Annali d'Italia, vol. 7 - 18
dì 8 del seguente maggio, ripigliò il viaggio alla volta di Mantova,
dove si fermò per tre giorni, e comparve a complimentarla _Rinaldo
d'Este_ duca di Modena. Inviossi dipoi verso Lamagna, ricevuta dai
Veneziani, e dappertutto dove passò, con insigne magnificenza. Nel dì
22 di giugno il _maresciallo di Staremberg_ stabilì una capitolazione
coi commissarii del re Cattolico, per evacuar la Catalogna; e poi
ritirate le sue truppe da Barcellona cominciò ad imbarcarle sopra le
navi inglesi. Gran copia di barche napoletane furono a quest'effetto
spedite colà, e si videro poi giugnere esse milizie a Vado nella
Riviera di Genova nel dì 8 e 16 del mese di luglio, da dove passarono
a ristorarsi nello Stato di Milano. In essi legni venne ancora
gran numero di Spagnuoli, anche delle più illustri case, che tutto
abbandonarono, per non rimanere esposti a mali peggiori, cioè alla
vendetta del fortunato re _Filippo V_. Non si può esprimere in che
trasporti di rabbia e di querele prorompessero i Catalani, al trovarsi
in tal maniera lasciati alla discrezione dello sdegnato monarca.
Andò sì innanzi la lor collera, che presero la disperata risoluzion
di difendersi a tutti i patti, benchè abbandonati da ognuno, contro
la potenza del re Cattolico, e fecero per questo dei mirabili
preparamenti. Molto più ne fece la corte di Madrid, la cui armata
passò in quest'anno a bloccare la stessa città di Barcellona. A me non
occorre dirne di più.
Fra le altre memorabili virtù dell'imperator _Carlo VI_ sempre si
distinse quella della gratitudine. Avea egli pertanto portato seco
dalla Spagna un generoso affetto verso chiunque s'era in quelle parti
dichiarato del suo partito, e dimostrollo poi, finchè visse, verso
chiunque si rifugiò sotto le sue ali in Italia o in Germania, con
sostenere migliaia di Spagnuoli esuli, non ostante il gravissimo
dispendio dell'imperiale e regia camera sua. Pieno di compassione
verso gli abbandonati Catalani, bramava pure di sovvenir loro nella
presente congiuntura, ed abbisognava eziandio di pecunia per sostenere
sè stesso contro le superiori forze del re Cristianissimo, a cui
altro nimico non era restato che il solo imperadore. O progettassero
i suoi ministri, o ne movesse la repubblica di Genova le dimande,
venne egli alla risoluzione di vendere ad essi Genovesi il marchesato
del Finale, già feudo dei marchesi del Carretto, e poi passato in
potere dei re di Spagna. Fu stabilito questo contratto nel dì 20 di
agosto del presente anno, con pagare in varie rate essa repubblica
a sua maestà cesarea un milione e ducento mila pezze, ciascuna di
valore di cinque lire, o sia di cento soldi moneta di Genova; e con
dichiarazione che continuasse quella terra colle sue dipendenze ad
essere feudo imperiale. Non si tardò a darne il possesso ai medesimi
Genovesi con fama che fossero accolti mal volentieri que' nuovi padroni
dai Finalini, e che la real corte di Torino si mostrasse malcontenta
di tal novità. Avrebbe essa ben esibito molto di più per ottenere
uno Stato tale, non grande al certo, ma di rivelante comodo ai suoi
interessi, massimamente dopo l'acquisto della Sicilia. Fu preteso
che l'imperadore si fosse riservato il diritto di ricuperare quel
marchesato, restituendo la somma del danaro ricevuto; ma di questo non
v'ha parola nell'investitura conceduta ad essa repubblica. Gioioso in
questi tempi il re Cristianissimo _Luigi XIV_ per essersi sbrigato da
tanti suoi potenti nemici, rivolse tutti i suoi pensieri ad obbligar
colla forza l'imperadore _Carlo VI_ ad abbracciar la pace, giacchè
egli solo vi avea ripugnato fin qui. Unite dunque le sue forze, spinse
il valoroso _maresciallo di Villars_ addosso alla rinomata fortezza
di Landau nell'Alsazia. Dopo una vigorosa difesa fu costretta quella
piazza, nel dì 22 d'agosto, a rendersi, con restar prigioniera di
guerra la guernigione. Verso la metà di settembre passò il medesimo
maresciallo il Reno, ed imprese l'assedio di Friburgo. Il comandante
di quella piazza nel dì primo di novembre si ritirò ne' castelli,
lasciandola aperta ai Franzesi, che intimarono tosto ai cittadini la
contribuzione d'un milione per esentarsi dal sacco. Nel dì 16 d'ottobre
anche le fortezze si renderono ai Franzesi con tutte le condizioni
più onorevoli. Dopo tali acquisti si posarono l'armi e cominciarono
ad andare innanzi e indietro proposizioni di pace, a cui Cesare non
negò l'orecchio, perchè oramai persuaso di non poter solo sostenere sì
grande impegno.
Benchè gli affari correnti cospirassero a restituire la pubblica
tranquillità all'Europa, e non solamente fossero cessate in Italia
le turbolenze della guerra, ma si assodasse maggiormente la quiete
per l'incamminamento di varii cesarei reggimenti verso la Germania;
pure non mancavano affanni a queste contrade. Dall'Ungheria e Polonia
era passata a Vienna la peste, con istrage non lieve delle persone,
e cominciò sì fatto orrendo malore a stendere le ali per l'Austria,
Baviera ed altre parti della Germania. Attentissima sempre la veneta
repubblica alla sanità dell'Italia, e a tener lungi questo morbo
desolatore, interruppe tosto ogni commercio col Settentrione, e
seco s'unì per li suoi Stati il sommo pontefice. Ma non potè fare
altrettanto lo stato di Milano ed altri principi: il che cagionò un
grave disordine nel commercio per l'Italia. Volle Dio che prima di
quel che si sperava cessasse dipoi questo flagello; laonde cessarono
ancora le prese precauzioni. Ebbe in quest'anno materia di lutto la
corte di Toscana per la morte del gran principe _Ferdinando de Medici_,
figlio del gran duca _Cosimo III_, accaduta nel dì 30 del suddetto mese
d'ottobre, senza lasciar frutti del suo matrimonio colla principessa
_Violante Beatrice_ figlia di _Ferdinando_ elettor di Baviera. Di
maravigliose prerogative d'ingegno era ornato questo principe. Non
fosse egli mai andato molti anni addietro a gustare i divertimenti del
carnevale a Venezia. Fu creduto ch'egli ivi si procacciasse un tarlo
alla sua sanità, da cui finalmente fu condotto alla morte. Trovavasi
sovente infestato il pontefice _Clemente XI_ dagl'insulti dell'asma, e
da altri incomodi di sanità; pure, siccome principe di rara attività,
continuamente accudiva ai negozii, e questi non erano pochi. Passavano
calde liti fra quella sacra corte e il già duca di Savoia ora re
di Sicilia, siccome ancora coi Genovesi e col regno di Napoli, e
massimamente coi reggenti dell'appellata monarchia di Sicilia. Il santo
padre, siccome zelantissimo della immunità ecclesiastica e dei diritti
della santa sede, fulminava monitorii, interdetti e scomuniche: con che
effetto, lo dirà a suo tempo la storia della Chiesa.
