Annali d'Italia, vol. 6 - 86

dell'alba, con incredibile ardore si spinsero contra le nimiche
trincee, superandone l'una e poi l'altra. Tal terrore entrò ne'
Musulmani, che, rovesciati di qua e di là, non tennero il piè fermo; e
già arrivato il grosso dei Franzesi alle batterie nemiche, apparenza
v'era d'una illustre vittoria; quando, accesosi improvvisamente il
fuoco in due barili di polve, levò di vita trenta d'essi. Bastò questo
perchè tutti gli altri, credendo minati quei siti, presi da panico
terrore, dissero: _Volta_; e per quanto si sforzassero gli uffiziali
per ritenerli, tutto fu indarno. Allora i Turchi, ripigliato coraggio,
scagliatisi loro addosso, gl'inseguirono sino alle porte della città.
Che mille cinquecento Turchi perissero in quel conflitto, fu scritto
da chi non avrebbe saputo come provarlo. Certo è bensì che lasciarono
ivi la vita lo stesso ammiraglio _duca di Beaufort_, sessanta bravi
gentiluomini franzesi, cinquantaquattro uffiziali riformati ed alcune
centinaia di soldati. Pertanto restò si malcontento di questa impresa
il _duca di Novaglies_, che per quante preghiere adoperassero il
capitan generale _Francesco Morosino_ ed altri, non si potè ottenere
ch'egli mutasse la risoluzion presa di rimbarcare il resto di sua
gente, e di far vela verso Francia nel dì 20 d'agosto. Con esso lui
fuggì anche non poca gente del veneto presidio in gravo discapito della
piazza. Trovò il Novaglies in viaggio il _signor di Bellafonte_, che di
Francia conducea altri mille e cinquecento fanti, nè questo giovò per
fermare i suoi passi. Fu poi disapprovata in Francia la sua ritirata,
e speditogli ordine di non capitare alla corte. Le ciarle, che corsero
allora, portavano ch'egli si lamentasse non poco del general Morosino,
per aver questi ricusato di secondare la felice sortita dei Franzesi,
credendosi, che se avesse anche egli loro dato braccio, in quel solo
giorno sarebbe restata Candia libera dall'assedio turchesco. Immaginò
la gente che il Morosino se ne astenesse o perchè avea trattato segreto
di pace co' Turchi, o per gelosia che, succedendo la vittoria, se ne
attribuisse la gloria ai soli Franzesi: pensiero che non potea cadere
in personaggio sì savio ed amante della patria. Probabilmente se ne
andò il Novaglies, perchè riconobbe l'impossibilità di tenere in piedi
un edifizio sì vicino alla rovina.
Erano già pervenute, nel dì 3 di luglio, a Candia le galee ausiliarie
del papa e di altri principi in numero di ventisette, sotto il comando
del balì _Vincenzo Rospigliosi_, nipote dello stesso pontefice. Colà
giunse ancora nel dì 22 di giugno il _duca della Mirandola_ colle
milizie di terra dei pontefice e del duca di Modena, le quali ultime
erano ridotte a soli settecento uomini per li disagi del lungo viaggio.
