Annali d'Italia, vol. 7 - 17
Maddalena_ le redini del governo, e con replicate lettere si diede a
tempestare il re _Carlo III_, acciocchè, lasciata la troppo pericolosa,
anzi disperata, impresa della Spagna, venisse alla difesa e al
godimento de' suoi Stati. Trovossi allora il buon principe in un ben
affannoso labirinto; perchè dall'una parte il bisogno dei proprii
Stati e la premura di salire sul trono imperiale non gli permettevano
di fermarsi in Ispagna, e dall'altra non sapeva indursi ad abbandonare
i miseri Barcellonesi e Catalani alla discrezione dell'irato _Filippo
V_. Avea anche sulle spalle un'esorbitante copia di nobiltà spagnuola e
di famiglie rifugiate sotto l'ombra sua per isfuggire i castighi della
pretesa ribellione; e tutti dimandavano pane. Fu preso il ripiego di
lasciar la regina sua sposa in Barcellona per pegno del suo amore, e
per sicurezza degli sforzi ch'era per fare nella lor difesa. Scelta
pertanto una parte dei rifugiati Spagnuoli che seco venissero, nel
settembre s'imbarcò, e felicemente sbarcò alle spiagge di Genova, e
senza perdere tempo s'inviò alla volta di Milano. Alla Cava nel dì
13 d'ottobre fu complimentato da _Vittorio Amedeo_ duca di Savoia, e
un miglio lungi da Pavia da _Rinaldo_ duca di Modena. Arrivata che fu
la maestà sua a Milano, poco stette a ricevere la lieta nuova che nel
dì 12 del predetto mese, di comune consenso degli elettori, era stato
proclamato imperador de' Romani. Le universali allegrezze dei popoli
d'Italia solennizzarono sì applaudita elezione; il pontefice destinò
il _cardinale Imperiale_ con titolo di legato a latere a riconoscere
in lui non meno la dignità imperiale che il titolo di re Cattolico.
Comparvero ancora a questo fine a Milano pompose ambasciate delle
repubbliche di Venezia, Genova e Lucca. Saputosi poi in Madrid come si
fossero contenuti in tal occasione i principi d'Italia, il re Filippo
ordinò che i loro pubblici rappresentanti sloggiassero da' suoi regni.
Fermossi in Milano l'augusto sovrano sino al dì 30 di novembre, in cui
si mosse alla volta dell'Alemagna. Nel dì 12 fu di nuovo ad inchinarlo
il _duca di Modena_ in San Marino di Bozzolo. Mantova qualche giorno
godè della graziosa presenza di questo monarca; e ai confini dello
Stato veneto gli fecero un soprammodo magnifico accoglimento gli
ambasciatori di quell'inclita repubblica; dopo di che inviatosi egli
a dirittura per la via di Trento e del Tirolo, nel dì 20 giunse ad
Inspruch, dove prese riposo. Fattosi intanto in Francoforte il suntuoso
preparamento per la sua coronazione, questa dipoi si effettuò nel dì
22 di dicembre con solennissima festa. Portò egli al trono imperiale
un complesso di sode e rare virtù, quale non sì facilmente si trova in
altri regnanti, e cominciò da lì innanzi ad essere chiamato _Carlo VI_
Augusto.
Nulla di notabile operarono in questo anno gli alleati in Piemonte,
e da alcuni ne fu attribuita la cagione al trovarsi tuttavia mal
soddisfatto _Vittorio Amedeo_ duca di Savoia della corte di Vienna,
che con varie scuse gli negava il possesso tante volte promesso del
Vigevanasco. Contuttociò quel sovrano col _maresciallo Daun_ sul
principio di luglio con potente esercito si mosse e valicò i monti,
e passate le valli di Morienna e Tarantasia, calò nella Savoia,
impadronendosi della città di Annicy, Chiambery, ed altre di quella
contrada. S'aspettava il _duca di Bervich_ che questo torrente
s'incamminasse verso il Lionese; e però, dopo aver muniti i passi,
fermò il suo campo sotto il forte di Barreaux. Intenzione del conte di
Daun era di assalire i Franzesi in quel sito; ma insorta dissensione di
pareri, finì tutta la campagna in sole minaccie contra dei Franzesi. E
perchè l'armata non avrebbe potuto sussistere pel verno nella Savoia,
divisa allora dall'Italia per cagion delle nevi, abbandonati di
nuovo que' paesi, se ne tornarono tutti a cercare stanza migliore in
Lombardia. Qualora i Tedeschi avessero tenuto più contento il sovrano
di Savoia, forse in altra guisa sarebbero camminate le faccende in
quelle parti. Erano di molto prosperate in Ispagna l'armi del re
_Filippo V_ col riacquisto della Castiglia e dell'Aragona, e coll'avere
ristretti gli alleati nell'angusto paese della Catalogna. Ebbe egli
ancora il contento nel gennaio di quest'anno di veder superata Girona
dal _duca di Noaglies_, che con venti mila Franzesi ne avea formato
l'assedio. Ma niun'altra impresa degna di osservazione si fece in
quelle parti, se non che il _duca di Vandomo_ nel mese di dicembre
spedì il conte di Muret con grosso corpo di gente sotto Cardona.
S'impossessò questo generale del Borgo, e ritiratasi la guernigion
nel castello, cominciarono le artiglierie a tormentarlo. Vi fu spedito
dallo Staremberg un buon soccorso di gente, che rovesciò le trincee dei
nemici, ed entrati colà cinquecento uomini, fecero prendere al Muret la
risoluzione di ritirarsi. Nè pure in Fiandra alcuno strepitoso fatto
avvenne, altro non essendo riuscito ai collegati che di sottomettere
la forte città di Bauchain, giacchè il _maresciallo di Villars_ non
lasciava ai nemici adito per azzuffarsi seco: cotanto sapea egli l'arte
dei buoni accampamenti, per non venire a battaglia se non quando vi
trovava i suoi conti.
Parea dunque che si cominciasse a raffreddare il bollore di questa
guerra, nè se ne intendeva allora il perchè; ma a poco a poco si venne
poi svelando il mistero. Convien confessarlo: sanno egregiamente i
Franzesi combattere con armi di ferro, ma egualmente ancora valersi
di armi d'oro per espugnare chi alla lor potenza resiste. Già dicemmo
accaduta in Londra non lieve mutazione nel ministero, ed essere toccata
la superiorità al partito dei Toris. La _regina Anna_, che fin qui
tanto ardore avea mostrato contro la real casa di Borbone, cominciò,
per quanto fu creduto, a sentire rialzarsi in suo cuore la non mai
estinta affezione al proprio sangue stuardo, siccome figlia del fu
cattolico re _Giacomo II_. Mossa da compassione verso l'abbattuto
vivente suo fratello _Giacomo III_, re solamente di nome della Gran
Bretagna, concepì dei segreti desiderii ch'egli divenisse tale di
fatto, e fosse anteposto all'elettoral casa di Brunswich, a cui già per
gli atti pubblici del parlamento era stato assicurata la successione
del regno, qualora mancasse la regina medesima. All'avveduta corte
del re Cristianissimo trasparì qualche barlume del presente sistema di
quella di Londra; e il _maresciallo di Tallard_, detenuto prigioniere
nella città di Notingam, fu creduto che suggerisse buoni lumi per
giugnere a guadagnare il cuore d'essa regina. Segretamente dunque il
re _Luigi XIV_ ebbe maniera di far introdurre per mezzo del _milord
Halei_, che poi divenne _conte d'Oxford_, e di qualche altra persona
favorita dalla regina, parole di pace fiancheggiate da rilevanti
vantaggi in favore della nazione inglese. Se riusciva al gabinetto
franzese di staccare quella potenza dalla grande alleanza, ben si
conosceva terminata la memorabil tragedia della guerra presente.
