Annali d'Italia, vol. 7 - 02

gli bastò di desistere dal portarsi all'udienza del papa, ma fece anche
negare dal vicerè di Napoli l'udienza al nunzio apostolico. Cagion fu
questo affronto che dopo essersi accorto il ministro quanta poca forza
avessero le braverie contra di un pontefice, a cui la giustizia dava
coraggio, allorchè in fine per suoi affari fu costretto a chiedere
l'udienza dal pontefice, se la vedesse negata. Necessario dunque
fu che il re Cattolico con sua lettera pregasse il santo padre di
ammetterlo; e così terminò quella pendenza, con restarne maravigliato
più d'uno, avvezzo al mirare quanta altura mostrassero i ministri di
Spagna in Roma, e con qual riguardo procedesse verso di loro la corte
pontificia. Nè si dee tacere che questo santo pontefice non sapea
sofferire che nella sacra corte si vendessero gli uffizii, benchè non
ecclesiastici, perchè o ne risultava danno alla camera, obbligata a
pagare i frutti ai compratori, o poco onore ai papi, che per vendere ad
altri quei medesimi uffizii promovevano compratori talvolta non degni
a cariche più cospicue. Abolì egli dunque in quest'anno il collegio di
ventiquattro segretarii apostolici, con restituir loro il già pagato
danaro. Meditava anche di far cose più grandi, e a questo fine andò poi
raunando grosse somme. Ma sopravvenute col tempo le guerre col Turco,
che l'impoverirono, lasciò la cura di sì bella impresa ad un altro
Innocenzo, che era stato suo mastro di camera, e consapevole delle sue
nobili e sante idee.
Nella Sicilia in quest'anno durarono le ostilità, ma senza fatti che
meritino di passare a notizia dei posteri. Quantunque gli Spagnuoli
soli, rimasti alla difesa di quell'isola, si trovassero assai stanchi,
poca nondimeno era anche la forza dei Franzesi, ai quali scarsamente
vennero soccorsi da Tolone e Marsiglia. Ben si scorgeva non essere
intenzione de' Franzesi di voler fermare il piede in quell'isola,
loro unicamente premendo le terre annesse e confinanti col regno.
Terminò intanto i suoi giorni il _marchese di castel Rodrigo_ vicerè
di Sicilia, e in luogo di lui prese _pro interim_ quel governo il
_cardinale Portocarrero_. Varie prodezze all'incontro furono fatte
in Fiandra e in Germania, dove sommamente prosperarono l'armi del
re Cristianissimo. Riportarono i Franzesi una vittoria a Montcassel
contro il principe d'Oranges nel dì 11 di aprile. S'impadronirono di
Valenciennes, di Cambrai, di Sant'Omer, di Friburgo e di altri luoghi.
Solo contra di tanti collegati il _re Luigi XIV_ facea tremar tutti,
e sempre più andava stendendo i suoi confini. Seguitavano intanto
i ministri e i mediatori in Nimega a trattar di pace; ma perchè,
secondo il costume, ognun la volea a suo modo, niun l'otteneva.
Possenti erano gli uffizii di _papa Innocenzo XI_ per dar fine a tante
turbolenze, e sopra gli altri efficacemente vi si adoperava _Carlo
II_ re d'Inghilterra, il quale, chiarito oramai che le parole erano
bombe vote, si diede a fare un grande armamento che recasse più vigore
alla sua mediazione, minacciando chi ripugnava ad accettar le oneste
condizioni d'un accordo. Ma passò anche l'anno presente senza che i
popoli giugnessero a provar questo bene. Erasi nell'anno addietro,
portata _Laura duchessa_ vedova di Modena ad abitare in Roma, perchè
avendo il giovane _Francesco II_ duca suo figlio prese le redini del
governo, sembrava a lei di non trovar più in Modena le convenienze
sue. Con tante preghiere nondimeno la bersagliò il figlio duca, che
nell'anno presente ella se ne tornò a convivere con lui.


