Annali d'Italia, vol. 7 - 04

poco si stette a conoscere mandato a cagionar dei garbugli, avendo egli
cominciato a proteggere i delinquenti, e a defraudar le gabelle (benchè
assegnato a lui fosse un regalo annuo di mille e cinquecento pezze per
sicurezza della dogana) e a far portare armi a' suoi dipendenti, che
impunemente ogni dì facevano delle insolenze. Ma, per venire al punto
principale, la corte di Francia, che prima coll'esempio d'Algeri, ed
ora con quel di Genova, voleva imprimere in chicchessia il terrore
della sua potenza, spedì con una flotta il _signor di Segnelay_,
figlio del celebre _signor di Colbert_, mancato di vita nel precedente
anno, che, presentatosi nel dì 17 di maggio sotto Genova, intimò alla
repubblica la disgrazia e i risentimenti del re, se immediatamente non
gli consegnavano i fusti delle quattro nuove galee, e non inviavano al
re quattro consiglieri a chiedere perdono, e ad assicurare la maestà
sua della loro intera sommessione agli ordini suoi. Perchè non si
vide pronta ubbidienza a questa intimazione, cominciarono le palandre
franzesi nel seguente giorno a flagellar quella bellissima città
colle bombe. Sino al dì 28 del mese suddetto seguitò quell'infernale
pioggia; nel qual tempo fecero i Franzesi anche uno sbarco di gente in
terra, sperando forse in quella costernazione della città di potervi
mettere il piede. Ma i Genovesi rinforzati da varii corpi di truppe
regolate che loro inviò il governatore di Milano, ed animati dall'amor
della patria e della libertà, renderono inutile ogni altro sforzo de'
nemici, i quali nel suddetto dì 28 fecero vela verso la Provenza, e
passarono dipoi ad esercitare la loro bravura contra degli Spagnuoli
in Catalogna. Gravissimi furono i danni recati alla città di Genova
e a San Pier d'Arena, per essere rimaste incendiate e diroccate varie
chiese, palazzi, monisteri e case; ma non sì grande fu quell'eccidio
come la fama lo decantò. E intanto ben molto soffrì nel suo materiale
e nello scompiglio del popolo quella repubblica, ma intatta seppe essa
conservare la gemma della sua sovranità. Qual fine poi avesse questa
tragedia, detestata da chiunque senza parzialità pesava le cose, lo
diremo all'anno seguente.
Compiè la carriera del suo vivere nel dì 15 di gennaio dell'anno
presente _Luigi Contarino_ doge di Venezia, a cui, nel dì 25 di esso
mese, fu sostituito _Marco Antonio Giustiniano_. Passavano in questi
tempi controversie fra _papa Innocenzo XI e la repubblica veneta_,
perchè, non volendo più soffrire il pontefice i tanti disordini che si
sovente accadevano in Roma per le franchigie pretese dagli ambasciatori
delle corone, avea dichiarato a tutti di voler libero il corso della
giustizia contra dei malviventi e di chi facea contrabbandi. Per
questa contrarietà aveano i Veneziani richiamato il loro ministro,
ed altrettanto avea fatto il papa per conto del suo nunzio, che si
ritirò da Venezia a Milano patria sua. Contuttociò il buon pontefice,
in cui prevaleva ad ogni altro riguardo il zelo della religione e il
bene della cristianità, con sommo vigore si adoperò per unire in lega
contro il nemico comune l'_imperadore Leopoldo, Giovanni Sobieschi re
di Polonia_ e la _veneta repubblica_. Restò conchiusa questa alleanza
nel dì 5 di marzo dell'anno presente. Quanto al re polacco, gli riuscì
di ricuperare la città di Coccino, ma senza poter fare altra impresa
di considerazione. Nè pur si mostrò molto favorevole alle armi cesaree
la fortuna in quest'anno. S'era determinato nel consiglio di guerra
