Annali d'Italia, vol. 7 - 13
della repubblica veneta. Di qua dal Po stavano i Franzesi, cannonando
incessantemente Ostiglia nell'opposta riva. Il gran priore passò
dipoi ad assediar Serravalle. Ma perciocchè non men le sue truppe di
qua dal fiume suddetto e i Tedeschi dall'altra parte si stendevano
sul Ferrarese, diede ciò motivo al sommo pontefice di farne gravi
querele per mezzo del _cardinale Astalli_ legato di Ferrara, intimando
agli uni e agli altri di sloggiare, e nello stesso tempo minacciando
di unir le sue truppe colla parte ubbidiente per iscacciarne la
disubbidiente. Sì questi che quelli si mostrarono pronti ad evacuare
il Ferrarese, e in fatti si ritirarono i Franzesi dalla Stellata,
e gli Alemanni consegnarono Figheruolo agli uffiziali del papa,
con promesse di ritirarsi sul Veneziano. Mentre si allestivano a
partire, nella notte precedente la natività di san Giovanni Batista,
avendo i Franzesi raunata gran copia di barche, o trovate in Po,
o fatte venir dal Panaro, alcune migliaia di essi, imbarcati alle
Quadrelle, quetamente passarono di là dal fiume, ed ottenuto il passo
dalle guardie pontificie, diedero addosso agli Alemanni, i quali, in
vigore dell'accordo fatto se ne stavano assai spensierati e quieti.
Alquanti ne furono uccisi, gli altri colla fuga scamparono; restò il
loro bagaglio in man de' Franzesi. Fu cagion questo colpo ch'eglino
poscia abbandonassero Ostiglia, Serravalle e Ponte Molino, e che il
picciolo loro esercito, valicato l'Adige, andasse a mettersi in salvo
sul Trentino. Proruppe la corte di Vienna in escandescenze per questo
fatto, con pretendere di aver pruove chiare che fosse seguito di
concerto coi ministri del papa, perchè nello stesso tempo era andato
il _conte Paolucci_ generale pontificio ad abboccarsi col gran priore,
e per altre ragioni che non importa riferire. Commosso dalle amare
doglianze di Cesare, il pontefice spedì a Ferrara monsignor _Lorenzo
Corsini_, che fu poi cardinale e papa, acciocchè ne formasse un
processo. Nulla risultò da questo che i pontifizii avessero consentito
o contribuito alla cacciata de' Tedeschi; ma non perciò si potè
levar di capo alla corte cesarea che il papa, assicurato oramai della
fortuna favorevole ai Gallispani, avesse data mano ad essi per cacciare
lungi da' suoi Stati quel molesto pugno di gente. Da che si trovarono
rinforzati gli Alemanni da alquante milizie calate dal Tirolo, dopo
la metà di settembre calarono di nuovo nel Bresciano, fortificandosi
a Gavardo e Salò sul lago di Garda, e in altri luoghi. Poche son
le nazioni e i principi che nelle prosperità sappiano conservar la
moderazione. Cadde allora in pensiero ai Franzesi di parlar alto, e di
obbligar la repubblica veneta ad impedire la calata e la dimora delle
soldatesche alemanne ne' suoi stati. E perciocchè la saviezza veneta,
risoluta di conservare la già presa neutralità, rispose con non minore
coraggio, e vieppiù rinforzò i presidii delle sue piazze, allora il
gran priore per forza entrò in Montechiaro, Calcinato, Carpanedolo,
Desenzano, Sermione ed altri luoghi, e non si guardò di far altre
insolenze e danni a quelle venete contrade, finchè arrivò il verno che
mise freno alle operazioni militari.
Quanto al Piemonte, avea bene il duca _Vittorio Amedeo_, con varie leve
fatte nei suoi Stati e negli Svizzeri, accresciuto di molto l'esercito
suo, ma per la gran copia di Franzesi, venuta per mare al _duca di
Vandomo_, si trovò sempre di troppo inferiore alle forze nemiche.
Sul principio di maggio contò esso Vandomo circa trentasei mila
combattenti nell'oste sua, e però, con isprezzo degli alleati postati
a Trino, passò in faccia di essi il Po, e gli obbligò a ritirarsi con
qualche loro perdita. Poi imprese l'assedio di Vercelli, città che,
quantunque presidiata da sei mila persone, non fece che una misera
difesa; ed ostinatosi il Vandomo a voler prigioniera di guerra quella
guernigione a fine di sempre più tagliar le penne al duca di Savoia,
trovò comandanti ed uffiziali che condiscesero a cedergli la piazza con
sì dura condizione. Ordine emanò ben tosto di spogliar quella città di
ogni fortificazione nel dì 21 di luglio. Calato intanto anche il _duca
della Fogliada_ dal Delfinato con dieci mila combattenti, dopo essersi
impossessato della città di Susa, mise l'assedio a quel castello;
espugnò la Brunetta e il forte di Catinat; e nel dì 12 di luglio
costrinse il presidio del suddetto castello di Susa a rendersi con
patti molto onorevoli. Obbligò dipoi colla forza i Barbetti abitanti
nelle quattro valli ad accettare la neutralità. Andò quindi ad unirsi
sotto la città d'Ivrea col Vandomo, il quale sedici giorni impiegò a
sottomettere quella città. Ritiratosi il comandante nella cittadella,
poscia, nel dì 29 di settembre, dovette cedere, con restar prigioniere
egli e tutti i suoi. Vi restava in quelle parti la città d'Aosta
renitente alla fortuna; ma nè pur essa potè esimersi dall'ubbidire ai
Franzesi insieme col forte di Bard: con che restò precluso al duca
di Savoia il passo per ricevere soccorsi dalla parte della Germania
e degli Svizzeri. E pure qui non finirono le imprese dell'infaticabil
_duca di Vandomo_. Si avvisò egli, al dispetto della contraria stagione
che si appressava, d'imprendere l'assedio di Verrua, fortezza non solo
pel sito, perchè posta sul Po sopra un dirupato sasso ma eziandio per
le fortificazioni aggiunte, creduta quasi inespugnabile; e tanto più
perchè il duca di Savoia unito al maresciallo di Staremberg colla sua
armata stava postato di là dal Po a Crescentino nella riva opposta
del fiume, e mercè di tre ponti manteneva la comunicazione con Verrua.
Oltre a ciò, davanti a Verrua si trovava il posto di Guerbignano ben
trincerato e difeso da cinque mila fra Tedeschi e Piemontesi. Non si
atterrì per tutte queste difficoltà il Vandomo, e alla metà di ottobre
andò a piantare il campo contro di Guerbignano. Intanto perchè sì
fattamente calarono le acque del Po, che si poteano guadare, finse, o
pure determinò egli di voler passare col meglio delle sue genti, ed
assalire il campo di Crescentino. Ne fu avvisato a tempo il duca di
Savoia, che perciò richiamò la maggior parte della gente posta alla
difesa di Guerbignano. Tra la partenza di queste truppe e il fuoco
di molte mine che fecero saltare i trincieramenti di quel posto,
il Vandomo se ne impadronì, e dipoi si diede agli approcci e alle
batterie contro Verrua, continuando pertinacemente l'assedio pel resto
dell'anno; assedio memorabile non men per le incredibili offese degli
uni, che per l'insigne difesa e bravura degli altri.
