Annali d'Italia, vol. 7 - 22

al grado cardinalizio. Parve al sommo pontefice sì fatta pretensione
poco giusta, nè andò esente da sospetto di qualche reità lo stesso
peraltro innocente nunzio Bichi, quasichè egli contro le costituzioni
apostoliche volesse prevalersi della protezione di quel monarca per
carpire a viva forza un premio che dovea aspettarsi dall'arbitrio
e dalla prudenza del pontefice suo sovrano. Perciò s'imbrogliarono
sempre più le faccende, e il papa, risoluto di conservare la sua
dignità, stette saldo in richiamare il Bichi, avendo già inviato
colà _monsignor Firrao_, il quale presentò il breve della sua
nunziatura, senza prima avvertire se il predecessore lasciava a lui
libero il campo. Costume fu del re di Portogallo, giacchè non poteva
coll'angusta estensione del suo regno uguagliar le principali potenze
della cristianità, di superarle colla magnificenza de' suoi ministri.
Godeva specialmente Roma della profusione de' suoi tesori, sì perchè
l'ambasciator portoghese sfoggiava nelle spese, e sì ancora perchè il
re, invogliatosi di avere nel suo patriarca dell'Indie un ritratto
del sommo pontefice, si procacciava con man liberale ogni dì nuovi
privilegii dalla santa Sede. Ora si avvisò l'ambasciatore portoghese
di far paura al papa, e ito all'udienza, da che vide di non far
breccia nel cuore di sua santità colle pretese ragioni, diede fuoco
all'ultima bomba con dire: _Che se gli era negato quella grazia o
giustizia, avea ordine dal re di partirsi da Roma_. A questa sparata
il saggio pontefice, senza alcun segno di commozione, altra risposta
non diede, se non: _Andate dunque, e ubbidite al vostro padrone_.
Non era fin qui intervenuta una pace ben chiara che sopisse tutte le
controversie vertenti fra l'imperadore e l'Inghilterra dall'un canto,
e il re Cattolico dall'altro. Cioè non avea peranche l'Augusto _Carlo
VI_ autenticamente rinunziato alle sue pretensioni sopra il regno di
Spagna, e nè pure il re _Filippo V_ alle sue sopra i regni di Napoli,
Sicilia, Fiandra e Stato di Milano. Per concordare questi punti si
era convenuto di tenere nel presente anno un congresso in Cambrai; ma
non vi si sapea ridurre il re Cattolico, patendo talvolta i monarchi
troppo ribrezzo a cedere fin le speranze, non che il possesso di
ogni anche menomo Stato: sì forte è l'incanto del Dominamini nel loro
cuore. Faceva in questo mentre gran premura Cesare per ottener dalla
santa Sede l'investitura di Sicilia e di Napoli: al che non si era
saputo indurre papa _Clemente XI_, nè fin qui il regnante _Innocenzo
XIII_, per l'opposizione che vi facea la corte di Spagna. Prevalsero
infine i pareri della sacra corte in favore d'esso Augusto, giacchè
ai diritti di lui s'aggiungeva il rilevante requisito del possesso.
Pertanto nel dì 9 di giugno dell'anno presente, secondo la norma delle
antiche bolle, fu data all'imperadore l'investitura dei regni suddetti:
risoluzione, che quanto piacque alla corte cesarea, altrettanto
probabilmente dispiacque a quella di Spagna.


Anno di CRISTO MDCCXXIII. Indizione I.
INNOCENZO XIII papa 3.
CARLO VI imperatore 13.