d'imprender l'assedio della regale città di Buda. A questo fine,
essendo uscito in campagna il _duca Carlo di Loren_a, prima s'impadronì
di Vicegrado, poscia mise in isconfitta il bassà di Buda, uscito per
contrastargli il passo; e dopo aver presa Vaccia, e forzati i Turchi
a ritirarsi da Pest, valicò sopra più ponti il Danubio, e nel dì 14 di
luglio mise l'assedio a Buda. Tentò più d'una volta il saraschiere di
dar soccorso all'assediata città, ma sempre fu respinto; anzi nel dì 25
di luglio uscito dalle trincee esso duca di Lorena col _principe Luigi
di Baden_, col generale _conte Caprara Bolognese_, e la maggior parte
della sua armata, andò ad assalir quella del saraschiere suddetto, e le
diede una rotta con istrage e prigionia di molti Turchi, ed acquistò
di molte bandiere ed artiglierie. Nel dì 9 di settembre arrivò anche
l'_elettor di Baviera_ sotto Buda, il cui assedio ostinatamente fu
proseguito sino al fine d'ottobre; ma sostenuto con estremo vigore
dagl'infedeli, che fecero continue sortite, e lavorarono forte
di mine e contramine. Intanto per la perdita di molta gente negli
assalti, e più per le malattie, essendo scemata assaissimo l'armata
cesarea, si vide sul principio di novembre forzata a ritirarsi da
quell'assedio, e a cercare riposo nei quartieri d'inverno. Si stese
all'incontro la benedizione di Dio nell'anno presente sull'armi
venete. S'era fortunatamente ritiralo da Costantinopoli il bailo di
quella repubblica, travestito da marinaro, ed ella avea fatto un bel
preparamento di milizie e navi, con eleggere capitan general _Francesco
Morosino_, già celebre per molte sue segnalate precedenti azioni. Il
pontefice _Innocenzo XI_ somministrò quel danaro che potè in aiuto dei
Veneti, e non solamente spedì ad unirsi colla lor flotta cinque sue
galee, ma sette ancora di Malta, e ne ottenne quattro altre da Cosimo
III gran duca di Toscana. La prima fortunata impresa che fecero i
Veneziani, fu quella dell'isola di Leucate, dove, nel dì 6 d'agosto,
s'impadronirono dell'importante fortezza di Santa Maura, e poscia di
Vonizza, Seromero ed altri luoghi. Di là passarono ad assediare l'altra
non men gagliarda fortezza della Prevesa, che costrinsero alla resa.
Nello stesso tempo anche i Morlacchi occuparono Duare in Dalmazia. Con
questo bel principio si dispose la repubblica a cose maggiori.


Anno di CRISTO MDCLXXXV. Indiz. VIII.
INNOCENZO XI papa 10.
LEOPOLDO imperadore 28.

Nel dì 16 di febbraio del presente anno per colpo di apoplessia mancò
di vita _Carlo II re_ d'Inghilterra; e morì, secondochè han creduto non
pochi storici, nella comunion della Chiesa e religion cattolica. A lui
succedette Giacomo II suo fratello, professore anch'egli, e pubblico,
della stessa religione. Si diferì poi la coronazione del novello re,
e di _Maria Beatrice d'Este_ sua consorte fino al dì 3 di maggio; e
questa fu celebrata con incredibil solennità e pompa. Al mirare sul
trono della Gran Bretagna un re cattolico, si dilatò l'allegrezza in
tutte le provincie del cattolicismo per la conceputa speranza di veder
cessare il funestissimo scisma di quel fiorito regno, e riunita un dì
alla Chiesa sua vera madre quella potente nazione. Ribellaronsi al
re Giacomo i conti d'Argile e il duca di Montmouth, figlio bastardo
del re defunto; ma egli ebbe la fortuna di atterrarli amendue e di
assodarsi sul trono. In quest'anno il _re Luigi XIV_ prese a gastigar
l'insolenza de' corsari tripolini con ispedire il _maresciallo d'Etrè_
alla lor città, il quale così ben regalò di bombe quel popolo, che