Gustò la regina il dolce di quelle proposizioni, e cominciarono ad
andare innanzi e indietro segrete lettere e risposte per ismaltire le
difficoltà, e stabilire i principali articoli dell'accomodamento. Di
queste mene si avvidero bensì gli Olandesi e la corte di Vienna, e si
studiarono di fermarle; ma senza profitto alcuno. Troppa impressione
aveano fatto nella regina Anna le offerte della Francia, cioè la
cessione di Gibilterra e di Porto Maone all'Inghilterra (punto di gran
rilievo pel commercio di quella nazione), l'Assiento, cioè la vendita
de' Mori per servigio dell'America Spagnuola, che si accorderebbe
per molti anni agl'Inglesi; la demolizione di Dunquerque: una buona
barriera di piazze per sicurezza degli Olandesi; all'imperador _Carlo
VI_ la Fiandra, lo Stato di Milano, Napoli e Sardegna. Già divenuto
come impossibile il cavar dalle mani del re _Filippo V_ la Spagna,
restava questa monarchia divisa dalla franzese: a che dunque consumar
più tanto oro e sangue, se nulla di più si potea ottener colla guerra
di quel che ora si veniva a conseguir colla pace? Passò per questo in
Inghilterra nel gennaio seguente il _principe Eugenio_, nè altro gli
venne fatto che d'indurre la regina a procedere senza fretta e con
gran cautela in sì importante affare. Intanto gli Olandesi si videro
astretti a consentire ad un luogo per dar principio ai congressi, e
fu scelta per questo la città d'Utrecht, dove nel gennaio seguente
avessero da concorrere i plenipotenziarii delle parti interessate.
E tali furono i primi gagliardi passi per restituire la tranquillità
all'afflitta Europa.
Anno di CRISTO MDCCXII. Indizione V.
CLEMENTE XI papa 13.
CARLO VI imperadore 2.
Fin dall'anno precedente era penetrata dall'Ungheria in Italia la
mortalità de' buoi, flagello di cui non v'ha persona che non intenda
le funestissime conseguenze in danno del genere umano. Ma nel presente
così ampiamente si dilatò pel Veronese, Bresciano, Mantovano e Stato
di Milano, che fece un orrido scempio di sì utile, anzi necessario,
genere di animali. Anche il regno di Napoli e lo Stato della Chiesa
soffrì immensi danni per questa micidiale epidemia. Correndo il mese
di settembre, fu detto che in esso regno fossero periti settanta
mila capi di buoi e vacche, e nel solo Cremonese più di quattordici
mila; e il male progrediva a gran passi nelle vicinanze. Nel presente
anno venne a visitar l'Italia _Federigo Augusto_, principe reale di
Polonia ed elettorale di Sassonia, e ricevette in Modena ogni maggior
dimostrazione di stima dal _duca Rinaldo_. Di là passò a Bologna,
dove, abiurato il luteranismo, abbracciò la religione cattolica, che
servì poscia a lui di gradino per salire, dopo la morte del padre,
sul trono della Polonia, in cui ora gloriosamente siede. Restava nelle
Maremme della Toscana Porto Ercole tuttavia ubbidiente al re _Filippo
V_. Passò nella primavera un grosso corpo di cesarei a mettere colà
il campo; e dappoichè fu giunta l'occorrente artiglieria da Napoli,
si cominciò a bersagliare i forti della Stella e di San Filippo.
Ridotti quei presidii a rendersi a descrizione, anche il porto cadde
in loro mano. Nel Piemonte gran freddo si trovò nel duca di Savoia
per le azioni militari, essendo più che mai malcontento quel sovrano
della corte cesarea, che, non ostante l'interposizion premurosa delle
potenze marittime, sempre andò fuggendo l'adempimento delle promesse
fatte di cedergli il Vigevanasco, o di dargli il compenso in altre
terre. Oltre a ciò, nacquero in lui politici riguardi, da che vide sul
tappeto trattati di pace; e non gli era ignoto che in tutte le maniere
la corte d'Inghilterra la voleva. Anzi si crede che in questi tempi
il _conte di Oxford_, tutto intento a sbrancare alcuno de' principi
dalla grande alleanza, coll'inviare a Torino il _conte di Peterboroug_,
s'industriasse di tirar esso duca ad una pace particolare colla vistosa
esibizione (per quanto fu creduto) del regno di Sicilia e restituzione
di tutti i suoi Stati. Non dispiacque a quel sovrano un sì bel regalo,
che seco anche portava il titolo di re; ma conoscendone egli la poca
sussistenza, quando non vi concorresse il consenso di Cesare, il
quale non solo da questo si sarebbe mostrato, ma ancora dalla pace
si mostrava troppo alieno, ravvisò tosto la necessità di star forte
nella lega, finchè si maturassero meglio le cose. Però non volle punto
staccarsi da' collegati, e solamente ricusò di uscire in campagna colle
sue truppe. Vi uscì co' suoi Tedeschi il _maresciallo di Daun_, perchè
il _duca di Bervich_ era calato da Monginevra nella valle di Oulx; ma
altro non fece che difendere i posti in quella contrada.
Intanto sul fine di gennaio nella città olandese di Utrecht s'era
aperto il congresso, a cui intervennero i plenipotenzarii di Francia,
Inghilterra, Olanda e Savoia. Vi comparvero ancora, ma come forzati,
quei dell'imperadore, siccome consapevoli che la corte di Londra
venduta a Versaglies, dopo avere assicurati i proprii vantaggi, più
avrebbe promossi quei della real casa di Borbone che dell'austriaca.
Sulle prime se smisurate apparvero le dimande e pretensioni della
Francia, più alte ancora e vaste si scoprirono quelle degli alleati.
Gli stessi parlamenti d'Inghilterra andavano poco d'accordo colle
segrete voglie della regina, perchè non miravano assicurata la
pubblica tranquillità con tutte le belle esibizioni fatte in loro
pro dal re Cristianissimo. Allora il conte d'Oxford mise in campo due
ripieghi; l'uno che dal re _Luigi XIV_ fosse fatto uscire di Francia
il pretendente, cioè il re _Giacomo III_ Stuardo; e l'altro, che si
provvedesse in maniera tale, che non mai in avvenire si potessero
unir insieme le due monarchie di Francia e Spagna. A questo oggetto fu
proposto che il re _Filippo V_ rinunziasse ogni sua ragione sopra la
Francia in favore de' principi chiamati dopo di lui, e che, mancando
la di lui linea, succedesse ne' regni di Spagna la casa di Savoia,
siccome chiamata ne' testamenti de' precedenti monarchi. Difficile
troppo si trovò quest'ultimo punto, perchè chiaramente dichiarò il
gabinetto di Francia che simili rinunzie non potevano mai togliere
il diritto naturale di successione ai principi e figli chiamati, e
che sarebbono nulle ed invalide: del che si hanno ben da ricordare i
lettori, per quello che poi avvenne, e potrebbe molto più un giorno
avvenire. Contuttociò, per soddisfare al tempo presente, si vollero
sì fatte rinunzie dal re _Filippo V_ e da' principi di Francia per le
loro pretensioni sopra la Spagna, e con inorpellamenti si studiarono
le unite corti di Francia e d'Inghilterra di quetare i rumori de'
parlamenti, e le loro forti istanze perchè in un solo capo non si
avessero mai ad unire le due corone. In ricompensa di questo grande,
ma apparente, sacrifizio, al re Cristianissimo riuscì d'indurre la
_regina Anna_ ad un armistizio delle sue milizie ne' Paesi Bassi, che
per un pezzo si tenne segreto. Troppo abbisognava di questo presentaneo
rimedio agl'interni mali del suo regno quel per altro potentissimo e
sempre intrepido monarca.