Ma infieriti sempre più i Musulmani, moltiplicarono le offese e
gli assalti; di modo che si poteva oramai paventare che colla forza
sboccasse il turbine loro nella misera città. Fu perciò stabilito di
cercar la pace per salvare nel naufragio quel che si potesse. Veggendo
il Rospigliosi disperato il caso, nel dì 29 d'agosto giudicò meglio
d'imbarcar la sua gente, e poi fece vela verso il Mediterraneo. Dopo
di che nel seguente giorno, esposta bandiera bianca, si cominciò a
trattar della resa e della pace coi deputati del primo visire. Nel dì
6 di settembre restò conchiuso l'accordo, per cui fu ceduta ai Turchi
la città di Candia, divenuta un cimiterio di tanti mortali, e un
orrido spettacolo di desolazione; e restarono in poter de' Veneziani
nell'isola di Candia le sole fortezze di Suda, Carabuso e Spinalunga
co' lor territorii, e Clissa con altre terre acquistate in Dalmazia ed
Albania; e che fosse lecito ai Veneziani il portar via le milizie e i
cittadini che non volessero restare in Candia, con tutti i lor bagagli,
viveri ed armi. Conto si fece che nel solo presente anno il numero
de' morti e de' divenuti invalidi dalla parte dei Veneziani ascendesse
a quasi undici mila persone. Perirono poi per burrasca di mare molti
di quei legni che menavano via il presidio e gli abitanti di quella
infelice città. E tale esito ebbe il memorando assedio di Candia,
con grave danno sì della repubblica veneta, ma con immortal gloria
altresì della medesima, per aver sì lungamente disputato alla smisurata
potenza de' Turchi l'acquisto di quella piazza. Portatone il doloroso
avviso a Venezia, persona assennata, che si trovò allora in quella
metropoli, mi assicurò che le parve di veder il dì del finale giudizio:
tanti erano i gemiti, le lagrime e gli urli dell'uno e dell'altro
sesso. Andava il popolo fanatico per le contrade deplorando la grande
sciagura, vomitando spropositi contro la provvidenza, maledizioni
contra de' Turchi, e villanie senza fine contra del _general Morosino_,
chiamandolo ad alte voci traditore, e spezialmente imputando a lui
la perdita della città, per non aver voluto sostener il felice ardire
della sortita franzese. Guai se questo generale fosse allora capitato a
Venezia; non sarebbe stata in sicuro la sua vita: cotanto era infuriato
quel popolo. Al dolore s'aggiugneva la paura, che i Turchi, soliti a
non mantener la fede, vedendo esausta e abbandonata la repubblica, non
si prevalessero di sì buon vento per maggiormente soperchiarla. Volle
Dio che a questa pace si acquetasse il loro orgoglio.
Pervenuta anche a Roma l'infausta nuova, riempiè d'affanni e lamenti
tutta quella corte e città, ma sopra gli altri se ne afflisse papa
_Clemente IX_, che con tanta premura s'era fin qui adoperato per
esentar Candia dall'ultimo eccidio. Credenza comune fu che questo
inaspettato colpo influisse non poco a privare il mondo cristiano
d'un sì degno pontefice. Imperciocchè da lì a tre giorni egli cadde
infermo, e dopo alquanti altri di combattimento col male, finalmente
nel dì 9 di decembre passò a miglior vita, lasciando in benedizione
la sua memoria, perchè principe pieno di vero zelo per la difesa
del cristianesimo, principe dotato d'una soda umiltà e di una rara
moderazione, e provveduto delle più belle massime del politico governo,
di modo che, se Dio non l'avesse chiamato sì presto a godere il premio
delle sue virtù, gran bene ne potea sperare lo Stato ecclesiastico.
Pensava egli continuamente alle maniere di sollevar i suoi popoli dalle
tante gabelle imposte da' suoi predecessori: al qual fine istituì una
congregazione. Cura ebbe eziandio, perchè si rimettesse il lanifizio
in Roma e il commercio per li suoi Stati. Non si applicò già egli ad
arricchire i proprii nipoti, avendo lasciata la sua casa con facoltà
poco superiori allo stato in cui era prima del suo pontificato.
