Annali d'Italia, vol. 7 - 10

czaro _Pietro Alessiovitz_ conchiusa coi Turchi una tregua di due anni,
che poi con altro atto, nel 1702, fu prorogata a trent'anni.
Non solamente era riuscito a _Massimiliano elettor di Baviera_ e
governator della Fiandra, di far concorrere il re Cristianissimo
_Luigi XIV_ e le potenze marittime nell'esaltazione del figlio suo
_Ferdinando_ alla corona di Spagna; ma eziandio con gravissime spese
e regali avea in guisa guadagnati i ministri della corte di Madrid,
che lo stesso _re Carlo II_ giunse a dichiararlo erede dei suoi regni
nel suo testamento: la qual nuova portata a Vienna avea servito a
conchiudere con precipizio la suddetta pace o tregua di Carlowitz.
Dovea anche esso principe elettorale fra pochi mesi passare a Madrid,
per essere allevato in quella corte all'uso spagnuolo in espettazione
di tanta fortuna. Ma chi non sa a quali vicende e peripezie sieno
sottoposti i gran disegni e le imprese dei mortali? Dacchè si seppe
la destinazion di questo principe fanciullo al trono di Spagna, non
passarono tre mesi, che eccoti venir la morte a rapirlo nel dì 5 di
febbraio dall'anno presente: colpo che trafisse d'inestimabil dolore
il cuore dell'elettor suo padre; e tanto più, perchè non mancò gente
maligna, che seminò sospetti di veleno, cioè quella calunnia che si
è da noi trovata sì facile, allorchè i principi soggiacciono ad una
morte immatura. Restarono perciò sconcertate tutte le misure prese dal
re Cattolico dall'una parte, e dalla Francia, Inghilterra ed Olanda
dall'altra, di modo che si videro necessitate queste tre potenze
a ricorrere ad altro ripiego, e si cominciò di nuovo nelle corti a
trattar della maniera di conservare la tranquillità nell'inevitabil
deliquio della monarchia spagnuola. Ma intorno a ciò quei potentati non
arrivarono ad accordarsi insieme, se non nell'anno susseguente, siccome
vedremo. Da gran tempo pensava l'_augusto Leopoldo_ di provvedere di
una degna consorte _Giuseppe re dei Romani_ suo primogenito. Fu in
qualche predicamento _Leonora Luigia Gonzaga_ principessa di Guastalla;
ma le determinazioni della corte cesarea terminarono nella principessa
_Amalia Guglielmina di Brunsvich_, figlia del fu duca di Hannover
_Gian-Federigo_, e sorella di _Carlotta Felicita_ duchessa di Modena.
Abitava questa principessa nei tempi presenti in essa corte di Modena
colla duchessa sua madre _Benedetta Enrichetta_ di Baviera, nata
palatina del Reno. Qui appunto, nel dì 15 di gennaio di quest'anno
seguì lo sposalizio di questa principessa con indicibil pompa e
solennità. Videsi allora piena di nobiltà straniera, di ambasciatori
e d'inviati la città e corte di Modena, e fra gli altri vi comparve in
persona con insigne corteggio il cardinale _Francesco Maria de Medici_,
e poscia il cardinale _Jacopo Boncompagno_, arcivescovo di Bologna, con
titolo di legato apostolico, e con suntuosissima corte, a complimentare
la novella regina. Le splendide feste in tal occasione fatte dal
duca _Rinaldo_, e il viaggio della stessa regina alla volta della
Germania, coi grandiosi trattamenti che ella ricevette da _Ferdinando
Carlo Gonzaga_ duca di Mantova, e dalla splendidissima _repubblica
di Venezia_, perchè io gli ho abbastanza accennati nelle Antichità
Estensi, mi dispenso ora dal rammemorarli.
