Annali d'Italia, vol. 7 - 12
di quella inazione fu l'avere il re Cattolico scritto da Napoli al
Vandomo, che portasse bensì a Mantova il soccorso, ma che non tentasse
altra maggiore impresa sino all'arrivo suo. Cioè riserbava questo
monarca a sè tutte le palme e gli allori che si aveano da raccogliere
dalla presente campagna. Nel dì 2 di giugno imbarcatosi il re _Filippo
V_, fece la sua partenza da Napoli, e nel passar da Livorno fu visitato
e superbamente regalato dal gran duca _Cosimo III de Medici_, dal gran
principe _Ferdinando_ e dalla gran principessa _Violante_ di _Baviera_
sua zia. Andò a sbarcare al Finale, e venuto ad Acqui nel Monferrato,
ebbe la visita di _Vittorio Amedeo_ suocero suo, e nel dì 18 con gran
pompa fece la sua entrata in Milano. In questo mentre il principe
Eugenio attese a fortificar Borgoforte, e a formare di qua e di là
dal Po un ben munito accampamento. E da che intese che il re Cattolico
marciava pel territorio di Parma alla volta del Reggiano col maggior
nerbo della sua armata, inviò il generale marchese _Annibale Visconti_
con tre reggimenti di corazze a postarsi a Santa Vittoria, sito
vantaggioso, perchè circondato da canali e dal fiume Crostolo. Se ne
stavano questi Alemanni con gran pace in quel luogo, con poca guardia,
senza spie, coi cavalli dissellati al pascolo, credendo che i Franzesi
tuttavia si deliziassero nel Parmigiano: quand'ecco nel dopo pranzo
del dì 26 di luglio si videro comparire addosso il _conte Francesco
Albergotti_ tenente generale dei Franzesi, o pure lo stesso _duca di
Vandomo_ con quattro mila cavalli e due mila fanti. La confusione loro
fu eccessiva; fecero essi quella difesa che poterono in tale improvvisa
e cattiva disposizione; ma in fine convenne loro voltar le spalle, e
lasciare alla balìa dei vincitori il bagaglio, quattordici stendardi,
due paia di timbali e cento cavalli. Trecento furono i morti,
altrettanti i prigioni, e il re Filippo sopraggiunto ebbe il piacere di
mirare il fine di quella mischia.
Non avendo più alcun ritegno i Franzesi, dieci mila d'essi nel dì 29
di luglio si presentarono sotto la città di Reggio, e non trovarono
gran difficoltà ad impadronirsene; avvenimento che fece intendere a
_Rinaldo d'Este_ duca di Modena qual animo covassero contra di lui i
re di Francia e di Spagna. Però nel giorno seguente con tutta la sua
corte s'inviò alla volta di Bologna, lasciando il popolo di Modena in
somma costernazione. Giunse nel primo dì d'agosto sotto questa città
il conte Albergotti con un grosso corpo di cavalleria e fanteria, che
dimandò la cittadella a nome del re Cattolico. La consulta lasciata
dal duca, con facoltà di operare ciò che credesse più a proposito
in sì scabrose congiunture, con assai onorevole capitolazione si
sottomise alla forza dell'armi. Lo stesso avvenne a Carpi, Correggio
e al rimanente degli Stati del duca, eccettuata la Garfagnana di là
dall'Apennino che ricusò di ubbidire. L'aspetto di questi progressi
dell'esercito franzese quel fu che in fine obbligò il principe Eugenio
a ritirar le sue truppe dal Serraglio di Mantova, e a lasciar libera
quella città, per accudire al di qua dal Po, dove alla testa sul
Correggiesco s'era accampato il re Cattolico colla sua grande armata,
che venne in questi tempi accresciuta da buona parte delle truppe,
colle quali il vecchio _principe di Vaudemont_ dianzi campeggiava in
difesa di Mantova. Essendosi presa la risoluzione dai Gallispani di
marciare alla volta di Borgoforte, per qui venire a giornata campale,
si mosse la loro armata nella notte precedente al dì 15 di agosto alla
sordina, e s'inviò alla volta di Luzzara, dove si trovò un comandante
tedesco che, all'intimazion della resa, non rispose se non col fuoco
de' fucili. Camminavano i Franzesi spensieratamente coll'immaginazione
in capo di trovare il principe Eugenio sepolto ne' trincieramenti
di Borgoforte; quando all'improvviso si accorsero che il coraggioso
principe, marciando per gli argini del Po, veniva a trovarli, e diede
infatti principio ad un fiero combattimento, sulle cui prime mosse
perdè la vita il generale cesareo _principe di Commercy_. Era già
suonata la ventun'ora, quando si diede fiato alle trombe, e si accese
il terribil conflitto. Durò questo fino alla notte con gran bravura,
con molta mortalità dell'una e dell'altra parte, e restò indecisa la
vittoria, benchè ognun dal suo canto facesse dipoi intonare solenni _Te
Deum_, ed amplificasse la perdita de' nemici, e sminuisse la propria:
il che fa ritener me dal riferire il numero dei morti e feriti. Quel
ch'è certo, a niun d'essi restò per allora il campo della battaglia,
e non lieve preda fecero i cesarei. Per altro in quella notte stettero
quiete in vicinanza le due armate, e credevasi che, fatto il giorno, si
azzufferebbono di nuovo, e che, o gli uni o gli altri volessero veder
la decisione delle loro contese. Attese il duca di Vandomo, essendo
alquanto rinculato, ad assicurare il suo campo dall'invasion del
nemico con buoni argini e trincieramenti, e con formare un ponte sul
Po per mantener la comunicazione col Cremonese. Gli era restata alle
spalle Guastalla, e ne fece l'assedio; e forzato, dopo nove giorni di
trincea aperta, il _general Solari_ a renderla nel dì 9 di settembre,
mise in possesso di quella città _Ferdinando Carlo Gonzaga_ duca
di Mantova. Cinse ancora di stretto blocco la fortezza di Brescello
del duca di Modena. In questi tempi furono veduti novecento cavalli
usseri e tedeschi, condotti dall'Eberzeni, Paolo Diak e marchese Davia
bolognese, passare pel Reggiano fin sul Pavese, esigendo contribuzioni
dappertutto. Entrarono poi fin dentro Milano, e vi gridarono: _Viva
l'imperadore_; e salvi poi pel Mantovano si ridussero al loro campo.
Stettero dipoi nei divisati postamenti l'una in faccia all'altra
l'armate nemiche, facendosi solamente guerra colle cannonate e con
qualche scaramuccia, finchè venne il verno, con grande onore del
principe Eugenio, il quale con tanta inferiorità di forze seppe sì
lungamente tenere a bada nemici cotanto poderosi. L'ultimo trofeo
che riportò in questa campagna il giovine re _Filippo V_, fu, siccome
dicemmo, la presa di Guastalla. Dopo di che pensò a ritornarsene in
Ispagna, chiamato colà dai bisogni ed istanze de' suoi regni. Fermossi
in Milano alcune settimane, da dove, nel dì 6 di novembre, si mosse
alla volta di Genova, ricevuto ivi con incredibile splendidezza da
quella nobiltà e popolo; e di là fece poi vela verso la Catalogna.
Accostandosi il verno, ricuperò l'armata delle due corone Borgoforte,
e prese i quartieri in Mantova, e la maggior parte in Modena, Reggio,
Carpi, Bomporto ed altri luoghi dello Stato di Modena. Il principe
Eugenio, dopo avere distribuiti i suoi nelle terre e ville del basso
Modenese contigue alla Mirandola, e nel Mantovano di qua dal Po, con
ritenere un ponte sul Po ad Ostiglia, s'inviò alla corte di Vienna, per
rappresentar lo stato delle cose e il bisogno di gagliardi soccorsi.