Anno di CRISTO MDCLXXVIII. Indiz. I.
INNOCENZO XI papa 3.
LEOPOLDO imperadore 21.

Continuava il suo soggiorno in Roma la cattolica _regina di Svezia
Cristina_, con far divenire il suo palazzo un'accademia di tutti i
letterati. Ma non poteva ella più reggere al magnifico trattamento
suo fin qui mantenuto, perchè le guerre passate fra i re di Svezia
e Danimarca e l'elettore di Brandeburgo aveano portato non lieve
eccidio alle rendite ch'ella s'era riserbate nella Pomerania. Ebbe
ella ricorso al sommo pontefice, implorando il suo aiuto; nè indarno
l'implorò, perchè il santo padre le fece assegnare una pensione
annua di dodici mila scudi, da pagarsi alla medesima dalla camera
apostolica. L'anno fu questo in cui ebbe fine la ribellion di Messina,
e l'ebbe assai lagrimevole. Trattavasi, come già dicemmo, della
pace in Nimega. S'avvide il re Cristianissimo che gli era forza di
abbandonar la Sicilia: tante premure ne faceano gli Olandesi, non che
gli Spagnuoli. Però volendo risparmiare le tante spese che gli costava
il mantenimento di Messina, città che già s'avea da abbandonare, non
volle aspettare il tempo della pace, ed improvvisamente spedì ordine
al _maresciallo della Fogliada_, il quale era stato spedito colà con
richiamarne il _duca di Vivona_, che immediatamente con tutti i suoi
se ne tornasse in Francia. Dopo avere il maresciallo imbarcata quasi
tutta la sua gente col pretesto di voler fare un'impresa, portò questa
dolorosa nuova al senato, e rimise ai Messinesi le guardie di tutte
le fortezze. Indarno fu pregato di sospendere per un po' di tempo la
sua partenza. Rispose essere così pressanti gli ordini suoi, che gli
conveniva far vela in quel giorno, offerendo nondimeno di ricevere
nelle navi chiunque dei Messinesi volesse far partenza con lui.
Uscito ch'egli fu di quel luogo, furono molti di parere che bisognava
trucidar quanti Franzesi ivi erano, e voltare il cannone contro le lor
navi, e mandarle a fondo. Ma a sì bestial consiglio prevalse quello
dei timidi e saggi. Però ad altro non pensarono i nobili e popolari,
ch'erano stati più caldi nella ribellione, che di sottrarsi all'ira e
vendetta degli Spagnuoli, da loro riguardati come gente implacabile.
Che terribile scena, che compassionevole spettacolo fu mai quello! che
urli, che singhiozzi, che lagrime! Ben sette mila persone andarono per
imbarcarsi con somma fretta, perchè non più di quattro ore fu loro dato
di tempo. Chi lasciava moglie e figliuoli indietro, chi seco menava
la famiglia tutta, portando quel poco di meglio che poteva, ed altri
nulla prendendo: tanta era la loro ansietà d'imbarcarsi. Infatti due
mila, gridando invano misericordia, ne restarono in terra, perchè il
maresciallo, per timore di troppo carico fece sciogliere le vele, e se
ne andò.
Ciò fatto, quella città che prima avea da sessanta mila abitanti,
a ragion dei già morti nella difesa, o allora fuggitivi verso la
Francia, o precedentemente ricoveratisi altrove, ridotta a sole undici
mila persone, trovando sprovvedute di ogni munizion le fortezze, e sè
stessa impotente a poter resistere, spedì deputati al governator di
Reggio, pregandolo di venire a prenderne il possesso. V'andò egli, nè
molto stettero a giugnere colà da Melazzo i duchi di Bornonville e di
Conzano colle regie milizie, ai quali furono consegnate le fortezze.