Ma le occupazioni dell'indefesso pontefice furono interrotte in questi
tempi per un imbroglio succeduto in Francia. Forse non piacendo al
_cardinale di Noaglies_ arcivescovo di Parigi che il _re Luigi XIV_
avesse preso per suo nuovo confessore un certo religioso, avvertì sua
maestà che questi avea spacciato in un suo libro alcune proposizioni
poco sane in difesa dei riti cinesi. Ne parlò il re al confessore,
il quale rispose, maravigliarsi che il porporato accusasse altrui,
quando egli aveva approvato il libro del padre Quesnel, intitolato
_Il Nuovo Testamento_, ec., in cui si trovava gran copia di sentenze
giansenistiche. Rapportò il re questa risposta al cardinale, ed egli
disse che l'opera del Quesnel era stata corretta, confessando nondimeno
che vi restavano tuttavia dieci o dodici proposizioni meritevoli di
correzione, e che egli col celebre vescovo di Meaux Bossuet era dietro
a prestarvi rimedio. Ciò inteso dal confessore, disse al re: _Come,
dieci o dodici proposizioni di cattivo metallo? ve n'ha più di cento_.
E preso l'impegno di mostrarlo, ricavò da quel libro cento ed una
proposizioni. Furono poi queste spedite a Roma dal re; e dappoichè sua
santità n'ebbe fatto fare un rigoroso esame, le condannò tutte nel dì
10 di settembre del presente anno colla famosa bolla _Unigenitus_,
che poi riuscì seminario d'incredibili dissensioni, appellazioni ed
altri sconcerti nel regno di Francia, intorno ai quali io rimetto il
lettore ai tanti libri pubblicati su questo emergente. Continuò ancora
in quest'anno il male pestilenziale delle bestie bovine, ed assalì
varii altri paesi d'Italia. Penetrò nello Stato ecclesiastico e nella
Calabria, ed entrò anche nel basso Modenese. Non arrivò questo flagello
a cessare, se non nell'anno seguente. Dopo essere dimorato gran tempo
in Italia il principe reale ed elettorale di Sassonia, finalmente verso
la metà d'ottobre si partì da Venezia, dove avea ricevuti tutti gli
onori e divertimenti possibili, inviandosi verso i suoi Stati.
Anno di CRISTO MDCCXIV. Indizione VII.
CLEMENTE XI papa 15.
CARLO VI imperadore 4.
Con tutti i progressi delle sue armi nell'anno precedente non rallentò
il re Cristianissimo _Luigi XIV_ le sue premure, per dar totalmente
la pace alla Europa, col condurre in essa anche l'Augusto _Carlo
VI_. Abbisognava eziandio l'imperatore di troncar questo litigio,
perchè troppo pericoloso scorgeva il voler solo mantener la guerra
con chi s'era potuto sostenere contro tante potenze unite, ed avea
ormai ottenuto l'intento di stabilire il nipote in Ispagna. Comunicò
il re Luigi le sue premure agli elettori di Magonza e Palatino; e
questi mossero la corte di Vienna ad ascoltar le proposizioni della
desiderata scambievole concordia. Fu eletto per luogo del trattato
il palazzo di Rastat, spettante al principe di Baden, e nel dì 26 di
novembre del precedente anno colà comparvero il _principe Eugenio_
per sua maestà cesarea, e il _maresciallo di Villars_ per sua maestà
Cristianissima. Per due mesi frequenti furono le conferenze; e non
trovandosi maniera di accordar le pretensioni, già parea che si avesse
a sciogliere in nulla l'abboccamento, con essersi anche ritirato il
principe Eugenio per preparar le armi; quando finalmente si raggruppò
l'affare, e nel dì 6 di marzo si giunse a segnar gli articoli della
pace, o sia i preliminari della concordia; perciocchè non si poterono
smaltire tutte le differenze, e volle l'imperadore che anche l'imperio
concorresse alla stabilità d'un atto di tanta importanza. Discese
la corte di Francia dall'alto di molte sue pretensioni, perchè ben
conosceva vacillanti gli affari in Londra, essendosi mostrati quei
parlamenti mal soddisfatti della _regina Anna_ e de' suoi ministri, nè
gl'Inglesi ed Olandesi avrebbero in fine sofferto che Cesare restasse
vittima della potenza francese. I principali capitoli d'essa pace di
Rastat consisterono nella restituzione di Friburg, del forte di Kel
e di altri luoghi fatta dalla Francia, che ritenne Argentina, Landau
ed altre piazze, indarno pretese da Cesare. Gli elettori di Baviera e
di Colonia furono restituiti nel possesso dei loro Stati. I regni di
Napoli colle piazze della Toscana e Sardegna, la Fiandra e lo Stato
di Milano, a riserva del ceduto al duca di Savoia, restarono in poter
dell'imperadore. Fu poi scelta la piccola città di Bada, o sia di
Baden, posta negli Svizzeri in vicinanza di Zurigo, per quivi terminar
le altre differenze. A poco si ridusse il risultato di quell'assemblea;
ed avendo l'imperadore ricevuta la plenipotenza dalla dieta di
Ratisbona, non lasciò di conchiudere ivi la pace nel dì 5 di settembre
a nome dell'imperio, colla conferma di quanto era stato stabilito in
Rastat.
Videsi in tale occasione ciò che tante volte si è provato e si
proverà, che chi dei principi minori entra in aderenze coi maggiori
nel bollor delle guerre, lusingato di accrescere la propria fortuna,
si ha da consolare in fine, e contare per gran regalo, se ottiene la
conservazione del proprio; perchè va a rischio anche della perdita
di tutto, attendendo i monarchi al proprio vantaggio, e poca cura
mettendosi degli aderenti. Perdè il _duca di Mantova_ tutti i suoi
Stati. Al _duca di Guastalla_ dovea pervenire il ducato di Mantova:
si trovarono più forti le ragioni di chi n'era entrato in possesso.
Giuste pretensioni promosse ancora il _duca di Lorena_ sul Monferrato.
Con un pezzo di carta, che prometteva l'equivalente, fu pagata la di
lui parte. Il _duca della Mirandola_ vide venduto il suo Stato al duca
di Modena, e sè stesso costretto a rifugiarsi in Ispagna a mendicar
il pane da quella real corte. Fu intimato a _Giacomo III Stuardo_ re
cattolico d'Inghilterra di uscire del regno di Francia; e ricoveratosi
egli nella Lorena, nè pur ivi trovò sicuro asilo, con ridursi in fine
a cercare il riposo fra le braccia del sommo pontefice nella sede
primaria del cattolicismo. Si erano mostrati liberali i Gallispani
verso di _Massimiliano duca ed elettore di Baviera_, ora investendolo
dei Paesi Bassi da loro perduti, ora di Lucemburgo e di altri paesi,
ed ora proponendo di farlo re di Sardegna. In ultimo dovette ringraziar
Dio di aver potuto ricuperare gli aviti suoi Stati, ma desolati, e che
per un pezzo ritennero la memoria degli sfortunati tentativi del loro
sovrano.
A queste metamorfosi finalmente restò soggetta anche la Catalogna, da
cui fu forzato l'Augusto _Carlo VI_ di ritirar le sue armi con suo
ribrezzo e rammarico indicibile per la compassione a que' popoli,
che con tanto vigore e fedeltà aveano sostenuto il partito suo. Già
nell'anno addietro avea spedito il re _Filippo V_ l'esercito suo,
comandato dal _duca di Popoli_, a bloccare la città di Barcellona,
dove trovò que' cittadini molto afforzati di milizia, e risoluti di
spendere piuttosto la vita colle armi in mano, che di tornare sotto
l'offeso monarca, da cui temeano ogni più acerbo trattamento. Furono
memorabili le imprese da lor fatte in propria difesa, e passò il verno
senza veruna speranza che una sì feroce e disperata nazione si avesse
da rimettere all'ubbidienza. Fama fu ch'essi Catalani progettassero
fino di darsi più tosto alle potenze africane, che di tornare sotto
il giogo castigliano. D'uopo anche fu che il re Cattolico _Filippo V
_implorasse l'assistenza dell'avolo re Cristianissimo. Il _maresciallo
di Bervich_, inviato da Parigi a Madrid per condolersi della morte di
_Maria Lodovica_ di Savoia regina, accaduta nel febbraio di questo
anno, ebbe ordine di offerirsi al servigio di sua maestà Cattolica,
che volentieri l'accettò per comandante; e più volentieri ricevette
l'esibizione d'un grosso rinforzo, anzi, per dir meglio, di un
esercito di milizia franzese. Cominciò nel maggio il formale assedio
di Barcellona, e proseguì con calore fino al luglio, in cui, arrivati
i Franzesi, maggiormente crebbe il teatro di quella guerra. Alle
terribili offese con incredibil coraggio corrisponsero i difensori.