l'astrinse, nel dì 29 di giugno, a chiedere misericordia, a restituir
tutti gli schiavi franzesi, e a pagar per emenda di tante prede da lor
fatte cinquecento mila lire di Francia. Riportò il plauso d'ognuno
questo gastigo, perchè troppo meritato da que' ladroni infedeli. Ma
restò all'incontro disapprovato il rigore con cui quel monarca diede
la pace alla repubblica di Genova con una capitolazione sottoscritta in
Versaglies nel dì 22 di febbraio, per la quale fu obbligato quel doge,
cioè _Francesco Maria Imperiali_, con quattro senatori a portarsi in
Francia ai piedi del re per attestare alla maestà sua il dispiacere
di avere incontrata la sua indignazione. Furono anche obbligati i
Genovesi a disarmar le quattro nuove galee, a dar congedo alle milizie
spagnuole, e a rifare i danni cagionati dalle bombe franzesi a tutte
le chiese e luoghi sacri della lor città. Per tale aggiustamento s'era
adoperato vivamente il nunzio pontifizio _Ranucci_ d'ordine del sommo
pontefice, e perciò alla medesima santità sua fu rimesso il lassare
il pagamento intimato alla repubblica pel suddetto risarcimento.
Obbligò eziandio esso re, nel dì 30 d'agosto, i corsari tunisini alla
restituzion degli schiavi franzesi, con altre condizioni vantaggiose
alla Francia, anzi a qualunque cristiano che navigasse sotto la
bandiera franzese. Ma quel che fece maggiormente risonare il nome del
Cristianissimo monarca, fu l'editto da lui pubblicato nell'ottobre
di quest'anno con cui rivocò ed annullò l'editto di Nantes del 1598,
vietando in avvenire ne' suoi regni l'esercizio della setta calviniana.
Che lamenti, che esagerazioni facesse tutto il partito de' protestanti
per questa risoluzione del re Cristianissimo, non si potrebbe esporre
se non con assaissime parole. Declamarono essi sopra tutto contro
alcuni eccessi commessi nella conversion di quegli ugonotti, che o non
vollero o non poterono uscir di Francia. Rumoreggiarono altri contro
la poca economia del re, il quale lasciò partir dai suoi regni tante
migliaia di famiglie eretiche, e con esso loro tanti milioni d'oro, e
tanti artisti che andarono ad arricchir paesi stranieri. Ma il re volle
preferire al proprio interesse il ben della sua monarchia, la quale,
per gli esempli passati, non si trovava mai sicura, nutrendo nel seno
gente di religion diversa; che non cessava di tentar di nuocere, e
teneva sempre in sospetto la corona. In somma presso i cattolici sì pia
e generosa azione di _Luigi XIV_ tale fu, che basterà sempre a rendere
glorioso ed immortale il suo nome.
Nella campagna dell'anno presente fu risoluto dall'esercito cesareo,
comandato da _Carlo duca di Lorena_, di formar l'assedio di Neukaisel,
una delle piazze più forti che possedesse l'ottomana potenza
nell'Ungheria. A dì 7 di luglio si diede principio alle ostilità contra
di quella piazza. A questo avviso il saraschiere, forte di sessanta
mila persone si portò a Vicegrado e se ne impossessò, e passò poi a
stringere d'assedio la città di Strigonia. Allora il duca di Lorena,
lasciato il generale _conte Enea Caprara_ sotto Neukaisel, preso il
meglio dell'esercito cristiano, andò per affrontarsi col saraschiere.
Costui, ritiratosi da Strigonia, non voleva il giuoco; tanto fece
il duca, che il tirò a battaglia, e lo sconfisse con acquisto de'
padiglioni e di molte artiglierie, bandiere e munizioni. Animati
da questo buon successo i cristiani, giacchè era fatta la breccia a
Neukaisel, nè a tempo i Turchi presero la risoluzione di rendersi,
v'entrarono a forza, e tagliarono a pezzi tutto quel presidio.