Era mancata di vita nell'anno precedente _Anna Isabella_ duchessa
di Mantova, moglie di _Ferdinando Carlo Gonzaga_ duca regnante:
principessa che per la somma sua pietà, carità e pazienza meritò
vivendo e morta gli encomii d'ognuno. Volle in quest'anno esso duca
portarsi alla corte di Parigi, dove non gli mancarono onori e carezze
quante ne volle. Ottenne anche il titolo di generalissimo delle
armate in Italia di sua maestà Cristianissima. O il suo desiderio
di lasciar dopo di sè qualche posterità legittima, giacchè di questa
era privo, o le premure dei suoi domestici, e fors'anche della corte
stessa di Francia, lo invaghirono di passare alle seconde nozze. Si
fermarono i suoi voti sopra _Susanna Enrichetta di Lorena_, figlia di
_Carlo duca di Elboeuf_, principessa dotata al pari di beltà che di
saviezza. Tornato poi in Italia, arrivò nel dì 28 d'ottobre al campo
del duca di Vandomo, ricevuto ivi con sommo onore qual generalissimo,
e applaudito dal rimbombo di tutte le artiglierie. Condotta la novella
sua sposa per mare da quattro galee di Francia, corse gran rischio,
perchè malamente salutata da più cannonate di due armatori inglesi
presso Genova. Si celebrò poscia il suo maritaggio in Toscana nel dì
8 di novembre coll'assistenza del principe e principessa di Vaudemont
suoi parenti. Ma il duca, che avea logorata la sua sanità nei passati
disordini, nè pur trasse prole da questa degna principessa. Ora
mentre l'Italia mirava in ben cattiva situazione l'armi cesaree e
savoiarde, con prevalere cotanto le franzesi, cominciò la fortuna a
mutar volto in Germania. Avea l'_elettor di Baviera_ slargate molto
l'ali, con essersi impadronito anche di Ratisbona, Augusta, Passavia
ed altri luoghi, e minacciava conquiste maggiori: quando con segreta
risoluzione fu spedito da _Anna regina d'Inghilterra_ il suo generale
_milord Marlboroug_ con isforzate marcie ad unir le sue forze colle
cesaree, comandate dal _principe Eugenio_ in Germania. Non mancò il re
Cristianissimo d'inviare anch'egli in aiuto del Bavaro il _maresciallo
di Tallard_ con ventidue mila combattenti. Occuparono i due prodi
generali anglocesarei la città di Donavert con un combattimento, in
cui grande fu il macello dei vinti, e forse non minore quello dei
vincitori.
Erano le due armate nemiche forti ciascuna di quasi sessanta mila
persone, e nel dì 13 d'agosto in vicinanza di Hogstedt vennero alle
mani. Da gran tempo non era seguita una sì terribil battaglia; dall'una
parte e dall'altra si combattè con estremo valore e furore; ma in
fine si dichiarò la vittoria in favore degl'imperiali ed Inglesi.
Secondo le relazioni tedesche d'allora, dieci mila Gallo-Bavari
vi perderono la vita, sei mila se ne andarono feriti, e dodici o
quattordici mila rimasero prigioni, la maggior parte colti separati
dall'armata e stretti dal Danubio, che furono forzati a posar le armi.
Fra essi prigionieri si contò il _maresciallo di Tallard_. Il _duca
di Baviera_ e il _maresciallo di Marsin_, colla gente che poterono
salvare, frettolosamente marciarono alla volta della Selva Nera e della
Francia. Anche l'esercito vittorioso lasciò sul campo circa cinque
mila estinti, e a più di sette mila ascese il numero de' feriti. Le
conseguenze di sì gran vittoria furono la liberazion d'Augusta, Ulma
ed altre città della Germania, e l'acquisto di nuovo di quella di
Landau in Alsazia. La Baviera, che dianzi facea tremar Vienna stessa,
venne in potere di Cesare con patti onorevoli per la _elettrice_, che
si ritirò poi a Venezia, essendo passato l'_elettore_ consorte al suo
governo di Fiandra. Al primo avviso di quella sanguinosa battaglia
portato in Italia, si adirarono forte i Franzesi, con chi riferiva
essersi rendute prigioniere tante migliaia de' lor nazionali senza fare
difesa. Si accertarono poi della verità con loro grande rammarico.
Ed ecco la prima amara lezione che riportò delle sue vaste idee il
re Cristianissimo _Luigi XIV_. Fu ancora gran guerra in Portogallo,
dove era giunto il re _Carlo III_ con rinforzi di milizie inglesi ed
olandesi. Andò in campagna lo stesso re _Filippo V_; riportò di molti
vantaggi sopra de' Portoghesi, e se ne tornò glorioso a Madrid; se
non che le sue allegrezze restarono amareggiate dall'avere gl'Inglesi
occupata la città di Gibilterra, posto di somma importanza nello
stretto, ma posto mal custodito dagli Spagnuoli in sì pericolosa
congiuntura. Tentarono essi di ricuperarlo con un vigoroso assedio, che
durò sino all'anno seguente, ma senza poterne snidare di colà i nemici,
che anche oggidì ne conservano il dominio. Seguì parimente una fiera
battaglia circa il fine d'agosto verso Malega fra le flotte franzese ed
anglolanda. Sì gli uni che gli altri solennizzarono dipoi col _Te Deum_
la vittoria, che ognun si attribuì, e niuno veramente riportò. Nel dì
23 di febbraio di quest'anno mancò di vita in Roma il _cardinale Enrico
Noris_ Veronese, ben degno che di lui si faccia menzione in queste
memorie. Militò egli nell'ordine dei frati agostiniani, fu pubblico
lettore in Pisa, e custode della biblioteca Vaticana; poi promosso alla
sacra porpora nel 1695; personaggio che pel sodo ingegno, raro giudizio
e profonda erudizione non ebbe pari in Italia ai tempi suoi, come ne
fanno e faran sempre fede le opere da lui date alla luce.
Anno di CRISTO MDCCV. Indizione XIII.
CLEMENTE XI papa 6.
GIUSEPPE imperadore 1.
Fu questo l'ultimo anno della vita di _Leopoldo Austriaco_ imperadore,
morto nel dì 5 di maggio: monarca, ne' cui elogii si stancarono
giustamente le penne di molti storici. La pietà, retaggio singolare
dell'augusta casa d'Austria, in lui principalmente si vide risplendere,
e del pari la clemenza, la affabilità e la liberalità massimamente
verso dei poveri. Mai non si vide in lui alterigia nelle prospere
cose, non mai abbattimento di spirito nelle avverse. Parea che nelle
disavventure non gli mancasse mai qualche miracolo in saccoccia per
risorgere. Lasciò un gran desiderio di sè, e insieme due figli, l'uno
_Giuseppe_, re da molti anni de' Romani, e _Carlo III_ appellato re
di Spagna, il primo di temperamento focoso, e l'altro di una mirabil
saviezza. A lui succedette il primo con assumere, secondo il rito, il
titolo d'imperador de' Romani, ed accudire al pari, anzi più del padre
defunto, al proseguimento della guerra contro la real casa di Francia.
Pubblicò nel luglio di quest'anno il pontefice _Clemente XI_ una nuova
bolla contra de' giansenisti. Ma sotto il novello imperadore _Giuseppe_
crebbero le amarezze della corte pontificia, di maniera che il _conte
di Lemberg_ ambasciatore cesareo in Roma se ne partì, passando in
Toscana, e fu licenziato da Vienna _monsignore Davia_ Bolognese nunzio
di sua santità. Gran tempo era che il magnanimo pontefice pensava ad
accrescere un nuovo ornamento alla città di Roma coll'erezione della
colonna Antoniana; perciò diede l'ordine che fosse disotterrata. Nel dì
25 di settembre fu questo bel monumento solamente cavato dal terreno
per opera del cavalier Fontana; e gran somma d'oro costò sì nobile
impresa.
In Piemonte continuò ancora gran tempo la forte piazza di Verrua a
sostenersi contro le incessanti offese del campo franzese. Nel dì 26
di dicembre dell'anno precedente un gran guasto fu dato alle trincee
degli assedianti da quel presidio, rinforzato segretamente dal duca
di Savoia da due mila persone, giacchè egli manteneva tuttavia la
comunicazion colla fortezza mediante il ponte di Crescentino: ma
senza comparazione più furono i periti nel campo d'essi Franzesi a
cagion dei gravi patimenti di un assedio ostinatamente sostenuto in
mezzo ai rigori del verno, ancorchè non ommettesse il duca di Vandomo
diligenza alcuna per animarli con profusion di danaro e di alimenti.