Sopraggiunse dipoi anche il nuovo vicerè _don Vincenzo Gonzaga_,
che rallegrò l'infelice popolo con pubblicare un perdon generale
finchè venissero gli ordini della corte di Madrid. Vennero questi,
e pieni di fierezza. Cioè furono confiscati i beni di chiunque era
fuggito; privata d'ogni privilegio la città, distrutte case, piantate
memorie infami della ribellione; bandito chiunque avea cariche dai
Franzesi, con altri rigori che io tralascio: tali certamente che
quella illustre città per gran tempo rimase uno scheletro, nè mai
più ha potuto rimettere le penne, perchè circa trenta mila Messinesi
passati ad abitare in Palermo, e quivi abituati, non vollero più
mutar soggiorno. E tuttochè la benignità del regnante ora _Carlo re_
di Sicilia, compassionando lo stato di sì bella città, abbia slargata
la mano in beneficarla, difficil cosa è che mai torni al suo antico
splendore, e massimamente dacchè è rimasta affatto spopolata di
nuovo per l'ultima peste. Ora non si può dire in quante ingiurie e
villanie prorompessero i Messinesi contro la nazion franzese e contra
del _re Luigi XIV_, chiamandolo dappertutto ad alte voci un principe
senza fede, un traditore, un mostro d'inganni, e che niun più in
avvenire avea da fidarsi di promesse franzesi, per aver egli lasciato
quel popolo in preda all'indiscrezione e vendetta degli Spagnuoli,
senza procurar loro, o almen permettere, che gli stessi Messinesi si
procacciassero prima qualche indulgenza e miglior condizione dal re
Cattolico. Nè ammettevano per legittima scusa il dirsi da' Franzesi,
avere i Messinesi fatto credere in Francia che dava loro l'animo di far
ribellare Palermo e tutto il regno; perchè somiglianti promesse sapea
ben valutare per quel che pesavano l'accorto gabinetto di Francia; nè
già esso si mosse per questo ad abbracciar la difesa di Messina, ma sì
bene per valersi di quel troppo credulo popolo a battere gli Spagnuoli,
finchè così portasse il proprio interesse.
Qual poi fosse il fine dei poveri Messinesi condotti in Francia,
eccolo. Furono dispersi per varie città, e mantenuti per un anno e
mezzo alle spese del re; poscia obbligati sotto pena della vita ad
uscire di quel regno con tanto danaro da far viaggio fino ai confini.
Laonde si ridussero anche persone nobili a mendicare il vitto;
altri divennero banditi, cioè assassini di strada; e circa mille
e cinquecento dei più disperati passarono in Turchia, e rinegarono
la fede: Più di cinquecento altri con passaporti degli ambasciatori
spagnuoli se ne ritornarono alla patria, credendosi ben in sella; ma,
a riserva di quattro, gli altri dal vicerè _marchese de las Navas_
furono condannati alla forca od al remo. Se poi fosse più lodevole
ed utile sì gran rigore, oppure qualche misura di clemenza verso un
popolo che s'era punito da sè stesso, lo deciderà chi ha più senno
di me. Erano tuttavia in piedi i trattati di pace nel congresso di
Nimega, quando il _re Luigi XIV_, per migliorar le sue condizioni,
andò nel furore del verno a impadronirsi di Gante e d'Ipri. Poi si
diede a maneggiar con tante arti gli spiriti olandesi, adescandoli
specialmente colla restituzione dell'importante piazza di Mastrich, e
con altri vantaggi che li ridusse a far seco una pace particolare, la
quale fu stipulata nel dì 10 di agosto. Curiosa cosa fu il vedere che
_Guglielmo principe d'Oranges_ fingendo di nulla saper di quella pace,
o sapendolo, per altri suoi motivi andò all'improvviso ad assalire
l'armata franzese comandata dal _duca di Lucemburgo_, che allora
assediava la città di Mons. Restò indecisa la vittoria; ma gran sangue
costò all'una parte e all'altra il combattimento. Allora fu che gli
Spagnuoli furono forzati a dar mano alla pace, riuscita ben diversa
dalle precedenti lor lusinghiere speranze; perciocchè in mano del re
Cristianissimo restarono la Franca Contea, Valenciennes, Bouchain,
Condè, Ipri, Santo Omer, Cambrai ed altri luoghi. Le altre terre
conquistate tornarono alla Spagna. Fu sottoscritta questa pace nel dì
17 di settembre in Nimega; e se riuscisse disgustosa agli Spagnuoli,
non occorre a me di dirlo. Non si pose per questo fine alla guerra
dell'imperadore e di altri collegati contro la Francia; ma dappoichè
era riuscito ai Franzesi di staccar dalla lega Olandesi e Spagnuoli,
eglino maggiormente alzarono la testa, e non poco si pensò ad ottenere
una sospension d'armi, tanto che si trovasse maniera di condurre anche
questi altri ad una intera pace.