Affinchè la giustizia procedesse con ordine, e si tenessero in freno
i ministri e parenti, due dì d'ogni settimana con somma pazienza dava
udienza a chiunque del popolo la voleva; e perchè un giorno, dopo avere
speso più ore in sì tedioso mestiere, ritirandosi alle sue stanze, udì
che un povero uomo si lamentava per non essere stato ascoltato, tornò
indietro, e amorevolmente udito il suo ricorso, rimandollo via tutto
contento. Parimente volle che nel muro delle camere dove si tengono le
congregazioni, fosse fatta una fenestrella, da cui senza essere veduto
potesse il pontefice ascoltare quanto ivi si trattava. Sprezzator
della gloria umana ornò di belle statue ponte Sant'Angelo, e nè pure
una menoma memoria vi fece mettere del suo nome. L'iscrizione ch'egli
ordinò, da porsi in rozzo marmo al suo sepolcro, altro non conteneva
che il solo suo nome e la dignità. Sigillò in fine queste sue virtù
colla maggiore delle altre, cioè colla carità, con visitar sovente
negli spedali, accompagnato da pochi suoi famigliari, e ministrando
loro conforti e cibi. Solito anche fu a pascere ogni dì in palazzo
dodici poveri pellegrini. Tale era questo buon pontefice, che Dio
mostrò per poco tempo alla sua Chiesa, e poi sel ritolse con incredibil
dispiacere di Roma tutta, che in lui perdeva un amatissimo padre, dopo
aver ammirata la saviezza del suo governo, la modestia de' suoi nipoti,
e certe virtù che non erano punto in uso nei tempi addietro. Andò
poi molto in lungo la creazione del suo successore, siccome vedremo
all'anno seguente. Fu in questi tempi che _Ferdinando II gran duca_
di Toscana inviò il _principe Cosimo_ suo primogenito a viaggiare per
varie corti d'Europa. Arrivò egli sul principio d'agosto a Parigi,
dove, siccome marito d'una principessa di Francia, cugina del re
medesimo, ricevette distinti onori da quel gran monarca, e dopo essersi
fermato quivi per un mese, passò poi in altre contrade.


Anno di CRISTO MDCLXX. Indizione VIII.
CLEMENTE X papa 1.
LEOPOLDO imperadore 13.

Tanti raggiri, discrepanze e battaglie più dell'usato accaddero nel
conclave, in cui s'erano, dopo la morte di papa _Clemente IX_, chiusi
i sacri elettori, che durò la loro o volontaria o forzata prigionia
quattro mesi e quattro giorni. Finalmente con lode del sacro collegio
andarono a cadere, nel dì 29 d'aprile dell'anno presente, i lor voti
nella persona di _Emilio Altieri_ Romano, a cui il pontefice suddetto
pochi dì prima di morire avea conferita la sacra porpora, mirando
in lui con una quasi prescienza chi dovea essere suo successore
nella cattedra di San Pietro. Tale in fatti era l'integrità de' suoi
costumi, l'affabilità, la perizia delle cose del mondo, e la generosità
dell'animo, che il popolo romano preventivamente lo andava acclamando
papa, nè v'era chi nol confessasse ben degno di sì alta dignità. La
sola età potea fargli contrasto, perchè vicino agli ottanta anni; la
robustezza nondimeno della sua complessione tuttochè non disgiunta da
qualche flussione che gl'indeboliva le gambe, faceva assai sperare
che reggerebbe buon tratto di tempo al peso del pontificato. Dopo
essersi dunque lungamente dibattuti i cervelli politici de' capi delle
fazioni, massimamente de' Franzesi e Spagnuoli, affettanti ciascuno
di promuovere uno dei lor parziali, ma senza poter ottenere il pallio,
si unirono all'esaltazione del cardinale Altieri, il quale, allegando
la poca sanità e la gravissima età sua, e gridando: _Guardate bene
ch'io non son abile_, con lagrime e scongiuri resistè non poco alle
loro intenzioni. Ma finalmente arrendendosi accettò piangendo un
peso, sì avidamente ricercato e con tanta allegrezza ricevuto da
altri. In venerazione del pontefice suo benefattore prese il nome
di _Clemente X_, e verso la di lui memoria esercitò dipoi in altre
guise la sua gratitudine. Della propria casa non aveva egli parenti,
e volendo pur continuare l'antica e nobile famiglia Altieri romana