Non fu minor la consolazione e gioia della corte di Torino in questi
tempi per la nascita del primogenito principe di Piemonte, succeduta
sul principio di maggio, che con grandi allegrezze venne dipoi
solennizzata. Gli fu posto il nome del padre, cioè di _Vittorio
Amedeo_. Era nell'età sua giovanile principe di grande aspettazione;
ma nel dì 22 di marzo del 1715, fu poi rapito dalla morte con immenso
cordoglio del padre e di tutti i sudditi suoi. Di grandi faccende
avea avuto la sacra corte di Roma negli anni addietro per le forti
premure del _re Luigi XIV_, acciocchè fosse esaminato il libro delle
Massime dei Santi, già pubblicato dal celebre _monsignor di Fenelon_
arcivescovo di Cambrai. Molte congregazioni di cardinali e teologi
furono tenute per questo affare in Roma, e un esatto esame ne fu fatto.
Finalmente nel dì 12 di marzo pubblicò il santo padre una bolla, in
cui furono condennate ventitrè proposizioni di esso libro, riguardanti
la vita interiore. Gran lode riportò quel dottissimo prelato, per
avere con tutta umiltà e sommessione accettato il giudizio della santa
Sede, e ritrattate sul pulpito le stesse sue sentenze. Dopo questo
dibattimento poco stette a venire in campo un'altra controversia di
maggiore e più strepitosa conseguenza, cioè quella dei riti cinesi
praticati dai neofiti cristiani nel vasto imperio della Cina, e pretesi
idolatrici da una parte di quei missionarii. Acri e lunghe dispute
furono per questo, ma non giunse papa _Innocenzo XII_ a deciderlo,
e ne restò la cura al suo successore, siccome diremo. Avea risoluto
la vedova regina di Polonia Maria Casimira de la Grange, già moglie
del re _Giovanni Sobieschi_, e figlia del _cardinale di Arquien_, ad
imitazione di _Cristina_ già regina di Svezia, di venire a terminare
il resto de' suoi giorni nell'alma città di Roma. Arrivò essa colà nel
dì 24 di marzo, e prese il suo alloggio nel palazzo del principe _don
Livio Odescalchi_ duca di Sirmio Bracciano. Distinti onori furono a lei
compartiti dal pontefice e da tutta quella sacra corte. In questi tempi
esso santo padre, sempre ansioso di nuove belle imprese in profitto de'
popoli suoi, concepì il grandioso disegno di seccar le Paludi Pontine;
e fece anche i preparamenti per eseguirlo. Ma a lui tanto di vita non
rimase da poter compiere sì gloriosa risoluzione. Si applicò eziandio
alla correzione di quegli ecclesiastici che in Roma non viveano colla
dovuta regolarità di costumi, e ne fece far esatte ricerche, e volle
lista di chiunque era creduto bisognoso d'emenda. Questo solo bastò,
perchè la maggior parte di queste persone prendesse miglior sesto,
senza aspettar da più efficaci persuasioni la riforma del vivere.
Finalmente rinnovò ed ampliò una rigorosa bolla contro il ricevere
pagamenti e regali per le giustizie e grazie della sedia apostolica,
sotto pena delle più gravi censure e di altri gastighi. Continuavano
intanto le amarezze di sua santità contra del _conte di Martinitz_,
perchè questi, oltre alla pretension de' feudi, teneva imprigionato nel
suo palazzo un uomo, sospettato reo di aver voluto assassinare la balia
di una sua figlia: esempio di prepotenza da non tollerarsi da chi era
padrone in Roma. S'era interposto, per troncar queste pendenze, Rinaldo
duca di Modena con sì buona maniera, che il Martinitz avea inviato il
prigione a Modena. Ma questo ripiego non soddisfece al papa, perchè
non veniva soddisfatto al suo diritto sopra la giustizia; e però si
negava l'udienza a quel ministro. Fu egli poi richiamato a Vienna,
e nel gennaio seguente giunse a Roma il _conte di Mansfeld_ nuovo
ambasciatore cesareo, e il suo antecessore se ne andò senza aver potuto
ottenere udienza. Similmente in questi tempi il pontefice raccoglieva
gente armata, inviandola ai confini del Ferrarese. Altrettanto faceva
il duca di _Medina Celi_ vicerè nel regno di Napoli, conoscendo
d'essere l'Europa alla vigilia di qualche strepitoso sconcerto per chi
dovea succedere nella monarchia di Spagna.