Gran sangue costò ogni menomo acquisto di quelle fortificazioni, nè mai
quella cittadinanza trattò di rendersi, se non quando vide sboccati
nella stessa città gli aggressori. Convenne dunque esporre bandiera
bianca; e da che fu promessa l'esenzione dal sacco e la sicurezza della
vita, fu consegnata la città ai voleri del re Cattolico. Qual fosse
il trattamento fatto a quei cittadini e popoli, non occorre che io lo
rammenti. L'isola di Maiorica non per questo volle sottomettersi, e
necessaria fu la forza a soggiogarla. Restarono solamente in dominio
degl'Inglesi Gibilterra e l'isola di Minorica, dove è Porto Maone, con
averne il re Cattolico nel solenne trattato di pace fra la maestà sua e
la _regina Anna_ d'Inghilterra, stipulato nel dì 13 di luglio dell'anno
precedente, sottoscritta la cessione ad essi Inglesi.
Nel dì 28 d'aprile di quest'anno passò all'altra vita _don Vincenzo
Gonzaga_ duca di Guastalla in età di ottant'anni, ed ebbe per
successore il principe _Antonio Ferdinando_ suo primogenito. A gravi
turbolenze rimase esposta _Anna Stuarda_ regina della Gran Bretagna
dopo la conclusione della pace, dichiarandosi mal soddisfatti di lei e
del suo ministero i parlamenti per li passati maneggi, e massimamente
perchè si credette, o si seppe, ch'ella desiderava per suo successore
nel trono il re _Giacomo III_ suo fratello. Cadde perciò in odio e
disprezzo di quella nazione, e seguirono in Londra varii tumulti e
mutazioni; ma venne la morte a liberarla dai guai presenti nel dì 12
d'agosto; e però pacificamente fu riconosciuto per re di quel potente
regno _Giorgio Lodovico_ duca di Brunsvich ed elettore, della cui
nobilissima origine e comune stipite colla casa d'Este ho io assai
parlato nelle Antichità Estensi. Essendo rimasto vedovo _Filippo V_
re di Spagna, pensò egli di passare alle seconde nozze, e pose gli
occhi sopra la principessa _Elisabetta Farnese_, nata nel dì 25 di
ottobre del 1690 da _Odoardo principe_ ereditario di Parma. Oltre a
molte rare prerogative d'animo e d'ingegno, e specialmente di pietà,
portava questa principessa in dote delle forti pretensioni sopra il
ducato di Parma e di Piacenza, ed anche sopra la Toscana, siccome
discendente da _Margherita de Medici_ figlia di _Cosimo II_ gran
duca. Stabilitosi dunque il reale accasamento, per opera spezialmente
dell'_abbate Alberoni_, residente allora in Madrid pel duca zio di
lei, seguì nel dì 16 di settembre in Parma il suntuoso sposalizio
d'essa principessa, avendovi assistito il _cardinale Ulisse Gozzadini_
Bolognese, spedito a questo effetto dal papa _Clemente XI_ con titolo
di legato a latere, e con accompagnamento magnifico di più centinaia
di persone. _Francesco Farnese_ duca di Parma suo zio la sposò a nome
di sua maestà Cattolica. Fu poi condotta la novella regina a Sestri
di Levante; e quivi preso l'imbarco, senza poter sostenere gl'incomodi
del mare sdegnato, fece dipoi la maggior parte del viaggio per terra,
e passò in Ispagna a felicitare quella real prosapia. Giunse a Madrid
solamente sul fine dell'anno, e nel viaggio diede gran motivo di
parlare alla gente, per aver ella animosamente licenziata ed inviata
in Francia la duchessa Orsini, che il re le avea mandato incontro
con titolo di sua dama d'onore. Quali conseguenze portasse poi questo
matrimonio, andando innanzi lo vedremo. Dopo avere _Vittorio Amedeo_
re di Sicilia lasciati in quell'isola molti bellissimi regolamenti
pel governo del nuovo regno, ed accresciute le forze tanto di terra
quanto di mare in esse contrade, e dopo avere restituita la quiete a
quelle terre, dianzi infestate da gran copia di licenziosi banditi,
tornossene colla real consorte in Piemonte nell'ottobre di quest'anno,
e con gran solennità nel dì primo di novembre fece la sua entrata in
Torino. Duravano intanto, anzi ogni giorno maggiormente si accendevano
le controversie fra la santa Sede e quel real sovrano, sostenitore
risoluto dell'appellata monarchia di Sicilia. Nel novembre di questo
anno fece il santo padre pubblicar due formidabili bolle contro i
pretesi diritti di quel tribunale. Cagion fu questa lite che non pochi
Siciliani si ritirassero a Roma con aggravio non lieve della camera
apostolica. Gravissime occupazioni ancora ebbe in questi tempi il sommo
pontefice per li torbidi suscitati in Francia dalla bolla _Unigenitus_,
dei quali a me non appartien di parlare.
Anno di CRISTO MDCCXV. Indiz. VIII.
CLEMENTE XI papa 16.
CARLO VI imperadore 5.
Appena aveva incominciato l'Italia a respirare da tanti disastri,
dopo l'universal pace de' monarchi cristiani, sperando giorni ormai
felici, quando la repubblica veneta mirò da lungi cominciato fin l'anno
addietro un fiero temporale che la minacciava in Levante. Questo era
un gran preparamento di gente e di navi che facea la Porta Ottomana,
con ispargere varii pretesti di disgusto contra di essi Veneziani;
giacchè di questa mercatanzia ne truova sempre nei suoi magazzini
chi ha possanza e voglia di far guerra ad altrui. E tanta più ne
trovò il sultano de' Turchi, perchè principe non v'ha che, dopo avere
suo malgrado perduto qualche Stato, non si senta agitato da interne
convulsioni, cioè da un continuo desio di ricuperarlo, se può. Aveano
nelle precedenti guerre i Musulmani perduto il regno della Morea, e
fattane cessione alla veneta repubblica. Perchè i giannizzeri tuttodì
moveano sedizioni, fu creduto da quel divano che alle loro insolenze
si metterebbe fine coll'impegnarli in qualche guerra; e che coloro
prendessero di mira la suddetta Morea, si vociferava dappertutto.
Questa voce nondimeno tal forza non ebbe da addormentare il cauto gran
maestro di Malta. Diedesi egli perciò a ben premunire quella città ed
isola fortissima, col chiamare colà tutti i cavalieri d'Italia e di
altre nazioni, e con fare ogni necessaria provvisione di munizioni
da bocca e da guerra, affinchè il Turco, che altre volte avea finta
un'impresa, e ne avea poi fatta un'altra, sapesse che si vegliava in
quella parte contro i suoi tentativi. Ora in quell'angustia di tempo
non lasciarono i Veneziani di far tutto l'armamento possibile per
accrescere le lor genti d'armi e le lor forze di mare, e per tutta
la Germania si studiarono di ottener leve di gente, non perdonando a
spesa e diligenza veruna. Anche il pontefice _Clemente XI_, commosso
dal grave pericolo della cristianità, ricorse all'aiuto del cielo;
prescrisse preghiere e orazioni per tutta l'Italia; somministrò
sussidii di danaro ai Veneziani e Maltesi, ed approntò le sue galee,
per accorrere dove fosse maggiore il bisogno. E perchè parimente
veniva minacciata la Polonia, in soccorso di quella inviò dieci
mila scudi d'oro. Una anche delle sue prime cure fu di ricorrere a
tutti i monarchi cattolici, esortandoli colle più efficaci lettere
di concorrere alla difesa de' fedeli contra del tiranno d'Oriente.