Intanto innumerabili furono gli sforzi delle artiglierie, bombe e
fuochi artifiziali contro l'ostinata piazza per li mesi di gennaio e
febbraio. Frequenti erano ancora le mine e i fornelli sì dell'una che
dall'altra parte. Ma perciocchè si conobbe troppo difficile il vincere
questa pugna, finchè il duca Vittorio Amedeo potesse dall'opposta riva
del Po andare rinfrescando quella fortezza di nuovi combattenti, viveri
e munizioni; nel primo dì di marzo il Vandomo improvvisamente spinse
un grosso distaccamento ad occupar l'isola e forte del Po, a cui si
atteneva il ponte nemico; e così tagliò ogni comunicazione con Verrua.
Ritirossi allora il _duca di Savoia_ col _maresciallo di Staremberg_ a
Civasso, lasciando Crescentino in poter de' Franzesi. Si trovò in breve
il valoroso comandante di Verrua obbligato a cedere; ma prima di farlo,
co' fornelli preparati mandò in aria i recinti e bastioni, e poi si
rendè nel dì 10 di marzo a discrezione, rimproverato poscia e insieme
lodato dal Vandorno per sì lunga e gloriosa difesa. Presero dopo tale
acquisto le affaticate milizie franzesi riposo fino al principio di
giugno, ed allora, uscendo in campagna, si mossero con disegno di
assediare Civasso; e di aprirsi con ciò il campo fino a Torino, già
meditando offese contra di quella capitale. Stava accampato in quelle
vicinanze il duca di Savoia con lo Staremberg, e di là diede molte
percosse alle truppe franzesi, ma senza poter impedire l'assedio di
Civasso. Si sostenne questa picciola piazza sino al 29 di luglio, in
cui esso duca alla sordina fece di notte evacuarla, per quanto potè,
di artiglierie e munizioni, e la lasciò in potere del _duca della
Fogliada_, comandante allora di quell'armata franzese, giacchè il _duca
di Vandomo_ avea dovuto accorrere al basso Po contro l'armata cesarea,
siccome diremo.
Di grandi ed incredibili preparamenti fece dipoi esso Fogliada,
passato sino alla Veneria, per mettere l'assedio a Torino; ma perchè
sopraggiunsero ordini dal re Cristianissimo di differire sì grande
impresa all'anno seguente, portò egli la guerra altrove. Avea questo
general franzese molto prima, cioè nel dì 10 di marzo, obbligata a
rendersi la picciola città di Villafranca sulle rive del Mediterraneo.
Lasciato poscia un blocco intorno a quella cittadella, che poi si
arrendè nel dì primo di aprile, andò ad aprir la trincea sotto la
città di Nizza. Se ne impadronirono i Franzesi, ma non vedendo maniera
di forzare quel castello, l'abbandonarono di poi con rovinare le
fortificazioni. Da che queste furono alquanto ristorate dal marchese
di Caraglio governatore, sul principio di novembre comparve colà di
nuovo con forze maggiori il _duca di Berwich_, ed entratovi nel dì 14
di esso mese, si accinse poi a far giocare le batterie contra di quel
castello, il quale non meno pel sito che per le fortificazioni atto era
a far buona resistenza. Aveano, per non so qual ordine male inteso, i
Franzesi ritirata la lor guarnigione da Asti verso la metà d'ottobre.
Vi accorse tosto il maresciallo di Staremberg, e piantò quivi il suo
quartiere. Tanto ardire non piacendo al duca della Fogliada, andò ad
accamparsi in quei contorni; con poca fortuna nondimeno, perchè usciti
gli Alemanni con tal bravura li percossero, che vi restò ucciso il
general franzese _conte d'Imercourt_ con alquante centinaia de' suoi;
laonde fu giudicato miglior consiglio il ritirarsi. Verso la metà
di dicembre la fortezza di Monmegliano in Savoia, vinta non dalla
forza ma da un ostinato blocco d'un anno e mezzo, si trovò in fine
obbligata a capitolare con condizioni onorevoli. Per ordine poi del
re Cristianissimo ne furono smantellate tutte le fortificazioni. Così
andavano moltiplicando le perdite e sciagure addosso al duca di Savoia,
il quale non avea cessato di tempestare la corte di Vienna e le potenze
marittime per ottenere gagliardi soccorsi.
Con occhio certamente di compatimento miravano gli alleati l'infelice
positura di questo sì fedele sovrano; e però fu presa la risoluzione
di rispedire in Italia con forze nuove il _principe Eugenio_, in
cui concorrendo un raro valore e saper militare, e di più la stretta
attinenza di sangue colla real casa di Savoia, si potea perciò da lui
promettere ogni maggiore studio per la causa comune. Ma non gli furono
consegnate forze tali, che potessero per conto alcuno competere colle
franzesi. Ne presentì la venuta il _duca di Vandomo_; e per assicurarsi
che egli non pensasse alla da tanto tempo bloccata Mirandola, ordinò
che il _signor di Lapurà_ tenente generale degli ingegneri alla metà
d'aprile passasse ad aprir la trincea sotto quella fortezza. Benchè
si trovasse fornito di tenue presidio il _conte di Koningsegg_ ivi
comandante cesareo, pur fece una bella difesa sino al dì 10 di maggio,
in cui si arrendè co' suoi prigioniere di guerra. Arrivò in questo
mentre in Italia il prode principe Eugenio; e da che ebbe raunato un
sufficiente corpo d'armata, costeggiando il lago di Garda, giunse a
Salò. Quivi fu egli indarno trattenuto dalla opposta nemica armata,
perchè seppe aprirsi il passo al piano della Lombardia, e far poi molti
prigioni dei nemici. A Cassano sul fiume Adda si trovarono poscia a
fronte le due nemiche armate nel dì 16 di agosto, e vennero a giornata
campale. Erano maestri di guerra i due generali, piene di valoroso
ardire le truppe di amendue, e però ciascuna delle parti menò ben le
mani, ma con lasciare indecisa la vittoria, avendo la notte posto fine
agli sdegni. Si studiò poi ciascuna delle parti, secondo il privilegio
dei guerrieri, di fare ascendere a più migliaia la mortalità de'
nemici, e tanto meno la propria, di modo che si intesero da lì a poco
intonati due contrarii _Te Deum_. Forse maggiore fu la perdita dei
Franzesi, ma certo compensata dell'avere i Tedeschi compianta la morte
di più loro generali, oltre a quella del _principe Giuseppe di Lorena_.
Perchè l'uno e l'altro esercito restò infievolito da sì copioso
salasso, pensò di poi più al riposo che ad ulteriori militari fatiche,
ed altra impresa non succedette pel resto dell'anno in quelle parti.
