo Emmanuele_ re di Sardegna, ma senza penetrarsi qual
risoluzione fosse egli per prendere, se non che i più prevedevano che
anderebbono le sue forze unite con quelle della regina d'Ungheria, sì
perchè così portavano gli interessi suoi, non piacendogli la vicinanza
degli Spagnuoli, come ancora perchè potea sperar maggior ricompensa
da essa regina. Recò maraviglia ad alcuni l'aver questo real sovrano
pubblicati due manifesti, nel quali erano riportate le sue pretensioni
sopra lo Stato di Milano, siccome discendente dall'_infanta Caterina_
figliuola di _Filippo II_ re di Spagna. E pure passava questo sovrano
di concerto in ciò colla corte di Vienna, con cui finalmente si venne a
scoprire ch'egli avea stabilito nel dì primo di febbraio un _trattato
provvisionale_ per difendere la Lombardia dall'occupazione delle armi
straniere. In tale trattato comparve la rara avvedutezza del marchese
d'Ormea suo primo ministro, perchè restò esso re di Sardegna colle
mani sciolte, cioè in libertà di ritirarsi quando a lui piacesse,
colla sola intimazione di un mese innanzi, dall'alleanza della regina.
Animato si trovò egli spezialmente a tale impegno dalla sicurezza
datagli del _cardinale di Fleury_ primo ministro di Francia che il
re Cristianissimo _Luigi XV_ non intendeva di spalleggiar l'armi del
re Cattolico _Filippo V_ per conto dell'Italia. Svelaronsi solamente
nei mese di marzo questi arcani; e il re Sardo, da che ebbe ritirato
dalla Savoia gli archivii e tutto ciò che era di maggiore rilievo,
cominciò a far marciare parte delle sue truppe alla volta di Piacenza.
Verso la metà del medesimo mese anche il maresciallo _Otto Ferdinando
conte di Traun_ governatore di Milano spedì a Modena a rappresentare
al duca _Francesco III d'Este_ la necessità in cui il mettevano i
movimenti dei nemici Spagnuoli, di avanzarsi con vari reggimenti nei
principati di Correggio e Carpi. La licenza non si potè negare a chi se
la potea prendere anche senza richiederla. Perciò vennero a postarsi
gli Austriaci in quelle parti, tirando un cordone verso la Secchia, e
penetrando anche nel Reggiano.
Trovossi in un grave labirinto in questi tempi il duca di Modena,
giacchè si miravano due nemiche armate venir l'una da levante e
l'altra da ponente con tutte le apparenze che egli e i suoi Stati
rimarrebbono esposti a deplorabili traversie, e forse diverrebbero il
teatro della guerra, perchè ognun brama di far, se può mai, questa
danza in casa altrui; e più rispetto si porterebbe agli Stati della
Chiesa che ai suoi. Ognun sa, in casi di tanta angustia, quanto sia
pericoloso il partito della neutralità per chi ha poche forze, giacchè,
senza farsi merito nè coll'una nè coll'altra parte de' contendenti,
si soggiace alla disgrazia d'essere divorato da amendue; e a peggio
ancora, se avviene che l'un degli eserciti prevalga, troppo facilmente
suscitandosi sospetti e ragioni per prevalersi in suo pro degli Stati
e delle piazze altrui. Persuaso dunque esso duca che col tenersi
neutrale non si facea punto merito con alcun di essi, e verisimilmente
gli avrebbe avuti nemici tutti e due, si appigliò alla risoluzione
di abbracciare uno d'essi partiti. L'ossequio ed affetto ch'egli
professava all'augusta casa d'Austria e al gran duca di Toscana il
consigliavano ad unirsi con loro, ma troppo pericoloso era per un
vassallo dell'imperio di prendere l'armi contra dell'imperadore _Carlo
VII_ nemico delle suddette potenze, e l'aderire alla regina d'Ungheria,
la quale, invece d'inviar nuove genti alla difesa dell'Italia, avea
richiamata di là dai monti una parte di quelle che qui si trovavano,
ed avea inoltre confessato ad un suo ministro venuto in Italia di
non potersi impiegare a sostener questi Stati; e tanto anche fece
intender al papa e ai Veneziani per loro governo. Manteneva il duca
buona corrispondenza colla corte di Torino; ma questa il più che potè
gli tenne occulto il trattato di lega conchiuso con quella di Vienna.