Era già pervenuto all'età di ottantun anni e due mesi _Cosimo III de
Medici_ gran duca di Toscana, mercè della sua temperanza, perchè nella
virilità divenuto troppo corpolento, abbracciata poi una vita frugale,
potè condurre sì innanzi la carriera del suo vivere. Ma finalmente
convien pagare il tributo, a cui son tenuti i mortali tutti. Nel dì 31
di ottobre dell'anno presente passò egli a miglior vita, con lasciare
un gran desiderio di sè nei popoli suoi: principe magnifico, principe
glorioso per l'insigne sua pietà, pel savio suo governo, con cui sempre
fece goder la pace ai sudditi in tante pubbliche turbolenze, e procurò
loro ogni vantaggio; siccome ancora per la protezion della giustizia e
delle lettere, e per le altre più riguardevoli doti che si ricercano
a costituire i saggi regnanti. Mirò egli cadente l'illustre sua casa
per gli sterili matrimonii del fu suo fratello principe _Francesco
Maria_, e del già defunto gran principe _Ferdinando_ suo primogenito,
e del vivente _don Giovanni Gastone_ suo secondogenito. Vide ancora
in sua vita esposti i suoi Stati all'arbitrio dei potentati cristiani,
che ne disposero a lor talento, senza alcun riguardo alle alte ragioni
di lui e della repubblica fiorentina, che inclinavano a chiamare
a quella successione il _principe di Ottaiano_, discendente da un
vecchio ramo della casa de Medici. Al duca Cosimo intanto succedette
il suddetto _don Giovanni Gastone_, unico germoglio maschile della
casa de Medici regnante, la cui sterile moglie _Anna Maria Francesca_,
figlia di _Giulio Francesco_ duca di _Sassen Lawemburg_, viveva in
Germania separata dal marito. Mancò parimente di vita in questo anno
a dì 12 di marzo _Anna Cristina di Baviera_ principessa di Sultzbach,
moglie di _Carlo Emmanuele_ duca di Savoia, dopo aver dato alla luce
un principino, che venne poi rapito dalla morte nel dì 11 d'agosto del
1725. Gran duolo che fu per questo nella real corte di Torino, e sopra
i medici si andò a scaricare il turbine, quasi che per aver fatto cavar
sangue al piede della principessa, l'avessero incamminata all'altro
mondo. Arrivò nell'aprile di quest'anno a Roma _monsignor Mezzabarba_,
già spedito negli anni addietro alla Cina con titolo di vicario
apostolico, per esaminare sul fatto i tanto contrastati riti che dai
missionarii si permettevano a quei novelli cristiani. Portò seco alcuni
ricchi regali, inviati da quell'imperadore al santo padre, ed insieme
in una cassa il cadavero del _cardinal di Tournon_, già morto in
Macao. Perchè restò accidentalmente bruciata una nave, su cui venivano
assaissimi arredi e curiosità della Cina, Roma perdè il contento di
vedere tante altre peregrine cose di quel rinomato imperio.
Godevansi per questi tempi in Italia le dolcezze della pace universale,
segretamente nondimeno turbate dal tuttavia ondeggiante conflitto
degl'interessi e delle pretensioni dei potentati. Ad altro non pensava
la corte di Spagna che a spedire in Italia l'_infante don Carlo_,
primogenito del secondo letto del re _Filippo V_, affinchè si trovasse
pronto, in occasion di vacanza, a raccogliere la succession della
Toscana e di Parma e Piacenza, che nei trattati precedenti gli era
stata accordata. Ma perchè non compariva disposto il re Cattolico alle
rinunzie che si esigevano dall'imperador _Carlo VI_, nè al progettato
congresso di Cambrai, per ultimar le differenze, davano mai principio
i plenipotenziarii di Spagna; pericolo vi fu che il suddetto Augusto
spingesse in Italia un'armata per disturbare i disegni del gabinetto
spagnuolo. Medesimamente in gran moto si trovava la corte di Toscana,
siccome quella che non sapea digerire la destinazion di un erede di
quegli Stati fatta dal volere ed interesse altrui, e molto meno il
progetto di metter ivi presidii stranieri durante la vita dei legittimi
sovrani. Non era inferiore l'alterazione della corte pontificia per
l'affare dei ducati di Parma e Piacenza, che, in difetto dei maschi