Anno di CRISTO MDCLXXIX. Indizione II.
INNOCENZO XI papa 4.
LEOPOLDO imperadore 22.

Trionfò maggiormente in quest'anno _Luigi XIV re_ Cristianissimo con
dar la pace al resto de' principi già confederati contra di lui, e con
darla da vincitore, cioè colle condizioni che a lui piacquero, e che
gli altri furono necessitati ad accettare; giacchè scorgevano mancar
loro la forze per continuar la guerra soli contra di un re a cui tutta
la dianzi gran lega non avea potuto resistere. Però l'_imperadore
Leopoldo_ nel dì 5 di febbraio per mezzo de' suoi plenipotenziarii in
Nimega stabilì pace con esso re di Francia, cedendo a lui Friburgo,
e ritenendo in suo potere Filisburgo. Sì dura legge fu ivi prescritta
a _Carlo duca_ di Lorena, tuttochè marito della fu regina di Polonia,
sorella d'esso Augusto, ch'egli amò meglio di nulla ottenere per essa
pace, che di far qualche guadagno con approvarla. Di grandi proteste
furono anche fatte contra d'essa pace da altri sovrani, delle quali
si può credere che ridesse il re di Francia. Seguirono poscia altre
pacificazioni fra esso re Cristianissimo e il _vescovo di Munster_;
fra la corona di Svezia ed esso re di Francia dall'una parte, e il re
di Danimarca e l'elettore di Brandeburgo dall'altra, avendo la potenza
della corte gallica talmente sostenuto gl'interessi dello Svezzese suo
alleato, che gli fece restituire quanti Stati gli erano stati occupati
da' suoi avversarii. In somma non d'altro si trattò in questi tempi
che di posar l'armi, e di far fiorire dappertutto dopo tanti flagelli
d'una pertinace guerra, la sospirata pace. Ma una sorda guerra intanto
si esercitava in Inghilterra contra de' cattolici per una pretesa
cospirazione che da quegli eretici e religionarii si attribuiva a chi
seguitava la credenza della Chiesa romana: tutte cabale per impedire
la succession di quel regno a _Jacopo Stuardo_ cattolico duca di
Yorch, dacchè il _re Carlo II_ suo fratello mancava di legittima
prole. Fu perciò consigliato esso duca di Yorch di ritirarsi fuori del
regno colla duchessa sua consorte _Maria Beatrice d'Este_, finchè si
calmasse la mossa persecuzione contra di loro. Vennero essi all'Haya, e
poscia a Brusselles, dove anche si portò la duchessa vedova di Modena,
_Laura_, per visitar la figlia, ed assisterla nel conflitto di quelle
tribolazioni. Fermossi dipoi essa duchessa di Modena in Brusselles fino
all'anno 1684, per essere più alla portata dei bisogni della suddetta
sua figlia.
Godeva intanto anche l'Italia un'invidiabil quiete, ed attendeva il
sommo pontefice _Innocenzo XI_ alla riforma del clero e de' costumi,
mantenendosi in buona armonia con tutti i potentati. Non mancavano
zelanti che lo spronavano a farsi rendere conto dal _cardinale Altieri_
del maneggio suo nel precedente pontificato, per cui si vociferava
che avesse patito non lieve discapito anche la camera apostolica.