Intanto si tirò il sipario, e scoprironsi rivolti i disegni del
sultano Acmet contra dei Veneziani, con aver egli ingiustamente
rotta la tregua stabilita a Carlovitz nel 1699, e per mare e per
terra piombò una formidabile armata di Turchi sul Peloponneso, ossia
sopra la Morea. Videsi allora una ben dolorosa scena, cioè che nello
spazio di un mese la potenza ottomana s'impadronì di tutto quanto
la veneta in più anni con tanto dispendio e fatiche avea in quelle
contrade acquistato. Corinto, Napoli di Romania, Napoli di Malvasia,
Corone, Modone e l'altre piazze di quel regno, tutte caddero in
mano degl'infedeli. Fecero alcune buona difesa; ma sì fieri furono
gli assalti turcheschi, che sopra gli ammontati cadaveri de' suoi
giunsero que' Barbari a superar le fortezze. Altre poi fecero poca
o niuna difesa, e i Greci stessi congiurati si gittarono in braccio
de' Turchi. Provò allora la repubblica veneta quello ch'è accaduto a
tanti altri, cioè che le braccia tradiscono talvolta gli ordini saggi
del capo. Si avvide ella, ma tardi, che alcuni dei suoi ministri nella
Morea non aveano impiegato il pubblico danaro, come doveano, nel tener
completi i presidii e provvedute le piazze del bisognevole. Quel bel
paese, quel felice e caldo clima, non si può dire quanto inclini ai
piaceri e alla corruttela de' costumi. Senza freno viveano quivi molti
degl'Italiani, e di loro si mostravano poco contenti alcuni di que'
popoli. Tutto concorse a far perdere sì presto quel delizioso regno;
la principal cagione però fu l'esorbitante forza de' Musulmani, a
cui non s'era potuto provvedere di alcun valevole ostacolo fin qui.
Non finì quest'anno, che, profittando i Turchi dell'amica fortuna,
s'impadronirono di altri luoghi ed isole nell'Arcipelago. Parimente
i corsari africani, prevalendosi dello scompiglio in cui si trovava
l'Italia colle isole adiacenti, ne infestarono più che mai i lidi, e
condussero in ischiavitù assaissimi cristiani.
In questi medesimi turbati tempi una altra guerra apertamente si faceva
in Sicilia a cagion del tribunale della monarchia. Avendo il sommo
pontefice fulminate le censure contro molti di quegli uffiziali e
contro altri del regno siciliano, e messo l'interdetto a varii luoghi,
il re _Vittorio Amedeo_, risoluto di sostenere gli antichi usi od
abusi che s'erano per più secoli mantenuti dai re suoi antecessori,
ordinò che non si rispettassero gli ordini di Roma. Chi negò di
farlo trovò pronto il gastigo delle prigioni o dell'esilio. Più di
quattrocento ecclesiastici, oltre ad altre persone, o volontariamente
o per forza uscirono di quell'isola, rifugiandosi a Roma. Il pontefice
in sussidio loro impiegò più di sessanta mila scudi; e tuttochè anche
amendue i monarchi di Francia e Spagna con forti uffizii sostenessero
le pretensioni del re Vittorio, pure l'intrepido papa nel gennaio
e febbraio del presente anno pubblicò due altre costituzioni, colle
quali abolì il tribunale suddetto della monarchia di Sicilia: passo che
maggiormente accrebbe gli sconvolgimenti di quel regno, e cagionò non
lieve affanno al novello re di quell'isola, che abbisognava di quiete
per ben assodarsi in quel dominio. Intanto per male di vaiuolo in età
di diecisette anni venne a morte in Torino _Vittorio Amedeo_ duca di
Savoia suo primogenito nel dì 22 di marzo del presente anno, della
qual perdita fu per lungo tempo inconsolabile il re suo padre. Perchè
gli strologhi gli aveano predetta la guarigion del figlio, che non si
effettuò, ne cadde la colpa sopra i medici, che perciò perderono la
grazia del sovrano. Ma Dio gli preservò il secondogenito, cioè _Carlo
Emmanuele_, oggidì re di Sardegna, che gareggia nelle virtù coi più
rinomati principi della reale sua casa. Non era meno affaccendata
in questi tempi la sacra corte di Roma per le opposizioni insorte in
Francia contro la costituzione _Unigenitus_, e per le controversie de'
riti cinesi, proibiti a quei nuovi cristiani. Intorno a questi punti
pubblicò l'indefesso pontefice altre costituzioni, dettate dal suo zelo
per la purità della dottrina cattolica.
Si godeva intanto il re Cristianissimo _Luigi XIV_ il contento
di avere assicurata sul capo del nipote _Filippo V_ la corona di
Spagna, e di avere restituita al suo regno la desiderata pace, quando
venne Dio a chiamarlo all'altra vita. Era egli giunto all'età di
settantasette anni; ne avea regnato settantatrè oltre il costume
dei suoi antecessori. Il dì primo di settembre fu l'ultimo del suo
vivere, ed egli con intrepidezza mirabile, con sentimenti di viva
cristiana pietà e pentimento dei suoi falli lasciò ai suoi discendenti
quelle massime più giuste di governo ch'egli talvolta in sua vita
dimenticò. Nel bollore spezialmente dei suoi anni gli aveano presa
la mano l'incontinenza, lo spirito conquistatorio, senza misurarlo
talvolta colla giustizia, e l'ansietà di far tremare ciascuno coi
fulmini della sua potenza. Ciò non ostante, pregi sì rilevanti si
raunarono in questo monarca per la sua gran mente, per aver nel suo
regno procurata la gloria delle lettere, l'accrescimento delle arti e
l'utilità del traffico, per la magnificenza delle fabbriche, per aver
dilatati ampiamente i confini del suo regno, e sopra tutto protetta la
religione de' suoi maggiori, con espurgare dalla gramigna ugonottica
i suoi Stati, senza far caso della perdita di tanti sudditi, di
tante arti e di tanto oro, in tale occasione asportati, che, secondo
l'estimazione comune, giustamente si meritò il titolo di Grande. A
questo rinomatissimo monarca succedette il pronipote _Luigi XV_, oggidì
glorioso re di Francia, ma in età troppo tenera, e però incapace di
governo, e bisognoso di tutori. Ebbe maniera _Filippo duca d'Orleans_,
nipote _ex fratre_ del re defunto, e primo principe del real sangue,
di far annullare dal parlamento di Parigi il regio testamento, e di
assumere egli la tutela del picciolo re. Trovò questo principe esausto
il regio erario, incolte molte campagne, impoveriti i popoli per le
tante guerre passate, ingrassati non pochi colla mala amministrazione
delle regie finanze; e siccome pochi si potevano uguagliare a lui
nell'elevatezza della mente, si applicò tosto a curare e saldare le
piaghe del regno. Ma intorno a ciò a me non conviene di dirne di più.
Fece nell'ottobre di quest'anno _Giacomo III Stuardo_ re cattolico
della Gran Bretagna un tentativo per rimettersi sul trono della
Scozia, con avere il pontefice somministrati quegli aiuti che potè per
quell'impresa. Convien chinare gli occhi davanti agli occulti disegni
di Dio. Cominciò egli con prosperità, ma terminò con infelicità un sì
importante affare. Dopo essersi dichiarata in favor degl'inglesi la
fortuna in una giornata campale se ne tornò lo sventurato principe in
Francia a deplorar le sciagure di chi s'era dichiarato del suo partito.