della casa Farnese, aveano da ricadere alla camera apostolica; e pure
ne aveano disposto i potentati cristiani in favore dei figli della
Cattolica regina di Spagna _Elisabetta Farnese_, con anche dichiararli
feudi imperiali. Non mancò il pontefice _Innocenzo XIII_ di scrivere
più brevi e doglianze alle corti interessate in questa faccenda. Fece
anche fare al congresso di Cambrai per mezzo dell'abbate Rota, auditore
di _monsignor Massei_ nunzio apostolico nella corte di Parigi, una
solenne protesta contro la disegnata investitura di quegli Stati. Ma
è un gran pezzo che la forza regola il mondo; ed è da temere che lo
regolerà anche nell'avvenire. Attendeva in questi tempi il magnifico
pontefice ad arricchir di nuove fabbriche il Quirinale per comodo
della corte, mentre la fabbrica del corpo, infestata da varii incomodi
di salute, andava ogni di più minacciando rovina. Dopo avere il gran
mastro dei cavalieri di Malta fatto di grandi spese per ben guernire
l'isola contro i tentativi dei Turchi, e ottenuta promessa di soccorsi
dal papa e dai re di Spagna e Portogallo, finalmente si avvide che
a tutto altro mirava il gran signore col suo potente armamento. La
Persia lacerata da una terribil ribellione era l'oggetto non men
della Porta Ottomana che di _Pietro_ insigne imperador della Russia,
essendosi sì l'una che l'altro preparati per volgere in lor pro la
strepitosa rivoluzion di quel regno, che in questi tempi era il più
familiar trattenimento dei novellisti d'Italia. Nel dì 2 di dicembre
dell'anno presente da morte improvvisa fu rapito _Filippo duca
d'Orleans_ reggente, e poi ministro del regno di Francia: principe che
in perspicacia di mente e prontezza d'ingegno non ebbe pari. Coll'aver
conservato la vita del re _Luigi XV,_ e fattolo coronare, smontò ogni
calunnia inventata contro la sua fedeltà ed onore. Colse il _duca di
Borbone_ il buon momento, e portata al re la nuova della morte d'esso
duca di Orleans, ottenne di essere preso per primo ministro.


Anno di CRISTO MDCCXXIV. Indizione II.
BENEDETTO XIII papa 1.
CARLO VI imperadore 14.

Grande strepito per Italia fece nell'anno presente l'atto eroico del
Cattolico re _Filippo V_. Questo monarca fin da' suoi primi anni
imbevuto delle massime della più soda pietà, che egli poi sempre
accompagnò colle opere, stanco e sazio delle caduche corone del mondo,
prese la risoluzione di attendere unicamente al conseguimento di quella
corona che non verrà mai meno nel regno beatissimo di Dio. Perciò,
dopo avere scritta a _don Luigi_ principe di Asturias suo primogenito
una sensata ed affettuosissima lettera, in cui espresse i principali
doveri d'un saggio re cristiano, nel dì 16 di gennaio solennemente
gli rinunziò il governo dei regni, dichiarandolo re. Riserbossi il
solo palazzo e castello di Sant'Idelfonso col bosco di Bulsain, e una
pensione annua di cento mila doble per sè e per la regina sua moglie
_Elisabetta Farnese_. Di convenevoli appannaggi provvide gl'infanti
figli, cioè _don Ferdinando, don Carlo e don Filippo_. Grande animo si
esige per far somiglianti sacrifizii, maggiore per non se ne pentire.
Con somma saviezza e plauso continuava il suo pontificato _Innocenzo
XIII_, ed era ben degno di più lunga vita, quando venne Dio a chiamarlo
ad una vita migliore. Infermatosi egli sul principio di marzo, terminò
poi nella sera del dì 7 d'esso mese i suoi giorni con dispiacere
universale, e massimamente del popolo romano. Benchè egli fosse
modestissimo ed umilissimo, pure amava la magnificenza, e niun più di
lui seppe conservare la dignità pontificia. Maestoso nel portamento,
senza mai adirarsi o scomporsi, con poche parole, ma gravi, e sempre
con prudenza, rispondeva e sbrigava gli affari. In lui si mirava un
vero principe romano, ma di quei della stampa vecchia. Resta perciò
tuttavia una vantaggiosa memoria del saggio suo governo; governo bensì
breve, ma pieno di moderazione, e che potè in parte servir di esempio
a' suoi successori.