Non vi si potè egli indurre, siccome quegli che non amava, qualora si
scoprissero delle magagne in quel porporato, che queste ridondassero
in discredito del sacro collegio. E però al tribunale di Dio rimise
questo rendimento di conti. Nella corte di Mantova ne' tempi presenti
avea la dissolutezza preso un gran piede. Molto prima d'ora al piissimo
_imperadore Leopoldo_ erano state portate doglianze della poco lodevol
condotta della duchessa vedova _Isabella Chiara di Austria_ sua cugina,
e madre del giovine duca di Mantova _Ferdinando Carlo Gonzaga_. Per
prestarvi rimedio, aveva egli sotto pretesto d'altri affari spedito
a Mantova il conte di Vindisgratz con ordine di prendere segrete
informazioni. Saggiamente eseguì il conte le sue commissioni, ed avea
già concertato di condurre il giovinetto duca e la duchessa a Casale
per visitar quella piazza, e di rompere in tal congiuntura senza rumore
le tresche passate. Ma, scopertosi il segreto disegno, all'improvviso
la duchessa andò a ritirarsi nel monistero di Sant'Orsola, e il conte
Bulgarini prese l'abito di San Domenico; e questo bastò per quetar le
premure della corte cesarea. Già dicemmo presa in moglie dal suddetto
duca Ferdinando Carlo _Isabella Gonzaga_ principessa di Guastalla.
Se ne svaghì egli ben tosto, e diedesi in preda ad altri amori, non
solo illeciti, ma sconvenevoli anche di troppo alla sua dignità: al
qual fine si portava egli di tanto in tanto a Venezia, lasciando ivi
la briglia sul collo alle sensuali sue cupidità, che si veggono anche
descritte in libri stampati. Avvenne che _Ferrante Gonzaga_ duca di
Guastalla suocero suo cessò di vivere, lasciando solamente dopo di sè
due figlie. Per essere marito della primogenita, il duca di Mantova
volò a prendere il possesso di quegli Stati, reclamando indarno _don
Vincenzo Gonzaga_ cugino del defunto duca, ch'era vicerè in questi
tempi di Sicilia, ed ordinariamente abitava nel regno di Napoli, dove
la sua linea godeva i nobili feudi di Melfi e d'Ariano, credendosi egli
chiaramente chiamato dalle investiture cesaree al ducato di Guastalla
coll'esclusion delle femmine. Dispiacque non poco questa occupazione
ai duchi di Modena e di Parma, e fecero de' forti maneggi a Milano e
a Madrid, per sostener le ragioni di don Vincenzo; nè gli Spagnuoli
trascurarono questo emergente sulla speranza d'ingoiar essi Guastalla,
e contentar poscia esso don Vincenzo con altri Stati nel regno
suddetto. Spedirono per questo a Mantova un ministro; ma vi trovarono
orecchie sorde. Cominciarono dunque a rallentar la mano pel pagamento
del presidio di Casale di Monferrato; del che si dolse il duca alle
corti di Vienna e di Madrid. Quindi fu creduto che fin d'allora
cominciasse il duca un monopolio per vendere Casale al re di Francia:
risoluzione eseguita nei seguenti anni, siccome vedremo.


Anno di CRISTO MDCLXXX. Indizione III.
INNOCENZO XI papa 5.
LEOPOLDO imperadore 23.