Anno di CRISTO MDCC. Indizione VIII.
CLEMENTE XI papa 1.
LEOPOLDO imperadore 43.

Voleva _Rinaldo d'Este_ duca di Modena con solennità magnifica
celebrare il battesimo del principe _Francesco Maria_ suo primogenito,
nato nel precedente anno, ed ottenne che l'_imperador Leopoldo_ il
tenesse al sacro fonte, e che fosse destinato a sostener le veci di sua
maestà cesarea _Francesco Farnese_ duca di Parma, il quale a questo
fine si portò a Modena colla duchessa _Dorotea_ sua consorte nel dì
16 di febbraio. Con più di cento carrozze a sei cavalli, e fra alcune
migliaia di soldati schierati per le strade, e al rimbombo di tutte
l'artiglierie della città e cittadella, furono accolti questi principi,
e trovarono nella città la notte cangiata in giorno; sì grande era
l'illuminazione dappertutto. Seguì nel dì 18 la funzion del battesimo
con somma magnificenza, e nei giorni seguenti si variarono le feste e
le allegrie, che rimasero poi coronate nel dì 22 da un suntuosissimo
carosello, che riempiè di maraviglia e diletto tutti gli spettatori
e la gran nobiltà forestiera concorsavi. Al qual fine s'era formato
nel piazzale del palazzo ducale un vasto ed altissimo anfiteatro
di legno, capace di molte migliaia di persone. Di simili grandiosi
spettacoli niuno ne ha più veduto l'Italia. Di più non ne dico, per
averne detto quel che occorre nelle Antichità Estensi. Diede fine nel
dì 5 di luglio al suo vivere _Silvestro Valiero_ doge di Venezia, a
cui in quella dignità fu sostituito il senatore _Luigi Mocenigo_. Era
già pervenuto all'età di ottantacinque o pure ottantasei anni _papa
Innocenzo XI_I, e spezialmente nell'anno antecedente per varii incomodi
di sanità avea fatto dubitar di sua vita. Tuttavia si riebbe alquanto
dalla debolezza sofferta, ma non potè contener le lagrime per non aver
potuto avere il contento d'aprir egli in persona nella vigilia del
santo Natale il giubbileo di quest'anno, che fu poi celebrato con gran
concorso e divozione dai pellegrini e popoli accorsi dalle varie parti
della cristianità a conseguir le indulgenze di Roma. Tuttochè poca
bonaccia godesse il santo padre da lì innanzi, pure continuò indefesso
le applicazioni al governo, e tenne varii concistori, e provò anche
consolazione in vedere _Cosimo III de Medici_, gran duca di Toscana che
con esemplar divozione incognito sotto nome di conte di Pitigliano si
portò nel mese di maggio a visitar le basiliche romane. Ricevette il
papa questo piissimo principe con paterna tenerezza, il creò canonico
di San Pietro, gli compartì ogni possibil onore, e fra gli altri regali
gli concedette l'antica sedia di santo Stefano I papa e martire, che
passò ad arricchire la cattedrale di Pisa. Non s'ingannarono i politici
che s'immaginarono unito alla divozione del gran duca qualche interesse
riguardante il sistema d'Italia, minacciato da disastri per la sempre
titubante vita del re cattolico _Carlo II_. Infatti fu progettata
una lega fra il papa, i Veneziani, il duca di Savoia, il gran duca di
Mantova e il duca di Parma, per conservar la quiete dell'Italia. Al
duca di Modena non ne venne fatta parola sulla considerazione d'esser
egli cognato del re de' Romani. Ma non andò innanzi un tale trattato, o
per le consuete difficoltà di accordar questi leuti, o perchè si volea
prima scorgere in che disposizione fossero le corone, o fosse perchè
venne intanto a mancare di vita il sommo pontefice.