Dopo lo spaventoso tremuoto dell'anno 1688 si erano riparate le
rovine della città di Benevento; ma nell'aprile ancora di quest'anno
si rinnovò nella stessa un quasi pari disastro. Sollevatosi quivi
un temporale sì fiero, che sembrava voler diroccare la terra da'
fondamenti, cagion fu che gli abitanti scappassero fuori dell'abitato.
Succedette poscia un terribile scotimento, che rovesciò buona parte
della città bassa, e il palazzo dell'arcivescovo e la cattedrale.
Ducento cinquanta persone rimasero sfracellate sotto le rovine. Anche
le città d'Ariano, Grotta, Mirabella, Apice ed altre di que' contorni
ebbero di che piagnere, perchè quasi interamente distrutte. Altre non
men funeste scene di guerra si videro nell'anno presente in Germania,
Fiandra ed altri paesi bagnati dal Reno, giacchè l'imperadore e
le potenze marittime aprirono anch'esse il teatro della guerra in
quelle parti contro la Francia. Di grandi preparamenti avea fatto
l'Inghilterra per questo, quando venne a mancar di vita nel dì 19 di
marzo il loro re _Guglielmo_ principe di Oranges, e fu dipoi alzata
al trono la _principessa Anna_, figlia del già defunto cattolico re
della Gran Bretagna _Giacomo II_, e moglie di _Giorgio principe di
Danimarca_, la quale con più ardore ancora del suddetto re Guglielmo
incitò quella nazione ai danni della real casa di Borbone, ed inviò per
generale dell'armi britanniche nei Paesi Bassi milord _Giovanni Curchil
conte di Marlboroug_, col cui valore si mosse poi sempre collegata la
fortuna.
All'incontro la Francia trasse nel suo partito gli _elettori di Baviera
e Colonia fratelli_. Varii assedii furono fatti al basso Reno; risonò
spezialmente la fama per quello di Landau nell'Alsazia, eseguito con
gran sangue dall'armata cesarea comandata dallo stesso _re de' Romani
Giuseppe_. In esso tempo il Bavaro collegatosi co' Franzesi mosse
anch'egli le armi sue, con sorprendere la città d'Ulma, Meninga ed
altre di quei contorni, e con accendere un gran fuoco nelle viscere
della Germania, dove i circoli di Franconia, Svevia e Reno accrebbero
il numero dei collegati contro della Francia. Ma ciò che diede più
da discorrere ai novellisti in quest'anno, fu il terrore e danno
immenso recato alle Coste della Spagna dalla formidabile armata navale
degl'Inglesi ed Olandesi, guidata dall'ammiraglio _Rooc_ inglese,
dall'_Alemond_ olandese e da _Giacomo duca d'Ormond_ generale di
terra. Verso il fine d'agosto approdò questa a Cadice (antica Gades
dei Romani), emporio celebre e doviziosissimo della monarchia spagnuola
sull'Oceano. Superati alcuni di quei forti, v'entrarono gli Anglolandi,
e diedero un fiero sacco alla terra, asportandone qualche milione
di preda, ma con aspre doglianze di tutti i mercatanti stranieri, e
con accrescere negli Spagnuoli l'odio immenso verso le loro nazioni.
Capitarono in questo dall'America i galeoni di Spagna carichi d'oro,
d'argento e di varie merci, e scortati da quindici vascelli e da alcune
fregate franzesi. All'udire le disavventure di Cadice, si rifugiarono
questi ricchi legni nel porto di Vigo in Galizia. Colà accorsa anche
la flotta anglolanda, ruppe la catena del porto. Alquanti di que'
vascelli e galeoni rimasero incendiati; lo sterminato valsente parte fu
rifugiato in terra, parte venne in poter de' nemici; sette vascelli e
quattro galeoni salvati dalle fiamme mutarono padroni. Gran flagello,
gran perdita fu quella.
Anno di CRISTO MDCCIII. Indizione XI.
CLEMENTE XI papa 4.
LEOPOLDO imperadore 46.
Ebbe principio quest'anno con una inondazione del Tevere in Roma
stessa, a cui tenne dietro un fiero tremuoto, che alla metà di gennaio
con varie scosse per tre giorni si fece sentire in quell'augusta città,
riempendola di tal terrore, che tutto il popolo corse ad accomodar
le sue partite con Dio; molti si ridussero ad abitar sotto le tende;
e il pontefice _Clemente XI_ prescrisse varie divozioni per implorar
la divina misericordia. Per questo scotimento della terra la picciola
città di Norcia colle terre contigue si convertì in un mucchio di
pietre; e quella di Spoleti con varie terre del suo ducato patì
gravissimi danni. Grandi rovine si provarono in Rieti, in Chieti, Monte
Leone, ed altre terre e borghi dell'Abbruzzo. La città dell'Aquila vide
a terra gran parte delle sue fabbriche colla morte di molti. Cività
Ducale restò subissata con gli abitanti. Fu creduto che nei suddetti
luoghi perissero circa trenta mila persone; nè si può esprimere lo
scompiglio e spavento che fu in Roma e per tante altre città in tal
congiuntura, perchè sino all'aprile, maggio e giugno altre scosse di
terra si fecero sentire; ed ognun sempre stava in allarmi, temendo
di peggio. Non mancavano intanto altre fastidiose cure al santo padre
in mezzo alle pretensioni delle potenze guerreggianti; nè si esigeva
meno che la sua singolar destrezza per navigare in mezzo agli scogli,
e sostenere la determinata sua neutralità. Contuttociò il partito
austriaco lo spacciava per aderente al Gallispano, e spezialmente fece
di gran querele, perchè avendo l'Augusto _Leopoldo_ padre e _Giuseppe_
re de' Romani figliuolo, nel dì 12 di settembre dell'anno presente,
ceduto all'_arciduca Carlo_ ogni lor diritto sopra la monarchia della
Spagna, con che egli assunse insieme col titolo di re di Spagna il nome
di _Carlo III_, dal pontefice fu proibito che il ritratto di questo
nuovo re pubblicamente si esponesse nella chiesa nazional de' Tedeschi
in Roma.
Erano restate in una gran decadenza le armi cesaree in Lombardia,
perchè alle diserzioni e malattie, pensioni ordinarie dell'armate,
non si suppliva dalla corte di Vienna con reclute e nuovi soccorsi,
trovandosi Cesare troppo angustiato per li continui progressi di
_Massimiliano elettor di Baviera_, le cui forze alimentate finora
dall'oro franzese, e poscia accresciute da un esercito d'essa nazione,
condotto dal _maresciallo di Villars_, faceano già tremar l'Austria e
Vienna stessa. Contuttociò il _conte Guido di Staremberg_, generale di
molto senno nel mestier della guerra, lasciato a questo comando dal
principe Eugenio, tanto seppe fortificarsi alle rive del Po e della
Secchia, che potè sempre rendere vani i tentativi della superiorità
dell'esercito franzese. Intanto la fortezza di Brescello sul Po,
che per undici mesi avea sostenuto il blocco formato dalle truppe
spagnuole, si vide forzata a capitolar la resa. Cercò quel comandante
imperiale che questa piazza fosse restituita al duca di Modena, ma non
fu esaudito. Vi trovarono i Franzesi un gran treno di artiglieria,
di bombe, granate, polve da fuoco, e di altri militari attrezzi;
la guernigione restò prigioniera di guerra. Tanto poi si adoperò
_Francesco Farnese_ duca di Parma, benchè nipote del duca di Modena
Rinaldo d'Este, che nell'anno seguente impetrò dalla Francia e Spagna
che si demolissero tutte le fortificazioni di quella piazza, con dolore
inestimabile di esso duca di Modena, il quale dimorante in Bologna
si trovava perseguitato dalle disgrazie, e conculcato fin dai proprii
parenti. Seppe il valoroso conte di Staremberg difendere Ostiglia dagli
attentati de' Franzesi; e nel dì 12 di giugno essendo giunto il general
franzese _Albergotti_ a Quarantola sul Mirandolese, ebbe una mala
rotta da' Tedeschi, e gli convenne abbandonare il finale di Modena. Ciò
non ostante, crebbero vieppiù da lì innanzi le angustie dell'esercito
alemanno in Italia, perchè l'elettor bavaro cresciuto cotanto di forze
entrò nel Tirolo, e giunse ad impossessarsi della capitale d'Inspruch.