Aprissi dipoi il sacro conclave, e non pochi furono i dibattimenti e
gl'impegni per provvedere d'un nuovo pastore la greggia di Cristo.
Videsi anche allora come i consigli umani cedono all'occulta
provvidenza che governa il mondo e la Chiesa sua santa; perciocchè
caddero tutti i pretendenti a quella suprema dignità, e andò a
terminare inaspettatamente la concorde elezione in chi non pensava al
triregno, nè punto lo desiderava, anzi fece quanta resistenza potè
per non accettarlo, e sarebbe anche fuggito, se avesse potuto. Fu
questi il cardinale _Vincenzo Maria Orsino_, di una delle più illustri
famiglie romane, che quattro sommi pontefici avea dato nei secoli
addietro alla Chiesa di Dio. Suo nipote era il duca di Gravina. Nato
egli nel febbraio del 1649, conservava tuttavia gran vigore di mente
e di corpo. Nell'ordine dei predicatori aveva egli fatto professione,
ed anche attese a predicare la parola di Dio. In età di ventitrè anni
era stato promosso alla sacra porpora da _Clemente X_. Fu prima vescovo
di Siponto, poi di Cesena, e in questi tempi si trovava arcivescovo
di Benevento. Ciò che mosse i sacri elettori ad esaltare quasi in un
momento questo personaggio, fu il credito della sua sempre incolpata
vita, della sua incomparabil pietà e zelo ecclesiastico, e del suo
sapere: doti singolari, delle quali avea dato di grandi pruove in
addietro nel suo pastoral governo. Convenne chiamare il generale
dei domenicani, riconosciuto sempre da lui per superiore, acciocchè
gli ordinasse in virtù di santa ubbidienza di accettare il papato.
Prese egli il nome di _Benedetto XIII_ in venerazione di _Benedetto
XI_, pontefice di santa vita e dello stesso ordine di San Domenico.
La sua gratitudine verso tutti i cardinali concorsi all'elezione sua
maggiormente attestò le qualità dell'ottimo suo cuore; spezialmente
stese la beneficenza sua verso i due cardinali Albani.
Correano già molti anni che il fisco imperiale si manteneva in
possesso della città di Comacchio e suo distretto. Agitata in Roma
la controversia di chi ne fosse legittimo padrone, o la camera
apostolica o il duca di Modena (la cui nobilissima casa estense da
più secoli riconosceva quella città dalle investiture cesaree, e
non già dalle pontificie), tuttavia restava pendente. Fece il saggio
pontefice _Innocenzo XIII_ ogni sforzo per ricuperarne il possesso,
ben consapevole di che conseguenza sia, in materia massimamente di
Stati, questo vantaggio, ed avea già disposta la corte imperiale a
sì fatta cessione. Ma non potè esso papa godere il frutto dei suoi
maneggi, perchè rapito troppo presto dalla morte. Diede compimento
a questo affare il suo successore _Benedetto XIII_ nel dì 25 di
novembre dell'anno presente, con accordare a sua maestà cesarea le
decime ecclesiastiche per tutti i suoi regni, con rilasciare tutte
le rendite percette, e poscia premiare con un cappello cardinalizio
il figlio del conte di Sinzendorf, primo ministro cesareo, che avea
cooperato non poco all'accordo. Fu dunque conchiusa in Roma fra i
_cardinali Paolucci_ e _Cinfuegos_ plenipotenziarii delle parti la
restituzione del possesso di Comacchio alla santa Sede, con espressa