Tante imprese, tanti acquisti fatti dal _re Luigi XIV_ nelle passate
campagne; lo aver egli data la pace a tanti suoi nemici con tanto
suo vantaggio; ridotta la sua potenza e il suo gabinetto formidabile
ad ognuno; e portata oramai la Francia ad un'altezza tale, che parea
già tendere alla monarchia universale: stupore cagionavano ed encomii
riscuotevano da tutti gli amatori di quella gran monarchia. Nè più
tardarono i suoi popoli ad accordare il glorioso titolo di _Grande_ ad
un re che per tante ragioni ben sel meritava. Ma non mancavano persone
che avrebbono desiderato in quel monarca più giustizia e moderazione,
senza di che non potea mai tenersi per assai limpido e giusto il
titolo suddetto. Bolliva in questi tempi una gran lite tra esso re e la
corte di Roma, per aver egli con suo editto stesa la regalia (cioè il
preteso diritto di disporre delle rendite e de' benefizii delle chiese
vacanti) sopra tutte le chiese di nuova conquista, e sopra altre del
regno che non erano mai state sottoposte a questo peso dalla corona
di Francia. Pretendeva all'incontro il sommo pontefice _Innocenzo
XI_ che questa fosse un'usurpazione manifesta; e tanto più perchè la
stessa regalia, tal quale è di presente, s'è andata fondando a forza
di abusi, e contro le determinazioni degli antichi canoni. Ma il re
Luigi, che stimava aver più forza i suoi cannoni che i sacri canoni,
tenne saldo; ed inviò a Roma nell'anno presente il focoso _cardinal
Etrè_, non già per soddisfare il papa, ma per condurlo ad acquetarsi
al regio volere. Sostennero anche i vescovi di Francia le pretensioni
del re, e scrissero al pontefice con pregarlo di rilasciar su questo
punto il rigore de' canoni, giacchè si trattava d'un re che più
degli altri promoveva i vantaggi della Chiesa cattolica, spezialmente
coll'abbassamento dell'eresia. E ciò scrissero in tempo appunto ch'essi
faceano di molte premure a quel potentissimo re per liberar la Francia
dal peso degli ugonotti, siccome egli fece dipoi. Queste amarezze
fra la corte di Roma ed il re Cristianissimo partorirono, siccome
diremo, degli altri sconcerti che diedero di moleste agitazioni allo
zelantissimo pontefice di questi tempi. Nè si vuole ommettere, che,
quando si credeano per la pace di Nimega poste a dormire le spade, i
fucili e le artiglierie, si risvegliò dalla Francia un'altra specie
di guerra; perchè si sviscerarono gli archivii del parlamento di Metz
e de' vescovi di quella città, e di Tull e Verdun, e della camera di
Brisach, e si fecero muovere infinite pretensioni di feudi e luoghi,
o infeudati o alienati o usurpati anticamente; pretensioni, dico, per
la maggior parte rancide e distrutte dalla prescrizione, ma che in
mano di sì potente re divennero armi di mirabil forza. Se ne dolevano
a più non posso gli Spagnuoli, alcuni elettori ed altri confinanti,
fra' quali anche il re di Svezia pel ducato di Due Ponti; ma conveniva
ad ognuno chinare il capo. Per questa via si mise in possesso il re
di varie piazze e paesi nella diocesi de' suddetti vescovati e nella
bassa Alsazia; e ne patirono forte gli elettori Palatino e di Treveri,
allegando essi indarno le paci precedenti. Giunse in quest'anno esso
re Cristianissimo fino a proporre per re dei Romani il _Delfino_
suo figlio, che ne' tempi presenti sposò la principessa _Maria Anna
Cristina_, sorella del giovine elettor di Baviera.
Accadde nella corte di Savoia, parte nell'anno presente e parte
nel susseguente, un imbroglio ch'io racconterò tutto in un fiato:
imbroglio, dico, di cui non ben si conobbero le circostanze, tale
nondimeno che fece grande strepito nelle corti. Avea fin qui tenuto
il governo di quel ducato madama reale _Maria Giovanna Batista_ di
Nemours, vedova duchessa di Savoia, e fattasi conoscere per una delle
più saggie principesse del secolo suo: tanta era stata la sua prudenza
e giustizia, e tale la sua costanza in non lasciarsi mai smuovere
dall'arti franzesi e spagnuole, per entrare in impegni di guerra.