Anno di CRISTO MDCCXVI. Indizione IX.
dove si fermò per tre giorni, e comparve a complimentarla _Rinaldo
d'Este_ duca di Modena. Inviossi dipoi verso Lamagna, ricevuta dai
Veneziani, e dappertutto dove passò, con insigne magnificenza. Nel dì
22 di giugno il _maresciallo di Staremberg_ stabilì una capitolazione
coi commissarii del re Cattolico, per evacuar la Catalogna; e poi
ritirate le sue truppe da Barcellona cominciò ad imbarcarle sopra le
navi inglesi. Gran copia di barche napoletane furono a quest'effetto
spedite colà, e si videro poi giugnere esse milizie a Vado nella
Riviera di Genova nel dì 8 e 16 del mese di luglio, da dove passarono
a ristorarsi nello Stato di Milano. In essi legni venne ancora
gran numero di Spagnuoli, anche delle più illustri case, che tutto
abbandonarono, per non rimanere esposti a mali peggiori, cioè alla
vendetta del fortunato re _Filippo V_. Non si può esprimere in che
trasporti di rabbia e di querele prorompessero i Catalani, al trovarsi
in tal maniera lasciati alla discrezione dello sdegnato monarca.
Andò sì innanzi la lor collera, che presero la disperata risoluzion
di difendersi a tutti i patti, benchè abbandonati da ognuno, contro
la potenza del re Cattolico, e fecero per questo dei mirabili
preparamenti. Molto più ne fece la corte di Madrid, la cui armata
passò in quest'anno a bloccare la stessa città di Barcellona. A me non
occorre dirne di più.
Fra le altre memorabili virtù dell'imperator _Carlo VI_ sempre si
distinse quella della gratitudine. Avea egli pertanto portato seco
dalla Spagna un generoso affetto verso chiunque s'era in quelle parti
dichiarato del suo partito, e dimostrollo poi, finchè visse, verso
chiunque si rifugiò sotto le sue ali in Italia o in Germania, con
sostenere migliaia di Spagnuoli esuli, non ostante il gravissimo
dispendio dell'imperiale e regia camera sua. Pieno di compassione
verso gli abbandonati Catalani, bramava pure di sovvenir loro nella
presente congiuntura, ed abbisognava eziandio di pecunia per sostenere
sè stesso contro le superiori forze del re Cristianissimo, a cui
altro nimico non era restato che il solo imperadore. O progettassero
i suoi ministri, o ne movesse la repubblica di Genova le dimande,
venne egli alla risoluzione di vendere ad essi Genovesi il marchesato
del Finale, già feudo dei marchesi del Carretto, e poi passato in
potere dei re di Spagna. Fu stabilito questo contratto nel dì 20 di
agosto del presente anno, con pagare in varie rate essa repubblica
a sua maestà cesarea un milione e ducento mila pezze, ciascuna di
valore di cinque lire, o sia di cento soldi moneta di Genova; e con
dichiarazione che continuasse quella terra colle sue dipendenze ad
essere feudo imperiale. Non si tardò a darne il possesso ai medesimi
Genovesi con fama che fossero accolti mal volentieri que' nuovi padroni
dai Finalini, e che la real corte di Torino si mostrasse malcontenta
di tal novità. Avrebbe essa ben esibito molto di più per ottenere
uno Stato tale, non grande al certo, ma di rivelante comodo ai suoi
interessi, massimamente dopo l'acquisto della Sicilia. Fu preteso
che l'imperadore si fosse riservato il diritto di ricuperare quel
marchesato, restituendo la somma del danaro ricevuto; ma di questo non
v'ha parola nell'investitura conceduta ad essa repubblica. Gioioso in
questi tempi il re Cristianissimo _Luigi XIV_ per essersi sbrigato da
tanti suoi potenti nemici, rivolse tutti i suoi pensieri ad obbligar
colla forza l'imperadore _Carlo VI_ ad abbracciar la pace, giacchè
egli solo vi avea ripugnato fin qui. Unite dunque le sue forze, spinse
il valoroso _maresciallo di Villars_ addosso alla rinomata fortezza
di Landau nell'Alsazia. Dopo una vigorosa difesa fu costretta quella
piazza, nel dì 22 d'agosto, a rendersi, con restar prigioniera di
guerra la guernigione. Verso la metà di settembre passò il medesimo
maresciallo il Reno, ed imprese l'assedio di Friburgo. Il comandante
di quella piazza nel dì primo di novembre si ritirò ne' castelli,
lasciandola aperta ai Franzesi, che intimarono tosto ai cittadini la
contribuzione d'un milione per esentarsi dal sacco. Nel dì 16 d'ottobre
anche le fortezze si renderono ai Franzesi con tutte le condizioni
più onorevoli. Dopo tali acquisti si posarono l'armi e cominciarono
ad andare innanzi e indietro proposizioni di pace, a cui Cesare non
negò l'orecchio, perchè oramai persuaso di non poter solo sostenere sì
grande impegno.
Benchè gli affari correnti cospirassero a restituire la pubblica
tranquillità all'Europa, e non solamente fossero cessate in Italia
le turbolenze della guerra, ma si assodasse maggiormente la quiete
per l'incamminamento di varii cesarei reggimenti verso la Germania;
pure non mancavano affanni a queste contrade. Dall'Ungheria e Polonia
era passata a Vienna la peste, con istrage non lieve delle persone,
e cominciò sì fatto orrendo malore a stendere le ali per l'Austria,
Baviera ed altre parti della Germania. Attentissima sempre la veneta
repubblica alla sanità dell'Italia, e a tener lungi questo morbo
desolatore, interruppe tosto ogni commercio col Settentrione, e
seco s'unì per li suoi Stati il sommo pontefice. Ma non potè fare
altrettanto lo stato di Milano ed altri principi: il che cagionò un
grave disordine nel commercio per l'Italia. Volle Dio che prima di
quel che si sperava cessasse dipoi questo flagello; laonde cessarono
ancora le prese precauzioni. Ebbe in quest'anno materia di lutto la
corte di Toscana per la morte del gran principe _Ferdinando de Medici_,
figlio del gran duca _Cosimo III_, accaduta nel dì 30 del suddetto mese
d'ottobre, senza lasciar frutti del suo matrimonio colla principessa
_Violante Beatrice_ figlia di _Ferdinando_ elettor di Baviera. Di
maravigliose prerogative d'ingegno era ornato questo principe. Non
fosse egli mai andato molti anni addietro a gustare i divertimenti del
carnevale a Venezia. Fu creduto ch'egli ivi si procacciasse un tarlo
alla sua sanità, da cui finalmente fu condotto alla morte. Trovavasi
sovente infestato il pontefice _Clemente XI_ dagl'insulti dell'asma, e
da altri incomodi di sanità; pure, siccome principe di rara attività,
continuamente accudiva ai negozii, e questi non erano pochi. Passavano
calde liti fra quella sacra corte e il già duca di Savoia ora re
di Sicilia, siccome ancora coi Genovesi e col regno di Napoli, e
massimamente coi reggenti dell'appellata monarchia di Sicilia. Il santo
padre, siccome zelantissimo della immunità ecclesiastica e dei diritti
della santa sede, fulminava monitorii, interdetti e scomuniche: con che
effetto, lo dirà a suo tempo la storia della Chiesa.
Ma le occupazioni dell'indefesso pontefice furono interrotte in questi
tempi per un imbroglio succeduto in Francia. Forse non piacendo al
_cardinale di Noaglies_ arcivescovo di Parigi che il _re Luigi XIV_
avesse preso per suo nuovo confessore un certo religioso, avvertì sua
maestà che questi avea spacciato in un suo libro alcune proposizioni
poco sane in difesa dei riti cinesi. Ne parlò il re al confessore,
il quale rispose, maravigliarsi che il porporato accusasse altrui,
quando egli aveva approvato il libro del padre Quesnel, intitolato
_Il Nuovo Testamento_, ec., in cui si trovava gran copia di sentenze
giansenistiche. Rapportò il re questa risposta al cardinale, ed egli
disse che l'opera del Quesnel era stata corretta, confessando nondimeno
che vi restavano tuttavia dieci o dodici proposizioni meritevoli di
correzione, e che egli col celebre vescovo di Meaux Bossuet era dietro
a prestarvi rimedio. Ciò inteso dal confessore, disse al re: _Come,
dieci o dodici proposizioni di cattivo metallo? ve n'ha più di cento_.