ne' tempi avvenire, pensò a ricrearla nella parimente antica e nobile
dei Paluzzi Romani. Una sua nipote Laura Caterina era stata maritata
al _marchese Gasparo Paluzzi_ degli Albertoni, nipote del _cardinal
Paluzzo Paluzzi_. Adottò pertanto tutta quella famiglia, dandole il
cognome degli Altieri e il nome di nipoti, e cedendo loro tutti i beni
patrimoniali della sua casa. Conferì allo stesso cardinal Paluzzi,
appellato da lì innanzi il _cardinale Altieri_, le primarie dignità;
e siccome questi abbondava di vivacità d'ingegno e di abilità in
maneggiare i pubblici affari, così abbracciò volentieri l'assunto
di sollevare il vecchio pontefice nelle fatiche del governo. Conferì
ancora al suddetto _Gasparo Paluzzi_, marito della nipote, inserito
nella casa Altieri, il grado di generale dell'armi della Chiesa,
e di castellano di Sant'Angelo. Maritò _Lodovica_ sua pronipote in
_Domenico Orsino duca_ di Gravina, e _Tarquinia_ altra sua pronipote in
_Egidio Colonna_ principe di Carbognano. Roma, da gran tempo avvezza
ai nepotismi, nulla si stupiva di questi salti di grandezza, anzi ne
tripudiava per lo sforzo dei nipoti pontifizii, e massimamente perchè
Romani. Si ammutirono solamente i plausi de' saggi, al veder tanti
nuovi padroni (e spezialmente il cardinale), i quali ben si previde
che sotto l'ombra del decrepito pontefice dominerebbono, con timore
di soggiacere di nuovo ai passati disordini, e di provare un governo
diverso dal pietoso e saggio di _Clemente IX_.
Giunto all'età di sessanta anni _Ferdinando Il duca_ di Toscana
compiè il corso della vita e del principato nel dì 23 di maggio
dell'anno presente, dopo aver governato per lungo tempo i suoi popoli
con impareggiabil prudenza e con affetto da padre, ricompensato
anche dall'amore dei sudditi stessi, che di molte lagrime onorarono
il suo funerale. Secondo il glorioso costume della casa de Medici,
gran protettore fu delle lettere, e amatore de' letterati, siccome
pienamente dimostrò il dottor Giuseppe Bianchini da Prato nel suo
Trattato dei gran duchi di Toscana. Celebre sopra tutto riuscì, e
memorabile sarà presso i posteri l'Accademia del Cimento, istituita
nell'anno 1657 dal nobilissimo genio del _cardinale Leopoldo de
Medici_, e dalla liberalità di esso gran duca Ferdinando promossa
e favorita, dove insigni filosofi faticando, diedero poi alla luce
i tanto applauditi Saggi di naturali esperienze. Lasciò questo
principe due figli, a lui procreati da _Vittoria della Rovere_ gran
duchessa, donna di gran talento, cioè _Cosimo III_ gran principe,
tornato poco fa dai suoi viaggi per le corti d'Europa, che a lui
succedette nel dominio, e _Francesco Maria_, decorato poi della sacra
porpora cardinalizia. Nell'aprile di quest'anno giunse a Milano per
governatore _don Gasparo Tellez Giron duca d'Ossuna e di Uceda_, a cui
per lo sposalizio di una figlia del marchese di Caracena pervenne una
ricchissima eredità. Era in questi tempi duca di Guastalla _Ferrante
Gonzaga_; non avea che un figlio maschio, cioè il _principe Cesare_ in
età di sei in sette anni, che gli fu rapito dalla morte. Restandovi
una sola sua figlia, cioè la principessa _Anna Isabella_, con poca
o niuna speranza di altra prole, pensò allora la vedova _imperadrice
Leonora Gonzaga_ di procurare l'accasamento di questa principessa col
duca di Mantova _Ferdinando Carlo_ Gonzaga, figlio del _duca Carlo
II_, fratello di sua maestà, per desiderio di unire al ducato di
Mantova quello di Guastalla. Fece perciò dei gran maneggi per effettuar
questo maritaggio; tuttochè nel regno di Napoli esistesse una linea di
principi Gonzaghi di Guastalla, chiaramente chiamati alla successione
in quel ducato. Fu in quest'anno intentata nel senato veneto fiera
accusa contro il capitan generale _Francesco Morosino_, quasichè egli
avesse mancato al suo dovere nella resa di Candia; ma con pieni voti
restò egli poscia assoluto.