L'avrebbe bene accomodato il possesso e dominio di quella provincia
confinante ai suoi Stati; ma si aggiugnevano due altre mire, l'una
di togliere ai Tedeschi quella strada per cui solevano spignere in
Italia i soccorsi di milizie, e l'altra di aprirsi un libero commercio
coll'esercito franzese, esistente in Italia, affin di riceverne più
facilmente gli occorrenti sussidii.
Mossesi infatti il duca di Vandomo nel mese d'agosto dalla Lombardia
con parte del suo esercito alla volta del Trentino, sperando di toccar
la mano ai Bavaresi, che avevano da venirgli incontro. Marciarono
i Franzesi per Monte Baldo e per le rive del lago di Garda, e
cominciarono ad aggrapparsi per quelle montagne, con impadronirsi
delle castella di Torbole, Nago, Bretonico e d'altre, che non fecero
difesa, a riserva del castello d'Arco, il quale per cinque giorni
sostenne l'empito de' cannoni nemici, con fatiche incredibili fin
colà strascinati. Giunse poi sul fine d'agosto dopo mille stenti
l'esercito franzese alla vista di Trento, ma coll'Adige frapposto,
e con gli abitanti nell'opposta riva preparati a contrastare gli
ulteriori avanzamenti dei nemici. Nè le minaccie del Vandomo, nè
molte bombe avventate contro la città atterrirono punto i Trentini,
e massimamente dacchè in aiuto loro accorse con alcuni reggimenti
cesarei il generale _conte Solari_. All'aspetto di questi movimenti,
comune credenza era in Italia che in breve si avessero a vedere in
precipizio gli affari dell'imperadore, fatta che fosse l'unione del
Bavaro col duca di Vandomo. Stettero poco a disingannarsi al comparire
all'improvviso mutata tutta la scena. I Tirolesi d'antico odio
pregni contra de' Bavaresi, e massimamente i bravi lor cacciatori,
sì fattamente cominciarono a ristrignere e tempestar coi loro fucili
le truppe nemiche, prendendo spezialmente di mira gli uffiziali, che
altro scampo non ebbe l'elettore, se non quello di ritirarsi alle sue
contrade. Medesimamente non senza maraviglia dei politici fu osservato
ritornarsene il duca di Vandomo in Italia, dopo aver sacrificato
inutilmente di gran gente e munizioni in quella infelice spedizione.
Ora ecco il motivo di sua ritirata.
Non avea mai potuto _Vittorio Amedeo_ duca di Savoia, siccome principe
di mirabile accortezza, e attentissimo non meno al presente che ai
futuri tempi, mirar senza ribrezzo la tanto accresciuta grandezza
della real casa di Francia, e parevagli fabbricato il mortorio alla sua
sovranità, dacchè il ducato di Milano era caduto in mano d'un monarca
sì congiunto di sangue colla potenza franzese. Portò la congiuntura
dei tempi ch'egli si avesse a collegar colle due corone, tuttochè
scorgesse così fatta lega troppo contraria ai proprii interessi; ma
stava egli sempre sospirando il tempo di poter rompere questa catena;
e parve ora venuto, dacchè era vicino a spirare il tempo del contratto
impegno della sua lega coi re di Francia e di Spagna. Non lasciava la
corte cesarea di far buona cera a questo principe, benchè in apparenza
nemico, nè sul principio della rottura scacciò da Vienna il di lui
ministro, come avea praticato con quello del duca di Mantova. Spedì
eziandio nel luglio dell'anno presente a Torino (per quanto pretesero
i Franzesi) il _conte di Aversbergh_ travestito per intavolare con
lui qualche trattato, ma senza sapersi se ne seguisse conclusione
alcuna finora. Quel che è certo, non avea voluto il duca permettere
che le sue truppe passassero verso il Trentino. Ora i forti sospetti
conceputi nella creduta vacillante fede del duca _Vittorio Amedeo_
diedero impulso al re Cristianissimo di richiamare in Lombardia il duca
di Vandomo. Tornato questo generale colle sue genti a San Benedetto di
Mantova di qua dal Po, già da lui scelto per suo quartier generale, nel
dì 28 oppure 29 di settembre, messo in armi tutto l'esercito suo, fece
disarmar le truppe di Savoia che si trovavano in quel campo ed altri
luoghi, ritenendo prigioni tutti gli uffiziali e soldati. Non erano
più di tre mila; altri nondimeno li fecero ascendere a quattro o a
cinquemila. Per questa impensata novità e violenza alterato al maggior
segno il duca, principe di grande animo, ne fece alte doglianze per
tutte le corti; mise le guardie in Torino agli ambasciatori di Francia
e Spagna; occupò gran copia d'armi spedite dalla Francia in Italia,
ed imprigionò quanti Franzesi potè cogliere nei suoi Stati. Quindi si
diede precipitosamente a premunirsi e a mettere in armi tutti i suoi
sudditi, per resistere al temporale che andava a scaricarsi sopra i
suoi Stati; giacchè non tardò il duca di Vandomo a mettere in viaggio
buona parte dell'esercito suo contro il Piemonte. Saltò fuori in tal
guisa un nuovo nemico delle due corone, e un nuovo teatro di guerra in
Italia.
Nel dì 5 di dicembre pubblicamente dichiarò il re di Francia _Luigi
XIV_ la guerra contra di esso duca di Savoia, i il quale nel dì 25
di ottobre, come scrisse taluno, o piuttosto nel dì 8 di novembre,
come ha lo strumento rapportato dal Lunig, avea già stretta lega
coll'_imperadore Leopoldo_. In esso strumento si vede promesso al duca
_Vittorio Amedeo_ tutto il Monferrato, spettante al duca di Mantova con
Casale, e inoltre Alessandria, Valenza, la Valsesia e la Lomellina, con
obbligo di demolir le fortificazioni di Mortara. Promettevano inoltre
le potenze marittime un sussidio mensile di ottanta mila ducati di
banco ad esso principe, durante la guerra. Fu poi aggiunto un altro
alquanto imbrogliato articolo della cessione ancora del Vigevanasco,
per cui col tempo seguirono molte dispute colla corte di Vienna. Per
essersi trovato il duca colto all'improvviso dallo sdegno franzese,
e specialmente sprovveduto di cavalleria, gli convenne ricorrere al
generale _conte di Staremberg_, il quale, desideroso di assistere il
nuovo alleato, mise improvvisamente in viaggio, nel dì 20 di ottobre,
mille cinquecento cavalli sotto il comando del generale _marchese
Annibale Visconti_. Benchè sollecita fosse la lor marcia, più solleciti
furono gli avvisi al duca di Vandomo del lor disegno; laonde ben
guernito di milizia il passo della Stradella, Serravalle ed altri siti,
allorchè colà giunsero gli affaticati Alemanni, trovarono un terribil
fuoco, e andarono presto in rotta. Molti furono gli uccisi, molti i
prigioni, ed a quei che colla fuga si sottrassero al cimento, convenne
dipoi passare fino a San Pier di Arena presso Genova, e valicare aspre
montagne per giugnere in Piemonte. Questo picciolo rinforzo, e l'essere
stati i Franzesi, a cagion del suddetto passaggio, impegnati in varii
movimenti, servì di non lieve respiro al duca di Savoia; ma non già a
preservarlo dagl'insulti a lui minacciati dal potente nemico. Il perchè
determinò in fine il saggio conte Guido di Staremberg un'arditissima
impresa, che, per essere felicemente riuscita, riportò poscia il
plauso d'ognuno. Quando si pensava la gente che l'esercito suo,
postato sul Modenese e Mantovano di qua da Po, si fosse ben adagiato
nei quartieri d'inverno e pensasse al riposo, all'improvvisa con circa
dieci mila fanti e quattro mila cavalli, seco menando sedici cannoni,
nel giorno santo del Natale passò esso Staremberg la Secchia, e pel
Carpigiano s'indirizzò alla strada maestra chiamata Claudia, prendendo
pel Reggiano e Parmigiano con marcie sforzate il cammino alla volta
del Piemonte, senza far caso dei rigori della stagione, delle strade
rotte e di tanti fiumi gravidi di acqua che conveniva passare. Era
già tornato il _duca di Vandomo_ al campo di San Benedetto di Mantova.