Per confessione degli stessi storici franzesi, non ne potea più la
Francia: sì lunga, sì pesante e dispendiosa era stata fin qui una sì
universal guerra, sostenuta quasi tutta colle proprie forze. Esausto si
trovava l'erario, divenuti impotenti i popoli a pagare gl'insoffribili
aggravii. Tanta gente era perita in assedii, battaglie e malattie delle
passate campagne, che restavano senza coltivatori le terre, e mancava
la maniera di reclutar le armate. All'incontro in Fiandra non s'era
fin qui veduto un sì fiorito e poderoso esercito delle nemiche potenze;
piazze più non restavano che impedissero l'ingresso delle lor armi nel
cuor della Francia: di maniera che quel nobilissimo regno si mirava
alla vigilia d'incredibili calamità. A questa infelice situazione dei
pubblici affari si aggiunsero altre lagrimevoli disavventure della
real prosapia, che avrebbero potuto abbattere qualsisia animo, ma non
già quello di _Luigi XIV_, principe sempre invitto. Nei primi mesi del
presente anno infermatasi di vaiuolo o di rosolia _Maria Adelaide_
principessa di Savoia Delfina di Francia, passò a miglior vita nel
dì 12 di febbraio. Per l'assistenza prestata alla dilettissima sua
consorte anche il _Delfino Luigi_, principe di mirabil espettazione,
contrasse la stessa infermità, e nel dì 18 dello stesso mese si sbrigò
da questa vita. Due principi avea prodotto il loro matrimonio; il
primo di essi, già _duca di Bretagna_, e poco fa dichiarato Delfino
aggravato dal medesimo vaiuolo, si vide soccombere alla malignità del
male nel dì 8 di maggio. L'altro principe, cioè _Luigi duca di Angiò_,
soggiacque anch'egli alla medesima influenza, accompagnata da violenta
febbre; pure Dio il donò ai desiderii e alle orazioni de' suoi popoli,
ed oggidì pieno di gloria siede coronato sul trono de' suoi maggiori.
Trovavasi _Carlo duca di Berry_, terzo nipote del re Luigi, sul fiore
de' suoi anni; fu anch'egli rapito dalla morte nel suddetto maggio,
senza lasciar discendenza, benchè accasato con una delle figlie del
_duca d'Orleans_. Tanta folla di sventure domestiche, le quali fecero
straparlare i maligni, quasichè la mano degli uomini avesse cooperato
a sì grave eccidio, si rovesciò sopra quel gran re, che non avea
conosciuto per tanti anni addietro se non la felicità, e gustato il
piacere di conquistar provincie e di far tremare chiunque si opponeva
ai suoi voleri. Sotto la mano di Dio convien poi che si accorgano di
stare anche i più potenti monarchi della terra. Ma quello stesso Dio
che avea ridotta in sì compassionevole stato la Francia, non ne volle
permettere il già vicino suo precipizio. Per essersi vinto il cuore
della regina inglese, da ciò venne la salute di tanti popoli, e si
disposero le cose a dovere per la pace universale.
Venne il mese di giugno. Essendo stato già richiamato in Inghilterra
il celebre capitano _duca di Marlboroug_ (tanto poterono le batterie
del _conte d'Oxford_), fu sostituito al comando dell'armi inglesi
in Fiandra il _duca d'Ormond_, ma con ordini segreti di nulla operar
contro i Franzesi, anzi d'intendersela con loro. Ben se ne avvedevano
i collegati: ciò non ostante, il _principe Eugenio_ nel mese suddetto
animosamente mise l'assedio a Quesnoi, piazza forte, e nel dì 4 di
luglio obbligò alla resa quella guernigione, consistente fra sani
e malati quasi in tremila persone. Ottenne intanto la regina Anna
di ricevere dai Franzesi in ostaggio Dunquerque, e di mettervi suo
presidio, per demolirne poi le fortificazioni. Avuto questo pegno
in mano, allora ordinò al duca d'Ormond di pubblicar l'armistizio
delle truppe inglesi colla Francia: il che fu eseguito con rabbia
inestimabile e querele senza fine de' collegati; e tanto più perchè
l'Ormond andò a mettersi in possesso di Gante e di Bruges. Restava
tuttavia al _principe Eugenio_ un possente esercito, capace di
far qualche bella impresa, e già la meditava egli, nulla atterrito
dall'abbandonamento degl'Inglesi. Mise pertanto l'assedio a Landrecy;
ma il valente _maresciallo di Villars_, le cui forze erano cresciute
collo scemar delle altre, improvvisamente, nel dì 25 di luglio, si
spinse addosso al _conte d'Arbemale_, che staccato dal principe Eugenio
con un picciolo esercito custodiva le linee di Dexain. Alla piena di
tante armi non potè resistere quel generale, andò in rotta tutta la sua
gente; più furono gli estinti nel fiume Schelda, per essersi rotto il
ponte, che i trucidati dal ferro. Dopo questa vittoria parve un fulmine
il Villars; ricuperò Saint Amand, Mortagna, Marchiones ed altri luoghi,
dove trovò ricchissimi magazzini d'artiglieria, munizioni da guerra e
viveri. Ritiratosi dall'assedio di Landrecy il principe Eugenio, col
cui valore solamente in quest'anno la fortuna non andò d'accordo, il
Villars passò all'assedio della vigorosa città di Douai e del forte
della Scarpa. Nel termine di venticinque giorni s'impadronì dell'una e
dell'altro; e contuttochè, per le pioggie dirotte che sopravvennero,
finite si credessero le sue imprese; pure al dispetto della stagione
egli continuò le conquiste col ridurre all'ubbidienza del re
Cristianissimo Quesnoi e Bouchain. Dopo di che carico di palme se ne
tornò a Parigi. Per tali fatti quanto si rialzò il credito dell'armi
franzesi, altrettanto si infievolì quello de' collegati.
Stesesi anche nella Spagna l'armistizio degl'Inglesi, e però il
_maresciallo di Staremberg_ rimasto snervato di forze, non potè tentare
impresa alcuna di considerazione; e tantomeno dappoichè un grosso
corpo di gente, finita la campagna in Piemonte, s'inviò a quella volta
pel Rossiglione, dal _maresciallo di Bervich_, che non fu pigro a
soccorrere Girona, assediata già dai cesarei, introducendovi soccorsi
di gente e di munizioni. Si trovò lo Staremberg con sì poche forze,
perchè abbandonato dagl'Inglesi e Portoghesi, che non potè impedire
gli avanzamenti de' Franzesi sino ai contorni di Barcellona: il che
l'obbligò sempre a ritirarsi ne' luoghi forti, per aspettare miglior
costellazione alle cose sue. Intanto gravissimi erano i dibattimenti
nelle conferenze d'Utrecht per le tante pretensioni dei principi
interessati in questa gran guerra. Tutti chiedevano o restituzioni o
aumento di Stati. Per brighe succedute fra i lacchè dei plenipotenzarii
di Francia e di Olanda insorsero gravi puntigli che accrebbero le
dissensioni e gli sdegni, ed interruppero i congressi. Pure col vento
in poppa continuava la navigazion dei Franzesi, perchè tutto per loro
era il _conte d'Oxford_ con gli altri ministri da lui dipendenti. Ma
ricalcitravano gli Olandesi, e più senza paragone la corte di Vienna a
quanto veniva proposto per giugnere alla pace. Tuttavia i primi, allo
scorgere l'Inghilterra assai disposta a stabilire una pace particolare
colla Francia, cominciarono a parlar più dolce, con ridursi in fine,
siccome vedremo, ad entrar nelle misure prese dalla corte di Londra.
Anno di CRISTO MDCCXIII. Indizione VI.
CLEMENTE XI papa 14.
CARLO VI imperadore 3.