dichiarazione nondimeno: _Possessionem Comacli a sacra Caesarea
majestate eo dumtaxat pacto dimitti, ut in eamdem Sedes apostolica
restituatur, ut prius, ita scilicet, ut neque eidem Sedi apostolicae
per hanc restitutionem aliquid novi juris tributum, neque Imperio, vel
domui Atestianae quidquam juris sublatum esse censeatur; sed sacrae
Caesareae majestatis, et Imperii, domusque Atestinae jura omnia tam
respectu possessorii, quam petitorii, salva remaneant, neminique ex
hoc actu praejudicium ullum irrogatum intelligatur, usquedum cognitum
fuerit, ad quem Comaclum pertineat_. Fu poi data esecuzione a questo
trattato nel dì 20 di febbraio dell'anno seguente. Se ne rallegrò tutta
Roma; non così la casa d'Este. Correndo il dì 25 di marzo di quest'anno
arrivò al fine di sua vita in Torino madama reale _Maria Giovanna
Batista_ figlia di _Carlo Amedeo_ duca di Nemours e d'Aumale, e madre
del re di Sardegna _Vittorio Amedeo_, in età d'anni ottanta. Non
volle ulteriormente differire quel real sovrano il nuovo accasamento
del duca di Savoia _Carlo Emmanuele_ suo figlio, e gli scelse per
moglie _Polissena Cristina_ figlia di _Ernesto Leopoldo_ langravio di
Assia-Rheinfelds Rotemburgo; e venuto il luglio del presente anno, si
mise essa in viaggio alla volta d'Italia. Portatosi il re Vittorio col
figlio e con tutta la corte in Savoia, accolse, dopo la metà di agosto,
la nuora in Tonon, e colla maggior solennità la introdusse a suo tempo
in Torino.
Videsi intanto un'impensata vicenda delle cose del mondo nella corte
di Spagna. Sorpreso dai vaiuoli il re _Luigi_, dopo aver goduto per
poco più di sette mesi il regno, terminò in età di diecisette anni il
corso della vita, e fu dalle lagrime d'ognuno onorato il suo funerale.
Avrebbe, secondo le costituzioni, dovuto a lui succedere il principe
_don Ferdinando_ suo fratello; ma trovandosi egli in età non peranche
capace di governo, il real consiglio supplicò il re _Filippo V_ di
ripigliar le redini, richiedendo ciò la pubblica necessità. Volle sua
maestà ascoltare anche il parer dei teologi, e trovatolo non conforme
al sentimento del consiglio, restò in grande perplessità. Contuttociò
prevalsero le ragioni che il richiamarono al regno, e però nel dì 6
di settembre pubblicò un decreto, ossia una protesta di riassumere
lo scettro, come re naturale e proprietario, finchè il principe
di Asturias _don Ferdinando_ fosse atto al governo, riserbandosi
nulladimeno la facoltà di continuare nel regno, se così portasse il
pubblico bene; siccome dipoi avvenne, avendo egli governato, finchè
visse, con somma saviezza ed attenzione i suoi regni. Giacchè il
seguente anno era destinato al solenne giubileo di Roma, già intimato
alla cristianità, il santo pontefice _Benedetto XIII_ ne fece con tutta
divozion l'apertura verso il fine di dicembre, cioè nella vigilia del
santo Natale. Pubblicò ancora la risoluzione sua di celebrare nella
domenica in Albis del seguente anno un concilio provinciale nella
basilica Lateranense, con invitarvi i vescovi compresi nella provincia
romana, e tutti i suggetti a dirittura alla santa Sede.


Anno di CRISTO MDCCXXV. Indizione III.
BENEDETTO XIII papa 2.
CARLO VI imperadore 15.