Anno di CRISTO MDCLXXI. Indizione IX.
CLEMENTE X papa 2.
LEOPOLDO imperadore 14.

Con sante intenzioni era entrato il _pontefice Clemente X_ nel governo
pastorale e politico, e, seguendo le massime lodatissime del suo
predecessore _Clemente IX_, confermò la congregazione da lui istituita
per trovar le maniere di sgravar i popoli dalle tante gravezze loro
imposte dai suoi antecessori, nulla più desiderando che il loro
sollievo. Ma, ritrovata la camera apostolica sì carica di debiti
per li capricci di alcuni precedenti nepotismi, quasi gli caddero le
braccia. Contuttociò, perchè era cessata la guerra col Turco, abolì
le decime degli ecclesiastici, ed estinse la metà della tassa imposta
alle milizie dello Stato, dolendosi di non poter per ora di più fare in
benefizio dei suoi sudditi. Riformò poscia la compagnia delle Corazze
posta in piè da _papa Innocenzo X_. Alleggerì il numero de' soldati, la
spesa de' quali ascendeva a cento mila scudi annui. Moderò o levò molte
spese esorbitanti o superflue del palazzo, come ancora in Roma e per lo
Stato, usate da' suoi predecessori. Quel ch'è più, ordinò che tutte le
componende ed altri emolumenti spettanti alla borsa privata del papa
si depositassero al sacro monte di Pietà, con animo di valersene in
pubblico bene, risoluto di non imitare chi innanzi a lui avea atteso
più ad arricchire i proprii parenti, che a procurar con vero zelo la
pubblica felicità. Il _marchese di Lucerna_, ambasciatore allora di
Savoia nella corte di Roma, in una sua relazion manuscritta asserisce
d'aver più volte inteso dalla bocca stessa del pontefice l'avversione
sua ad ingrandir con soverchie ricchezze i nipoti, detestando egli
l'opulenza e i tesori di quattro case pontifizie formate a' suoi
giorni, e dicendo di avere abbastanza provveduti i suoi parenti coi
suoi beni proprii loro rinunziati, e colle cariche anche prodigamente
loro assegnate, bastando tali rendite al decoroso loro mantenimento.
Ma non cessavano i parenti suoi di lagnarsi liberamente di questa,
come essi dicevano, stitichezza del papa, e gli mettevano intorno
tentatori potenti per ismuoverlo da sì glorioso proponimento: laonde
stava curiosamente aspettando la gente l'esito della battaglia, e se le
batterie della tenerezza del sangue fossero da tanto che conducessero
il papa a mostrarsi uomo.
Si mutò in fatti a poco a poco registro, non forse perchè il buon
pontefice recedesse dalle onorate sue massime, ma perchè la sua
decrepitezza e poca sanità il costrignevano bene spesso al letto,
convenendogli perciò di lasciar molta parte delle redini in mano del
_cardinale Altieri_, di modo che non passò gran tempo che il popolo
dicea essere _Clemente X_ papa di nome, e il cardinale papa di fatti.