Anno felice fu il presente per la pace che cominciò a spiegare le ali
per molte parti dell'Europa; e se tutta non la pacificò di presente,
dispose almen le cose a veder, dopo qualche tempo, restituita
dappertutto la pubblica tranquillità. Dopo il dibattimento di tante
contrarie pretensioni ed opposizioni, finalmente venne fatto alla corte
di Francia di stabilir la pace coll'Inghilterra, Olanda, re di Prussia
e duca di Savoia. Nel dì 14 di marzo aveano già i plenipotenziarii
inglesi indotte le potenze collegate a convenire nell'armistizio
d'Italia, e nell'evacuazione della Catalogna dell'armi alleate. Fu
anche, nel dì 26 d'esso mese, accordato dal re _Filippo V_ agl'Inglesi
il desiderato privilegio dell'Assiento, e fatta solenne rinunzia dei
diritti spettanti ad esso monarca sulla Francia, colla ratificazione
di tutti gli Stati de' suoi regni. Dopo questi preliminari nel dì 11
di aprile in Utrecht furono sottoscritti i capitoli della pace fra le
corone di Francia e d'Inghilterra; fu riconosciuta la _regina Anna_ per
dominante della Gran Bretagna; convalidata la succession della linea
protestante in quel regno; accordata la demolizion delle fortificazioni
di Dunquerque, ceduta agl'Inglesi l'isola di Terra Nuova nella novella
Francia, con altri luoghi dell'Acadia nell'America Settentrionale.
Altre capitolazioni furono fatte col re di Portogallo, col re di
Prussia, e colle Provincie Unite dell'Olanda; ed altre in fine con
_Vittorio Amedeo_ duca di Savoia. Contenevasi in questa, che la Francia
restituiva ad esso sovrano tutta la Savoia, le valli di Pragelas,
e i forti di Exiles e delle Fenestrelle con altre valli, e castello
Delfino, e il contado di Nizza, con altri regolamenti per li confini
alle sommità delle Alpi. E perciocchè alla corte d'Inghilterra premeva
forte che qualche maggiore ricompensa si desse a questo principe, che
avea messo a repentaglio tutti i suoi Stati per sostenere la causa
comune; tanto si adoperò, che il re Cattolico _Filippo_ s'indusse a
cedergli il regno di Sicilia, e di tal cessione si fece garante anche
il re Cristianissimo. Fu anche stipulato, che venendo a mancare la
linea del re Filippo, la real casa di Savoia succederebbe nei regni
di Spagna; e furono approvati gli acquisti fatti da esso duca nel
Monferrato e Stato di Milano. Nel dì poscia 10 di giugno solennemente
approvò esso re Cattolico in Madrid la cessione del suddetto regno
di Sicilia in favore delle linea della casa di Savoia, conservando
solamente il diritto della riversione di quel regno alla corona di
Spagna, in caso che mancassero tutte le linee suddette. Finalmente,
nel dì 13 di agosto, in Utrecht fu sottoscritta la pace fra sua maestà
Cattolica e il prefato duca di Savoia, con ratificar la cessione della
Sicilia, e la successione della casa di Savoia nei regni di Spagna,
caso mai che mancasse la discendenza del re Filippo V.
In vigore dunque di tali atti il duca _Vittorio Amedeo_ nel dì 22 di
settembre venne solennemente riconosciuto in Torino per re di Sicilia
con varie feste ed allegrie di quella corte e città; e il principe
di Piemonte _Carlo Emmanuele_ prese il titolo di duca di Savoia. Fu
allora messo in disputa dai politici, se di gran vantaggio riuscirebbe
alla real casa di Savoia un sì nobile acquisto. E non v'ha dubbio che
di sommo onore a quel sovrano fu l'avere aggiunto ai suoi titoli il
glorioso di re, non immaginario, come quello di Cipri, ma sostanziale
col dominio d'una isola felicissima per varii conti, e la maggiore del
Mediterraneo, per cui si apriva il campo ad un rilevante commercio
marittimo. Contuttociò ad altri parve che se ne veniva un grande
onore, non corrispondesse la potenza e l'autorità, per essere troppo
staccato quel regno dagli Stati del Piemonte, per l'obbligo di tenervi
continuamente gran guernigione sul timore dei vicini Tedeschi padroni
del regno di Napoli; giacchè non era un mistero che l'Augusto _Carlo
VI_ s'ebbe sommamente a male che fosse a lui tolta la Sicilia per
darla ad altri. Io qui tralascio altre loro riflessioni, per dire che
i principi ben provveduti di saviezza cesserebbero di essere tali, se,
per apprensione delle possibili eventualità, rimanessero di accettar
quei dominii che presenta loro la fortuna. Possono anche dopo un
acquisto succedere più favorevoli emergenti; e quando anche avvenissero
in contrario, ciò che fu fatto sulle prime con prudente riflesso, non
può mai divenire taccia d'imprudenza. Ora il nuovo re di Sicilia pensò
tosto a portarsi in persona a prendere il possesso di quel regno.
Fatti suntuosi preparamenti, passò egli, sul fine di settembre, colla
regina moglie, con tutta la sua corte e con molte truppe a Nizza, e
quivi sulla squadra dell'ammiraglio inglese _Jennings_ imbarcatosi,
nel dì 3 di ottobre indirizzò le vele alla volta di Palermo. Giunto
a quel porto, nel dì 10 ricevette dal _marchese de los Balbases_ la
consegna delle fortezze, e nel dì seguente fra i giulivi suoni delle
campane e gli strepiti delle artiglierie, e fra gli archi trionfali si
portò alla cattedrale, dove fu cantato solenne _Te Deum_. Grandi spese
fece per tal viaggio il re _Vittorio Amedeo_, e tuttochè ricevesse un
riguardevol dono gratuito dai Siciliani, pure l'utile non uguagliò il
danno; e la sua camera e il Piemonte si risentirono per qualche tempo
della felicità del loro sovrano. Seguì poi in Palermo nel dì 21 di
dicembre la solenne inaugurazione del re e della regina. Tre giorni
dopo si fece la lor coronazione dall'arcivescovo di Palermo, assistito
da alcuni vescovi.
Alle paci fin qui accennate desiderava ognuno che si accomodasse anche
l'imperador _Carlo VI_; ma s'era troppo inasprita la corte di Vienna al
vedere come abbandonata sè stessa a' collegati, e camminar con vento
sì prospero i negoziati della Francia e Spagna; tolta ad esso Augusto
la Sicilia; e trovarsi egli forzato ad abbandonare la Catalogna,
senza poter ottenere remissione alcuna per quegl'infelici popoli, che
rimasero poi sacrificati all'ira del re Cattolico _Filippo V_. Perciò
l'Augusto Carlo, senza considerare ad accordo alcuno colle due nemiche
corone, restò solo in ballo, e si diede a studiar i mezzi per non
lasciarsi soperchiare dalla potenza e fortuna dei Franzesi, sperando
pure di ricavar qualche vantaggio per li Catalani suddetti. Giacchè
s'era convenuto ch'egli ritirasse l'armi sue dalla Catalogna, la prima
sua cura fu di mettere in salvo l'imperadrice sua consorte, lasciata
in Barcellona per ostaggio della sua fede ai Catalani. L'ammiraglio
inglese _Jennings_ colla sua squadra di navi andò per condurla in
Italia. Giornata di troppo gravi cordogli e di aspri lamenti fu quella
in cui l'augusta principessa prese congedo da quel povero popolo. Di
grandi speranze, di belle promesse spese ella in tale occasione per
calmare l'affanno e lo sdegno dei cittadini facendo specialmente valere
il restar ivi il _maresciallo di Staremberg_ colle sue truppe, ch'erano
ben poche, e doveano anche fra poco imbarcarsi per venire in Italia.