Al primo avviso di questo impensato movimento dei nemici, raunate le
sue truppe, si diede ad inseguirli con forze, chi disse minori, e chi
maggiori, ma senza poter mai raggiugnerli, oppure senza mai volerli
raggiugnere, per poca voglia di azzardare una battaglia. Si contarono
bensì alcune scaramucce ed incontri, nei quali lasciarono la vita i due
valorosi generali _Lictenstein_ Tedesco e _Solari_ Italiano; ma questi
non poterono impedire al prode comandante di felicemente superar tutti
i disagi, e di pervenire ad unirsi col duca di Savoia nel dì 13 del
seguente gennaio, con infinita consolazione di lui e de' sudditi suoi.
Presero in questi tempi, cioè nel dì 8 di dicembre, i Franzesi
dimoranti in Modena il pretesto di confiscare al duca _Rinaldo d'Este_
tutte le sue rendite e mobili, perchè il suo ministro in Vienna,
trovandosi nell'anticamera della regina de' Romani, in passando
l'_arciduca Carlo_, dichiarato re di Spagna, l'inchinò. A chi vuol far
del male, ogni cosa gli fa giuoco. Entrato nel novembre il _maresciallo
di Tessè_ nella Savoia, s'impadronì di Sciambery sua capitale, e poscia
strinse con un blocco la fortezza di Monmegliano. Riuscì in quest'anno
alle _potenze marittime_ e all'_imperatore Leopoldo_ di ritirar seco in
lega un'altra potenza, cioè _Pietro II_ re di Portogallo. Gli articoli
di questa alleanza furono sottoscritti nel dì 16 di maggio, e fatte
di grandi promesse a quel monarca, fondate nondimeno sugli incerti
avvenimenti delle guerre. Di qui sorsero speranze ne' collegati di
potere un dì detronizzare il re di Spagna _Filippo V_, al qual fine
creduto fu non solamente utile, ma necessario, che lo stesso _arciduca
Carlo_, proclamato re di Spagna col nome di _Carlo III_, passasse in
persona colà per dar polso ai Portoghesi, e per animare l'occulto
partito austriaco che si conservava tuttavia nei regni di Spagna.
Pertanto questo savio, affabile e piissimo principe, preso congedo
dagli augusti lagrimanti suoi genitori e dal fratello Giuseppe re de'
Romani, si mise nel settembre in viaggio alla volta dell'Olanda, con
ricevere immensi onori per dovunque passò. Pertanto ecco oramai gran
parte dell'Europa in guerra per disputare della monarchia di Spagna;
nel qual tempo anche il Settentrione ardeva tutto di guerra per la
lega del Sassone re di Polonia collo czar della Russia contro il re
di Svezia, che diede lor delle aspre lezioni. Presero in quest'anno i
Franzesi Brisac, ricuperarono Landau, diedero una rotta ai Tedeschi
sotto esso Landau; e all'incontro gli Anglolandi s'impadronirono di
Bona, Huz e Limburgo.
Anno di CRISTO MDCCIV. Indizione XII.
CLEMENTE XI papa 5.
LEOPOLDO imperadore 47.
Veggendosi _Rinaldo d'Este_ duca di Modena sì maltrattato ed oppresso
dai Franzesi, altro ripiego non trovò che di ricorrere a papa _Clemente
XI_ per implorare i suoi paterni uffizii appresso le due corone, o, per
dir meglio, alla corte di Francia, che sola dirigeva la gran macchina,
e sotto nome del re Cattolico sola signoreggiava negli Stati d'esso
duca. Si portò a questo fine incognito a Roma, e vi si fermò per più
mesi. Giacchè non volle indursi a gittarsi in braccio a' Franzesi,
non altro in fine potè ottenere che una pensione di dieci mila doble;
e questa ancora gli convenne comperare con cedere ad essi Franzesi il
possesso della provincia della Garfagnana, situata di là dall'Apennino
colla fortezza di Montalfonso; unico resto de' suoi dominii, finora
sostenuto nel suo naufragio: dopo di che si restituì a Bologna ad
aspettare senza avvilirsi lo scioglimento dell'universal tragedia. Ma
alle sue disavventure si aggiunse in quest'anno la demolizione della
sua fortezza di Brescello, fatta dai Parmigiani: tanto pontò il duca
di Parma, per levarsi quello stecco dagli occhi. Furono asportate
parte a Mantova, parte nello Stato di Milano tutte quelle artiglierie
e attrezzi militari. Cominciarono in quest'anno a declinar forte in
Italia gli affari dell'imperadore e del collegato duca di Savoia.
L'incendio commosso in Ungheria dai sollevati, e in Germania da
_Massimiliano elettor di Baviera_, siccome quello che più scottava la
corte di Vienna, a lei non permetteva di alimentar la sua armata in
Italia coi necessari rinforzi di truppe e danaro. Nulla all'incontro
mancava al general franzese duca di Vandomo. Da che fu egli
maggiormente rinvigorito dalle nuove leve spedite dalla Provenza per
mare, divise l'esercito suo in due, ritenendo per sè le forze maggiori
a fine di far guerra al duca di Savoia; e dell'altra parte diede
il comando al _gran priore duca di Vandomo_ suo fratello, acciocchè
tentasse di cacciar d'Italia il corpo di Tedeschi che assai smilzo
restava nel Mantovano di qua da Po, e teneva forte tuttavia la terra di
Ostiglia di là da esso fiume. Allorchè i Franzesi s'avviarono, sul fine
dell'anno precedente, dietro al _conte Staremberg_, aveano gli Alemanni
occupato Bomporto e la Bastia sul Modenese, con far prigioniere il
presidio di questa ultima. Tornato che fu a Modena il generale _signor
di San Fremond_, non perdè tempo a ricuperare, sul principio di
febbraio, quei luoghi: sicchè si ritirarono i Tedeschi alla Mirandola,
e attesero a fortificarsi in Revere, Ostiglia ed altri siti lungo il Po
di qua e di là, con istendersi ancora sul Ferrarese a Figheruolo.