Oltre a ciò, nè pur comportavano gl'interessi della propria casa al
duca d'aver per nemici l'imperadore e la Spagna, stante l'essersi
scoperto che la casa di Baviera nudriva delle pretensioni sopra la
Mirandola e suo ducato, e il sapersi che _don Francesco Pico_, già
duca d'essa Mirandola, protetto dagli Spagnuoli ne conservava delle
altre, e che sopra la contea di Novellara e sopra il ducato di Massa
s'erano svegliate liti, mal fondate senza dubbio, ma che nel tribunale
cesareo, se fosse stato nemico, avrebbono forse avuto buona fortuna. Il
perchè, mosso il duca di Modena da tali riflessioni, cercò più tosto di
aderire alla parte de' più possenti potentati della cristianità, cioè
dell'imperadore e dei re di Francia e Spagna. Avea egli per sua difesa
in armi un bel reggimento di Svizzeri, e un altro d'Italiani, ch'era
intervenuto alla battaglia di Crostka nella Servia, in tutto tre mila
soldati. In oltre avea quattro mila dei suoi miliziotti reggimentali,
disciplinati, ben vestiti ed armati, e circa quattrocento cavalli
fra corazze e dragoni: sussidio non lieve, uniti che fossero ad una
giusta armata, oltre alla cittadella di Modena e alla fortezza della
Mirandola.
Fu ben accolta in Madrid la proposizione del duca di entrar seco
in lega; ma mentre si andava maneggiando in tanta lontananza questo
affare, non si sa come, ne trapelò l'orditura ai ministri della regina
d'Ungheria, o pure del re di Sardegna. Verso il fine di marzo erasi
avanzato, siccome dicemmo, esso re sardo fino a Piacenza, facendo
intanto sfilare le sue truppe alla volta di Parma, ed ivi avea tenuto
consiglio di guerra col maresciallo _conte di Traun_ governator di
Milano; giacchè l'armata napolispana si era inoltrata sino a Rimini.
Si venne ancora intendendo che il grosso corpo di Spagnuoli sbarcato
in più volte sul Genovesato, senza più pensare a far irruzione dalla
parte del Parmigiano, s'era come amico incamminato per la Toscana
a fine di accoppiarsi coll'altro maggiore de' duchi di _Montemar_
e _Castropignano_. Non senza maraviglia delle persone fece quella
gente un gran giro. Se fosse calata pel Giogo a Bologna, e colà fosse
pervenuto il Montemar, nulla era più facile che il passar fino sul
Parmigiano, e il prevalersi poi delle buone disposizioni del duca di
Modena ed unirsi seco. Essendo giunto a Parma nel dì 30 d'aprile il
re di Sardegna, portossi parimente esso duca di Modena nel dì 2 di
maggio con tutta la corte al delizioso suo palazzo di Rivalta, tre
miglia lungi da Reggio. Colà fu ad abboccarsi seco nel dì 6 di esso
mese il _marchese d'Ormea_, primo ministro del re di Sardegna, che
tosto sfoderò una copia informe del trattato preteso intavolato dal
duca colla corte di Spagna. Onoratamente confessò il duca di aver
fatto dei maneggi a Madrid, ma che nulla s'era conchiuso, nè sapea se
si conchiuderebbe: e questa era la verità. Calde istanze fece l'Ormea
per indurlo alla neutralità; ma perchè il duca ben previde che,
accordando questo primo punto, passerebbe la pretensione a richiedere
in pegno una almeno delle sue piazze per sicurezza di sua fede, non
volle consentire, e prese tempo a pensarvi. Per molti giorni poscia
s'andò disputando, essendo passato il duca a Sassuolo con tutta la
famiglia: nel qual mentre il _duca di Montemar_, che per più settimane
s'era fermato coll'esercito suo in Forlì a divertirsi con una opera
in musica, finalmente si mosse alla volta di Bologna. Fama correa che
i Napolispani ascendessero a quarantacinque mila persone: erano ben
molto meno, ancorchè il Montemar avesse ricevuto il poderoso rinforzo
di fanti e cavalli, passati amichevolmente per la Toscana. Parea questa
nondimeno un'armata da far gran fatti, se non che la diserzione, da
cui non va esente alcuno degli eserciti, si trovò stupenda in essa,
fuggendo spezialmente quegli Alemanni che furono presi nell'apparente
battaglia di Bitonto, e in altre azioni, allorchè fu conquistato il
regno di Napoli dall'infante _don Carlo_. Giorno non v'era, in cui
qualche centinaio d'essi Napolispani non disertasse, attribuendone
alcuni la cagione all'aver lasciata cotanto in ozio quella gente, ed
altri all'aspro trattamento degli uffiziali, giacchè non si può credere
per difetto di paghe, perchè, se ne scarseggiavano gli uffiziali, al
semplice soldato non mancava mai l'occorrente soldo.