Con gran concorso di pellegrini divoti fu celebrato nel presente
anno in Roma il solenne giubileo, e fra gli altri cospicui personaggi
concorse a partecipar di queste indulgenze la vedova gran principessa
di Toscana _Violante di Baviera_, la quale se ricevette le maggiori
finezze dal sommo pontefice e da tutta quella nobiltà, lasciò anch'ella
ivi un'illustre memoria della sua insigne pietà e liberalità. Grande
occasione fu questo giubileo al santo padre _Benedetto XIII_ di
esercitar pienamente le tante sue virtù, delle quali parleremo andando
innanzi. E siccome egli era indefesso in tutto ciò spezialmente che
riguarda la religione, così nel dì 15 di aprile diede principio nella
basilica Lateranense al concilio provinciale, a cui intervenne gran
copia di cardinali, vescovi ed altri prelati. Vi si fecero bellissimi
regolamenti intorno alla disciplina ecclesiastica, essendo state prima
ben ventilate le materie in varie congregazioni dei più assennati
teologi. Volle il sommo pontefice che i vescovi non sentissero il
peso della lor dimora in Roma, con far somministrar loro le spese
dalla camera apostolica. Nel dì 5 di giugno fu posto fine a quella
sacra assemblea, ammirata e benedetta da tutto il popolo romano, che
da tanti anni indietro non ne avea mai goduta la maestà. In questi
medesimi giorni il Campidoglio romano rinovò un'illustre cerimonia
non più veduta dopo il tempo di Francesco Petrarca. Cioè dal senatore
e dai conservatori del popolo fu con gran solennità conferita la
corona d'alloro al cavalier _Bernardino Perfetti_ Senese, poeta
rinomato pel possesso delle scienze migliori, e massimamente per la
sua impareggiabile facilità ad improvvisare in versi italiani, e versi
pieni di sugo e non di sole frasche. Onorarono quella funzione parecchi
porporati e la suddetta gran principessa di Toscana. Non trascurò
intanto il buon pontefice alcun mezzo per frastornare i disegni
dei potentati sopra Parma e Piacenza; ma con poca fortuna, essendo
improvvisamente scoppiata una pace stabilita in Vienna fra l'imperadore
e il re Cattolico, senza che vi s'interponessero coronati mediatori,
e senza aver cura degl'interessi dei principi alleati. Come questa
nascesse, gioverà saperlo.
S'era fin qui nel congresso di Cambrai fatto un gran cambio di parole
e ragioni fra i ministri delle corone per giugnere ad una vera pace
universale. Ma una remora troppo possente era sempre l'affare di
Minorica e Gibilterra; pretendendone gli Spagnuoli la restituzione,
benchè ne avessero fatta in Utrecht la cessione, e negandola
gl'Inglesi; di modo che apparenza non v'era di sciogliere questo
nodo, per cui tutti gli altri restavano sospesi. Avvenne che il baron
di Ripperda Giovanni Guglielmo, uomo ardito olandese, che, come i
razzi, fece dipoi una luminosa ma assai breve comparsa nel teatro del
mondo, segretamente mosse parola in Vienna di una pace privata fra
l'_imperador Carlo VI_ e il re Cattolico _Filippo V_; e questa non
cadde in terra. Premeva a sua maestà cesarea di mettere fine ad ogni
pretension della Spagna sopra gli Stati di Napoli, Sicilia, Milano
e Fiandra. Più era vogliosa la corte di Spagna di risparmiare una
chiara rinunzia a Gibilterra e Minorica, e di assicurare all'_infante
don Carlo_ la succession della Toscana e di Parma e Piacenza: al che
spezialmente porgeva continui impulsi la regina _Elisabetta Farnese_,
intenta al bene degli infanti suoi figli; e tanto più per udirsi
infestata da molti incomodi la sanità del gran duca _Giovanni Gastone
de Medici_. Posta tale vicendevole disposizione d'animi, non riuscì
difficile lo strignere l'accordo. Fu esso stipulato in Vienna nel dì
30 di aprile, e l'impensata sua pubblicazione sorprese ognuno: tanta
era stata la segretezza del trattato. La sostanza principale di quegli
articoli consisteva nella rinunzia fatta da Cesare a tutti i suoi
diritti sulla corona di Spagna, con ritenerne il solo titolo, sua
vita durante; e a stabilire che essa corona non si avesse mai ad unire
con quella di Francia. All'incontro anche il re Cattolico _Filippo V_
rinunziava in favore dell'augusta casa d'Austria tutte le sue ragioni
sopra Napoli, Sicilia, Stato di Milano e Fiandra, siccome anche
annullava il patto della reversione pel regno di Sicilia. Un altro
importantissimo punto ancora si vide assodato. Nel dì 6 di dicembre
dell'anno precedente avea l'imperadore _Carlo VI_ formata e pubblicata
una prammatica sanzione, per cui, in difetto di maschi, era chiamata
all'intera successione di tutti i suoi regni e Stati l'_arciduchessa
Maria Teresa_ sua primogenita con vincolo di fideicommisso e
maggiorasco: decreto che venne poi accettato e confermato da tutti i
tribunali dei suoi dominii. Ora anche il re Cattolico accettò la stessa
prammatica sanzione, obbligandosi di esserne garante e difensore.