Venuto il mese d'aprile, si mosse il gran priore di Vandomo col
grosso delle sue milizie per isloggiare i Tedeschi da Revere. Non
l'aspettarono essi, e si ridussero di là da Po ad Ostiglia: con che
venne a restar separata la Mirandola dal campo loro. Allora fu che
il giovane _Francesco Pico_ duca di essa Mirandola, accompagnato dal
_principe Giovanni_ suo zio, e da _don Tommaso d'Aquino_ Napoletano,
suo padrigno, e principe di Castiglione, comparve a Modena, con
dichiararsi del partito delle due corone, e con pubblicare un manifesto
contra dei cesarei. Fu bloccata da lì innanzi quella città da'
Franzesi; fu anche, sul fine di luglio, regalata da una buona pioggia
di bombe, ma senza suo gran danno, e senza che se ne sgomentasse
punto il _conte di Koningsegg_ comandante in essa. Pensavano intanto
i troppo indeboliti Tedeschi, ridotti di là dal Po, a mantenere
almeno la comunicazione colla Germania; al qual fine fortificarono
Serravalle, Ponte Molino, e varii posti sotto Legnago negli Stati
Vandomo, che portasse bensì a Mantova il soccorso, ma che non tentasse
altra maggiore impresa sino all'arrivo suo. Cioè riserbava questo
monarca a sè tutte le palme e gli allori che si aveano da raccogliere
dalla presente campagna. Nel dì 2 di giugno imbarcatosi il re _Filippo
V_, fece la sua partenza da Napoli, e nel passar da Livorno fu visitato
e superbamente regalato dal gran duca _Cosimo III de Medici_, dal gran
principe _Ferdinando_ e dalla gran principessa _Violante_ di _Baviera_
sua zia. Andò a sbarcare al Finale, e venuto ad Acqui nel Monferrato,
ebbe la visita di _Vittorio Amedeo_ suocero suo, e nel dì 18 con gran
pompa fece la sua entrata in Milano. In questo mentre il principe
Eugenio attese a fortificar Borgoforte, e a formare di qua e di là
dal Po un ben munito accampamento. E da che intese che il re Cattolico
marciava pel territorio di Parma alla volta del Reggiano col maggior
nerbo della sua armata, inviò il generale marchese _Annibale Visconti_
con tre reggimenti di corazze a postarsi a Santa Vittoria, sito
vantaggioso, perchè circondato da canali e dal fiume Crostolo. Se ne
stavano questi Alemanni con gran pace in quel luogo, con poca guardia,
senza spie, coi cavalli dissellati al pascolo, credendo che i Franzesi
tuttavia si deliziassero nel Parmigiano: quand'ecco nel dopo pranzo
del dì 26 di luglio si videro comparire addosso il _conte Francesco
Albergotti_ tenente generale dei Franzesi, o pure lo stesso _duca di
Vandomo_ con quattro mila cavalli e due mila fanti. La confusione loro
fu eccessiva; fecero essi quella difesa che poterono in tale improvvisa
e cattiva disposizione; ma in fine convenne loro voltar le spalle, e
lasciare alla balìa dei vincitori il bagaglio, quattordici stendardi,
due paia di timbali e cento cavalli. Trecento furono i morti,
altrettanti i prigioni, e il re Filippo sopraggiunto ebbe il piacere di
mirare il fine di quella mischia.
Non avendo più alcun ritegno i Franzesi, dieci mila d'essi nel dì 29
di luglio si presentarono sotto la città di Reggio, e non trovarono
gran difficoltà ad impadronirsene; avvenimento che fece intendere a
_Rinaldo d'Este_ duca di Modena qual animo covassero contra di lui i
re di Francia e di Spagna. Però nel giorno seguente con tutta la sua
corte s'inviò alla volta di Bologna, lasciando il popolo di Modena in
somma costernazione. Giunse nel primo dì d'agosto sotto questa città
il conte Albergotti con un grosso corpo di cavalleria e fanteria, che
dimandò la cittadella a nome del re Cattolico. La consulta lasciata
dal duca, con facoltà di operare ciò che credesse più a proposito
in sì scabrose congiunture, con assai onorevole capitolazione si
sottomise alla forza dell'armi. Lo stesso avvenne a Carpi, Correggio
e al rimanente degli Stati del duca, eccettuata la Garfagnana di là
dall'Apennino che ricusò di ubbidire. L'aspetto di questi progressi
dell'esercito franzese quel fu che in fine obbligò il principe Eugenio
a ritirar le sue truppe dal Serraglio di Mantova, e a lasciar libera
quella città, per accudire al di qua dal Po, dove alla testa sul
Correggiesco s'era accampato il re Cattolico colla sua grande armata,
che venne in questi tempi accresciuta da buona parte delle truppe,
colle quali il vecchio _principe di Vaudemont_ dianzi campeggiava in
difesa di Mantova. Essendosi presa la risoluzione dai Gallispani di
marciare alla volta di Borgoforte, per qui venire a giornata campale,
si mosse la loro armata nella notte precedente al dì 15 di agosto alla
sordina, e s'inviò alla volta di Luzzara, dove si trovò un comandante
tedesco che, all'intimazion della resa, non rispose se non col fuoco
de' fucili. Camminavano i Franzesi spensieratamente coll'immaginazione
in capo di trovare il principe Eugenio sepolto ne' trincieramenti
di Borgoforte; quando all'improvviso si accorsero che il coraggioso
principe, marciando per gli argini del Po, veniva a trovarli, e diede
infatti principio ad un fiero combattimento, sulle cui prime mosse
perdè la vita il generale cesareo _principe di Commercy_. Era già
suonata la ventun'ora, quando si diede fiato alle trombe, e si accese
il terribil conflitto. Durò questo fino alla notte con gran bravura,
con molta mortalità dell'una e dell'altra parte, e restò indecisa la
vittoria, benchè ognun dal suo canto facesse dipoi intonare solenni _Te
Deum_, ed amplificasse la perdita de' nemici, e sminuisse la propria:
il che fa ritener me dal riferire il numero dei morti e feriti. Quel
ch'è certo, a niun d'essi restò per allora il campo della battaglia,
e non lieve preda fecero i cesarei. Per altro in quella notte stettero
quiete in vicinanza le due armate, e credevasi che, fatto il giorno, si
azzufferebbono di nuovo, e che, o gli uni o gli altri volessero veder
la decisione delle loro contese. Attese il duca di Vandomo, essendo
alquanto rinculato, ad assicurare il suo campo dall'invasion del
nemico con buoni argini e trincieramenti, e con formare un ponte sul
Po per mantener la comunicazione col Cremonese. Gli era restata alle
spalle Guastalla, e ne fece l'assedio; e forzato, dopo nove giorni di
trincea aperta, il _general Solari_ a renderla nel dì 9 di settembre,
mise in possesso di quella città _Ferdinando Carlo Gonzaga_ duca
di Mantova. Cinse ancora di stretto blocco la fortezza di Brescello
del duca di Modena. In questi tempi furono veduti novecento cavalli
usseri e tedeschi, condotti dall'Eberzeni, Paolo Diak e marchese Davia
bolognese, passare pel Reggiano fin sul Pavese, esigendo contribuzioni
dappertutto. Entrarono poi fin dentro Milano, e vi gridarono: _Viva
l'imperadore_; e salvi poi pel Mantovano si ridussero al loro campo.
Stettero dipoi nei divisati postamenti l'una in faccia all'altra
l'armate nemiche, facendosi solamente guerra colle cannonate e con
qualche scaramuccia, finchè venne il verno, con grande onore del
principe Eugenio, il quale con tanta inferiorità di forze seppe sì
lungamente tenere a bada nemici cotanto poderosi. L'ultimo trofeo
che riportò in questa campagna il giovine re _Filippo V_, fu, siccome
dicemmo, la presa di Guastalla. Dopo di che pensò a ritornarsene in
Ispagna, chiamato colà dai bisogni ed istanze de' suoi regni. Fermossi
in Milano alcune settimane, da dove, nel dì 6 di novembre, si mosse
alla volta di Genova, ricevuto ivi con incredibile splendidezza da
quella nobiltà e popolo; e di là fece poi vela verso la Catalogna.
Accostandosi il verno, ricuperò l'armata delle due corone Borgoforte,
e prese i quartieri in Mantova, e la maggior parte in Modena, Reggio,
Carpi, Bomporto ed altri luoghi dello Stato di Modena. Il principe
Eugenio, dopo avere distribuiti i suoi nelle terre e ville del basso
Modenese contigue alla Mirandola, e nel Mantovano di qua dal Po, con
ritenere un ponte sul Po ad Ostiglia, s'inviò alla corte di Vienna, per
rappresentar lo stato delle cose e il bisogno di gagliardi soccorsi.
Dopo lo spaventoso tremuoto dell'anno 1688 si erano riparate le
rovine della città di Benevento; ma nell'aprile ancora di quest'anno
si rinnovò nella stessa un quasi pari disastro. Sollevatosi quivi
un temporale sì fiero, che sembrava voler diroccare la terra da'
fondamenti, cagion fu che gli abitanti scappassero fuori dell'abitato.