Anche nell'alto Reno, alla Mosella e al Brabante non mancarono azioni
militari e sanguinose, e fra queste specialmente rimbombò l'avere il
_milord Marlboroug_ forzate, nel dì 19 di luglio, le linee franzesi
del Brabante, con far prigioni circa mille e cinquecento Gallispani,
fra i quali due generali, e con prendere alquanti cannoni, bandiere,
stendardi e qualche parte del bagaglio. Lo strepito nondimeno maggiore
della guerra fu in Ispagna. Qualche picciolo acquisto fecero i
Portoghesi, assistiti dagli Anglolandi. Assediarono anche Badaios; ma
entrato colà un buon soccorso di Spagna, meglio si stimò di lasciare
in pace quella città. All'incontro la potentissima flotta combinata
degl'Inglesi ed Olandesi con gente da sbarco, e collo stesso re _Carlo
III_ in persona si presentò davanti Barcellona. Al nome austriaco in
gran copia concorsero colà i Catalani armati: dal che rinvigoriti gli
Anglolandi formarono, l'assedio di quella città, e ne furono direttori
il _principe di Darmstadt_ e il _milord Peterboroug_. Dopo essersi gli
assedianti impadroniti de' forti del Mongiovì, nella quale impresa quel
valoroso principe lasciò la vita, strinsero maggiormente la città, e
finalmente indussero, sul _principio d'ottobre, il_ vicerè Velasco a
capitolare, con accordargli tutti gli onori militari. Ma andò per terra
la capitolazione, perchè prima di effettuarla si mosse a sedizione il
popolo di Barcellona, e v'entrarono gli Austriaci, accolti con festosi
ed incessanti viva. L'acquisto della capitale fu in breve seguitato da
Lerida, Tarragona, Tortosa, Girona ed altri luoghi della Catalogna.
Tumultuarono parimente i popoli del regno di Valenza, e questa città
con Denia, Gandia ed altre terre alzò le bandiere del re Carlo III. Per
quanti sforzi facessero nell'anno presente gli Spagnuoli per ricuperare
Gibilterra con un pertinace assedio, non furono assistiti dalla
fortuna, perchè padroni del mare gli Anglolandi, colà introdussero
di mano in mano quante forze occorrevano per la difesa. Nel novembre
dell'anno presente avvenne una memorabil rotta del Po sul Mantovano
di qua, che rotti gli argini della Secchia e del Panaro, e seco
unite quelle acque, recò incredibili danni a tutta quella parte del
Mantovano, al Mirandolese, a parte del Modenese, e ad un gran tratto
del Ferrarese sino al mare Adriatico. Arrivarono le acque sino alle
mura di Ferrara, atterrarono un'infinità di case e fenili rurali, colla
morte di gran copia di bestie e di non poche persone.
Anno di CRISTO MDCCVI. Indizione XIV.
CLEMENTE XI papa 7.
GIUSEPPE imperadore 2.
Se mai fu anno alcuno in Italia, anzi in Europa, fecondo di avvenimenti
militari e di strane metamorfosi, certamente è da dire il presente.
Fra i gran pensieri che agitavano la corte di Francia per sostenere la
monarchia spagnuola lacerata o minacciata in tante parti dalle armi
collegate, uno dei principali si scoprì essere quello di ultimar la
distruzione di _Vittorio Amedeo_ duca di Savoia, principe che colle
sue ardite risoluzioni avea fin qui obbligato il re Cristianissimo
_Luigi XIV_ a mantenere in Italia una guerra che gli costava non
pochi milioni ogni anno. Oppresso questo coraggioso principe, si
credea facile il mettere le sbarre ad ulteriori tentativi della
Germania contra lo Stato di Milano. Già avea per cinquantacinque
giorni il _marchese di Caraglio_ sostenuto il castello di Nizza,
benchè flagellato continuamente da cannoni e mortari del _duca di
Berwich_, quando si vide ridotto all'estremo, e ridotto a capitolarne
la resa con tutti gli onori militari nel dì 4 di gennaio. Fu poscia
condannato quel castello a vedere uguagliate al suolo tutte le sue
fortificazioni. Tanti preparamenti andava in questo mentre facendo
il _duca della Fogliada_, che poco ci voleva a comprendere tendenti
le sue mire all'assedio di Torino. Perciò il saggio duca attese a ben
premunire quella capitale e cittadella di quanto potea occorrere in sì
fiero emergente; e da che vide cominciare le offese, con passaporti
del nemico general franzese spedì a Genova la real sua famiglia, ed
anch'egli si mise poi alla larga per maggior sicurezza, riducendosi
a Cuneo e ad altri luoghi fin qui preservati dalle nemiche violenze.
Ora non sì tosto ebbe il suddetto Fogliada ricevuta nuova gente da
Francia con promessa ancora di maggiori rinforzi, che passata la metà
di maggio accostatosi a Torino, diede principio alla circonvallazione
intorno a quella cittadella, dove il prode _conte Daun_, lasciato dal
duca per governator di Torino insieme col marchese di Caraglio, avea
messo un forte presidio de' suoi Tedeschi. Venuto poscia il giugno,
aprì la trincea sotto quella fortezza, contando dopo l'acquisto di
essa presa anche la città, benchè nè pure ommettesse le offese contro
la città medesima. Orrendo spettacolo era il gran fuoco dì circa
ducento tra cannoni e mortari continuamente impiegati dai Franzesi a
gittar palle, bombe e sassi contro di essa città, e più contro della
cittadella; e un pari trattamento lor faceano i tanti bronzi e fuochi
degli assediati. Nello stesso tempo non lasciò il Fogliada di marciare
con alcune migliaia di fanti e cavalli per voglia di cogliere, se
gli veniva fatto, lo stesso duca di Savoia. Ma egli vigilante, ora
scorrendo in un luogo ed ora in un altro, seppe sempre schermirsi
dai nemici, e dar loro anche qualche percossa, finchè si ritirò nella
valle di Lucerna, dove trovò assai fedeli e arditi alla sua difesa que'
Barbetti. L'essersi perduti in questa diversione i Franzesi, cagion fu
che non progredisse l'assedio di Torino con quel vigore che richiedeva
la positura dei loro affari.
Tornato nella primavera il _principe Eugenio_ sul Trentino, quivi
attese a far massa dei rinforzi a lui promessi, che, secondo il solito
dei Tedeschi, con poca fretta andavano calando dalla Germania. Più
sollecito il _duca di Vandomo_, dappoichè fu ritornato anch'egli da
Parigi, passata la metà di aprile, uscì in campagna con venticinque
mila combattenti (altri han detto molto meno) a motivo di cacciar dal
piano della Lombardia quelle brigate alemanne che vi erano restate,
e di ristringere le loro speranze fra le montagne delle Alpi. Ben
lo previde il principe Eugenio, e per non perdere l'adito in Italia,
ordinò al _generale Reventlau_ di postarsi fra Calcinato e Lonato con
dodici mila tra fanti e cavalli alla Fossa Seriola, che gli avrebbe
servito di antemurale. Furono malamente eseguiti gli ordini suoi,
avendo quel generale trascurato di ben fortificarsi dalla parte di
Lonato. Ora ecco, nel dì 19 d'aprile, sopraggiugnere il Vandomo dalla
parte di Montechiaro, e poi di Calcinato il quale si spinse contro
l'accampamento nemico. Aspro fu il conflitto, ma in fine i meno
cedettero ai più, e gli Alemanni in rotta si ritirarono il meglio che
poterono a Gavardo. Esaltarono i Franzesi questa vittoria, pretendendo
che restassero prigionieri circa tre mila imperiali, ed altrettanti
freddi sul campo; laddove gli altri contavano solamente ottocento gli
estinti, e circa mille e cinquecento i prigioni e feriti. Certo è che
i Franzesi acquistarono alquanti pezzi di cannone, molte baudiere e
stendardi, e fecero bottino del bagaglio e delle provvisioni. Dopo
questa percossa il principe Eugenio, vedendo chiusi i passi del
Bresciano, andò a poco a poco ritirando dalle rive del lago di Garda le
sue truppe, e a suo tempo improvvisamente sboccò di nuovo sul Veronese.