Finalmente fra le parti fu accordato, che venendo a mancare la linea
mascolina del gran duca di Toscana, e del duca di Parma e di Piacenza,
si devolverebbono i loro Stati colla qualità di feudi imperiali
all'infante _don Carlo_ primogenito della regina di Spagna _Elisabetta
Farnese_, restando il porto di Livorno libero sempre, come si trovava
in questi tempi. Seguì parimente una lega e un trattato di commercio
fra i suddetti sovrani. Nel dì 7 di giugno di quest'anno con altri
atti fu confermata la suddetta concordia, accolta precedentemente con
isdegno da chi ne era rimasto escluso; e massimamente perchè Cesare si
obbligò di non opporsi, in caso che la Spagna tentasse di ricuperar
colla forza Minorica e Gibilterra. Quei nobili Spagnuoli che aveano
seguitato l'Augusto Carlo in Germania, e in vigore di questa pace se
ne tornarono in Ispagna a godere i lor beni liberati dalle unghie
del fisco, trovarono pregiudiziale la mutazion del clima; perchè
infermatisi, in men di un anno cessarono di vivere.
Nella primavera dell'anno presente diede la corte di Francia non
poco da discorrere ai politici. Un'infermità sopraggiunta al giovane
re _Luigi XV_ in grande apprensione ed affanno avea tenuto tutti i
sudditi suoi, amantissimi sopra gli altri popoli de' loro monarchi.
Perfettamente si riebbe la maestà sua; ma questo pericolo fece
conoscere al suo ministero la necessità di non differir maggiormente
di procurare al re una consorte che conservasse e propagasse la sua
discendenza. Dimorava in Parigi l'_infanta di Spagna_, a lui destinata
in moglie, che già per tale speranza godeva il titolo di _regina_; ma
questa principessa avea solamente nel dì 31 di marzo compiuto l'anno
settimo dell'età sua, e troppo perciò conveniva aspettare, acciocchè
fosse atta alle funzioni del matrimonio. Fu dunque presa la risoluzione
di rimandarla con tutto decoro in Ispagna; nè si tardò ad eseguirla.