Succedette poscia un terribile scotimento, che rovesciò buona parte
della città bassa, e il palazzo dell'arcivescovo e la cattedrale.
Ducento cinquanta persone rimasero sfracellate sotto le rovine. Anche
le città d'Ariano, Grotta, Mirabella, Apice ed altre di que' contorni
ebbero di che piagnere, perchè quasi interamente distrutte. Altre non
men funeste scene di guerra si videro nell'anno presente in Germania,
Fiandra ed altri paesi bagnati dal Reno, giacchè l'imperadore e
le potenze marittime aprirono anch'esse il teatro della guerra in
quelle parti contro la Francia. Di grandi preparamenti avea fatto
l'Inghilterra per questo, quando venne a mancar di vita nel dì 19 di
marzo il loro re _Guglielmo_ principe di Oranges, e fu dipoi alzata
al trono la _principessa Anna_, figlia del già defunto cattolico re
della Gran Bretagna _Giacomo II_, e moglie di _Giorgio principe di
Danimarca_, la quale con più ardore ancora del suddetto re Guglielmo
incitò quella nazione ai danni della real casa di Borbone, ed inviò per
generale dell'armi britanniche nei Paesi Bassi milord _Giovanni Curchil
conte di Marlboroug_, col cui valore si mosse poi sempre collegata la
fortuna.
All'incontro la Francia trasse nel suo partito gli _elettori di Baviera
e Colonia fratelli_. Varii assedii furono fatti al basso Reno; risonò
spezialmente la fama per quello di Landau nell'Alsazia, eseguito con
gran sangue dall'armata cesarea comandata dallo stesso _re de' Romani
Giuseppe_. In esso tempo il Bavaro collegatosi co' Franzesi mosse
anch'egli le armi sue, con sorprendere la città d'Ulma, Meninga ed
altre di quei contorni, e con accendere un gran fuoco nelle viscere
della Germania, dove i circoli di Franconia, Svevia e Reno accrebbero
il numero dei collegati contro della Francia. Ma ciò che diede più
da discorrere ai novellisti in quest'anno, fu il terrore e danno
immenso recato alle Coste della Spagna dalla formidabile armata navale
degl'Inglesi ed Olandesi, guidata dall'ammiraglio _Rooc_ inglese,
dall'_Alemond_ olandese e da _Giacomo duca d'Ormond_ generale di
terra. Verso il fine d'agosto approdò questa a Cadice (antica Gades
dei Romani), emporio celebre e doviziosissimo della monarchia spagnuola
sull'Oceano. Superati alcuni di quei forti, v'entrarono gli Anglolandi,
e diedero un fiero sacco alla terra, asportandone qualche milione
di preda, ma con aspre doglianze di tutti i mercatanti stranieri, e
con accrescere negli Spagnuoli l'odio immenso verso le loro nazioni.
Capitarono in questo dall'America i galeoni di Spagna carichi d'oro,
d'argento e di varie merci, e scortati da quindici vascelli e da alcune
fregate franzesi. All'udire le disavventure di Cadice, si rifugiarono
questi ricchi legni nel porto di Vigo in Galizia. Colà accorsa anche
la flotta anglolanda, ruppe la catena del porto. Alquanti di que'
vascelli e galeoni rimasero incendiati; lo sterminato valsente parte fu
rifugiato in terra, parte venne in poter de' nemici; sette vascelli e
quattro galeoni salvati dalle fiamme mutarono padroni. Gran flagello,
gran perdita fu quella.
Anno di CRISTO MDCCIII. Indizione XI.
CLEMENTE XI papa 4.
LEOPOLDO imperadore 46.
Ebbe principio quest'anno con una inondazione del Tevere in Roma
stessa, a cui tenne dietro un fiero tremuoto, che alla metà di gennaio
con varie scosse per tre giorni si fece sentire in quell'augusta città,
riempendola di tal terrore, che tutto il popolo corse ad accomodar
le sue partite con Dio; molti si ridussero ad abitar sotto le tende;
e il pontefice _Clemente XI_ prescrisse varie divozioni per implorar
la divina misericordia. Per questo scotimento della terra la picciola
città di Norcia colle terre contigue si convertì in un mucchio di
pietre; e quella di Spoleti con varie terre del suo ducato patì
gravissimi danni. Grandi rovine si provarono in Rieti, in Chieti, Monte
Leone, ed altre terre e borghi dell'Abbruzzo. La città dell'Aquila vide
a terra gran parte delle sue fabbriche colla morte di molti. Cività
Ducale restò subissata con gli abitanti. Fu creduto che nei suddetti
luoghi perissero circa trenta mila persone; nè si può esprimere lo
scompiglio e spavento che fu in Roma e per tante altre città in tal
congiuntura, perchè sino all'aprile, maggio e giugno altre scosse di
terra si fecero sentire; ed ognun sempre stava in allarmi, temendo
di peggio. Non mancavano intanto altre fastidiose cure al santo padre
in mezzo alle pretensioni delle potenze guerreggianti; nè si esigeva
meno che la sua singolar destrezza per navigare in mezzo agli scogli,
e sostenere la determinata sua neutralità. Contuttociò il partito
austriaco lo spacciava per aderente al Gallispano, e spezialmente fece
di gran querele, perchè avendo l'Augusto _Leopoldo_ padre e _Giuseppe_
re de' Romani figliuolo, nel dì 12 di settembre dell'anno presente,
ceduto all'_arciduca Carlo_ ogni lor diritto sopra la monarchia della
Spagna, con che egli assunse insieme col titolo di re di Spagna il nome
di _Carlo III_, dal pontefice fu proibito che il ritratto di questo
nuovo re pubblicamente si esponesse nella chiesa nazional de' Tedeschi
in Roma.
Erano restate in una gran decadenza le armi cesaree in Lombardia,
perchè alle diserzioni e malattie, pensioni ordinarie dell'armate,
non si suppliva dalla corte di Vienna con reclute e nuovi soccorsi,
trovandosi Cesare troppo angustiato per li continui progressi di
_Massimiliano elettor di Baviera_, le cui forze alimentate finora
dall'oro franzese, e poscia accresciute da un esercito d'essa nazione,
condotto dal _maresciallo di Villars_, faceano già tremar l'Austria e
Vienna stessa. Contuttociò il _conte Guido di Staremberg_, generale di
molto senno nel mestier della guerra, lasciato a questo comando dal
principe Eugenio, tanto seppe fortificarsi alle rive del Po e della
Secchia, che potè sempre rendere vani i tentativi della superiorità
dell'esercito franzese. Intanto la fortezza di Brescello sul Po,
che per undici mesi avea sostenuto il blocco formato dalle truppe
spagnuole, si vide forzata a capitolar la resa. Cercò quel comandante
imperiale che questa piazza fosse restituita al duca di Modena, ma non
fu esaudito. Vi trovarono i Franzesi un gran treno di artiglieria,
di bombe, granate, polve da fuoco, e di altri militari attrezzi;
la guernigione restò prigioniera di guerra. Tanto poi si adoperò
_Francesco Farnese_ duca di Parma, benchè nipote del duca di Modena
Rinaldo d'Este, che nell'anno seguente impetrò dalla Francia e Spagna
che si demolissero tutte le fortificazioni di quella piazza, con dolore
inestimabile di esso duca di Modena, il quale dimorante in Bologna
si trovava perseguitato dalle disgrazie, e conculcato fin dai proprii
parenti. Seppe il valoroso conte di Staremberg difendere Ostiglia dagli
attentati de' Franzesi; e nel dì 12 di giugno essendo giunto il general
franzese _Albergotti_ a Quarantola sul Mirandolese, ebbe una mala
rotta da' Tedeschi, e gli convenne abbandonare il finale di Modena. Ciò
non ostante, crebbero vieppiù da lì innanzi le angustie dell'esercito
alemanno in Italia, perchè l'elettor bavaro cresciuto cotanto di forze
entrò nel Tirolo, e giunse ad impossessarsi della capitale d'Inspruch.