Nel dì 20 di marzo sciolse le vele da Barcellona la flotta inglese,
e nel dì 2 d'aprile sbarcò l'imperadrice a Genova, dove con superbi
regali e sommo onore fu accolta da quella repubblica. Entrò poscia in
Milano nel dì 10 d'esso mese, e quivi, dopo aver preso riposo fino al
tempestare il re _Carlo III_, acciocchè, lasciata la troppo pericolosa,
anzi disperata, impresa della Spagna, venisse alla difesa e al
godimento de' suoi Stati. Trovossi allora il buon principe in un ben
affannoso labirinto; perchè dall'una parte il bisogno dei proprii
Stati e la premura di salire sul trono imperiale non gli permettevano
di fermarsi in Ispagna, e dall'altra non sapeva indursi ad abbandonare
i miseri Barcellonesi e Catalani alla discrezione dell'irato _Filippo
V_. Avea anche sulle spalle un'esorbitante copia di nobiltà spagnuola e
di famiglie rifugiate sotto l'ombra sua per isfuggire i castighi della
pretesa ribellione; e tutti dimandavano pane. Fu preso il ripiego di
lasciar la regina sua sposa in Barcellona per pegno del suo amore, e
per sicurezza degli sforzi ch'era per fare nella lor difesa. Scelta
pertanto una parte dei rifugiati Spagnuoli che seco venissero, nel
settembre s'imbarcò, e felicemente sbarcò alle spiagge di Genova, e
senza perdere tempo s'inviò alla volta di Milano. Alla Cava nel dì
13 d'ottobre fu complimentato da _Vittorio Amedeo_ duca di Savoia, e
un miglio lungi da Pavia da _Rinaldo_ duca di Modena. Arrivata che fu
la maestà sua a Milano, poco stette a ricevere la lieta nuova che nel
dì 12 del predetto mese, di comune consenso degli elettori, era stato
proclamato imperador de' Romani. Le universali allegrezze dei popoli
d'Italia solennizzarono sì applaudita elezione; il pontefice destinò
il _cardinale Imperiale_ con titolo di legato a latere a riconoscere
in lui non meno la dignità imperiale che il titolo di re Cattolico.
Comparvero ancora a questo fine a Milano pompose ambasciate delle
repubbliche di Venezia, Genova e Lucca. Saputosi poi in Madrid come si
fossero contenuti in tal occasione i principi d'Italia, il re Filippo
ordinò che i loro pubblici rappresentanti sloggiassero da' suoi regni.
Fermossi in Milano l'augusto sovrano sino al dì 30 di novembre, in cui
si mosse alla volta dell'Alemagna. Nel dì 12 fu di nuovo ad inchinarlo
il _duca di Modena_ in San Marino di Bozzolo. Mantova qualche giorno
godè della graziosa presenza di questo monarca; e ai confini dello
Stato veneto gli fecero un soprammodo magnifico accoglimento gli
ambasciatori di quell'inclita repubblica; dopo di che inviatosi egli
a dirittura per la via di Trento e del Tirolo, nel dì 20 giunse ad
Inspruch, dove prese riposo. Fattosi intanto in Francoforte il suntuoso
preparamento per la sua coronazione, questa dipoi si effettuò nel dì
22 di dicembre con solennissima festa. Portò egli al trono imperiale
un complesso di sode e rare virtù, quale non sì facilmente si trova in
altri regnanti, e cominciò da lì innanzi ad essere chiamato _Carlo VI_
Augusto.
Nulla di notabile operarono in questo anno gli alleati in Piemonte,
e da alcuni ne fu attribuita la cagione al trovarsi tuttavia mal
soddisfatto _Vittorio Amedeo_ duca di Savoia della corte di Vienna,
che con varie scuse gli negava il possesso tante volte promesso del
Vigevanasco. Contuttociò quel sovrano col _maresciallo Daun_ sul
principio di luglio con potente esercito si mosse e valicò i monti,
e passate le valli di Morienna e Tarantasia, calò nella Savoia,
impadronendosi della città di Annicy, Chiambery, ed altre di quella
contrada. S'aspettava il _duca di Bervich_ che questo torrente
s'incamminasse verso il Lionese; e però, dopo aver muniti i passi,
fermò il suo campo sotto il forte di Barreaux. Intenzione del conte di
Daun era di assalire i Franzesi in quel sito; ma insorta dissensione di
pareri, finì tutta la campagna in sole minaccie contra dei Franzesi. E
perchè l'armata non avrebbe potuto sussistere pel verno nella Savoia,
divisa allora dall'Italia per cagion delle nevi, abbandonati di
nuovo que' paesi, se ne tornarono tutti a cercare stanza migliore in
Lombardia. Qualora i Tedeschi avessero tenuto più contento il sovrano
di Savoia, forse in altra guisa sarebbero camminate le faccende in
quelle parti. Erano di molto prosperate in Ispagna l'armi del re
_Filippo V_ col riacquisto della Castiglia e dell'Aragona, e coll'avere
ristretti gli alleati nell'angusto paese della Catalogna. Ebbe egli
ancora il contento nel gennaio di quest'anno di veder superata Girona
dal _duca di Noaglies_, che con venti mila Franzesi ne avea formato
l'assedio. Ma niun'altra impresa degna di osservazione si fece in
quelle parti, se non che il _duca di Vandomo_ nel mese di dicembre
spedì il conte di Muret con grosso corpo di gente sotto Cardona.
S'impossessò questo generale del Borgo, e ritiratasi la guernigion
nel castello, cominciarono le artiglierie a tormentarlo. Vi fu spedito
dallo Staremberg un buon soccorso di gente, che rovesciò le trincee dei
nemici, ed entrati colà cinquecento uomini, fecero prendere al Muret la
risoluzione di ritirarsi. Nè pure in Fiandra alcuno strepitoso fatto
avvenne, altro non essendo riuscito ai collegati che di sottomettere
la forte città di Bauchain, giacchè il _maresciallo di Villars_ non
lasciava ai nemici adito per azzuffarsi seco: cotanto sapea egli l'arte
dei buoni accampamenti, per non venire a battaglia se non quando vi
trovava i suoi conti.
Parea dunque che si cominciasse a raffreddare il bollore di questa
guerra, nè se ne intendeva allora il perchè; ma a poco a poco si venne
poi svelando il mistero. Convien confessarlo: sanno egregiamente i
Franzesi combattere con armi di ferro, ma egualmente ancora valersi
di armi d'oro per espugnare chi alla lor potenza resiste. Già dicemmo
accaduta in Londra non lieve mutazione nel ministero, ed essere toccata
la superiorità al partito dei Toris. La _regina Anna_, che fin qui
tanto ardore avea mostrato contro la real casa di Borbone, cominciò,
per quanto fu creduto, a sentire rialzarsi in suo cuore la non mai
estinta affezione al proprio sangue stuardo, siccome figlia del fu
cattolico re _Giacomo II_. Mossa da compassione verso l'abbattuto
vivente suo fratello _Giacomo III_, re solamente di nome della Gran
Bretagna, concepì dei segreti desiderii ch'egli divenisse tale di
fatto, e fosse anteposto all'elettoral casa di Brunswich, a cui già per
gli atti pubblici del parlamento era stato assicurata la successione
del regno, qualora mancasse la regina medesima. All'avveduta corte
del re Cristianissimo trasparì qualche barlume del presente sistema di
quella di Londra; e il _maresciallo di Tallard_, detenuto prigioniere
nella città di Notingam, fu creduto che suggerisse buoni lumi per
giugnere a guadagnare il cuore d'essa regina. Segretamente dunque il
re _Luigi XIV_ ebbe maniera di far introdurre per mezzo del _milord
Halei_, che poi divenne _conte d'Oxford_, e di qualche altra persona
favorita dalla regina, parole di pace fiancheggiate da rilevanti
vantaggi in favore della nazione inglese. Se riusciva al gabinetto
franzese di staccare quella potenza dalla grande alleanza, ben si
conosceva terminata la memorabil tragedia della guerra presente.