Per atto sì inaspettato restarono talmente amareggiati il re e la
regina di Spagna, che richiamarono tosto da Parigi i lor ministri, e
rimandarono anch'essi in Francia _madama di Beaujolais_, figlia del
fu duca d'Orleans reggente, la quale avea da accoppiarsi in matrimonio
coll'_infante don Carlo_; e questa poi s'unì nel viaggio colla sorella,
vedova del defunto re di Spagna _Luigi_, la qual parimente se ne
tornava a Parigi. Contribuì non poco questa rottura ad accelerar la
pace suddetta fra l'imperadore e il re Cattolico. Fu allora che la
gente curiosa prese ad indovinare qual principessa avrebbe la fortuna
di salire sul trono di Francia; ma niuno vi colpì. Con istupore
d'ognuno s'intese dipoi che il re, o, per dir meglio, il duca di
Borbone primo ministro avea prescelta la _principessa Maria_ figlia di
_Stanislao re di Polonia_, ma di solo nome. Videsi questa principessa,
nel mese di settembre, condotta con gran pompa da Argentina al talamo
reale. Attendendo in questi tempi il pontefice _Benedetto XIII_ non
meno al pastoral governo che all'economia de' suoi Stati, pubblicò
nel dì 15 d'ottobre una utilissima bolla intorno all'annona di Roma
e all'agricoltura di que' paesi. Non così fu applaudita nel giugno di
questo anno la promozione alla sacra porpora da lui fatta di monsignor
_Niccolò Coscia_, prevedendo già i più saggi che questo personaggio,
favorito non poco dall'ottimo pontefice, si sarebbe col tempo abusato
della confidenza e bontà del santo padre, il quale non mai dicendo
_basta_ alla gratitudine sua, volle premiare l'antica servitù di questo
soggetto, e col tempo gli procacciò anche il ricco arcivescovato di
Benevento. S'egli fosse meritevole di tanti favori, ce ne avvedremo
andando innanzi.


Anno di CRISTO MDCCXXVI. Indizione IV.
BENEDETTO XIII papa 3.
CARLO VI imperadore 16.

Da che fu alzato alla dignità pontifizia il cardinale Orsino, uno
spettacolo insolito, che tirava a sè gli occhi d'ognuno, era la sua
maniera di vivere. Non solamente il pontefice nulla avea sminuito
dell'umiltà, virtù la più favorita di _Benedetto XIII_, ma parea
che l'avesse accresciuta. Non sapeva egli accomodarsi a quella
pompa e magnificenza che vien creduta un ingrediente necessario per
maggiormente imprimere ne' popoli il rispetto dovuto a chi è insieme
sommo pontefice e principe grande. Sui principii bramò egli d'uscir di
palazzo senza guardie, e come povero religioso in una chiusa carrozza,
per andare alle frequenti sue visite delle chiese e degli spedali,
oppure al passeggio. Gli convenne accomodarsi al ripiego de' più
saggi, cioè di portarsi alle sue divozioni accompagnato da un semplice
cappellano con poche guardie, recitando egli nel viaggio la corona
ed altre orazioni. Cassò nondimeno, come creduta da lui superflua, la
compagnia delle lancie spezzate. Chi entrava nella camera sua penava a
trovarvi un romano pontefice, perchè non v'erano addobbi o tappezzerie,
ma solamente sedie di paglia ed immagini di carta con un Crocefisso.
Andava talvolta a pranzo nel refettorio de' padri domenicani della
Minerva, come un di essi, altra distinzion non ammettendo di cibo o di
sedia, se non che stava solo ad una delle tavole. Al generale d'essi
religiosi, ch'egli riguardava sempre come suo superiore, non isdegnava
di baciar la mano. Non volle più che gli ecclesiastici, venendo alla
sua udienza, gli s'inginocchiassero davanti. Intervenne talvolta
al coro coi canonici in San Pietro, o pure nel coro dei religiosi;
senz'altra distinzione che di sedere nel primo luogo sotto piccolo
baldacchino.
Lungo sarebbe il registrare i tanti atti dell'umiltà sì radicata in
lui, che sembravano forse eccessi agli occhi di chi era avvezzo a
mirar la maestà e splendidezza de' suoi antecessori, ma non già agli
occhi di Dio. Eminente ancora si facea conoscere in questo pontefice
il suo staccamento dai legami del sangue e dell'interesse. Amava
molto il duca di Gravina suo nipote, e qualche poco anche il di lui
fratello Mondillo; ma troppo abborriva il nepotismo. Niun d'essi
volle egli al palazzo, molto meno gli mise a parte alcuna del governo;