Impadronissi dipoi il maresciallo Caprara di Eperies, Tokai e Kalò; e
venne all'ubbidienza sua anche la città di Cassovia. Così ai generali
_Mercy_ ed _Heisler_ riuscì di prendere la fortezza di Zolnoch, e
di disfare il ponte d'Essech. Altre prosperose azioni si fecero in
Bossina e Corbavia dall'armi cristiane. A queste imprese concorsero
ancora da Parigi i _principi di Contì_ e di _Roccasurion_ fratelli,
e il _principe di Turrena_, con lasciar ivi non pochi segni della lor
intrepidezza. Quanto a' Veneziani, inferiore non fu la felicità delle
lor armi sotto il comando di _Francesco Morosino_ capitan generale.
Nelle loro armate generale della fanteria era il _principe Alessandro_
fratello di _Ranuccio II_ duca di Parma. Militava parimente il
_principe Massimiliano di Brunwsich_ alla testa d'alcuni reggimenti del
duca suo padre. Tra molti volontarii si contò anche _Filippo principe
di Savoia_. Vi spedì _papa Innocenzo XI_ le sue cinque galee, otto ne
inviò la _religion di Malta_, e quattro il _gran duca_ di Toscana.
Rivoltesi pertanto le mire dei Veneziani al Peloponneso, che oggidì
porta il nome di Morea, passarono all'assedio della città di Corone.
Non solamente gran resistenza fecero Turchi e Greci abitanti in quella
città, ma forza fu di combattere più fiate con un esercito turchesco,
che nelle vicinanze trincierato andava tentando di soccorrere la
piazza. A costoro fu data una rotta nel dì 7 di agosto: il che fatto,
più coraggiosamente si continuarono gli approcci e le offese contra
di Corone. L'ostinazion de' difensori giunse a tanto, che i cristiani
a viva forza sboccarono nella città, mettendo a fil di spada quanti
incontrarono, e poscia a sacco tutte le abitazioni. Vi si trovarono
cento ventotto pezzi di cannone, tra i quali ottantasei di bronzo, con
abbondanti munizioni da bocca e da guerra. Rinforzata di poi l'armata
veneta da tre mila Sassoni, prese Zernata, e poi Calamata, Chiefalà,
Gomenizze ed altri luoghi. Con tali felici avvenimenti, che sparsero il
giubilo per tutte le contrade d'Italia, ebbe fine la presente campagna.


Anno di CRISTO MDCLXXXVI. Indiz. IX.
INNOCENZO XI papa 11.
LEOPOLDO imperadore 29.

Si moltiplicarono in quest'anno le allegrezze per tutta l'Italia a
cagion dei continuati progressi dell'armi cristiane, tanto cesaree
che venete contro il comune nemico. Città italiana non c'era, dove
giugnendo di mano in mano le felici nuove di questi avvenimenti, non
si facessero falò ed innumerabili fuochi di gioia, con giubilo de'
popoli, i quali non d'altro parlavano che di Turchi sconfitti e di
città conquistate. Allora fu che il nome dell'imperadore ricuperò
ancora in Italia il genio e l'amore dei più delle persone. Diede
principio alle militari azioni degl'imperiali il _generale conte
Mercy_, con rompere i Turchi e Tartari nei contorni di Seghedino. Il
generale _Antonio Caraffa_ s'impadronì del castello di San Giobbe.