Gravissimi danni avea patito nel precedente anno la repubblica veneta
sul Bresciano, calpestato dalle due nemiche armate; maggiori li provò
nel presente, perchè il Vandomo venne colle maggiori sue forze ad
accamparsi in vicinanza di Verona, e stese le sue genti lungo l'Adige,
per impedirne il passaggio agli imperiali. Con pretesto che dai
Veneziani si prestasse o potesse prestare aiuto alle truppe cesaree,
alzò dei fortini contro la città di Verona, non solamente minacciando
incessantemente Ostiglia nell'opposta riva. Il gran priore passò
dipoi ad assediar Serravalle. Ma perciocchè non men le sue truppe di
qua dal fiume suddetto e i Tedeschi dall'altra parte si stendevano
sul Ferrarese, diede ciò motivo al sommo pontefice di farne gravi
querele per mezzo del _cardinale Astalli_ legato di Ferrara, intimando
agli uni e agli altri di sloggiare, e nello stesso tempo minacciando
di unir le sue truppe colla parte ubbidiente per iscacciarne la
disubbidiente. Sì questi che quelli si mostrarono pronti ad evacuare
il Ferrarese, e in fatti si ritirarono i Franzesi dalla Stellata,
e gli Alemanni consegnarono Figheruolo agli uffiziali del papa,
con promesse di ritirarsi sul Veneziano. Mentre si allestivano a
partire, nella notte precedente la natività di san Giovanni Batista,
avendo i Franzesi raunata gran copia di barche, o trovate in Po,
o fatte venir dal Panaro, alcune migliaia di essi, imbarcati alle
Quadrelle, quetamente passarono di là dal fiume, ed ottenuto il passo
dalle guardie pontificie, diedero addosso agli Alemanni, i quali, in
vigore dell'accordo fatto se ne stavano assai spensierati e quieti.
Alquanti ne furono uccisi, gli altri colla fuga scamparono; restò il
loro bagaglio in man de' Franzesi. Fu cagion questo colpo ch'eglino
poscia abbandonassero Ostiglia, Serravalle e Ponte Molino, e che il
picciolo loro esercito, valicato l'Adige, andasse a mettersi in salvo
sul Trentino. Proruppe la corte di Vienna in escandescenze per questo
fatto, con pretendere di aver pruove chiare che fosse seguito di
concerto coi ministri del papa, perchè nello stesso tempo era andato
il _conte Paolucci_ generale pontificio ad abboccarsi col gran priore,
e per altre ragioni che non importa riferire. Commosso dalle amare
doglianze di Cesare, il pontefice spedì a Ferrara monsignor _Lorenzo
Corsini_, che fu poi cardinale e papa, acciocchè ne formasse un
processo. Nulla risultò da questo che i pontifizii avessero consentito
o contribuito alla cacciata de' Tedeschi; ma non perciò si potè
levar di capo alla corte cesarea che il papa, assicurato oramai della
fortuna favorevole ai Gallispani, avesse data mano ad essi per cacciare
lungi da' suoi Stati quel molesto pugno di gente. Da che si trovarono
rinforzati gli Alemanni da alquante milizie calate dal Tirolo, dopo
la metà di settembre calarono di nuovo nel Bresciano, fortificandosi
a Gavardo e Salò sul lago di Garda, e in altri luoghi. Poche son
le nazioni e i principi che nelle prosperità sappiano conservar la
moderazione. Cadde allora in pensiero ai Franzesi di parlar alto, e di
obbligar la repubblica veneta ad impedire la calata e la dimora delle
soldatesche alemanne ne' suoi stati. E perciocchè la saviezza veneta,
risoluta di conservare la già presa neutralità, rispose con non minore
coraggio, e vieppiù rinforzò i presidii delle sue piazze, allora il
gran priore per forza entrò in Montechiaro, Calcinato, Carpanedolo,
Desenzano, Sermione ed altri luoghi, e non si guardò di far altre
insolenze e danni a quelle venete contrade, finchè arrivò il verno che
mise freno alle operazioni militari.
Quanto al Piemonte, avea bene il duca _Vittorio Amedeo_, con varie leve
fatte nei suoi Stati e negli Svizzeri, accresciuto di molto l'esercito
suo, ma per la gran copia di Franzesi, venuta per mare al _duca di
Vandomo_, si trovò sempre di troppo inferiore alle forze nemiche.
Sul principio di maggio contò esso Vandomo circa trentasei mila
combattenti nell'oste sua, e però, con isprezzo degli alleati postati
a Trino, passò in faccia di essi il Po, e gli obbligò a ritirarsi con
qualche loro perdita. Poi imprese l'assedio di Vercelli, città che,
quantunque presidiata da sei mila persone, non fece che una misera
difesa; ed ostinatosi il Vandomo a voler prigioniera di guerra quella
guernigione a fine di sempre più tagliar le penne al duca di Savoia,
trovò comandanti ed uffiziali che condiscesero a cedergli la piazza con
sì dura condizione. Ordine emanò ben tosto di spogliar quella città di
ogni fortificazione nel dì 21 di luglio. Calato intanto anche il _duca
della Fogliada_ dal Delfinato con dieci mila combattenti, dopo essersi
impossessato della città di Susa, mise l'assedio a quel castello;
espugnò la Brunetta e il forte di Catinat; e nel dì 12 di luglio
costrinse il presidio del suddetto castello di Susa a rendersi con
patti molto onorevoli. Obbligò dipoi colla forza i Barbetti abitanti
nelle quattro valli ad accettare la neutralità. Andò quindi ad unirsi
sotto la città d'Ivrea col Vandomo, il quale sedici giorni impiegò a
sottomettere quella città. Ritiratosi il comandante nella cittadella,
poscia, nel dì 29 di settembre, dovette cedere, con restar prigioniere
egli e tutti i suoi. Vi restava in quelle parti la città d'Aosta
renitente alla fortuna; ma nè pur essa potè esimersi dall'ubbidire ai
Franzesi insieme col forte di Bard: con che restò precluso al duca
di Savoia il passo per ricevere soccorsi dalla parte della Germania
e degli Svizzeri. E pure qui non finirono le imprese dell'infaticabil
_duca di Vandomo_. Si avvisò egli, al dispetto della contraria stagione
che si appressava, d'imprendere l'assedio di Verrua, fortezza non solo
pel sito, perchè posta sul Po sopra un dirupato sasso ma eziandio per
le fortificazioni aggiunte, creduta quasi inespugnabile; e tanto più
perchè il duca di Savoia unito al maresciallo di Staremberg colla sua
armata stava postato di là dal Po a Crescentino nella riva opposta
del fiume, e mercè di tre ponti manteneva la comunicazione con Verrua.
Oltre a ciò, davanti a Verrua si trovava il posto di Guerbignano ben
trincerato e difeso da cinque mila fra Tedeschi e Piemontesi. Non si
atterrì per tutte queste difficoltà il Vandomo, e alla metà di ottobre
andò a piantare il campo contro di Guerbignano. Intanto perchè sì
fattamente calarono le acque del Po, che si poteano guadare, finse, o
pure determinò egli di voler passare col meglio delle sue genti, ed
assalire il campo di Crescentino. Ne fu avvisato a tempo il duca di
Savoia, che perciò richiamò la maggior parte della gente posta alla
difesa di Guerbignano. Tra la partenza di queste truppe e il fuoco
di molte mine che fecero saltare i trincieramenti di quel posto,
il Vandomo se ne impadronì, e dipoi si diede agli approcci e alle
batterie contro Verrua, continuando pertinacemente l'assedio pel resto
dell'anno; assedio memorabile non men per le incredibili offese degli
uni, che per l'insigne difesa e bravura degli altri.