E giacchè abbiam fatta menzione dell'ambasciator di Savoia, conviene
aggiugnere che, nella congiuntura della sua ambasceria, fra lui e il
marchese Francesco Riccardi ambasciator di Toscana, nacque controversia
di uguaglianza o di precedenza; e n'era per seguire scandalo, giacchè
l'una e l'altra parte aveano fatto armamento di gente. Ma seppe il
cardinale Altieri colla sua destrezza calmar quella tempesta senza
pregiudizio dei contendenti, che deposero l'armi, ma non già gli
odii. Un principio di sollevazione fu nell'aprile in Messina, dove,
provandosi carestia, ne attribuiva il basso popolo la colpa al mal
governo degli Spagnuoli, o all'avidità dei nobili, per vendere più
caro i loro grani. Un certo Giuseppe Martinez, preso un pugnale in
mano, andò gridando per le strade: _Ammazza, ammazza_. Unitisi con
lui molti della feccia della plebe, corsero ad incendiar le case
di alcuni del governo, e seguirono uccisioni e saccheggi. Inoltre
segretamente spedirono costoro a Parigi, per impegnar quella corte in
loro aiuto; ma ritrovarono il _re Lodovico XIV_ con altri pensieri
in testa, cioè tutto rivolto a preparamenti per muovere guerra agli
Olandesi. Mancata questa speranza, venne meno anche la sedizione,
che costò la vita ad alcuni capi di quegli ammutinati. Nè si vuol
tralasciare un editto pubblicato nel dì 20 di maggio dal _pontefice
Clemente X_, per cui decretò che nulla pregiudicasse alla nobiltà di
tutto il suo Stato l'esercizio della mercatura, purchè i nobili non
vendessero alla minuta le merci. Utilissimo e lodevole decreto per
animar la gente al commercio e alle arti, che sono il sugo vitale per
arricchire e rendere felici gli Stati; laddove la guerra, di cui tanti
si pregiano, non serve che ad impoverirli. Attendevano i più antichi
Romani all'agricoltura, e non lasciavano per questo d'essere segnalati
guerrieri, allorchè il bisogno lo richiedeva.


Anno di CRISTO MDCLXXII. Indizione X.
CLEMENTE X papa 3.
LEOPOLDO imperadore 15.

Pieno d'umiltà il buon pontefice _Clemente IX_ avea ordinato un ignobil
sepolcro al corpo suo. _Clemente X_ esercitò la sua gratitudine verso
del defunto benefattore con ergergli ancora una suntuosa memoria
nell'anno presente. Inoltre pose la prima pietra per un insigne
ristoramento ed ornamento alla basilica Liberiana, ossia a Santa Maria
Maggiore, che fu condotto alla sua perfezione nel seguente anno. In
auge grande di felicità si trovavano gli Olandesi in questi tempi.
Affidati nella lor lega coll'Inghilterra e colla Svezia, si vantavano
di aver fatto paura al re di Francia _Luigi XIV_ nella precedente
guerra da lui mossa alla Spagna; ed avendo alterato il commercio coi
Franzesi, parlavano alto alle occasioni. Il re Cristianissimo, che
non solo avidamente aspettava, ma cercava col moccolino le occasioni
di farsi rispettare, di accrescere la sua gloria e di far nuove
conquiste, non lasciò cader questa per terra. Tante segrete ruote seppe
maneggiare lo industrioso e liberal suo gabinetto, che gli riuscì di
staccar la Svezia e l'Inghilterra dalla lega colle Provincie Unite,
e di stabilir anche una forte alleanza con _Carlo II_ re britannico
contra delle medesime. Dormivano i lor sonni gli Olandesi, quando sul
principio d'aprile il re di Francia e d'Inghilterra dichiararono la
guerra all'Olanda; e il primo passò con potente esercito a' suoi danni.
Presero i Franzesi in sei giorni le prime quattro piazze di frontiera.
Fu poi considerato come azione veramente mirabile l'avere la cavalleria
franzese valicato il vasto fiume del Reno in faccia ai nemici, che
fecero ben qualche resistenza, ma in fine, atterriti da tanto ardire,
si diedero alla fuga. In cinque settimane ridusse il vittorioso re più
di quaranta piazze alla sua ubbidienza; commosse ancora l'elettor di
Colonia e il vescovo di Munster contro gli stessi Olandesi, la fortuna
de' quali parea omai ridotta agli estremi, se la città d'Amsterdam, col
rompere le dighe ed allagar le campagne, non fermava il rapido corso
del valore e della fortuna franzese. Di altro non si parlava allora
per tutta Italia che di sì strepitosi avvenimenti; e se ne parlava
con piacere, per la speranza che di tali acquisti avesse a profittar
la religion cattolica, e fu infatti inviato un vescovo cattolico alla
già presa città d'Utrect. Ma si trovò vicina anche l'Italia a veder
crescere un acceso fuoco di guerra fra _Carlo Emmanuele II duca_ di
Savoia e la _repubblica di Genova_.