Tanta era la fiducia del prode duca di Lorena, che fu risoluto di
nuovo l'assedio di Buda. Colà passato l'esercito, trovò abbandonata
la picciola città di Pest, e dopo aver valicato il Danubio sopra un
ponte, cinse d'intorno quella città capitale dell'Ungheria. Trovata
poca resistenza nella città bassa, tutte le forze si rivolsero contro
il fortissimo secondo recinto. Carcasse, bombe, artiglierie faceano un
orrido fuoco; erano frequenti e vigorose le sortite dei nemici, ora
contro i Brandeburghesi e cesarei, ed ora contro i Bavari comandati
dal loro elettore, con felice o pur con infelice riuscita. Si venne a
più assalti, che costarono gran sangue, più sempre agli assalitori che
agli assaliti. Aveano già i cristiani preso posto nel terzo recinto,
quando si avvicinò il primo visire con un'armata di circa sessanta mila
combattenti, voglioso di dar soccorso alla piazza. Fece costui molti
tentativi, sacrificò anche della gente, e gli riuscì di far entrare
alcune centinaia di fanti nella piazza; ma i cristiani per questo non
rallentarono punto le offese. Uscì il duca di Lorena delle trincee
con animo di far giornata col Barbaro, il quale giudicò meglio di
ritirarsi; e però nel felicissimo dì 2 di settembre, dato un generale
furioso assalto, colla forza entrarono i valorosi cristiani nell'ultimo
recinto, e tutta restò in lor potere quella regal città. Grande fu
la strage dei musulmani, a cui tenne dietro il saccheggio dato dalle
avide milizie vincitrici. Ritrovaronsi nella città e castello almen
trecento cannoni di bronzo, sessanta mortari, oltre ad una gran copia
di attrezzi militari. Vi si trovò anche non lieve parte della suntuosa
biblioteca, già ivi formata dal re _Mattia Corvino_, i cui manoscritti
passarono di poi all'augusta libreria di Vienna. Che strepito facesse
sì glorioso acquisto, non si può abbastanza esprimere. Parve che
Dio avesse rivelato questo fortunatissimo giorno al santo pontefice
_Innocenzo XI_, perchè egli nello stesso dì rallegrò infinitamente
Roma colla tanto differita e tanto sospirata promozione di ventisette
cardinali. Nel dì 9 del suddetto mese giunse a Roma il corriere con
sì lieta nuova; e però nel dì 12 col suono di tutte le campane, colla
salva di tutte le artiglierie, con fuochi innumerabili di gioia, e
poscia con solenne messa si celebrò il rendimento di grazie a Dio.
Continuarono dipoi gran tempo ancora cotali allegrezze, non sapendo
il popolo romano far fine al giubilo. Altrettanto ancora avvenne
in assaissime altre città. Nè qui si fermò il corso delle vittorie
cesaree. Venne sottomessa dal generale conte _Federigo Veterani_ la
ricca e mercantile città di Seghedino sul Tibisco. Occupò il _principe
Luigi di Baden_ Cinque Chiese, Siclos e Dardo al Dravo. In somma non
v'era settimana che non portasse qualche nuovo motivo di letizia agli
amatori del nome cristiano.
Veniva poi questa mirabilmente accresciuta da altri felici
progressi delle armi venete in Levante. Erasi il capitan bassà nella
primavera presentato sotto Chiefalà nella Morea con forte speranza
di ricuperarla. Arrivò a tempo il capitan generale Morosini; ma
quando si credea di dover cacciare colla forza que' Barbari dal loro
accampamento, trovò che col benefizio della notte se n'erano fuggiti
lasciando indietro l'artiglierie. Avea la repubblica eletto per
primario generale delle sue armate di terra il _conte Ottone Guglielmo
di Konigsmarch_ Svezzese; e dopo aver presa i generali la risoluzione
di passar contra di Navarino, a quelle spiagge approdarono nel sacro dì
della Pentecoste. Due sono i Navarini cioè il vecchio e il nuovo. Il
primo non volle liti, e con buoni patti immantenente si arrendè; però
passò il campo intorno al nuovo, piazza assai forte, contro la quale si
diede principio a un terribil fuoco di bombe e artiglierie. Avvicinossi
il saraschiere con un corpo d'armata per tentare il soccorso. Usciti
i cristiani, con tal bravura andarono a trovarlo, che il costrinsero
a prendere la fuga, lasciando indietro cinquecento padiglioni, fra'
quali il suo composto di sette cupole e varie stanze, che occupava
trecento passi di giro. A questa vittoria tenne dietro la resa di
Navarino. Di là senza perdere tempo si voltarono i Veneti addosso alla
città di Modone, che non fece lunga difesa. Quindi impresero l'assedio