L'avrebbe bene accomodato il possesso e dominio di quella provincia
confinante ai suoi Stati; ma si aggiugnevano due altre mire, l'una
di togliere ai Tedeschi quella strada per cui solevano spignere in
Italia i soccorsi di milizie, e l'altra di aprirsi un libero commercio
coll'esercito franzese, esistente in Italia, affin di riceverne più
facilmente gli occorrenti sussidii.
Mossesi infatti il duca di Vandomo nel mese d'agosto dalla Lombardia
con parte del suo esercito alla volta del Trentino, sperando di toccar
la mano ai Bavaresi, che avevano da venirgli incontro. Marciarono
i Franzesi per Monte Baldo e per le rive del lago di Garda, e
cominciarono ad aggrapparsi per quelle montagne, con impadronirsi
delle castella di Torbole, Nago, Bretonico e d'altre, che non fecero
difesa, a riserva del castello d'Arco, il quale per cinque giorni
sostenne l'empito de' cannoni nemici, con fatiche incredibili fin
colà strascinati. Giunse poi sul fine d'agosto dopo mille stenti
l'esercito franzese alla vista di Trento, ma coll'Adige frapposto,
e con gli abitanti nell'opposta riva preparati a contrastare gli
ulteriori avanzamenti dei nemici. Nè le minaccie del Vandomo, nè
molte bombe avventate contro la città atterrirono punto i Trentini,
e massimamente dacchè in aiuto loro accorse con alcuni reggimenti
cesarei il generale _conte Solari_. All'aspetto di questi movimenti,
comune credenza era in Italia che in breve si avessero a vedere in
precipizio gli affari dell'imperadore, fatta che fosse l'unione del
Bavaro col duca di Vandomo. Stettero poco a disingannarsi al comparire
all'improvviso mutata tutta la scena. I Tirolesi d'antico odio
pregni contra de' Bavaresi, e massimamente i bravi lor cacciatori,
sì fattamente cominciarono a ristrignere e tempestar coi loro fucili
le truppe nemiche, prendendo spezialmente di mira gli uffiziali, che
altro scampo non ebbe l'elettore, se non quello di ritirarsi alle sue
contrade. Medesimamente non senza maraviglia dei politici fu osservato
ritornarsene il duca di Vandomo in Italia, dopo aver sacrificato
inutilmente di gran gente e munizioni in quella infelice spedizione.
Ora ecco il motivo di sua ritirata.
Non avea mai potuto _Vittorio Amedeo_ duca di Savoia, siccome principe
di mirabile accortezza, e attentissimo non meno al presente che ai
futuri tempi, mirar senza ribrezzo la tanto accresciuta grandezza
della real casa di Francia, e parevagli fabbricato il mortorio alla sua
sovranità, dacchè il ducato di Milano era caduto in mano d'un monarca
sì congiunto di sangue colla potenza franzese. Portò la congiuntura
dei tempi ch'egli si avesse a collegar colle due corone, tuttochè
scorgesse così fatta lega troppo contraria ai proprii interessi; ma
stava egli sempre sospirando il tempo di poter rompere questa catena;
e parve ora venuto, dacchè era vicino a spirare il tempo del contratto
impegno della sua lega coi re di Francia e di Spagna. Non lasciava la
corte cesarea di far buona cera a questo principe, benchè in apparenza
nemico, nè sul principio della rottura scacciò da Vienna il di lui
ministro, come avea praticato con quello del duca di Mantova. Spedì
eziandio nel luglio dell'anno presente a Torino (per quanto pretesero
i Franzesi) il _conte di Aversbergh_ travestito per intavolare con
lui qualche trattato, ma senza sapersi se ne seguisse conclusione
alcuna finora. Quel che è certo, non avea voluto il duca permettere
che le sue truppe passassero verso il Trentino. Ora i forti sospetti
conceputi nella creduta vacillante fede del duca _Vittorio Amedeo_
diedero impulso al re Cristianissimo di richiamare in Lombardia il duca
di Vandomo. Tornato questo generale colle sue genti a San Benedetto di
Mantova di qua dal Po, già da lui scelto per suo quartier generale, nel
dì 28 oppure 29 di settembre, messo in armi tutto l'esercito suo, fece
disarmar le truppe di Savoia che si trovavano in quel campo ed altri
luoghi, ritenendo prigioni tutti gli uffiziali e soldati. Non erano
più di tre mila; altri nondimeno li fecero ascendere a quattro o a
cinquemila. Per questa impensata novità e violenza alterato al maggior
segno il duca, principe di grande animo, ne fece alte doglianze per
tutte le corti; mise le guardie in Torino agli ambasciatori di Francia
e Spagna; occupò gran copia d'armi spedite dalla Francia in Italia,
ed imprigionò quanti Franzesi potè cogliere nei suoi Stati. Quindi si
diede precipitosamente a premunirsi e a mettere in armi tutti i suoi
sudditi, per resistere al temporale che andava a scaricarsi sopra i
suoi Stati; giacchè non tardò il duca di Vandomo a mettere in viaggio
buona parte dell'esercito suo contro il Piemonte. Saltò fuori in tal
guisa un nuovo nemico delle due corone, e un nuovo teatro di guerra in
Italia.
Nel dì 5 di dicembre pubblicamente dichiarò il re di Francia _Luigi
XIV_ la guerra contra di esso duca di Savoia, i il quale nel dì 25
di ottobre, come scrisse taluno, o piuttosto nel dì 8 di novembre,
come ha lo strumento rapportato dal Lunig, avea già stretta lega
coll'_imperadore Leopoldo_. In esso strumento si vede promesso al duca
_Vittorio Amedeo_ tutto il Monferrato, spettante al duca di Mantova con
Casale, e inoltre Alessandria, Valenza, la Valsesia e la Lomellina, con
obbligo di demolir le fortificazioni di Mortara. Promettevano inoltre
le potenze marittime un sussidio mensile di ottanta mila ducati di
banco ad esso principe, durante la guerra. Fu poi aggiunto un altro
alquanto imbrogliato articolo della cessione ancora del Vigevanasco,
per cui col tempo seguirono molte dispute colla corte di Vienna. Per
essersi trovato il duca colto all'improvviso dallo sdegno franzese,
e specialmente sprovveduto di cavalleria, gli convenne ricorrere al
generale _conte di Staremberg_, il quale, desideroso di assistere il
nuovo alleato, mise improvvisamente in viaggio, nel dì 20 di ottobre,
mille cinquecento cavalli sotto il comando del generale _marchese
Annibale Visconti_. Benchè sollecita fosse la lor marcia, più solleciti
furono gli avvisi al duca di Vandomo del lor disegno; laonde ben
guernito di milizia il passo della Stradella, Serravalle ed altri siti,
allorchè colà giunsero gli affaticati Alemanni, trovarono un terribil
fuoco, e andarono presto in rotta. Molti furono gli uccisi, molti i
prigioni, ed a quei che colla fuga si sottrassero al cimento, convenne
dipoi passare fino a San Pier di Arena presso Genova, e valicare aspre
montagne per giugnere in Piemonte. Questo picciolo rinforzo, e l'essere
stati i Franzesi, a cagion del suddetto passaggio, impegnati in varii
movimenti, servì di non lieve respiro al duca di Savoia; ma non già a
preservarlo dagl'insulti a lui minacciati dal potente nemico. Il perchè
determinò in fine il saggio conte Guido di Staremberg un'arditissima
impresa, che, per essere felicemente riuscita, riportò poscia il
plauso d'ognuno. Quando si pensava la gente che l'esercito suo,
postato sul Modenese e Mantovano di qua da Po, si fosse ben adagiato
nei quartieri d'inverno e pensasse al riposo, all'improvvisa con circa
dieci mila fanti e quattro mila cavalli, seco menando sedici cannoni,
nel giorno santo del Natale passò esso Staremberg la Secchia, e pel
Carpigiano s'indirizzò alla strada maestra chiamata Claudia, prendendo
pel Reggiano e Parmigiano con marcie sforzate il cammino alla volta
del Piemonte, senza far caso dei rigori della stagione, delle strade
rotte e di tanti fiumi gravidi di acqua che conveniva passare. Era
già tornato il _duca di Vandomo_ al campo di San Benedetto di Mantova.