Era mancata di vita nell'anno precedente _Anna Isabella_ duchessa
di Mantova, moglie di _Ferdinando Carlo Gonzaga_ duca regnante:
principessa che per la somma sua pietà, carità e pazienza meritò
vivendo e morta gli encomii d'ognuno. Volle in quest'anno esso duca
portarsi alla corte di Parigi, dove non gli mancarono onori e carezze
quante ne volle. Ottenne anche il titolo di generalissimo delle
armate in Italia di sua maestà Cristianissima. O il suo desiderio
di lasciar dopo di sè qualche posterità legittima, giacchè di questa
era privo, o le premure dei suoi domestici, e fors'anche della corte
stessa di Francia, lo invaghirono di passare alle seconde nozze. Si
fermarono i suoi voti sopra _Susanna Enrichetta di Lorena_, figlia di
_Carlo duca di Elboeuf_, principessa dotata al pari di beltà che di
saviezza. Tornato poi in Italia, arrivò nel dì 28 d'ottobre al campo
del duca di Vandomo, ricevuto ivi con sommo onore qual generalissimo,
e applaudito dal rimbombo di tutte le artiglierie. Condotta la novella
sua sposa per mare da quattro galee di Francia, corse gran rischio,
perchè malamente salutata da più cannonate di due armatori inglesi
presso Genova. Si celebrò poscia il suo maritaggio in Toscana nel dì
8 di novembre coll'assistenza del principe e principessa di Vaudemont
suoi parenti. Ma il duca, che avea logorata la sua sanità nei passati
disordini, nè pur trasse prole da questa degna principessa. Ora
mentre l'Italia mirava in ben cattiva situazione l'armi cesaree e
savoiarde, con prevalere cotanto le franzesi, cominciò la fortuna a
mutar volto in Germania. Avea l'_elettor di Baviera_ slargate molto
l'ali, con essersi impadronito anche di Ratisbona, Augusta, Passavia
ed altri luoghi, e minacciava conquiste maggiori: quando con segreta
risoluzione fu spedito da _Anna regina d'Inghilterra_ il suo generale
_milord Marlboroug_ con isforzate marcie ad unir le sue forze colle
cesaree, comandate dal _principe Eugenio_ in Germania. Non mancò il re
Cristianissimo d'inviare anch'egli in aiuto del Bavaro il _maresciallo
di Tallard_ con ventidue mila combattenti. Occuparono i due prodi
generali anglocesarei la città di Donavert con un combattimento, in
cui grande fu il macello dei vinti, e forse non minore quello dei
vincitori.
Erano le due armate nemiche forti ciascuna di quasi sessanta mila
persone, e nel dì 13 d'agosto in vicinanza di Hogstedt vennero alle
mani. Da gran tempo non era seguita una sì terribil battaglia; dall'una
parte e dall'altra si combattè con estremo valore e furore; ma in
fine si dichiarò la vittoria in favore degl'imperiali ed Inglesi.
Secondo le relazioni tedesche d'allora, dieci mila Gallo-Bavari
vi perderono la vita, sei mila se ne andarono feriti, e dodici o
quattordici mila rimasero prigioni, la maggior parte colti separati
dall'armata e stretti dal Danubio, che furono forzati a posar le armi.
Fra essi prigionieri si contò il _maresciallo di Tallard_. Il _duca
di Baviera_ e il _maresciallo di Marsin_, colla gente che poterono
salvare, frettolosamente marciarono alla volta della Selva Nera e della
Francia. Anche l'esercito vittorioso lasciò sul campo circa cinque
mila estinti, e a più di sette mila ascese il numero de' feriti. Le
conseguenze di sì gran vittoria furono la liberazion d'Augusta, Ulma
ed altre città della Germania, e l'acquisto di nuovo di quella di
Landau in Alsazia. La Baviera, che dianzi facea tremar Vienna stessa,
venne in potere di Cesare con patti onorevoli per la _elettrice_, che
si ritirò poi a Venezia, essendo passato l'_elettore_ consorte al suo
governo di Fiandra. Al primo avviso di quella sanguinosa battaglia
portato in Italia, si adirarono forte i Franzesi, con chi riferiva
essersi rendute prigioniere tante migliaia de' lor nazionali senza fare
difesa. Si accertarono poi della verità con loro grande rammarico.
Ed ecco la prima amara lezione che riportò delle sue vaste idee il
re Cristianissimo _Luigi XIV_. Fu ancora gran guerra in Portogallo,
dove era giunto il re _Carlo III_ con rinforzi di milizie inglesi ed
olandesi. Andò in campagna lo stesso re _Filippo V_; riportò di molti
vantaggi sopra de' Portoghesi, e se ne tornò glorioso a Madrid; se
non che le sue allegrezze restarono amareggiate dall'avere gl'Inglesi
occupata la città di Gibilterra, posto di somma importanza nello
stretto, ma posto mal custodito dagli Spagnuoli in sì pericolosa
congiuntura. Tentarono essi di ricuperarlo con un vigoroso assedio, che
durò sino all'anno seguente, ma senza poterne snidare di colà i nemici,
che anche oggidì ne conservano il dominio. Seguì parimente una fiera
battaglia circa il fine d'agosto verso Malega fra le flotte franzese ed
anglolanda. Sì gli uni che gli altri solennizzarono dipoi col _Te Deum_
la vittoria, che ognun si attribuì, e niuno veramente riportò. Nel dì
23 di febbraio di quest'anno mancò di vita in Roma il _cardinale Enrico
Noris_ Veronese, ben degno che di lui si faccia menzione in queste
memorie. Militò egli nell'ordine dei frati agostiniani, fu pubblico
lettore in Pisa, e custode della biblioteca Vaticana; poi promosso alla
sacra porpora nel 1695; personaggio che pel sodo ingegno, raro giudizio
e profonda erudizione non ebbe pari in Italia ai tempi suoi, come ne
fanno e faran sempre fede le opere da lui date alla luce.
Anno di CRISTO MDCCV. Indizione XIII.
CLEMENTE XI papa 6.
GIUSEPPE imperadore 1.
Fu questo l'ultimo anno della vita di _Leopoldo Austriaco_ imperadore,
morto nel dì 5 di maggio: monarca, ne' cui elogii si stancarono
giustamente le penne di molti storici. La pietà, retaggio singolare
dell'augusta casa d'Austria, in lui principalmente si vide risplendere,
e del pari la clemenza, la affabilità e la liberalità massimamente
verso dei poveri. Mai non si vide in lui alterigia nelle prospere
cose, non mai abbattimento di spirito nelle avverse. Parea che nelle
disavventure non gli mancasse mai qualche miracolo in saccoccia per
risorgere. Lasciò un gran desiderio di sè, e insieme due figli, l'uno
_Giuseppe_, re da molti anni de' Romani, e _Carlo III_ appellato re
di Spagna, il primo di temperamento focoso, e l'altro di una mirabil
saviezza. A lui succedette il primo con assumere, secondo il rito, il
titolo d'imperador de' Romani, ed accudire al pari, anzi più del padre
defunto, al proseguimento della guerra contro la real casa di Francia.
Pubblicò nel luglio di quest'anno il pontefice _Clemente XI_ una nuova
bolla contra de' giansenisti. Ma sotto il novello imperadore _Giuseppe_
crebbero le amarezze della corte pontificia, di maniera che il _conte
di Lemberg_ ambasciatore cesareo in Roma se ne partì, passando in
Toscana, e fu licenziato da Vienna _monsignore Davia_ Bolognese nunzio
di sua santità. Gran tempo era che il magnanimo pontefice pensava ad
accrescere un nuovo ornamento alla città di Roma coll'erezione della
colonna Antoniana; perciò diede l'ordine che fosse disotterrata. Nel dì
25 di settembre fu questo bel monumento solamente cavato dal terreno
per opera del cavalier Fontana; e gran somma d'oro costò sì nobile
impresa.
In Piemonte continuò ancora gran tempo la forte piazza di Verrua a
sostenersi contro le incessanti offese del campo franzese. Nel dì 26
di dicembre dell'anno precedente un gran guasto fu dato alle trincee
degli assedianti da quel presidio, rinforzato segretamente dal duca
di Savoia da due mila persone, giacchè egli manteneva tuttavia la
comunicazion colla fortezza mediante il ponte di Crescentino: ma
senza comparazione più furono i periti nel campo d'essi Franzesi a
cagion dei gravi patimenti di un assedio ostinatamente sostenuto in
mezzo ai rigori del verno, ancorchè non ommettesse il duca di Vandomo
diligenza alcuna per animarli con profusion di danaro e di alimenti.