di Napoli di Romania, dove si trovò gran resistenza. In que' contorni
allora comparve il saraschiere; ma non gli diedero tempo i cristiani
di afforzarsi; perciocchè, iti a trovarlo, fecero di nuovo menar
le gambe alla sua gente; dopo di che s'impadronirono ancora d'Argo,
abbandonata da' Turchi. Perduta la speranza del soccorso, anche Napoli
capitolò la resa. Oltre a ciò, Arcadia e Termis vennero all'ubbidienza
della repubblica. Restò anche espugnata in Dalmazia la considerabil
fortezza di Sign dal generale Cornaro nel mese di ottobre. Per questi
avanzamenti delle cristiane armate giubilava il pontefice _Innocenzo
XI_, sviscerandosi intanto per inviar quanti mai potea soccorsi di
danaro all'imperadore Veneziani e Polacchi, tuttochè questi ultimi
nulla di rilevante operassero contra del comune nemico.
Un'altra singolar consolazione provò il santo padre e Roma tutta per
l'arrivo colà nel precedente anno del _conte di Castelmene_, spedito
ambasciatore da _Jacopo II re_ cattolico della Gran Bretagna alla santa
Sede. Un'ambascieria tale, dopo quasi un secolo e mezzo di disunione
di quella nazion potente, veniva considerata da tutto il cattolicismo
come un grandioso regalo della divina provvidenza, se non che quel
ministro procrastinava il mettersi in pubblico. Parimente nel dì 9
di aprile di quest'anno comparve a Roma _Ferdinando Carlo duca_ di
Mantova, i cui lunghi colloquii col papa diedero non poca gelosia ai
Franzesi, che erano in rotta colla santità sua. Colà poscia pervenne
ancora nel novembre di quest'anno _Francesco II duca_ di Modena
coll'accompagnamento di molta nobiltà e famiglia, per visitare la
_duchessa Laura_ madre sua e della regina d'Inghilterra, che tornata a
quell'augusta città, avea quivi fissata l'abitazione sua. Ancorchè il
santo padre, per cagion della podagra che il tenea per lo più confinato
in letto, desse poche udienze, pure ne diede una di quattro ore a
questo principe, compartendogli ogni possibil onore e dimostrazione di
amore e di stima. Passò dipoi esso duca per sua ricreazione anche alla
gran città di Napoli, dove il _marchese del Carpio_ vicerè sorpassò
l'espettazione d'ognuno nelle tante finezze che praticò con questo sì
illustre pellegrino. Un solo intrico era quello che teneva in grave
agitazione l'animo del buon pontefice Innocenzo. Era mancato di vita
nel precedente anno il cattolico _Carlo conte palatino_, ed elettore
del Reno, senza succession maschile; e ne' suoi Stati, per dritto
proprio, e in vigore ancora del suo testamento, era succeduto il
duca di Neoburgo _Filippo Guglielmo_, fratello di _Leonora Maddalena_
moglie augusta dell'_imperador Leopoldo_. Mosse tosto pretensioni sopra
l'eredità del defunto elettore la _duchessa d'Orleans Elisabetta_,
sua sorella, tenendosi ella chiamata a quegli Stati, o almeno a tutti
i beni allodiali: laddove il duca di Neoburgo sosteneva il suo punto
colle leggi dell'imperio, esclusive nelle femmine, e col testamento
suddetto. Non fu pigro a prendere la protezion della cognata il _re
Lodovico XIV_, e fin d'allora si cominciò a prevedere inevitabile una
guerra a cagion di questo emergente. Contuttociò il re Cristianissimo
con rara moderazione consentì di rimettere tal pendenza alla decisione
del regnante pontefice; ma, questi dopo aver fatto esaminar le
ragioni, sentendo troppo alte le pretensioni delle parti, non osava di
discendere a laudo alcuno, per la chiara conoscenza che disgusterebbe
l'una delle parti, e forse anche amendue. Siccome padre comune, e
sommamente bramoso di conservar la pace fra i principi cristiani,
in tempo spezialmente che procedeva sì felicemente la guerra contra
de' Turchi, forte s'affliggeva per questo litigio, e moveva tutti
i principi, affinchè, interponendo i loro uffizii, non si venisse a
rottura. Dalle premure del re Cristianissimo fu mosso in quest'anno
_Vittorio Amedeo II_ duca di Savoia a pubblicare un editto, per cui
si comandava l'esercizio della sola religion cattolica nelle quattro
valli abitate dai Valdesi, ossia dai Barbetti eretici: editto che niun
buon esito produsse. Portossi dipoi questo sovrano sul fine dell'anno
presente a Venezia, per godervi di quel carnevale, e ricevette da quel
saggio senato tutti i maggiori attestati di stima. I curiosi politici
immaginarono in tale andata non pochi misteri.