Essendo già il _duca Vittorio Amedeo_ suo figlio pervenuto alla età di
quindici anni, pensò ella a provvederlo di moglie. E siccome parte per
politica e parte per genio, perchè nata in Francia, si mostrava assai
divota di quella corona, così lasciò regolarsi dalle insinuazioni della
corte di Parigi, per istabilire il maritaggio del figlio coll'_infanta
di Portogallo_, la quale si credea che, per mancanza di maschi, avesse
da ereditar quel regno. Per quante pratiche avesse dianzi fatte il re
Cristianissimo a fine di ottenerla in moglie al Delfino suo figlio,
non potè conseguire l'intento, avendo avuto più forza i maneggi degli
Spagnuoli, ai quali non potea piacere di vedere un giorno unito il
regno di Portogallo col troppo potente di Francia. Studiossi dunque
la corte di Francia di strignere il trattato di matrimonio fra essa
infanta e il giovinetto duca di Savoia, co' fini politici (secondochè
fu creduto) di avere in questo principe, se diveniva re di Portogallo,
chi fosse ben affetto alla corona di Francia, e di promuoverlo anche
al regno di Spagna, qualora il _re Carlo II_ mancasse senza prole: nel
qual caso avrebbe egli facilmente compensata l'assistenza de' Franzesi,
con cedere loro la Navarra, oppure il ducato di Savoia e del Piemonte.
E già erano concluse in Portogallo queste nozze, quando all'improvviso
andò tutto in fascio con istupor della gente il concertato maritaggio.
De' motivi che tagliarono l'ordita tela parlarono molto gli speculatori
de' gabinetti principeschi. Altro non so dir io, se non che i
grandi della Savoia e del Piemonte aspramente si dolevano di questo
trattato, perchè fatto e sottoscritto senza menoma lor participazione
e consenso; e molto più perchè lo consideravano di sommo detrimento a
quegli Stati, tanto in riguardo al pubblico che al privato interesse.
Però animosamente si presentarono alla duchessa, rappresentandole la
dubbiosa eventualità della succession del Portogallo perchè poteano
nascere maschi a quel re, ed erano assai forti le pretensioni del re
di Spagna su quel regno. Aggiugnevano, che dovendosi mantenere il duca
lungi da' suoi Stati, per le grosse somme che annualmente converrebbe
somministrargli, tutti diventerebbero poveri. Peggio dipoi avverrebbe
per quegli Stati, qualora passasse nel duca la corona di Portogallo,
perchè diverrebbero provincie; del che peggio non può avvenire a chi
per sua fortuna ha il principe proprio; e che allora la Savoia e il
Piemonte, oltre alla disgrazia di rimanere spolpati per le rendite
ducali che passerebbono a Lisbona, facilmente ancora andrebbero in
preda alla insaziabilità de' Franzesi.
Nulla si profittò con queste querele. Madama reale ne fece consapevoli
i Franzesi, e questi si rinforzarono di gente a Pinerolo. Disperati
que' nobili aspettarono un dì che la duchessa fosse uscita di città,
e, presentatisi al _duca Vittorio Amedeo_, gl'intonarono le medesime
riflessioni, con aggiugnere che si trattava della sua rovina, avendo
la madre fatto tutto quel monopolio solamente per soddisfare alla
propria ambizione, e poter continuare nella di lui lontananza il suo
imperio; e doversi temere che i Franzesi il volessero lungi da' suoi
Stati per ingoiarli, o riceverli senza fatica da una principessa che
chiudeva in seno un cuor tutto franzese. Restò attonito il giovinetto
principe, e dimandò tosto che rimedio vi fosse. Non altro, risposero
essi, che di mettere in una fortezza la duchessa, la quale cotanto in
pregiudizio del figlio si abusava della sua autorità. E senza dargli
tempo di maggiormente riflettere, gli cavarono dalle mani un ordine da
lui sottoscritto, benchè colle lagrime agli occhi, per l'arresto della
madre. Ritiratosi poi il duca, e ripensando a questo caso, non sapea
trovar posa, quando ecco arriva la duchessa al palazzo, e il truova
tutto pensoso e malinconico; e chiestone il perchè, il vede prorompere
in un dirotto pianto. Tanto colle carezze e coi baci si adoperò la
valente duchessa, che gli trasse di bocca il segreto e il pentimento.