Passano per eredità gli odii di quei confinanti fra loro. Ma si
aggiunse a muovere il duca una cospirazione di Raffaello dalla Torre
bandito da Genova, che fecegli sperar facile l'acquisto di Savona.
Scopertasi a tempo da' Genovesi questa mena, vi provvidero. Ma giacchè
s'era dato principio alle ostilità col pretesto di controversie di
confini, si continuò poscia il ballo; furono presi luoghi dall'una
parte e dall'altra, e succederono delle azioni calde con far di molti
prigioni, e sì gli uni che gli altri vantavano superiorità di forza
e di bravura. Ma il re Cristianissimo, sia perchè fosse implorata la
sua mediazione, o perchè a lui non piacessero questi romori, spedì
il signor di Gaumont per interporsi con amichevoli persuasioni a far
posare l'armi, e a rimettere in arbitri le lor differenze, ordinando
anche di valersi del tuono di minaccie contro chi si trovasse
renitente. Tregua pertanto fu fatta, e destinata la città di Casale per
luogo delle conferenze. Riuscì alla voce del Gallo ciò che non aveano
potuto ottenere co' loro uffizii il papa ed altri principi d'Italia. Il
bello poi fu, che dopo avere il ministro franzese stabilito il luogo
del congresso, venne un imperioso ordine del re, che le pretensioni
delle parti si dovessero dedurre alla sua corte, con aspettarne la
decisione del savio giudizio di sua maestà. Rincrebbe più d'un poco
questo alto parlare al duca di Savoia, nulla dipendente dall'autorità
del re, e molto più a' Genovesi, che erano da gran tempo sotto la
protezione del re di Spagna. Tuttavia sì formidabile era il monarca
franzese, che convenne piegare il capo. Spediti poscia a Parigi
dall'una e dall'altra parte ministri ben informati delle scambievoli
ragioni, nell'anno appresso la tregua si convertì in pace, e le
restanti controversie de' confini furono rimesse ai giudici italiani
da eleggersi di soddisfazion delle parti. Terribili memorie lasciò
in quest'anno un tremuoto, a cui simile non s'era forse mai provato
nella Romagna e Marca. In Rimini spezialmente fu il maggior flagello,
perchè per la maggior parte in quella città chiese, palazzi e case
andarono per terra. Ed essendo succeduta la maggiore scossa, mentre
in dì di festa le genti si trovavano alle chiese, vi perderono la vita
più di cento persone, e senza paragone molti più vi restarono feriti.
Pretesero i sacri oratori zelanti questo essere stato un visibil
gastigo di Dio, perchè non era portato il dovuto rispetto alla casa del
Signore. Sommamente ancora patirono le città di Ancona, Fano, Pesaro e
Sinigaglia, col rovesciamento di assai chiese e case, e colla morte di
molti abitanti, essendo ridotti que' popoli a dormire a cielo scoperto.
In quest'anno la contestabilessa Colonna e la duchessa Mazzarina si
fuggirono da Roma per andarsene in Francia.


Anno di CRISTO MDCLXXIII. Indizione XI.
CLEMENTE X papa 4.
LEOPOLDO imperadore 16.