Gustò la regina il dolce di quelle proposizioni, e cominciarono ad
andare innanzi e indietro segrete lettere e risposte per ismaltire le
difficoltà, e stabilire i principali articoli dell'accomodamento. Di
queste mene si avvidero bensì gli Olandesi e la corte di Vienna, e si
studiarono di fermarle; ma senza profitto alcuno. Troppa impressione
aveano fatto nella regina Anna le offerte della Francia, cioè la
cessione di Gibilterra e di Porto Maone all'Inghilterra (punto di gran
rilievo pel commercio di quella nazione), l'Assiento, cioè la vendita
de' Mori per servigio dell'America Spagnuola, che si accorderebbe
per molti anni agl'Inglesi; la demolizione di Dunquerque: una buona
barriera di piazze per sicurezza degli Olandesi; all'imperador _Carlo
VI_ la Fiandra, lo Stato di Milano, Napoli e Sardegna. Già divenuto
come impossibile il cavar dalle mani del re _Filippo V_ la Spagna,
restava questa monarchia divisa dalla franzese: a che dunque consumar
più tanto oro e sangue, se nulla di più si potea ottener colla guerra
di quel che ora si veniva a conseguir colla pace? Passò per questo in
Inghilterra nel gennaio seguente il _principe Eugenio_, nè altro gli
venne fatto che d'indurre la regina a procedere senza fretta e con
gran cautela in sì importante affare. Intanto gli Olandesi si videro
astretti a consentire ad un luogo per dar principio ai congressi, e
fu scelta per questo la città d'Utrecht, dove nel gennaio seguente
avessero da concorrere i plenipotenziarii delle parti interessate.
E tali furono i primi gagliardi passi per restituire la tranquillità
all'afflitta Europa.
Anno di CRISTO MDCCXII. Indizione V.
CLEMENTE XI papa 13.
CARLO VI imperadore 2.
Fin dall'anno precedente era penetrata dall'Ungheria in Italia la
mortalità de' buoi, flagello di cui non v'ha persona che non intenda
le funestissime conseguenze in danno del genere umano. Ma nel presente
così ampiamente si dilatò pel Veronese, Bresciano, Mantovano e Stato
di Milano, che fece un orrido scempio di sì utile, anzi necessario,
genere di animali. Anche il regno di Napoli e lo Stato della Chiesa
soffrì immensi danni per questa micidiale epidemia. Correndo il mese
di settembre, fu detto che in esso regno fossero periti settanta
mila capi di buoi e vacche, e nel solo Cremonese più di quattordici
mila; e il male progrediva a gran passi nelle vicinanze. Nel presente
anno venne a visitar l'Italia _Federigo Augusto_, principe reale di
Polonia ed elettorale di Sassonia, e ricevette in Modena ogni maggior
dimostrazione di stima dal _duca Rinaldo_. Di là passò a Bologna,
dove, abiurato il luteranismo, abbracciò la religione cattolica, che
servì poscia a lui di gradino per salire, dopo la morte del padre,
sul trono della Polonia, in cui ora gloriosamente siede. Restava nelle
Maremme della Toscana Porto Ercole tuttavia ubbidiente al re _Filippo
V_. Passò nella primavera un grosso corpo di cesarei a mettere colà
il campo; e dappoichè fu giunta l'occorrente artiglieria da Napoli,
si cominciò a bersagliare i forti della Stella e di San Filippo.
Ridotti quei presidii a rendersi a descrizione, anche il porto cadde
in loro mano. Nel Piemonte gran freddo si trovò nel duca di Savoia
per le azioni militari, essendo più che mai malcontento quel sovrano
della corte cesarea, che, non ostante l'interposizion premurosa delle
potenze marittime, sempre andò fuggendo l'adempimento delle promesse
fatte di cedergli il Vigevanasco, o di dargli il compenso in altre
terre. Oltre a ciò, nacquero in lui politici riguardi, da che vide sul
tappeto trattati di pace; e non gli era ignoto che in tutte le maniere
la corte d'Inghilterra la voleva. Anzi si crede che in questi tempi
il _conte di Oxford_, tutto intento a sbrancare alcuno de' principi
dalla grande alleanza, coll'inviare a Torino il _conte di Peterboroug_,
s'industriasse di tirar esso duca ad una pace particolare colla vistosa
esibizione (per quanto fu creduto) del regno di Sicilia e restituzione
di tutti i suoi Stati. Non dispiacque a quel sovrano un sì bel regalo,
che seco anche portava il titolo di re; ma conoscendone egli la poca
sussistenza, quando non vi concorresse il consenso di Cesare, il
quale non solo da questo si sarebbe mostrato, ma ancora dalla pace
si mostrava troppo alieno, ravvisò tosto la necessità di star forte
nella lega, finchè si maturassero meglio le cose. Però non volle punto
staccarsi da' collegati, e solamente ricusò di uscire in campagna colle
sue truppe. Vi uscì co' suoi Tedeschi il _maresciallo di Daun_, perchè
il _duca di Bervich_ era calato da Monginevra nella valle di Oulx; ma
altro non fece che difendere i posti in quella contrada.
Intanto sul fine di gennaio nella città olandese di Utrecht s'era
aperto il congresso, a cui intervennero i plenipotenzarii di Francia,
Inghilterra, Olanda e Savoia. Vi comparvero ancora, ma come forzati,
quei dell'imperadore, siccome consapevoli che la corte di Londra
venduta a Versaglies, dopo avere assicurati i proprii vantaggi, più
avrebbe promossi quei della real casa di Borbone che dell'austriaca.
Sulle prime se smisurate apparvero le dimande e pretensioni della
Francia, più alte ancora e vaste si scoprirono quelle degli alleati.
Gli stessi parlamenti d'Inghilterra andavano poco d'accordo colle
segrete voglie della regina, perchè non miravano assicurata la
pubblica tranquillità con tutte le belle esibizioni fatte in loro
pro dal re Cristianissimo. Allora il conte d'Oxford mise in campo due
ripieghi; l'uno che dal re _Luigi XIV_ fosse fatto uscire di Francia
il pretendente, cioè il re _Giacomo III_ Stuardo; e l'altro, che si
provvedesse in maniera tale, che non mai in avvenire si potessero
unir insieme le due monarchie di Francia e Spagna. A questo oggetto fu
proposto che il re _Filippo V_ rinunziasse ogni sua ragione sopra la
Francia in favore de' principi chiamati dopo di lui, e che, mancando
la di lui linea, succedesse ne' regni di Spagna la casa di Savoia,
siccome chiamata ne' testamenti de' precedenti monarchi. Difficile
troppo si trovò quest'ultimo punto, perchè chiaramente dichiarò il
gabinetto di Francia che simili rinunzie non potevano mai togliere
il diritto naturale di successione ai principi e figli chiamati, e
che sarebbono nulle ed invalide: del che si hanno ben da ricordare i
lettori, per quello che poi avvenne, e potrebbe molto più un giorno
avvenire. Contuttociò, per soddisfare al tempo presente, si vollero
sì fatte rinunzie dal re _Filippo V_ e da' principi di Francia per le
loro pretensioni sopra la Spagna, e con inorpellamenti si studiarono
le unite corti di Francia e d'Inghilterra di quetare i rumori de'
parlamenti, e le loro forti istanze perchè in un solo capo non si
avessero mai ad unire le due corone. In ricompensa di questo grande,
ma apparente, sacrifizio, al re Cristianissimo riuscì d'indurre la
_regina Anna_ ad un armistizio delle sue milizie ne' Paesi Bassi, che
per un pezzo si tenne segreto. Troppo abbisognava di questo presentaneo
rimedio agl'interni mali del suo regno quel per altro potentissimo e
sempre intrepido monarca.