Intanto innumerabili furono gli sforzi delle artiglierie, bombe e
fuochi artifiziali contro l'ostinata piazza per li mesi di gennaio e
febbraio. Frequenti erano ancora le mine e i fornelli sì dell'una che
dall'altra parte. Ma perciocchè si conobbe troppo difficile il vincere
questa pugna, finchè il duca Vittorio Amedeo potesse dall'opposta riva
del Po andare rinfrescando quella fortezza di nuovi combattenti, viveri
e munizioni; nel primo dì di marzo il Vandomo improvvisamente spinse
un grosso distaccamento ad occupar l'isola e forte del Po, a cui si
atteneva il ponte nemico; e così tagliò ogni comunicazione con Verrua.
Ritirossi allora il _duca di Savoia_ col _maresciallo di Staremberg_ a
Civasso, lasciando Crescentino in poter de' Franzesi. Si trovò in breve
il valoroso comandante di Verrua obbligato a cedere; ma prima di farlo,
co' fornelli preparati mandò in aria i recinti e bastioni, e poi si
rendè nel dì 10 di marzo a discrezione, rimproverato poscia e insieme
lodato dal Vandorno per sì lunga e gloriosa difesa. Presero dopo tale
acquisto le affaticate milizie franzesi riposo fino al principio di
giugno, ed allora, uscendo in campagna, si mossero con disegno di
assediare Civasso; e di aprirsi con ciò il campo fino a Torino, già
meditando offese contra di quella capitale. Stava accampato in quelle
vicinanze il duca di Savoia con lo Staremberg, e di là diede molte
percosse alle truppe franzesi, ma senza poter impedire l'assedio di
Civasso. Si sostenne questa picciola piazza sino al 29 di luglio, in
cui esso duca alla sordina fece di notte evacuarla, per quanto potè,
di artiglierie e munizioni, e la lasciò in potere del _duca della
Fogliada_, comandante allora di quell'armata franzese, giacchè il _duca
di Vandomo_ avea dovuto accorrere al basso Po contro l'armata cesarea,
siccome diremo.
Di grandi ed incredibili preparamenti fece dipoi esso Fogliada,
passato sino alla Veneria, per mettere l'assedio a Torino; ma perchè
sopraggiunsero ordini dal re Cristianissimo di differire sì grande
impresa all'anno seguente, portò egli la guerra altrove. Avea questo
general franzese molto prima, cioè nel dì 10 di marzo, obbligata a
rendersi la picciola città di Villafranca sulle rive del Mediterraneo.
Lasciato poscia un blocco intorno a quella cittadella, che poi si
arrendè nel dì primo di aprile, andò ad aprir la trincea sotto la
città di Nizza. Se ne impadronirono i Franzesi, ma non vedendo maniera
di forzare quel castello, l'abbandonarono di poi con rovinare le
fortificazioni. Da che queste furono alquanto ristorate dal marchese
di Caraglio governatore, sul principio di novembre comparve colà di
nuovo con forze maggiori il _duca di Berwich_, ed entratovi nel dì 14
di esso mese, si accinse poi a far giocare le batterie contra di quel
castello, il quale non meno pel sito che per le fortificazioni atto era
a far buona resistenza. Aveano, per non so qual ordine male inteso, i
Franzesi ritirata la lor guarnigione da Asti verso la metà d'ottobre.
Vi accorse tosto il maresciallo di Staremberg, e piantò quivi il suo
quartiere. Tanto ardire non piacendo al duca della Fogliada, andò ad
accamparsi in quei contorni; con poca fortuna nondimeno, perchè usciti
gli Alemanni con tal bravura li percossero, che vi restò ucciso il
general franzese _conte d'Imercourt_ con alquante centinaia de' suoi;
laonde fu giudicato miglior consiglio il ritirarsi. Verso la metà
di dicembre la fortezza di Monmegliano in Savoia, vinta non dalla
forza ma da un ostinato blocco d'un anno e mezzo, si trovò in fine
obbligata a capitolare con condizioni onorevoli. Per ordine poi del
re Cristianissimo ne furono smantellate tutte le fortificazioni. Così
andavano moltiplicando le perdite e sciagure addosso al duca di Savoia,
il quale non avea cessato di tempestare la corte di Vienna e le potenze
marittime per ottenere gagliardi soccorsi.
Con occhio certamente di compatimento miravano gli alleati l'infelice
positura di questo sì fedele sovrano; e però fu presa la risoluzione
di rispedire in Italia con forze nuove il _principe Eugenio_, in
cui concorrendo un raro valore e saper militare, e di più la stretta
attinenza di sangue colla real casa di Savoia, si potea perciò da lui
promettere ogni maggiore studio per la causa comune. Ma non gli furono
consegnate forze tali, che potessero per conto alcuno competere colle
franzesi. Ne presentì la venuta il _duca di Vandomo_; e per assicurarsi
che egli non pensasse alla da tanto tempo bloccata Mirandola, ordinò
che il _signor di Lapurà_ tenente generale degli ingegneri alla metà
d'aprile passasse ad aprir la trincea sotto quella fortezza. Benchè
si trovasse fornito di tenue presidio il _conte di Koningsegg_ ivi
comandante cesareo, pur fece una bella difesa sino al dì 10 di maggio,
in cui si arrendè co' suoi prigioniere di guerra. Arrivò in questo
mentre in Italia il prode principe Eugenio; e da che ebbe raunato un
sufficiente corpo d'armata, costeggiando il lago di Garda, giunse a
Salò. Quivi fu egli indarno trattenuto dalla opposta nemica armata,
perchè seppe aprirsi il passo al piano della Lombardia, e far poi molti
prigioni dei nemici. A Cassano sul fiume Adda si trovarono poscia a
fronte le due nemiche armate nel dì 16 di agosto, e vennero a giornata
campale. Erano maestri di guerra i due generali, piene di valoroso
ardire le truppe di amendue, e però ciascuna delle parti menò ben le
mani, ma con lasciare indecisa la vittoria, avendo la notte posto fine
agli sdegni. Si studiò poi ciascuna delle parti, secondo il privilegio
dei guerrieri, di fare ascendere a più migliaia la mortalità de'
nemici, e tanto meno la propria, di modo che si intesero da lì a poco
intonati due contrarii _Te Deum_. Forse maggiore fu la perdita dei
Franzesi, ma certo compensata dell'avere i Tedeschi compianta la morte
di più loro generali, oltre a quella del _principe Giuseppe di Lorena_.
Perchè l'uno e l'altro esercito restò infievolito da sì copioso
salasso, pensò di poi più al riposo che ad ulteriori militari fatiche,
ed altra impresa non succedette pel resto dell'anno in quelle parti.
Anche nell'alto Reno, alla Mosella e al Brabante non mancarono azioni
militari e sanguinose, e fra queste specialmente rimbombò l'avere il
_milord Marlboroug_ forzate, nel dì 19 di luglio, le linee franzesi
del Brabante, con far prigioni circa mille e cinquecento Gallispani,
fra i quali due generali, e con prendere alquanti cannoni, bandiere,
stendardi e qualche parte del bagaglio. Lo strepito nondimeno maggiore
della guerra fu in Ispagna. Qualche picciolo acquisto fecero i
Portoghesi, assistiti dagli Anglolandi. Assediarono anche Badaios; ma
entrato colà un buon soccorso di Spagna, meglio si stimò di lasciare
in pace quella città. All'incontro la potentissima flotta combinata
degl'Inglesi ed Olandesi con gente da sbarco, e collo stesso re _Carlo
III_ in persona si presentò davanti Barcellona. Al nome austriaco in
gran copia concorsero colà i Catalani armati: dal che rinvigoriti gli
Anglolandi formarono, l'assedio di quella città, e ne furono direttori
il _principe di Darmstadt_ e il _milord Peterboroug_. Dopo essersi gli
assedianti impadroniti de' forti del Mongiovì, nella quale impresa quel
valoroso principe lasciò la vita, strinsero maggiormente la città, e
finalmente indussero, sul _principio d'ottobre, il_ vicerè Velasco a
capitolare, con accordargli tutti gli onori militari. Ma andò per terra
la capitolazione, perchè prima di effettuarla si mosse a sedizione il
popolo di Barcellona, e v'entrarono gli Austriaci, accolti con festosi
ed incessanti viva. L'acquisto della capitale fu in breve seguitato da
Lerida, Tarragona, Tortosa, Girona ed altri luoghi della Catalogna.