Anno di CRISTO MDCLXXXVII. Indiz. X.
INNOCENZO XI papa 12.
LEOPOLDO imperadore 30.

Col taglio di una pericolosa fistola al _re Luigi XIV_ salvò in
quest'anno la vita un valente chirurgo. Avrebbe ognun creduto, che
quel monarca, avvisato con questo malore della fragilità della vita
umana avesse da deporre o almen da moderare la sua fierezza. Ma non
fu così. Anzi più che mai risentito, dopo aver fatto provar la sua
potenza a tanti inferiori, volle anche farla sperimentare a chi meno
egli dovea, cioè all'ottimo pontefice Innocenzo XI. Siccome più volte
abbiam detto, era gran tempo che gli ambasciatori delle teste coronate
si erano messi in possesso delle franchigie in Roma, pretendendo esenti
dalla giustizia ed autorità del pontefice non solamente i lor palagi,
ma anche un'estensione di molte case nei contorni, che servivano di
sicuro ricovero a tutti i malviventi e banditi. Con questi indebiti
asili non si potea nè esercitar la giustizia, nè mantener la pubblica
quiete in quella nobilissima città. Perchè il pontefice avea dichiarato
di non volere riconoscere nè ammettere all'udienza ambasciatore alcuno,
se non rinunziava alla pretension delle franchigie, non si trovava
più in Roma alcun d'essi, a riserva del _duca d'Etrè_ ambasciatore del
re Cristianissimo, in riguardo di cui avea il santo padre promesso di
chiudere gli occhi durante solo la di lui ambasceria. Venne questi a
morte, e il papa ordinò tosto, che i pubblici esecutori liberamente
entrassero nelle strade e case già pretese immuni. Nè pure in Madrid
in questi medesimi tempi si volea più sofferire un somigliante eccesso
degli stranieri ministri. Ma il re Luigi, a cui certo non piaceva
che in Parigi alcun degli ambasciatori facesse in questa maniera da
padrone, era nondimeno intestato che fosse un diritto della sua corona
la franchigia del suo ministro in Roma, la quale, quantunque dovuta
a lui e alla sua famiglia, pure irragionevole cosa era il pretendere
che si avesse a stendere a quella esorbitanza che praticavasi allora
in Roma sotto gli occhi del pontefice sovrano. Ma se Innocenzo XI era
inflessibile su questo punto, con essere anche giunto a pubblicare una
bolla che vietava sotto pena della scomunica le franchigie, anche dal
canto suo Luigi XIV si mostrava costante in voler sostenere sì fatto
abuso; nè per quante ragioni sapesse adurre il _cardinal Ranucci_
nunzio apostolico, si lasciò smuovere da sì ingiusta pretensione.