Aveano i perfidi Musulmani con varii pretesti mossa la guerra contro
la Polonia, regno di gran potenza, ma regno più debole di tanti altri
minori, e sempre mal preparato per la difesa, per cagion della forma
del governo, sì disadatta all'union degli animi, e a procurare il
pubblico bene. Coll'improvvisa irruzione di un potentissimo esercito
si impadronirono i Turchi dell'importante piazza di Caminietz, e di
quaranta quattro altri luoghi fra città e castella. Per sottrarsi a
perdite maggiori, fece il _re Michele_ una vergognosa pace, con cedere
que' luoghi, cioè tutta la Podolia, al gran signore, e con obbligarsi
inoltre di pagare venti mila scudi annualmente alla Porta. Non sofferì
la generosa nazion polacca un sì obbrobrioso accordo, e dichiarata la
guerra al Turco, si diede a sollecitar l'aiuto de' principi cristiani
contro il comune nemico. Con essi Polacchi entrò in lega il gran duca
di Moscovia; e questi inviò a Roma Paolo Manesio cavaliere scozzese,
capitan delle sue guardie, per implorar gli aiuti del pontefice. Trovò
ottimo trattamento, carezze e regali in quella corte, ma niuna voglia
di collegarsi con quel barbaro principe; e se ne partì mal soddisfatto,
perchè il papa nelle risposte non volle accordare al Moscovita il
titolo di _czar_, ossia di _Cesare_, che Giovanni Basilide dopo l'ampie
sue conquiste avea cominciato ad usare, riputandolo la corte romana
lo stesso che quel d'imperadore. Nè altro parimente che belle parole
potè ottenere dal senato veneto quell'ambasciatore, cioè quella stessa
moneta che i Polacchi e Moscoviti aveano adoperato allorchè i Veneziani
si trovarono in tante angustie per la guerra di Candia. A _Giovanni
Sobieschi_ generale della Polonia toccò di rintuzzare col suo valore
l'ardire turchesco; e questi poi seppe farsi eleggere re di quel regno
dopo la morte del re Michele, succeduta nell'anno presente.
Più che mai continuò ancora lo sforzo dell'armi franzesi contro
le Provincie Unite, e dopo un famoso assedio di sole tre o quattro
settimane ebbe il _re Lodovico XIV_, nel dì 5 di luglio, il contento
e la gloria di entrar vittorioso nella fortezza creduta inespugnabile
di Maestricht. Tanti progressi del monarca franzese, il quale intanto
non lasciava di dar buona pastura di accomodamento, essendo anche stata
scelta la città di Colonia per luogo de' congressi, cagion furono in
fine che _l'imperadore Leopoldo_, _Carlo II re_ delle Spagne e _Carlo
IV duca_ di Lorena, ne' mesi di luglio e d'agosto, strinsero lega con
gli Olandesi. All'incontro il re chiamato Cristianissimo, per dare
apprensione da un'altra parte a Cesare, conchiuse, nel dì 5 di giugno,
col gran signore Maometto IV un'alleanza più stretta che le precedenti.
Stava forte a cuore ad esso monarca il tener ben affetta a' suoi
interessi la corona della gran Bretagna; e giacchè il _re Carlo II_
non avea successione, e si trattava di far passare alle seconde nozze
_Jacopo Stuardo_ duca d'Yorch, fratello del medesimo re, che già s'era
dichiarato cattolico, si prese il pensiero esso re Cristianissimo di
trovargli moglie. A sì sublime grado fu scelta _Maria Beatrice d'Este_,
sorella del giovinetto duca di Modena _Francesco II_, principessa,
nel cui animo e cuore aveano posto seggio le più eminenti virtù. Ma
perchè più alto tendevano i pensieri di questa principessa, risoluta
di consecrarsi a Dio in un monistero, s'incontravano troppe difficoltà
ad ottenere il suo assenso. Nè si sarebbono superate, se il sommo
pontefice, considerando che in tai nozze concorreva il bene della
cristianità, non avesse interposte le sue paterne esortazioni. Però nel
dì 30 di settembre, in Modena dal conte di Peterburug a nome del duca
di Yorch fu sposata essa principessa. Dopo di che, accompagnata dalla