Con più calore intanto si maneggiavano questi affari dai ministri
di Francia, Inghilterra ed Olanda, per trovare un valevole antidoto
ai mali che soprastavano all'Europa. Tante furono le arti e tanti i
mezzi adoperati dal gabinetto di Francia, che gli riuscì di guadagnare
_Guglielmo_ re d'Inghilterra, con introdurre lui e le Provincie Unite
ad un altro partaggio della monarchia spagnuola. Fu questo sottoscritto
in Londra nel dì 15, e all'Haia nel dì 25 di marzo, e stabilito che a
_Luigi_ Delfino di Francia si darebbono i regni di Napoli e Sicilia coi
porti spettanti alla Spagna nel littorale della Toscana, il marchesato
del Finale, la provincia di Guipuscoa coi luoghi di qua dai Pirenei,
e in oltre i ducati di Lorena e Bar; in compenso dei quali si darebbe
al duca di Lorena il ducato di Milano. In tutti poi gli altri regni di
Spagna colle Indie e colla Fiandra avea da succedere l'_arciduca Carlo_
secondogenito dell'imperador _Leopoldo_. Si provvedeva ancora a varii
casi possibili ch'io lascio andare. Fece il tempo conoscere quanto
fina fosse la politica del re cristianissimo _Luigi XIV_; perciocchè
se a tal divisione acconsentivano Cesare e il re Cattolico, già si
facea un accrescimento notabile alla potenza franzese; e quand'anche
dissentissero da questo accordo Cesare e il re Cattolico, la forza de'
contraenti ne assicurava l'acquisto al Delfino. Ma il bello fu che in
questo mentre la corte di Francia era dietro a procacciarsi l'intera
monarchia di Spagna, e si studiava di non cederne un palmo ad altri,
poco scrupolo mettendosi se con ciò restava beffato chi si credeva
assicurato dalla convenzione suddetta. Conosceva essa, per le relazioni
del _marchese di Harcourt ambasciatore_ a Madrid, non potersi dare al
ministero e ai popoli di Spagna un colpo più sensitivo della division
della monarchia; e volendo gli Spagnuoli evitarla, altro ripiego non
restava loro che di gittarsi in braccio ai Franzesi, con prendere
dalla real casa di Francia un re successore. Risaputosi infatti a
Madrid il pattuito spartimento, fecero i ministri di Spagna le più alte
doglianze di un sì violento procedere a tutte le corti, e massimamente
con tali invettive in Inghilterra, che il re Guglielmo venne ad aperta
rottura. Acremente ancora se ne dolsero a Parigi, ma quella corte con
piacevoli maniere mostrò fatti quei passi per le gagliarde ragioni che
competevano al Delfino sopra tutto il dominio spagnuolo.
Intanto l'Harcourt in Madrid colla dolcezza, colla liberalità e con
altre arti più secrete si studiava di tirar nel suo partito i più
potenti o confidenti presso il re Cattolico. Chiamata colà anche la
moglie, seppe questa insinuarsi nella grazia della _regina Marianna_,
a cui si facea vedere un palazzo incantato in lontananza, cioè il
suo maritaggio col vedovo Delfino, allorchè ella restasse vedova.