Tumultuarono parimente i popoli del regno di Valenza, e questa città
con Denia, Gandia ed altre terre alzò le bandiere del re Carlo III. Per
quanti sforzi facessero nell'anno presente gli Spagnuoli per ricuperare
Gibilterra con un pertinace assedio, non furono assistiti dalla
fortuna, perchè padroni del mare gli Anglolandi, colà introdussero
di mano in mano quante forze occorrevano per la difesa. Nel novembre
dell'anno presente avvenne una memorabil rotta del Po sul Mantovano
di qua, che rotti gli argini della Secchia e del Panaro, e seco
unite quelle acque, recò incredibili danni a tutta quella parte del
Mantovano, al Mirandolese, a parte del Modenese, e ad un gran tratto
del Ferrarese sino al mare Adriatico. Arrivarono le acque sino alle
mura di Ferrara, atterrarono un'infinità di case e fenili rurali, colla
morte di gran copia di bestie e di non poche persone.
Anno di CRISTO MDCCVI. Indizione XIV.
CLEMENTE XI papa 7.
GIUSEPPE imperadore 2.
Se mai fu anno alcuno in Italia, anzi in Europa, fecondo di avvenimenti
militari e di strane metamorfosi, certamente è da dire il presente.
Fra i gran pensieri che agitavano la corte di Francia per sostenere la
monarchia spagnuola lacerata o minacciata in tante parti dalle armi
collegate, uno dei principali si scoprì essere quello di ultimar la
distruzione di _Vittorio Amedeo_ duca di Savoia, principe che colle
sue ardite risoluzioni avea fin qui obbligato il re Cristianissimo
_Luigi XIV_ a mantenere in Italia una guerra che gli costava non
pochi milioni ogni anno. Oppresso questo coraggioso principe, si
credea facile il mettere le sbarre ad ulteriori tentativi della
Germania contra lo Stato di Milano. Già avea per cinquantacinque
giorni il _marchese di Caraglio_ sostenuto il castello di Nizza,
benchè flagellato continuamente da cannoni e mortari del _duca di
Berwich_, quando si vide ridotto all'estremo, e ridotto a capitolarne
la resa con tutti gli onori militari nel dì 4 di gennaio. Fu poscia
condannato quel castello a vedere uguagliate al suolo tutte le sue
fortificazioni. Tanti preparamenti andava in questo mentre facendo
il _duca della Fogliada_, che poco ci voleva a comprendere tendenti
le sue mire all'assedio di Torino. Perciò il saggio duca attese a ben
premunire quella capitale e cittadella di quanto potea occorrere in sì
fiero emergente; e da che vide cominciare le offese, con passaporti
del nemico general franzese spedì a Genova la real sua famiglia, ed
anch'egli si mise poi alla larga per maggior sicurezza, riducendosi
a Cuneo e ad altri luoghi fin qui preservati dalle nemiche violenze.
Ora non sì tosto ebbe il suddetto Fogliada ricevuta nuova gente da
Francia con promessa ancora di maggiori rinforzi, che passata la metà
di maggio accostatosi a Torino, diede principio alla circonvallazione
intorno a quella cittadella, dove il prode _conte Daun_, lasciato dal
duca per governator di Torino insieme col marchese di Caraglio, avea
messo un forte presidio de' suoi Tedeschi. Venuto poscia il giugno,
aprì la trincea sotto quella fortezza, contando dopo l'acquisto di
essa presa anche la città, benchè nè pure ommettesse le offese contro
la città medesima. Orrendo spettacolo era il gran fuoco dì circa
ducento tra cannoni e mortari continuamente impiegati dai Franzesi a
gittar palle, bombe e sassi contro di essa città, e più contro della
cittadella; e un pari trattamento lor faceano i tanti bronzi e fuochi
degli assediati. Nello stesso tempo non lasciò il Fogliada di marciare
con alcune migliaia di fanti e cavalli per voglia di cogliere, se
gli veniva fatto, lo stesso duca di Savoia. Ma egli vigilante, ora
scorrendo in un luogo ed ora in un altro, seppe sempre schermirsi
dai nemici, e dar loro anche qualche percossa, finchè si ritirò nella
valle di Lucerna, dove trovò assai fedeli e arditi alla sua difesa que'
Barbetti. L'essersi perduti in questa diversione i Franzesi, cagion fu
che non progredisse l'assedio di Torino con quel vigore che richiedeva
la positura dei loro affari.
Tornato nella primavera il _principe Eugenio_ sul Trentino, quivi
attese a far massa dei rinforzi a lui promessi, che, secondo il solito
dei Tedeschi, con poca fretta andavano calando dalla Germania. Più
sollecito il _duca di Vandomo_, dappoichè fu ritornato anch'egli da
Parigi, passata la metà di aprile, uscì in campagna con venticinque
mila combattenti (altri han detto molto meno) a motivo di cacciar dal
piano della Lombardia quelle brigate alemanne che vi erano restate,
e di ristringere le loro speranze fra le montagne delle Alpi. Ben
lo previde il principe Eugenio, e per non perdere l'adito in Italia,
ordinò al _generale Reventlau_ di postarsi fra Calcinato e Lonato con
dodici mila tra fanti e cavalli alla Fossa Seriola, che gli avrebbe
servito di antemurale. Furono malamente eseguiti gli ordini suoi,
avendo quel generale trascurato di ben fortificarsi dalla parte di
Lonato. Ora ecco, nel dì 19 d'aprile, sopraggiugnere il Vandomo dalla
parte di Montechiaro, e poi di Calcinato il quale si spinse contro
l'accampamento nemico. Aspro fu il conflitto, ma in fine i meno
cedettero ai più, e gli Alemanni in rotta si ritirarono il meglio che
poterono a Gavardo. Esaltarono i Franzesi questa vittoria, pretendendo
che restassero prigionieri circa tre mila imperiali, ed altrettanti
freddi sul campo; laddove gli altri contavano solamente ottocento gli
estinti, e circa mille e cinquecento i prigioni e feriti. Certo è che
i Franzesi acquistarono alquanti pezzi di cannone, molte baudiere e
stendardi, e fecero bottino del bagaglio e delle provvisioni. Dopo
questa percossa il principe Eugenio, vedendo chiusi i passi del
Bresciano, andò a poco a poco ritirando dalle rive del lago di Garda le
sue truppe, e a suo tempo improvvisamente sboccò di nuovo sul Veronese.
Gravissimi danni avea patito nel precedente anno la repubblica veneta
sul Bresciano, calpestato dalle due nemiche armate; maggiori li provò
nel presente, perchè il Vandomo venne colle maggiori sue forze ad
accamparsi in vicinanza di Verona, e stese le sue genti lungo l'Adige,
per impedirne il passaggio agli imperiali. Con pretesto che dai
Veneziani si prestasse o potesse prestare aiuto alle truppe cesaree,
alzò dei fortini contro la città di Verona, non solamente minacciando
- Parts
- Annali d'Italia, vol. 7 - 01
- Annali d'Italia, vol. 7 - 02
- Annali d'Italia, vol. 7 - 03
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