Al primo avviso di questo impensato movimento dei nemici, raunate le
sue truppe, si diede ad inseguirli con forze, chi disse minori, e chi
maggiori, ma senza poter mai raggiugnerli, oppure senza mai volerli
raggiugnere, per poca voglia di azzardare una battaglia. Si contarono
bensì alcune scaramucce ed incontri, nei quali lasciarono la vita i due
valorosi generali _Lictenstein_ Tedesco e _Solari_ Italiano; ma questi
non poterono impedire al prode comandante di felicemente superar tutti
i disagi, e di pervenire ad unirsi col duca di Savoia nel dì 13 del
seguente gennaio, con infinita consolazione di lui e de' sudditi suoi.
Presero in questi tempi, cioè nel dì 8 di dicembre, i Franzesi
dimoranti in Modena il pretesto di confiscare al duca _Rinaldo d'Este_
tutte le sue rendite e mobili, perchè il suo ministro in Vienna,
trovandosi nell'anticamera della regina de' Romani, in passando
l'_arciduca Carlo_, dichiarato re di Spagna, l'inchinò. A chi vuol far
del male, ogni cosa gli fa giuoco. Entrato nel novembre il _maresciallo
di Tessè_ nella Savoia, s'impadronì di Sciambery sua capitale, e poscia
strinse con un blocco la fortezza di Monmegliano. Riuscì in quest'anno
alle _potenze marittime_ e all'_imperatore Leopoldo_ di ritirar seco in
lega un'altra potenza, cioè _Pietro II_ re di Portogallo. Gli articoli
di questa alleanza furono sottoscritti nel dì 16 di maggio, e fatte
di grandi promesse a quel monarca, fondate nondimeno sugli incerti
avvenimenti delle guerre. Di qui sorsero speranze ne' collegati di
potere un dì detronizzare il re di Spagna _Filippo V_, al qual fine
creduto fu non solamente utile, ma necessario, che lo stesso _arciduca
Carlo_, proclamato re di Spagna col nome di _Carlo III_, passasse in
persona colà per dar polso ai Portoghesi, e per animare l'occulto
partito austriaco che si conservava tuttavia nei regni di Spagna.
Pertanto questo savio, affabile e piissimo principe, preso congedo
dagli augusti lagrimanti suoi genitori e dal fratello Giuseppe re de'
Romani, si mise nel settembre in viaggio alla volta dell'Olanda, con
ricevere immensi onori per dovunque passò. Pertanto ecco oramai gran
parte dell'Europa in guerra per disputare della monarchia di Spagna;
nel qual tempo anche il Settentrione ardeva tutto di guerra per la
lega del Sassone re di Polonia collo czar della Russia contro il re
di Svezia, che diede lor delle aspre lezioni. Presero in quest'anno i
Franzesi Brisac, ricuperarono Landau, diedero una rotta ai Tedeschi
sotto esso Landau; e all'incontro gli Anglolandi s'impadronirono di
Bona, Huz e Limburgo.
Anno di CRISTO MDCCIV. Indizione XII.
CLEMENTE XI papa 5.
LEOPOLDO imperadore 47.
Veggendosi _Rinaldo d'Este_ duca di Modena sì maltrattato ed oppresso
dai Franzesi, altro ripiego non trovò che di ricorrere a papa _Clemente
XI_ per implorare i suoi paterni uffizii appresso le due corone, o, per
dir meglio, alla corte di Francia, che sola dirigeva la gran macchina,
e sotto nome del re Cattolico sola signoreggiava negli Stati d'esso
duca. Si portò a questo fine incognito a Roma, e vi si fermò per più
mesi. Giacchè non volle indursi a gittarsi in braccio a' Franzesi,
non altro in fine potè ottenere che una pensione di dieci mila doble;
e questa ancora gli convenne comperare con cedere ad essi Franzesi il
possesso della provincia della Garfagnana, situata di là dall'Apennino
colla fortezza di Montalfonso; unico resto de' suoi dominii, finora
sostenuto nel suo naufragio: dopo di che si restituì a Bologna ad
aspettare senza avvilirsi lo scioglimento dell'universal tragedia. Ma
alle sue disavventure si aggiunse in quest'anno la demolizione della
sua fortezza di Brescello, fatta dai Parmigiani: tanto pontò il duca
di Parma, per levarsi quello stecco dagli occhi. Furono asportate
parte a Mantova, parte nello Stato di Milano tutte quelle artiglierie
e attrezzi militari. Cominciarono in quest'anno a declinar forte in
Italia gli affari dell'imperadore e del collegato duca di Savoia.
L'incendio commosso in Ungheria dai sollevati, e in Germania da
_Massimiliano elettor di Baviera_, siccome quello che più scottava la
corte di Vienna, a lei non permetteva di alimentar la sua armata in
Italia coi necessari rinforzi di truppe e danaro. Nulla all'incontro
mancava al general franzese duca di Vandomo. Da che fu egli
maggiormente rinvigorito dalle nuove leve spedite dalla Provenza per
mare, divise l'esercito suo in due, ritenendo per sè le forze maggiori
a fine di far guerra al duca di Savoia; e dell'altra parte diede
il comando al _gran priore duca di Vandomo_ suo fratello, acciocchè
tentasse di cacciar d'Italia il corpo di Tedeschi che assai smilzo
restava nel Mantovano di qua da Po, e teneva forte tuttavia la terra di
Ostiglia di là da esso fiume. Allorchè i Franzesi s'avviarono, sul fine
dell'anno precedente, dietro al _conte Staremberg_, aveano gli Alemanni
occupato Bomporto e la Bastia sul Modenese, con far prigioniere il
presidio di questa ultima. Tornato che fu a Modena il generale _signor
di San Fremond_, non perdè tempo a ricuperare, sul principio di
febbraio, quei luoghi: sicchè si ritirarono i Tedeschi alla Mirandola,
e attesero a fortificarsi in Revere, Ostiglia ed altri siti lungo il Po
di qua e di là, con istendersi ancora sul Ferrarese a Figheruolo.
Venuto il mese d'aprile, si mosse il gran priore di Vandomo col
grosso delle sue milizie per isloggiare i Tedeschi da Revere. Non
l'aspettarono essi, e si ridussero di là da Po ad Ostiglia: con che
venne a restar separata la Mirandola dal campo loro. Allora fu che
il giovane _Francesco Pico_ duca di essa Mirandola, accompagnato dal
_principe Giovanni_ suo zio, e da _don Tommaso d'Aquino_ Napoletano,
suo padrigno, e principe di Castiglione, comparve a Modena, con
dichiararsi del partito delle due corone, e con pubblicare un manifesto
contra dei cesarei. Fu bloccata da lì innanzi quella città da'
Franzesi; fu anche, sul fine di luglio, regalata da una buona pioggia
di bombe, ma senza suo gran danno, e senza che se ne sgomentasse
punto il _conte di Koningsegg_ comandante in essa. Pensavano intanto
i troppo indeboliti Tedeschi, ridotti di là dal Po, a mantenere
almeno la comunicazione colla Germania; al qual fine fortificarono
Serravalle, Ponte Molino, e varii posti sotto Legnago negli Stati
- Parts
- Annali d'Italia, vol. 7 - 01
- Annali d'Italia, vol. 7 - 02
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