Ma perciocchè il _re Carlo II_ tenea saldo il suo buon cuore verso
l'augusta casa di Austria di Germania, e le sue mire andavano sempre a
finire nell'_arciduca Carlo_, per quante mine e trame si adoperassero,
niuna pareva oramai bastante a fargli mutar consiglio. Venne il colpo
maestro, per quanto fu creduto, da Roma. Imperciocchè gl'industriosi
Franzesi, rivoltisi a quella parte, rappresentarono al pontefice
_Innocenzo XII_ in maniere patetiche cosa si potesse aspettare dalla
casa di Austria germanica, se questa entrava in possesso di Napoli
e Sicilia, e dello Stato di Milano con ricordare le avanie praticate
nell'ultima guerra dagli imperiali coi popoli d'Italia, e le violenze
usate in Roma dal conte di Martinitz. Tornar più il conto agl'Italiani
che questi Stati coll'intera monarchia passassero in uno dei nipoti
del re Cristianissimo, che niun diritto porterebbe seco per inquietare
i principi italiani. Tanto in somma dissero, che il pontefice piegò
nei lor sentimenti, e tanto più, perchè considerò questo essere il
meglio dei medesimi Spagnuoli, i quali potrebbero conservare uniti i
lor dominii, e liberarsi in avvenire dalle vessazioni della Francia,
che gli avea ridotti in addietro a dei brutti passi. È dunque stato
preteso che dalla corte di Roma fosse dipoi insinuato al cardinale
_Lodovico Emmanuele Portocarrero_, arcivescovo di Toledo, d'impiegare i
suoi migliori uffizii in favore della real corte di Francia; ed essendo
avvenute mutazioni nella corte di Madrid, ed anche sollevazioni in quel
popolo, e poscia una malattia al re Cattolico, che fu creduta l'ultima,
e poi non fu; il porporato ebbe apertura per parlare confidentemente
al re, e di proporgli, non già sfacciatamente, un nipote del re
Cristianissimo, ma destramente le ragioni della casa di Francia, perchè
non mancavano dotti teologi che sostenevano invalide le rinunzie fatte
dalle infante spagnuole passate a marito a Parigi, e che si poteva
schivare la troppo odiata unione delle due corone in una sola persona.
Attonito rimase il re _Carlo II_ a queste proposizioni; e di una in
altra parola passando, si lasciò persuadere che sarebbe stato ben
fatto l'udire intorno a ciò il venerabil parere della Sede apostolica.
Saggi cardinali e dottissimi legisti per ordine del papa esaminarono
il punto; e ponderate le ragioni, e massimamente le circostanze del
caso, giudicarono assai fondata la pretensione dei Franzesi. Di più
non vi volle perchè il Portocarrero sapesse a tempo e luogo quetar la
coscienza del re Cattolico, il quale fin qui si era creduto obbligato
a preferire la linea austriaca di Germania; e tanto più al cardinal
suddetto riuscì facile, quanto che i ministri e grandi di Spagna per
la maggior parte o erano guadagnati, o aveano sacrificata l'antica
antipatia della lor nazione contro la franzese all'utilità o necessità
presente della monarchia, sperando essi di mantenere in tal guisa
l'unione dei regni, e di avere in avvenire non più nemica, ma amica e
collegata la Francia.
Pertanto nel dì 2 d'ottobre spiegò il re Cattolico l'ultima sua
volontà, e la sottoscrisse, in cui dichiarò erede _Filippo duca
d'Angiò_, secondogenito del Delfino di Francia; a lui sostituendo in
caso di mancanza il _duca di Berry_ terzogenito, e a questo l'_arciduca
Carlo d'Austria_ e dopo queste linee il _duca di Savoia_. Stavano
intanto addormentate le potenze marittime dall'accordo del partaggio
stabilito col re Cristianissimo; e per conto dell'imperadore, egli
si teneva in pugno la succession della Spagna pel figlio arciduca,
affidato da quanto andava scrivendo il re Cattolico, non solo al _duca
Moles_ suo ministro in Vienna, ma allo stesso Augusto, della costante
sua predilezione verso gli Austriaci di Germania. Mancò poscia di vita