Per confessione degli stessi storici franzesi, non ne potea più la
Francia: sì lunga, sì pesante e dispendiosa era stata fin qui una sì
universal guerra, sostenuta quasi tutta colle proprie forze. Esausto si
trovava l'erario, divenuti impotenti i popoli a pagare gl'insoffribili
aggravii. Tanta gente era perita in assedii, battaglie e malattie delle
passate campagne, che restavano senza coltivatori le terre, e mancava
la maniera di reclutar le armate. All'incontro in Fiandra non s'era
fin qui veduto un sì fiorito e poderoso esercito delle nemiche potenze;
piazze più non restavano che impedissero l'ingresso delle lor armi nel
cuor della Francia: di maniera che quel nobilissimo regno si mirava
alla vigilia d'incredibili calamità. A questa infelice situazione dei
pubblici affari si aggiunsero altre lagrimevoli disavventure della
real prosapia, che avrebbero potuto abbattere qualsisia animo, ma non
già quello di _Luigi XIV_, principe sempre invitto. Nei primi mesi del
presente anno infermatasi di vaiuolo o di rosolia _Maria Adelaide_
principessa di Savoia Delfina di Francia, passò a miglior vita nel
dì 12 di febbraio. Per l'assistenza prestata alla dilettissima sua
consorte anche il _Delfino Luigi_, principe di mirabil espettazione,
contrasse la stessa infermità, e nel dì 18 dello stesso mese si sbrigò
da questa vita. Due principi avea prodotto il loro matrimonio; il
primo di essi, già _duca di Bretagna_, e poco fa dichiarato Delfino
aggravato dal medesimo vaiuolo, si vide soccombere alla malignità del
male nel dì 8 di maggio. L'altro principe, cioè _Luigi duca di Angiò_,
soggiacque anch'egli alla medesima influenza, accompagnata da violenta
febbre; pure Dio il donò ai desiderii e alle orazioni de' suoi popoli,
ed oggidì pieno di gloria siede coronato sul trono de' suoi maggiori.
Trovavasi _Carlo duca di Berry_, terzo nipote del re Luigi, sul fiore
de' suoi anni; fu anch'egli rapito dalla morte nel suddetto maggio,
senza lasciar discendenza, benchè accasato con una delle figlie del
_duca d'Orleans_. Tanta folla di sventure domestiche, le quali fecero
straparlare i maligni, quasichè la mano degli uomini avesse cooperato
a sì grave eccidio, si rovesciò sopra quel gran re, che non avea
conosciuto per tanti anni addietro se non la felicità, e gustato il
piacere di conquistar provincie e di far tremare chiunque si opponeva
ai suoi voleri. Sotto la mano di Dio convien poi che si accorgano di
stare anche i più potenti monarchi della terra. Ma quello stesso Dio
che avea ridotta in sì compassionevole stato la Francia, non ne volle
permettere il già vicino suo precipizio. Per essersi vinto il cuore
della regina inglese, da ciò venne la salute di tanti popoli, e si
disposero le cose a dovere per la pace universale.
Venne il mese di giugno. Essendo stato già richiamato in Inghilterra
il celebre capitano _duca di Marlboroug_ (tanto poterono le batterie
del _conte d'Oxford_), fu sostituito al comando dell'armi inglesi
in Fiandra il _duca d'Ormond_, ma con ordini segreti di nulla operar
contro i Franzesi, anzi d'intendersela con loro. Ben se ne avvedevano
i collegati: ciò non ostante, il _principe Eugenio_ nel mese suddetto
animosamente mise l'assedio a Quesnoi, piazza forte, e nel dì 4 di
luglio obbligò alla resa quella guernigione, consistente fra sani
e malati quasi in tremila persone. Ottenne intanto la regina Anna
di ricevere dai Franzesi in ostaggio Dunquerque, e di mettervi suo
presidio, per demolirne poi le fortificazioni. Avuto questo pegno
in mano, allora ordinò al duca d'Ormond di pubblicar l'armistizio
delle truppe inglesi colla Francia: il che fu eseguito con rabbia
inestimabile e querele senza fine de' collegati; e tanto più perchè
l'Ormond andò a mettersi in possesso di Gante e di Bruges. Restava
tuttavia al _principe Eugenio_ un possente esercito, capace di
far qualche bella impresa, e già la meditava egli, nulla atterrito
dall'abbandonamento degl'Inglesi. Mise pertanto l'assedio a Landrecy;
ma il valente _maresciallo di Villars_, le cui forze erano cresciute
collo scemar delle altre, improvvisamente, nel dì 25 di luglio, si
spinse addosso al _conte d'Arbemale_, che staccato dal principe Eugenio
con un picciolo esercito custodiva le linee di Dexain. Alla piena di
tante armi non potè resistere quel generale, andò in rotta tutta la sua
gente; più furono gli estinti nel fiume Schelda, per essersi rotto il
ponte, che i trucidati dal ferro. Dopo questa vittoria parve un fulmine
il Villars; ricuperò Saint Amand, Mortagna, Marchiones ed altri luoghi,
dove trovò ricchissimi magazzini d'artiglieria, munizioni da guerra e
viveri. Ritiratosi dall'assedio di Landrecy il principe Eugenio, col
cui valore solamente in quest'anno la fortuna non andò d'accordo, il
Villars passò all'assedio della vigorosa città di Douai e del forte
della Scarpa. Nel termine di venticinque giorni s'impadronì dell'una e
dell'altro; e contuttochè, per le pioggie dirotte che sopravvennero,
finite si credessero le sue imprese; pure al dispetto della stagione
egli continuò le conquiste col ridurre all'ubbidienza del re
Cristianissimo Quesnoi e Bouchain. Dopo di che carico di palme se ne
tornò a Parigi. Per tali fatti quanto si rialzò il credito dell'armi
franzesi, altrettanto si infievolì quello de' collegati.
Stesesi anche nella Spagna l'armistizio degl'Inglesi, e però il
_maresciallo di Staremberg_ rimasto snervato di forze, non potè tentare
impresa alcuna di considerazione; e tantomeno dappoichè un grosso
corpo di gente, finita la campagna in Piemonte, s'inviò a quella volta
pel Rossiglione, dal _maresciallo di Bervich_, che non fu pigro a
soccorrere Girona, assediata già dai cesarei, introducendovi soccorsi
di gente e di munizioni. Si trovò lo Staremberg con sì poche forze,
perchè abbandonato dagl'Inglesi e Portoghesi, che non potè impedire
gli avanzamenti de' Franzesi sino ai contorni di Barcellona: il che
l'obbligò sempre a ritirarsi ne' luoghi forti, per aspettare miglior
costellazione alle cose sue. Intanto gravissimi erano i dibattimenti
nelle conferenze d'Utrecht per le tante pretensioni dei principi
interessati in questa gran guerra. Tutti chiedevano o restituzioni o
aumento di Stati. Per brighe succedute fra i lacchè dei plenipotenzarii
di Francia e di Olanda insorsero gravi puntigli che accrebbero le
dissensioni e gli sdegni, ed interruppero i congressi. Pure col vento
in poppa continuava la navigazion dei Franzesi, perchè tutto per loro
era il _conte d'Oxford_ con gli altri ministri da lui dipendenti. Ma
ricalcitravano gli Olandesi, e più senza paragone la corte di Vienna a
quanto veniva proposto per giugnere alla pace. Tuttavia i primi, allo
scorgere l'Inghilterra assai disposta a stabilire una pace particolare
colla Francia, cominciarono a parlar più dolce, con ridursi in fine,
siccome vedremo, ad entrar nelle misure prese dalla corte di Londra.
Anno di CRISTO MDCCXIII. Indizione VI.
CLEMENTE XI papa 14.
CARLO VI imperadore 3.