E preso l'impegno di mostrarlo, ricavò da quel libro cento ed una
proposizioni. Furono poi queste spedite a Roma dal re; e dappoichè sua
santità n'ebbe fatto fare un rigoroso esame, le condannò tutte nel dì
10 di settembre del presente anno colla famosa bolla _Unigenitus_,
che poi riuscì seminario d'incredibili dissensioni, appellazioni ed
altri sconcerti nel regno di Francia, intorno ai quali io rimetto il
lettore ai tanti libri pubblicati su questo emergente. Continuò ancora
in quest'anno il male pestilenziale delle bestie bovine, ed assalì
varii altri paesi d'Italia. Penetrò nello Stato ecclesiastico e nella
Calabria, ed entrò anche nel basso Modenese. Non arrivò questo flagello
a cessare, se non nell'anno seguente. Dopo essere dimorato gran tempo
in Italia il principe reale ed elettorale di Sassonia, finalmente verso
la metà d'ottobre si partì da Venezia, dove avea ricevuti tutti gli
onori e divertimenti possibili, inviandosi verso i suoi Stati.
Anno di CRISTO MDCCXIV. Indizione VII.
CLEMENTE XI papa 15.
CARLO VI imperadore 4.
Con tutti i progressi delle sue armi nell'anno precedente non rallentò
il re Cristianissimo _Luigi XIV_ le sue premure, per dar totalmente
la pace alla Europa, col condurre in essa anche l'Augusto _Carlo
VI_. Abbisognava eziandio l'imperatore di troncar questo litigio,
perchè troppo pericoloso scorgeva il voler solo mantener la guerra
con chi s'era potuto sostenere contro tante potenze unite, ed avea
ormai ottenuto l'intento di stabilire il nipote in Ispagna. Comunicò
il re Luigi le sue premure agli elettori di Magonza e Palatino; e
questi mossero la corte di Vienna ad ascoltar le proposizioni della
desiderata scambievole concordia. Fu eletto per luogo del trattato
il palazzo di Rastat, spettante al principe di Baden, e nel dì 26 di
novembre del precedente anno colà comparvero il _principe Eugenio_
per sua maestà cesarea, e il _maresciallo di Villars_ per sua maestà
Cristianissima. Per due mesi frequenti furono le conferenze; e non
trovandosi maniera di accordar le pretensioni, già parea che si avesse
a sciogliere in nulla l'abboccamento, con essersi anche ritirato il
principe Eugenio per preparar le armi; quando finalmente si raggruppò
l'affare, e nel dì 6 di marzo si giunse a segnar gli articoli della
pace, o sia i preliminari della concordia; perciocchè non si poterono
smaltire tutte le differenze, e volle l'imperadore che anche l'imperio
concorresse alla stabilità d'un atto di tanta importanza. Discese
la corte di Francia dall'alto di molte sue pretensioni, perchè ben
conosceva vacillanti gli affari in Londra, essendosi mostrati quei
parlamenti mal soddisfatti della _regina Anna_ e de' suoi ministri, nè
gl'Inglesi ed Olandesi avrebbero in fine sofferto che Cesare restasse
vittima della potenza francese. I principali capitoli d'essa pace di
Rastat consisterono nella restituzione di Friburg, del forte di Kel
e di altri luoghi fatta dalla Francia, che ritenne Argentina, Landau
ed altre piazze, indarno pretese da Cesare. Gli elettori di Baviera e
di Colonia furono restituiti nel possesso dei loro Stati. I regni di
Napoli colle piazze della Toscana e Sardegna, la Fiandra e lo Stato
di Milano, a riserva del ceduto al duca di Savoia, restarono in poter
dell'imperadore. Fu poi scelta la piccola città di Bada, o sia di
Baden, posta negli Svizzeri in vicinanza di Zurigo, per quivi terminar
le altre differenze. A poco si ridusse il risultato di quell'assemblea;
ed avendo l'imperadore ricevuta la plenipotenza dalla dieta di
Ratisbona, non lasciò di conchiudere ivi la pace nel dì 5 di settembre
a nome dell'imperio, colla conferma di quanto era stato stabilito in
Rastat.
Videsi in tale occasione ciò che tante volte si è provato e si
proverà, che chi dei principi minori entra in aderenze coi maggiori
nel bollor delle guerre, lusingato di accrescere la propria fortuna,
si ha da consolare in fine, e contare per gran regalo, se ottiene la
conservazione del proprio; perchè va a rischio anche della perdita
di tutto, attendendo i monarchi al proprio vantaggio, e poca cura
mettendosi degli aderenti. Perdè il _duca di Mantova_ tutti i suoi
Stati. Al _duca di Guastalla_ dovea pervenire il ducato di Mantova:
si trovarono più forti le ragioni di chi n'era entrato in possesso.
Giuste pretensioni promosse ancora il _duca di Lorena_ sul Monferrato.
Con un pezzo di carta, che prometteva l'equivalente, fu pagata la di
lui parte. Il _duca della Mirandola_ vide venduto il suo Stato al duca
di Modena, e sè stesso costretto a rifugiarsi in Ispagna a mendicar
il pane da quella real corte. Fu intimato a _Giacomo III Stuardo_ re
cattolico d'Inghilterra di uscire del regno di Francia; e ricoveratosi
egli nella Lorena, nè pur ivi trovò sicuro asilo, con ridursi in fine
a cercare il riposo fra le braccia del sommo pontefice nella sede
primaria del cattolicismo. Si erano mostrati liberali i Gallispani
verso di _Massimiliano duca ed elettore di Baviera_, ora investendolo
dei Paesi Bassi da loro perduti, ora di Lucemburgo e di altri paesi,
ed ora proponendo di farlo re di Sardegna. In ultimo dovette ringraziar
Dio di aver potuto ricuperare gli aviti suoi Stati, ma desolati, e che
per un pezzo ritennero la memoria degli sfortunati tentativi del loro
sovrano.
A queste metamorfosi finalmente restò soggetta anche la Catalogna, da
cui fu forzato l'Augusto _Carlo VI_ di ritirar le sue armi con suo
ribrezzo e rammarico indicibile per la compassione a que' popoli,
che con tanto vigore e fedeltà aveano sostenuto il partito suo. Già
nell'anno addietro avea spedito il re _Filippo V_ l'esercito suo,
comandato dal _duca di Popoli_, a bloccare la città di Barcellona,
dove trovò que' cittadini molto afforzati di milizia, e risoluti di
spendere piuttosto la vita colle armi in mano, che di tornare sotto
l'offeso monarca, da cui temeano ogni più acerbo trattamento. Furono
memorabili le imprese da lor fatte in propria difesa, e passò il verno
senza veruna speranza che una sì feroce e disperata nazione si avesse
da rimettere all'ubbidienza. Fama fu ch'essi Catalani progettassero
fino di darsi più tosto alle potenze africane, che di tornare sotto
il giogo castigliano. D'uopo anche fu che il re Cattolico _Filippo V
_implorasse l'assistenza dell'avolo re Cristianissimo. Il _maresciallo
di Bervich_, inviato da Parigi a Madrid per condolersi della morte di
_Maria Lodovica_ di Savoia regina, accaduta nel febbraio di questo
anno, ebbe ordine di offerirsi al servigio di sua maestà Cattolica,
che volentieri l'accettò per comandante; e più volentieri ricevette
l'esibizione d'un grosso rinforzo, anzi, per dir meglio, di un
esercito di milizia franzese. Cominciò nel maggio il formale assedio
di Barcellona, e proseguì con calore fino al luglio, in cui, arrivati
i Franzesi, maggiormente crebbe il teatro di quella guerra. Alle
terribili offese con incredibil coraggio corrisponsero i difensori.