Dopo la metà di maggio comparvero sul Bolognese le truppe napolispane,
e a poco a poco vennero nel dì 20 a postarsi alla Samoggia, e nel dì
29 si stesero fino a Castelfranco. Certa cosa è, che se il Montemar si
fosse inoltrato di buon'ora sino al Panaro, siccome allora superiore di
forze, avrebbe potuto occupar quei siti, e stendersi a coprir Modena,
e a passar anche verso Parma, stante l'avere sul principio dell'anno
per mezzo del _conte senatore Zambeccari_ chiesto ed ottenuto dal duca
di Modena il passaggio. Parve dunque ch'egli non peraltro fosse venuto
in quelle vicinanze, se non per burlare esso duca di Modena, il quale
intanto si andava schermendo dal prendere risoluzione alcuna sulla
speranza che lo stesso Montemar passasse a difendere i suoi Stati:
del che non gli mancarono delle lusinghevoli promesse dalla parte del
medesimo generale spagnuolo. Diede agio questa inazion de' Napolispani
al maresciallo _conte di Traun_ di ben postarsi alle rive inferiori
del Panaro con dodici mila Tedeschi, e similmente a _Carlo Emmanuele_
re di Sardegna, passato nel dì 19 di maggio sotto le mura di Modena,
di andare anch'egli a fortificarsi alle rive superiori d'esso fiume.
Di giorno in giorno s'ingrossarono le sue milizie sino a venti mila
persone, giacchè gli era convenuto lasciare un'altra parte delle sue
truppe alla guardia di Nizza e Villafranca, e ai varii confini del
Piemonte, per opporsi ai disegni d'un'altra armata di Spagnuoli che
si andava formando in Provenza contro i suoi Stati, e che dovea esser
comandata dall'infante _don Filippo_, già pervenuto ad Antibo. Nel dì
17 di maggio presero pacificamente i Savoiardi il possesso della città
di Reggio, da cui precedentemente avea il duca dì Modena ritirate le
truppe regolate. Durava intanto una spezie, ma assai dubbiosa, di calma
fra esso duca, dimorante in Sassuolo, e gli Austriaco-Sardi, aspettando
questi che giungessero al loro campo cannoni, mortari e bombe, per
poter parlare dipoi con altro linguaggio. Non avea il duca fin qui
conchiuso accordo alcuno colla corte di Spagna, e neppure ricavato
da essa un menomo danaro per fare quell'armamento, come ne dubitavano
gli Austriaco-Sardi; pure non sapea indursi a cedere volontariamente
le fortezze di Modena e della Mirandola, richieste dagli alleati;
perchè quanto si trovò egli sempre deluso dal _duca di Montemar_,
largo promettitore di ciò che non osava intraprendere, altrettanto
abborriva di non comparire alla corte di Spagna qual principe di doppio
cuore, perchè quivi si sarebbe infallibilmente creduto un concerto co'
collegati la forza che gli avesse fatto cedere quelle piazze.
Prese egli dunque il partito di abbandonar tutto alla discrezione di
chi gli era addosso coll'armi, e dopo aver messi quattro mila uomini
di presidio nella cittadella di Modena, e tre mila in quella della
Mirandola, nel dì 6 di giugno colla duchessa consorte e colle due
principesse sorelle, lasciati i figli colla nuora in Sassuolo, che
poi col tempo si riunirono con lui, prese la via del Ferrarese, e andò
a ritirarsi a Crespino, e di là passò poi al Cataio degli Obizzi sul
Padovano, e finalmente si ridusse a Venezia, portando seco il coraggio,
costante compagno delle sue traversie. Perchè aveva egli lasciato ogni
potere ad una giunta di suoi cavalieri e ministri in Modena, furono
spediti deputati al re di Sardegna, e dopo avere ottenuta la promessa
d'ogni miglior trattamento, nel dì 8 di giugno aprirono le porte della
città a circa mille e cinquecento Savoiardi, che ne presero quietamente
il possesso, con provar da lì innanzi quanta fosse la moderazione e
clemenza del re di Sardegna, quanta la rettitudine de' suoi ministri,
e la disciplina de' suoi soldati. Comandante in Modena fu destinato
il _conte commendatore Cumiana_, cavaliere che non lasciava andarsi
innanzi alcuno nella prudenza, e sapea l'arte di farsi amare e stimare
da ognuno. Nel dì 12 di giugno fu dato principio alle ostilità contro
la cittadella di Modena, alzando terra dalla parte del mezzodì fuori
della città i Savoiardi, e i Tedeschi da quella di settentrione. Perchè
gli assediati fecero una vigorosa sortita, necessario fu il rinforzare
il campo con molta gente. Erette due diverse batterie di mortari, nel
dì seguente cominciarono a tempestare essa cittadella con bombe di dì
e di notte, e seguitò questo flagello sin per tutto il dì 27. Non avea
il _duca Francesco_ avuto tempo di provvedere essa cittadella di case
matte e di ripari contro le bombe; e però in breve si trovò sconcertata
la maggior parte di que' casamenti, non restando luogo alcuno di riposo
e sicurezza alla guarnigione. Essendosi nel dì 28 alzate anche due
batterie di cannoni contra d'essa fortezza, il _cavaliere del Nero_
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