Anno felice fu il presente per la pace che cominciò a spiegare le ali
per molte parti dell'Europa; e se tutta non la pacificò di presente,
dispose almen le cose a veder, dopo qualche tempo, restituita
dappertutto la pubblica tranquillità. Dopo il dibattimento di tante
contrarie pretensioni ed opposizioni, finalmente venne fatto alla corte
di Francia di stabilir la pace coll'Inghilterra, Olanda, re di Prussia
e duca di Savoia. Nel dì 14 di marzo aveano già i plenipotenziarii
inglesi indotte le potenze collegate a convenire nell'armistizio
d'Italia, e nell'evacuazione della Catalogna dell'armi alleate. Fu
anche, nel dì 26 d'esso mese, accordato dal re _Filippo V_ agl'Inglesi
il desiderato privilegio dell'Assiento, e fatta solenne rinunzia dei
diritti spettanti ad esso monarca sulla Francia, colla ratificazione
di tutti gli Stati de' suoi regni. Dopo questi preliminari nel dì 11
di aprile in Utrecht furono sottoscritti i capitoli della pace fra le
corone di Francia e d'Inghilterra; fu riconosciuta la _regina Anna_ per
dominante della Gran Bretagna; convalidata la succession della linea
protestante in quel regno; accordata la demolizion delle fortificazioni
di Dunquerque, ceduta agl'Inglesi l'isola di Terra Nuova nella novella
Francia, con altri luoghi dell'Acadia nell'America Settentrionale.
Altre capitolazioni furono fatte col re di Portogallo, col re di
Prussia, e colle Provincie Unite dell'Olanda; ed altre in fine con
_Vittorio Amedeo_ duca di Savoia. Contenevasi in questa, che la Francia
restituiva ad esso sovrano tutta la Savoia, le valli di Pragelas,
e i forti di Exiles e delle Fenestrelle con altre valli, e castello
Delfino, e il contado di Nizza, con altri regolamenti per li confini
alle sommità delle Alpi. E perciocchè alla corte d'Inghilterra premeva
forte che qualche maggiore ricompensa si desse a questo principe, che
avea messo a repentaglio tutti i suoi Stati per sostenere la causa
comune; tanto si adoperò, che il re Cattolico _Filippo_ s'indusse a
cedergli il regno di Sicilia, e di tal cessione si fece garante anche
il re Cristianissimo. Fu anche stipulato, che venendo a mancare la
linea del re Filippo, la real casa di Savoia succederebbe nei regni
di Spagna; e furono approvati gli acquisti fatti da esso duca nel
Monferrato e Stato di Milano. Nel dì poscia 10 di giugno solennemente
approvò esso re Cattolico in Madrid la cessione del suddetto regno
di Sicilia in favore delle linea della casa di Savoia, conservando
solamente il diritto della riversione di quel regno alla corona di
Spagna, in caso che mancassero tutte le linee suddette. Finalmente,
nel dì 13 di agosto, in Utrecht fu sottoscritta la pace fra sua maestà
Cattolica e il prefato duca di Savoia, con ratificar la cessione della
Sicilia, e la successione della casa di Savoia nei regni di Spagna,
caso mai che mancasse la discendenza del re Filippo V.
In vigore dunque di tali atti il duca _Vittorio Amedeo_ nel dì 22 di
settembre venne solennemente riconosciuto in Torino per re di Sicilia
con varie feste ed allegrie di quella corte e città; e il principe
di Piemonte _Carlo Emmanuele_ prese il titolo di duca di Savoia. Fu
allora messo in disputa dai politici, se di gran vantaggio riuscirebbe
alla real casa di Savoia un sì nobile acquisto. E non v'ha dubbio che
di sommo onore a quel sovrano fu l'avere aggiunto ai suoi titoli il
glorioso di re, non immaginario, come quello di Cipri, ma sostanziale
col dominio d'una isola felicissima per varii conti, e la maggiore del
Mediterraneo, per cui si apriva il campo ad un rilevante commercio
marittimo. Contuttociò ad altri parve che se ne veniva un grande
onore, non corrispondesse la potenza e l'autorità, per essere troppo
staccato quel regno dagli Stati del Piemonte, per l'obbligo di tenervi
continuamente gran guernigione sul timore dei vicini Tedeschi padroni
del regno di Napoli; giacchè non era un mistero che l'Augusto _Carlo
VI_ s'ebbe sommamente a male che fosse a lui tolta la Sicilia per
darla ad altri. Io qui tralascio altre loro riflessioni, per dire che
i principi ben provveduti di saviezza cesserebbero di essere tali, se,
per apprensione delle possibili eventualità, rimanessero di accettar
quei dominii che presenta loro la fortuna. Possono anche dopo un
acquisto succedere più favorevoli emergenti; e quando anche avvenissero
in contrario, ciò che fu fatto sulle prime con prudente riflesso, non
può mai divenire taccia d'imprudenza. Ora il nuovo re di Sicilia pensò
tosto a portarsi in persona a prendere il possesso di quel regno.
Fatti suntuosi preparamenti, passò egli, sul fine di settembre, colla
regina moglie, con tutta la sua corte e con molte truppe a Nizza, e
quivi sulla squadra dell'ammiraglio inglese _Jennings_ imbarcatosi,
nel dì 3 di ottobre indirizzò le vele alla volta di Palermo. Giunto
a quel porto, nel dì 10 ricevette dal _marchese de los Balbases_ la
consegna delle fortezze, e nel dì seguente fra i giulivi suoni delle
campane e gli strepiti delle artiglierie, e fra gli archi trionfali si
portò alla cattedrale, dove fu cantato solenne _Te Deum_. Grandi spese
fece per tal viaggio il re _Vittorio Amedeo_, e tuttochè ricevesse un
riguardevol dono gratuito dai Siciliani, pure l'utile non uguagliò il
danno; e la sua camera e il Piemonte si risentirono per qualche tempo
della felicità del loro sovrano. Seguì poi in Palermo nel dì 21 di
dicembre la solenne inaugurazione del re e della regina. Tre giorni
dopo si fece la lor coronazione dall'arcivescovo di Palermo, assistito
da alcuni vescovi.
Alle paci fin qui accennate desiderava ognuno che si accomodasse anche
l'imperador _Carlo VI_; ma s'era troppo inasprita la corte di Vienna al
vedere come abbandonata sè stessa a' collegati, e camminar con vento
sì prospero i negoziati della Francia e Spagna; tolta ad esso Augusto
la Sicilia; e trovarsi egli forzato ad abbandonare la Catalogna,
senza poter ottenere remissione alcuna per quegl'infelici popoli, che
rimasero poi sacrificati all'ira del re Cattolico _Filippo V_. Perciò
l'Augusto Carlo, senza considerare ad accordo alcuno colle due nemiche
corone, restò solo in ballo, e si diede a studiar i mezzi per non
lasciarsi soperchiare dalla potenza e fortuna dei Franzesi, sperando
pure di ricavar qualche vantaggio per li Catalani suddetti. Giacchè
s'era convenuto ch'egli ritirasse l'armi sue dalla Catalogna, la prima
sua cura fu di mettere in salvo l'imperadrice sua consorte, lasciata
in Barcellona per ostaggio della sua fede ai Catalani. L'ammiraglio
inglese _Jennings_ colla sua squadra di navi andò per condurla in
Italia. Giornata di troppo gravi cordogli e di aspri lamenti fu quella
in cui l'augusta principessa prese congedo da quel povero popolo. Di
grandi speranze, di belle promesse spese ella in tale occasione per
calmare l'affanno e lo sdegno dei cittadini facendo specialmente valere
il restar ivi il _maresciallo di Staremberg_ colle sue truppe, ch'erano
ben poche, e doveano anche fra poco imbarcarsi per venire in Italia.
Nel dì 20 di marzo sciolse le vele da Barcellona la flotta inglese,
e nel dì 2 d'aprile sbarcò l'imperadrice a Genova, dove con superbi
regali e sommo onore fu accolta da quella repubblica. Entrò poscia in
Milano nel dì 10 d'esso mese, e quivi, dopo aver preso riposo fino al
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