Gran sangue costò ogni menomo acquisto di quelle fortificazioni, nè mai
quella cittadinanza trattò di rendersi, se non quando vide sboccati
nella stessa città gli aggressori. Convenne dunque esporre bandiera
bianca; e da che fu promessa l'esenzione dal sacco e la sicurezza della
vita, fu consegnata la città ai voleri del re Cattolico. Qual fosse
il trattamento fatto a quei cittadini e popoli, non occorre che io lo
rammenti. L'isola di Maiorica non per questo volle sottomettersi, e
necessaria fu la forza a soggiogarla. Restarono solamente in dominio
degl'Inglesi Gibilterra e l'isola di Minorica, dove è Porto Maone, con
averne il re Cattolico nel solenne trattato di pace fra la maestà sua e
la _regina Anna_ d'Inghilterra, stipulato nel dì 13 di luglio dell'anno
precedente, sottoscritta la cessione ad essi Inglesi.
Nel dì 28 d'aprile di quest'anno passò all'altra vita _don Vincenzo
Gonzaga_ duca di Guastalla in età di ottant'anni, ed ebbe per
successore il principe _Antonio Ferdinando_ suo primogenito. A gravi
turbolenze rimase esposta _Anna Stuarda_ regina della Gran Bretagna
dopo la conclusione della pace, dichiarandosi mal soddisfatti di lei e
del suo ministero i parlamenti per li passati maneggi, e massimamente
perchè si credette, o si seppe, ch'ella desiderava per suo successore
nel trono il re _Giacomo III_ suo fratello. Cadde perciò in odio e
disprezzo di quella nazione, e seguirono in Londra varii tumulti e
mutazioni; ma venne la morte a liberarla dai guai presenti nel dì 12
d'agosto; e però pacificamente fu riconosciuto per re di quel potente
regno _Giorgio Lodovico_ duca di Brunsvich ed elettore, della cui
nobilissima origine e comune stipite colla casa d'Este ho io assai
parlato nelle Antichità Estensi. Essendo rimasto vedovo _Filippo V_
re di Spagna, pensò egli di passare alle seconde nozze, e pose gli
occhi sopra la principessa _Elisabetta Farnese_, nata nel dì 25 di
ottobre del 1690 da _Odoardo principe_ ereditario di Parma. Oltre a
molte rare prerogative d'animo e d'ingegno, e specialmente di pietà,
portava questa principessa in dote delle forti pretensioni sopra il
ducato di Parma e di Piacenza, ed anche sopra la Toscana, siccome
discendente da _Margherita de Medici_ figlia di _Cosimo II_ gran
duca. Stabilitosi dunque il reale accasamento, per opera spezialmente
dell'_abbate Alberoni_, residente allora in Madrid pel duca zio di
lei, seguì nel dì 16 di settembre in Parma il suntuoso sposalizio
d'essa principessa, avendovi assistito il _cardinale Ulisse Gozzadini_
Bolognese, spedito a questo effetto dal papa _Clemente XI_ con titolo
di legato a latere, e con accompagnamento magnifico di più centinaia
di persone. _Francesco Farnese_ duca di Parma suo zio la sposò a nome
di sua maestà Cattolica. Fu poi condotta la novella regina a Sestri
di Levante; e quivi preso l'imbarco, senza poter sostenere gl'incomodi
del mare sdegnato, fece dipoi la maggior parte del viaggio per terra,
e passò in Ispagna a felicitare quella real prosapia. Giunse a Madrid
solamente sul fine dell'anno, e nel viaggio diede gran motivo di
parlare alla gente, per aver ella animosamente licenziata ed inviata
in Francia la duchessa Orsini, che il re le avea mandato incontro
con titolo di sua dama d'onore. Quali conseguenze portasse poi questo
matrimonio, andando innanzi lo vedremo. Dopo avere _Vittorio Amedeo_
re di Sicilia lasciati in quell'isola molti bellissimi regolamenti
pel governo del nuovo regno, ed accresciute le forze tanto di terra
quanto di mare in esse contrade, e dopo avere restituita la quiete a
quelle terre, dianzi infestate da gran copia di licenziosi banditi,
tornossene colla real consorte in Piemonte nell'ottobre di quest'anno,
e con gran solennità nel dì primo di novembre fece la sua entrata in
Torino. Duravano intanto, anzi ogni giorno maggiormente si accendevano
le controversie fra la santa Sede e quel real sovrano, sostenitore
risoluto dell'appellata monarchia di Sicilia. Nel novembre di questo
anno fece il santo padre pubblicar due formidabili bolle contro i
pretesi diritti di quel tribunale. Cagion fu questa lite che non pochi
Siciliani si ritirassero a Roma con aggravio non lieve della camera
apostolica. Gravissime occupazioni ancora ebbe in questi tempi il sommo
pontefice per li torbidi suscitati in Francia dalla bolla _Unigenitus_,
dei quali a me non appartien di parlare.
Anno di CRISTO MDCCXV. Indiz. VIII.
CLEMENTE XI papa 16.
CARLO VI imperadore 5.
Appena aveva incominciato l'Italia a respirare da tanti disastri,
dopo l'universal pace de' monarchi cristiani, sperando giorni ormai
felici, quando la repubblica veneta mirò da lungi cominciato fin l'anno
addietro un fiero temporale che la minacciava in Levante. Questo era
un gran preparamento di gente e di navi che facea la Porta Ottomana,
con ispargere varii pretesti di disgusto contra di essi Veneziani;
giacchè di questa mercatanzia ne truova sempre nei suoi magazzini
chi ha possanza e voglia di far guerra ad altrui. E tanta più ne
trovò il sultano de' Turchi, perchè principe non v'ha che, dopo avere
suo malgrado perduto qualche Stato, non si senta agitato da interne
convulsioni, cioè da un continuo desio di ricuperarlo, se può. Aveano
nelle precedenti guerre i Musulmani perduto il regno della Morea, e
fattane cessione alla veneta repubblica. Perchè i giannizzeri tuttodì
moveano sedizioni, fu creduto da quel divano che alle loro insolenze
si metterebbe fine coll'impegnarli in qualche guerra; e che coloro
prendessero di mira la suddetta Morea, si vociferava dappertutto.
Questa voce nondimeno tal forza non ebbe da addormentare il cauto gran
maestro di Malta. Diedesi egli perciò a ben premunire quella città ed
isola fortissima, col chiamare colà tutti i cavalieri d'Italia e di
altre nazioni, e con fare ogni necessaria provvisione di munizioni
da bocca e da guerra, affinchè il Turco, che altre volte avea finta
un'impresa, e ne avea poi fatta un'altra, sapesse che si vegliava in
quella parte contro i suoi tentativi. Ora in quell'angustia di tempo
non lasciarono i Veneziani di far tutto l'armamento possibile per
accrescere le lor genti d'armi e le lor forze di mare, e per tutta
la Germania si studiarono di ottener leve di gente, non perdonando a
spesa e diligenza veruna. Anche il pontefice _Clemente XI_, commosso
dal grave pericolo della cristianità, ricorse all'aiuto del cielo;
prescrisse preghiere e orazioni per tutta l'Italia; somministrò
sussidii di danaro ai Veneziani e Maltesi, ed approntò le sue galee,
per accorrere dove fosse maggiore il bisogno. E perchè parimente
veniva minacciata la Polonia, in soccorso di quella inviò dieci
mila scudi d'oro. Una anche delle sue prime cure fu di ricorrere a
tutti i monarchi cattolici, esortandoli colle più efficaci lettere
di concorrere alla difesa de' fedeli contra del tiranno d'Oriente.