il re _Carlo II_ nel dì primo di novembre dell'anno presente: principe
di ottima volontà e di rara pietà, ma sfortunato nel maneggio dell'armi
e ne' matrimonii, e che per la debolezza della sua complessione lasciò
per lo più in luogo suo regnare i ministri. Volarono tosto i corrieri,
e si conobbe allora chi con maggiore accortezza avesse saputo vincere
il pallio e deludere amici e nemici in sì grave pendenza. Nel consiglio
del re di Francia non mancarono dispute, se si avesse da accettare il
testamento suddetto, pretendendo alcuni, anche dei più saggi, che più
vantaggiosa riuscirebbe alla corona di Francia la division concordata
colle potenze marittime, perchè fruttava un accrescimento notabile
di Stati alla Francia: laddove, col dare alla Spagna un re, nulla si
acquistava, nè si toglieva l'apprensione di avere un dì lo stesso re
padron della monarchia spagnuola, o pure i suoi discendenti per emuli e
nemici, come prima della franzese. Pure prevalse il sentimento e volere
del re _Luigi XIV_, preponderando in suo cuore la gloria di vedere
il sangue suo sul trono della Spagna, e con ciò depressa di molto la
potenza dell'augusta casa d'Austria. Perciò nel dì 16 di novembre,
_Filippo duca d'Angiò_, riconosciuto per re di Spagna in Parigi, e
susseguentemente anche in Madrid nel dì 24 d'esso mese, s'inviò nel
dì 4 di dicembre con suntuoso accompagnamento alla volta di Spagna,
e giunse pacificamente a mettersi in possesso non solamente di quei
regni, ma eziandio della Fiandra, del regno di Napoli e Sicilia, e
del ducato di Milano, non essendosi trovata persona che osasse di
ripugnare agli ordini del re novello. Era già stato guadagnato il
_principe di Vaudemont_, governatore di Milano; e quali amarezze
covasse contra dell'imperadore l'elettor di Baviera _Massimiliano_,
s'è abbastanza accennato di sopra. Storditi all'incontro rimasero
l'Augusto _Leopoldo_, il re d'Inghilterra _Guglielmo_ e la repubblica
d'_Olanda_, per un avvenimento sì contrario alle loro idee e desiderii,
e massimamente si esaltò la bile degl'Inglesi ed Olandesi, per vedersi
così sonoramente burlati dalle arti de' Franzesi; e quantunque il re
Cristianissimo adducesse varie ragioni per giustificar la sua condotta,
niuno potè distornarli dal pensare ad una guerra che con tanto studio
aveano fin qui studiato di schivare. Nulla di più aggiugnerò intorno a
questo strepitoso affare, di cui diffusamente han trattato fra i nostri
Italiani il senatore Garzoni, il marchese Ottieri e il padre Giacomo
Sanvitali della compagnia di Gesù nelle loro Storie.
Si vide in quest'anno una cometa, e i visionarii, in testa de' quali
hanno gran forza le volgari opinioni, si figurarono tosto che questa
micidiale cifra del cielo predicesse la morte di qualche gran principe,
e finivano in credere minacciata la vita o del re di Spagna _Carlo II_,
o del sommo pontefice _Innocenzo XII_: predizion poco difficile d'un
di loro o di amendue, giacchè il re era quasi sempre infermiccio, e
il papa decrepito. Infermossi più gravemente del solito nel settembre
di quest'anno il santo padre, e gli convenne soccombere al peso degli
anni e del male. Merita ben questo glorioso pastore della Chiesa
di Dio che il suo nome e governo sia in benedizione presso tutti i
secoli avvenire: sì nobili, sì lodevoli furono tutte le azioni sue.
Miravasi in lui un animo da imperadore romano, non già per pensare
ai vantaggi proprii o de' suoi, perchè s'è veduto aver egli tolto
con eroica munificenza la venalità delle cariche, e quanto egli
abborrisse il nepotismo, e quai freni vi mettesse; ma solamente per
procacciar sollievo e profitto agli amati suoi popoli. Specialmente
avea egli in cuore i poverelli, i quali usava chiamare i suoi nipoti.