Ora quel monarca, risoluto di far tremare anche Roma, scelse per suo
ambasciatore _Arrigo Carlo marchese di Lavardino_; e quantunque sapesse
le proteste del papa di non ammetterlo come ambasciatore, qualora non
precedesse la rinunzia delle franchigie, pure lo spedì nel settembre
di quest'anno alla volta di Roma con trecento persone di seguito. Fece
anche imbarcare a Marsiglia e Tolone sino a quattrocento cinquanta
tra uffiziali e guardie, che sul Fiorentino s'unirono col Lavardino.
Con questo accompagnamento, come in ordinanza di battaglia, entrò in
Roma il marchese nel dì 16 di novembre, essendo tutte in armi quelle
centinaia di uffiziali e guardie, e con questo fasto andò egli a
prendere il possesso del palazzo Farnese e di tutti gli adiacenti
quartieri. Fece chiedere udienza al papa, nè la potè ottenere; e
siccome egli pubblicamente contravveniva alla bolla pontifizia, così
tenuto fu per incorso nella scomunica. Cominciò più baldanzosamente
con superbo corteggio di carrozze e di ducento guardie a cavallo, tutti
uffiziali, e ben armati, a passeggiar per Roma. Teneva in oltre nella
piazza del palazzo suddetto trecento guardie a cavallo con ispada
sfoderata in mano, spendendo largamente per cattivarsi il popolo, e
facendo ogni dì conviti e magnificenza in casa sua, ridendosi del papa,
e minacciando trattamenti peggiori contra di lui: azioni tutte che non
si sapeva intendere come si permettessero o volessero da chi si gloria
di essere il primo figlio della Chiesa. Non mancavano persone, che
consigliavano il santo padre di non tollerar questi affronti, e di far
gente per reprimere tanto orgoglio; ma il saggio sofferente pontefice,
risoluto di voler più tosto dimenticarsi di esser principe, come
mansueto pastore non altro rispondeva, se non le parole del salmo: _Hi
in curribus et in equis: Nos autem in nomine Dei nostri invocabimus_.
Certamente fra le glorie di Luigi XIV non si può contare l'aspro
trattamento da lui fatto a _papa Alessandro VII_. Molto meno poi si
potrà lodare il più sonoro praticato coll'ottimo _papa Innocenzo XI_;
perchè ragione non c'è da poter mai giustificare le franchigie, tali
quali s'erano introdotte in Roma, nè la violenza usata dal Lavardino
con evidente ingiuria alla sovranità e all'eccelso grado di chi è
vicario di Cristo. Perchè poi esso Lavardino fece nel dì del Natale
del Signore celebrar messa solenne nella chiesa di San Luigi, e vi
assistè con tutta pompa, si vide sottoposta quella chiesa coi sacerdoti
all'interdetto.
Un altro grave affanno provò in questi tempi il pontefice, per
essersi scoperto in Roma autore di una pestilente setta (appellata
dipoi il _Quietismo_) Michele Molinos prete spagnuolo, che colla sua
ipocrisia s'era tirato addietro una gran copia di seguaci, anche di
alto affare. Lo zelantissimo pontefice, allorchè da saggi e dotti
porporati restò ben informato dei falsi insegnamenti di costui, e delle
perniciose conseguenze della palliata di lui pietà, ne comandò tosto
la carcerazione; e di gran faccende ebbero successivamente i teologi e
il tribunale della santa inquisizione per opprimere ed estirpare questa
mala gramigna, che insensibilmente s'era anche diffusa per altre parti
di Italia. Furono severamente proibiti i libri d'esso Molinos, e con
bolla particolare del sommo pontefice nel dì 28 d'agosto fulminate
sessantotto proposizioni estratte da essi libri. Si proseguì poi con
severità, ma non disgiunta dalla clemenza, il processo contro l'autore
di tal setta, e di chiunque l'avea o imprudentemente o maliziosamente
adottata, di modo che, proseguendo le diligenze, da lì a qualche tempo
se ne smorzò affatto l'incendio, e ne restò la sola memoria del nome.