Intanto si tirò il sipario, e scoprironsi rivolti i disegni del
sultano Acmet contra dei Veneziani, con aver egli ingiustamente
rotta la tregua stabilita a Carlovitz nel 1699, e per mare e per
terra piombò una formidabile armata di Turchi sul Peloponneso, ossia
sopra la Morea. Videsi allora una ben dolorosa scena, cioè che nello
spazio di un mese la potenza ottomana s'impadronì di tutto quanto
la veneta in più anni con tanto dispendio e fatiche avea in quelle
contrade acquistato. Corinto, Napoli di Romania, Napoli di Malvasia,
Corone, Modone e l'altre piazze di quel regno, tutte caddero in
mano degl'infedeli. Fecero alcune buona difesa; ma sì fieri furono
gli assalti turcheschi, che sopra gli ammontati cadaveri de' suoi
giunsero que' Barbari a superar le fortezze. Altre poi fecero poca
o niuna difesa, e i Greci stessi congiurati si gittarono in braccio
de' Turchi. Provò allora la repubblica veneta quello ch'è accaduto a
tanti altri, cioè che le braccia tradiscono talvolta gli ordini saggi
del capo. Si avvide ella, ma tardi, che alcuni dei suoi ministri nella
Morea non aveano impiegato il pubblico danaro, come doveano, nel tener
completi i presidii e provvedute le piazze del bisognevole. Quel bel
paese, quel felice e caldo clima, non si può dire quanto inclini ai
piaceri e alla corruttela de' costumi. Senza freno viveano quivi molti
degl'Italiani, e di loro si mostravano poco contenti alcuni di que'
popoli. Tutto concorse a far perdere sì presto quel delizioso regno;
la principal cagione però fu l'esorbitante forza de' Musulmani, a
cui non s'era potuto provvedere di alcun valevole ostacolo fin qui.
Non finì quest'anno, che, profittando i Turchi dell'amica fortuna,
s'impadronirono di altri luoghi ed isole nell'Arcipelago. Parimente
i corsari africani, prevalendosi dello scompiglio in cui si trovava
l'Italia colle isole adiacenti, ne infestarono più che mai i lidi, e
condussero in ischiavitù assaissimi cristiani.
In questi medesimi turbati tempi una altra guerra apertamente si faceva
in Sicilia a cagion del tribunale della monarchia. Avendo il sommo
pontefice fulminate le censure contro molti di quegli uffiziali e
contro altri del regno siciliano, e messo l'interdetto a varii luoghi,
il re _Vittorio Amedeo_, risoluto di sostenere gli antichi usi od
abusi che s'erano per più secoli mantenuti dai re suoi antecessori,
ordinò che non si rispettassero gli ordini di Roma. Chi negò di
farlo trovò pronto il gastigo delle prigioni o dell'esilio. Più di
quattrocento ecclesiastici, oltre ad altre persone, o volontariamente
o per forza uscirono di quell'isola, rifugiandosi a Roma. Il pontefice
in sussidio loro impiegò più di sessanta mila scudi; e tuttochè anche
amendue i monarchi di Francia e Spagna con forti uffizii sostenessero
le pretensioni del re Vittorio, pure l'intrepido papa nel gennaio
e febbraio del presente anno pubblicò due altre costituzioni, colle
quali abolì il tribunale suddetto della monarchia di Sicilia: passo che
maggiormente accrebbe gli sconvolgimenti di quel regno, e cagionò non
lieve affanno al novello re di quell'isola, che abbisognava di quiete
per ben assodarsi in quel dominio. Intanto per male di vaiuolo in età
di diecisette anni venne a morte in Torino _Vittorio Amedeo_ duca di
Savoia suo primogenito nel dì 22 di marzo del presente anno, della
qual perdita fu per lungo tempo inconsolabile il re suo padre. Perchè
gli strologhi gli aveano predetta la guarigion del figlio, che non si
effettuò, ne cadde la colpa sopra i medici, che perciò perderono la
grazia del sovrano. Ma Dio gli preservò il secondogenito, cioè _Carlo
Emmanuele_, oggidì re di Sardegna, che gareggia nelle virtù coi più
rinomati principi della reale sua casa. Non era meno affaccendata
in questi tempi la sacra corte di Roma per le opposizioni insorte in
Francia contro la costituzione _Unigenitus_, e per le controversie de'
riti cinesi, proibiti a quei nuovi cristiani. Intorno a questi punti
pubblicò l'indefesso pontefice altre costituzioni, dettate dal suo zelo
per la purità della dottrina cattolica.
Si godeva intanto il re Cristianissimo _Luigi XIV_ il contento
di avere assicurata sul capo del nipote _Filippo V_ la corona di
Spagna, e di avere restituita al suo regno la desiderata pace, quando
venne Dio a chiamarlo all'altra vita. Era egli giunto all'età di
settantasette anni; ne avea regnato settantatrè oltre il costume
dei suoi antecessori. Il dì primo di settembre fu l'ultimo del suo
vivere, ed egli con intrepidezza mirabile, con sentimenti di viva
cristiana pietà e pentimento dei suoi falli lasciò ai suoi discendenti
quelle massime più giuste di governo ch'egli talvolta in sua vita
dimenticò. Nel bollore spezialmente dei suoi anni gli aveano presa
la mano l'incontinenza, lo spirito conquistatorio, senza misurarlo
talvolta colla giustizia, e l'ansietà di far tremare ciascuno coi
fulmini della sua potenza. Ciò non ostante, pregi sì rilevanti si
raunarono in questo monarca per la sua gran mente, per aver nel suo
regno procurata la gloria delle lettere, l'accrescimento delle arti e
l'utilità del traffico, per la magnificenza delle fabbriche, per aver
dilatati ampiamente i confini del suo regno, e sopra tutto protetta la
religione de' suoi maggiori, con espurgare dalla gramigna ugonottica
i suoi Stati, senza far caso della perdita di tanti sudditi, di
tante arti e di tanto oro, in tale occasione asportati, che, secondo
l'estimazione comune, giustamente si meritò il titolo di Grande. A
questo rinomatissimo monarca succedette il pronipote _Luigi XV_, oggidì
glorioso re di Francia, ma in età troppo tenera, e però incapace di
governo, e bisognoso di tutori. Ebbe maniera _Filippo duca d'Orleans_,
nipote _ex fratre_ del re defunto, e primo principe del real sangue,
di far annullare dal parlamento di Parigi il regio testamento, e di
assumere egli la tutela del picciolo re. Trovò questo principe esausto
il regio erario, incolte molte campagne, impoveriti i popoli per le
tante guerre passate, ingrassati non pochi colla mala amministrazione
delle regie finanze; e siccome pochi si potevano uguagliare a lui
nell'elevatezza della mente, si applicò tosto a curare e saldare le
piaghe del regno. Ma intorno a ciò a me non conviene di dirne di più.
Fece nell'ottobre di quest'anno _Giacomo III Stuardo_ re cattolico
della Gran Bretagna un tentativo per rimettersi sul trono della
Scozia, con avere il pontefice somministrati quegli aiuti che potè per
quell'impresa. Convien chinare gli occhi davanti agli occulti disegni
di Dio. Cominciò egli con prosperità, ma terminò con infelicità un sì
importante affare. Dopo essersi dichiarata in favor degl'inglesi la
fortuna in una giornata campale se ne tornò lo sventurato principe in
Francia a deplorar le sciagure di chi s'era dichiarato del suo partito.
Anno di CRISTO MDCCXVI. Indizione IX.
- Parts
- Annali d'Italia, vol. 7 - 01
- Annali d'Italia, vol. 7 - 02
- Annali d'Italia, vol. 7 - 03
- Annali d'Italia, vol. 7 - 04
- Annali d'Italia, vol. 7 - 05
- Annali d'Italia, vol. 7 - 06
- Annali d'Italia, vol. 7 - 07
- Annali d'Italia, vol. 7 - 08
- Annali d'Italia, vol. 7 - 09
- Annali d'Italia, vol. 7 - 10
- Annali d'Italia, vol. 7 - 11
- Annali d'Italia, vol. 7 - 12
- Annali d'Italia, vol. 7 - 13
- Annali d'Italia, vol. 7 - 14
- Annali d'Italia, vol. 7 - 15
- Annali d'Italia, vol. 7 - 16
- Annali d'Italia, vol. 7 - 17
- Annali d'Italia, vol. 7 - 18
- Annali d'Italia, vol. 7 - 19
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