Ad essi destinò il palazzo Lateranense colla giunta d'una vigna da
lui comperata per loro servigio. Concepì in oltre la magnifica idea di
ridurre in un ospizio, e di far lavorare tutti i fanciulli ed invalidi
questuanti: al qual fine fabbricò anche un vasto edifizio a San Michele
di Ripa, che venne poi ampliato dal suo successore, e dotollo di molte
rendite. Questo sì animoso istituto di ristrignere i poveri oziosi e
di sovvenir loro di limosine, senza che le abbiano essi a cercare con
tanta molestia del pubblico, si dilatò per alcune altre città d'Italia,
benchè col tempo simili provvisioni, a guisa degli argini posti ad
impetuosi torrenti, non si possano sostenere. Per utile parimente dello
Stato ecclesiastico avea formato il disegno, e già fatte di gravi
spese, a fin di stabilire un porto franco a Cività Vecchia, dove, a
riserva de' Turchi, potessero approdar tutte le nazioni. Ma nol compiè
per le tante ruote segrete che seppe muovere _Cosimo III_ gran duca di
Toscana, al cui porto di Livorno dall'altro sarebbe venuto un troppo
grave discapito. Rialzò e fortificò il porto d'Anzio presso Nettuno,
e in Roma il palazzo di monte Citorio, magnifico edifizio a cagion
degli aggiunti uffizii pei giudici e notai che prima stavano dispersi
in varie abitazioni della città. Fabbricò eziandio la dogana di terra,
e quella di Ripa Grande. Insomma questo immortal pontefice, forte nel
sostener la dignità della santa Sede, pieno di mansuetudine e d'umiltà,
e ricco di meriti, fu chiamato da Dio a ricevere il premio delle sue
incomparabili virtù nel dì 27 di settembre, compianto e desiderato da
tutti, e onorato col glorioso titolo di padre de' poveri.
Entrati i cardinali nel conclave, diedero principio ai lor congressi,
e alle consuete fazioni, per provvedere la Chiesa di un novello
pontefice, desiderosi nello stesso tempo di accordare col maggior bene
del cristianesimo anche i proprii interessi. Non mancavano porporati
degnissimi del sommo sacerdozio; e pure continuava la discordia fra
loro, quando giunse il corriere colla nuova del defunto re Cattolico.
Si scosse vivamente a questo suono l'animo di chiunque componeva quella
sacra assemblea; e di tale occasione appunto si servì il _cardinale
Radulovic_ da Chieti per rappresentare la necessità di eleggere
senza maggior dimora un piloto atto a ben reggere la navicella di
Pietro, giacchè si preparava una fiera tempesta a tutta l'Europa,
e massimamente all'Italia; e dovea la santa Sede studiarsi a tutta
possa di divertire, se fosse possibile, il temporal minaccioso; e non
potendo, almeno vegliare, perchè non ne patisse detrimento la fede
cattolica. Commossi da questo dire i padri, non tardarono a convenire
coi loro voti in chi punto non desiderava, e molto meno aspettava il
sommo pontificato. Questo fu il cardinale _Gian-Francesco Albani_
da Urbino, alla cui elezione quantunque si opponesse l'età di soli
cinquantun anni, sempre mal veduta dai cardinali vecchi, e in oltre la
moltiplicità dei parenti; pure niun di questi riflessi potè frastornare
il disegno di quei porporati, perchè troppo bel complesso di doti
e virtù concorreva in questo soggetto, sì per l'integrità de' suoi
costumi e per l'elevatezza della sua mente, come per la letteratura,
per la pratica degli affari, e per l'affabilità e cortesia con cui
avea sempre saputo comperarsi la stima e l'amore d'ognuno. Spiegata
a lui l'intenzione de' sacri elettori, proruppe egli in iscuse della
sua inabilità, in lagrime; e in una non affettata ripugnanza a questo
peso, come presago dei travagli che poi gli accaddero; e insistendo
perciò che in tempi sì pericolosi e scabrosi si dovea provveder la