Però, dopo averlo ben imbevuto del retto suo operare, ordinò che si
rinforzassero le guardie del palazzo, mandò a prendere alcune poche
compagnie di soldati da Pinerolo, e successivamente fece prendere i
principali della congiura, facendo spargere voce ch'eglino avessero
tramato di dare in man degli Spagnuoli la persona del duca. Andò poscia
in fumo tutto il trattato delle nozze suddette, e fu creduto, che per
questa ripugnanza de' popoli si sciogliesse il contratto. Venuto colla
flotta portoghese il duca di Cadaval a Nizza nel giugno dell'anno
seguente, per condurre in Portogallo il duca Vittorio Amedeo, il trovò
per disgrazia infermo, e durò la sua creduta finta indisposizione
sino all'ottobre, in cui la flotta portoghese se ne tornò a Lisbona,
ed allora il duca di Savoia ricuperò tosto la sua sanità. Ma, a
riserva de' ministri, non arrivò alcuno a sapere il netto di quelle
risoluzioni. E perciocchè niun processo fu fatto di que' nobili, nè
si videro essi punto gastigati, inchinarono molti a credere che tutta
quell'orditura fosse un colpo di destrezza di madama reale per rompere
il matrimonio promosso con troppa forza da' Franzesi, ma troppo mal
veduto dagli Spagnuoli e da' Piemontesi, e ch'ella con questo ripiego
si facesse merito colla corte di Spagna, senza perdere per questo la
buona armonia con quella di Francia, giacchè in tal congiuntura avea
data a conoscere la sua confidenza con essi Franzesi. Nè ci volea meno
d'una principessa di gran senno come era questa, per saper navigare fra
Scilla e Cariddi. Merita bene che si faccia qui menzione che nel dì 17
d'ottobre di quest'anno venne a morte il _conte Raimondo Montecuccoli_
cavalier modenese, che per tanti anni stato generale dello imperadore,
immortalò il suo nome con tante sue segnalate imprese, ed anche colle
sue _memorie_, le quali poi date alle stampe, son riguardate come
un capo di opera nel genere suo per istruzione di chi si applica al
mestier della guerra.


Anno di CRISTO MDCLXXXI. Indizione IV.
INNOCENZO XI papa 6.
LEOPOLDO imperadore 24.

La pace della Francia coi potentati cristiani non valea meno della
guerra al re Luigi XIV ne' tempi presenti. Il terrore dell'armi sue,
che dopo le passate sperienze faceano tremare tutti i confinanti,
prestava tal forza ad ogni sua pretensione, che niuno osava di
contraddire, se non con parole e proteste inutili, mentre esso re
Cristianissimo operando di fatto, e con isfoderar sole decrepite
pergamene, e con interpretare in suo favore le paci antecedenti,
si andava a mettere in possesso dei paesi ch'egli pretendeva a sè
dovuti. Però in quest'anno ancora diede varie pelate agli Spagnuoli
nella Fiandra e nel Lucemburghese. Arrivò fino a pretendere di sua
ragione Lucemburgo stesso. Indarno strepitavano i ministri di Spagna
e dell'imperadore. La luna seguita a far suo viaggio, senza mettersi
pena dell'abbaiar de' cani. Nella stessa guisa trattava egli _Innocenzo
XI_, pontefice costante in sostenere i canoni e i diritti della Chiesa,
che non volea cedere per le controversie della regalia. Vero è che il
_cardinale di Etrè_ rilevava nella corte romana i meriti singolari