Chiesa di Dio di più sperto e forte rettore. Che parlasse di cuore, i
fatti lo dimostrarono, avendo egli combattuto per tre giorni a prestar
l'assenso: il che non fa chi aspira al triregno per timore che nella
dilazione si cangi pensiero. Nè arrivò ad accettare, se prima non fu
convinto dai teologi, i quali sostennero, lui tenuto ad accomodarsi
alla voce di Dio, espressa nel consenso degli elettori, e se prima
non fu certificato non essere contraria alla esaltazione sua la corte
di Francia. A questo fine convenne aspettar le risposte del _principe
di Monaco_ ambasciatore del re Cristianissimo, che s'era ritirato da
Roma su quel di Siena, perchè i cardinali capi d'ordine non aveano
voluto lasciar impunita una prepotenza usata dal principe Guido Vaini,
pretendente franchigia nel suo palazzo, per essere stato onorato
dell'insigne ordine dello Spirito Santo. Restò dunque concordemente
eletto in sommo pontefice il cardinale Albani nel dì 23 di novembre,
festa di san Clemente papa e martire, da cui prese egli motivo di
assumere il nome di _Clemente XI_. Straordinario fu il giubilo in
Roma per sì fatta elezione, perchè allevato l'Albani in quella città,
ed amato da ognuno, prometteva un glorioso pontificato; e ognuno si
figurava di avere a partecipar delle rugiade della sua beneficenza.


Anno di CRISTO MDCCI. Indizione IX.
CLEMENTE XI papa 2.
LEOPOLDO imperadore 44.

Non sì tosto fu assiso sulla cattedra di San Pietro _Clemente XI_,
che diede a conoscere quanto saggiamente avessero operato i sacri
elettori in confidare a lui il governo della Chiesa di Dio e dello
Stato ecclesiastico. Mirava già egli in aria il fiero temporale che
minacciava l'Europa, e siccome padre comune mise immediatamente in moto
tutto il suo zelo e la singolar sua eloquenza per esortar i potentati
cristiani ad ascoltar trattati di pace prima di venire alle armi. A
questo oggetto spedì brevi caldissimi, fece parlare i suoi ministri
alle corti, esibì la mediazione sua, e quella eziandio della repubblica
veneta. Predicò egli a' sordi; e tuttochè l'imperadore inclinasse a
dar orecchio a proposizioni d'accordo, non si trovò già la medesima
disposizione in chi possedeva tutto, e nè pure un briciolo ne volea
rilasciare ad altri. Grande istanza fecero i ministri del nuovo re
di Spagna _Filippo V_, secondati da quei del re Cristianissimo _Luigi
XIV_, per ottenere l'investitura dei regni di Napoli e Sicilia, siccome
feudi della santa romana Chiesa. Fu messo in consulta co' più saggi
dei cardinali questo scabroso punto; e perciocchè una pari richiesta
veniva fatta dall'imperadore _Leopoldo_, a tenore delle sue pretensioni
e ragioni: il santo padre, per non pregiudicare al diritto di alcuna
delle parti, sospese il giudizio suo; e per quante doglianze e minaccie
impiegassero Franzesi e Spagnuoli, non si lasciò punto smuovere dal
proponimento suo. Diedero intanto principio gl'imperiali alla battaglia
con dei manifesti, ne' quali esposero le ragioni dell'augusta famiglia
sopra i regni di Spagna, allegando i testamenti di que' monarchi in
favore degli Austriaci di Germania, e le solenni rinunzie fatte dalle
due infante _Anna_ e _Maria Teresa_, regine di Francia. Fu a questi
dall'altra parte risposto, aver da prevalere agli altri testamenti
l'ultima volontà del regnante re _Carlo II_, nè doversi attendere
le rinunzie suddette; non potendo le madri privar del loro gius i
figliuoli: pretensione che strana sembrò a molti, non potendosi più
fidare in avvenire d'atti somiglianti, e restando con ciò illusorii i
patti e i giuramenti. Ma non s'è forse mai veduto che le carte decidano
le liti de' principi, se non allorchè loro mancano forze ed armi per