Annali d'Italia, vol. 6 - 74

Ratisbona per trattar ivi dell'elezione in re de' Romani di _Ferdinando
III_ suo figlio re d'Ungheria e Boemia, che già gran credito s'era
acquistato nel maneggio dell'armi. Concorsero in fine nei di lui
desiderii i voti degli elettori; e però nel dì 22 di dicembre seguì
l'elezion di esso principe con gran festa e giubilo di chiunque amava
l'augusta casa d'Austria; ma con disapprovazione non lieve di chi
nudriva affetti diversi. Nè si dee tacere che, passata in quest'anno la
flotta spagnuola nei mari di Provenza, s'impadronì dell'isole di Jeres,
cioè di Santo Onorato e di Santa Margherita, dove tosto si applicò a
fabbricar ivi dei forti, che misero in grande apprensione la vicina
Provenza e le coste di Nizza. Vi ha chi riferisce un tal fatto all'anno
seguente.


Anno di CRISTO MDCXXXVII. Indiz. V.
URBANO VIII papa 15.
FERDINANDO III imperadore 1.

Diede fine al suo vivere nel dì 44 di febbraio dell'anno presente
l'_imperadore Ferdinando II_ in età di cinquantanove anni: principe che
nella pietà e clemenza non ebbe pari, sommamente geloso e benemerito
della religion cattolica, e fin prodigo verso i religiosi; non mai
gonfio per le vittorie, che per un pezzo lo accompagnarono; non mai
alterato per li sinistri avvenimenti che il seguitarono fino alla
morte. La felicità delle sue armi nei primi anni del suo governo sì
tirò dietro l'invidia di molti. La guerra da lui poscia intrapresa
per Mantova gli concitò contro l'odio e la nemicizia di assai più
gente, di maniera che si vide poi traballare la corona in capo; e se
la battaglia di Lutzen nol liberava dal re sveco, restava all'ultimo
crollo esposto il suo trono. Fra i suoi difetti si contò una virtù
tendente all'eccesso, cioè la troppa bontà, per cui non si dispensavano
i gastighi a chi n'era degno, e si lasciava all'interesse privato la
briglia, dal quale si negligentava o tradiva il pubblico: disgrazia
continuata nelle due auguste case di Austria fin quasi agli ultimi
tempi nostri. A lui succedette _Ferdinando III_ suo figlio, già re dei
Romani, in età di ventotto anni, essendogli stata conferita da lì a non
molto la dignità imperiale. Contuttochè le di lui imprese di guerra il
facessero credere ad alcuni poco amator della pace, pure dai più saggi
tenuto fu per diverso di genio l'animo suo. In Italia con poche azioni
di rilievo proseguì la guerra tra i Franzesi e Spagnuoli. Primieramente
nel mese di marzo mutarono faccia gli affari della Valtellina. S'era
ivi annidato il _duca di Roano_, e in suo potere teneva i forti di
quelle parti, dando con ciò continua apprensione ai confini di Como,
ed obbligando il governator di Milano a mantener ivi buona guardia.
Cominciarono ad impazientarsene i Grigioni, allettati fin qui da esso
duca colla speranza di ricuperar l'antico dominio di quella provincia;
e finalmente, insospettiti che la Francia meditasse di fissar ivi le
radici per sempre, fecero perciò dello strepito e vive doglianze con
lui. Li quietò il Roano con una convenzione, per cui si sosteneva nella
Valtellina l'esercizio della religione cattolica, e si restituiva ai
Grigioni quello della giustizia. Perchè poi la corte di Francia non
approvò alcuni capitoli, e non mandò danari per le paghe dovute ad essi
Grigioni, costoro si volsero al governator di Milano e alla reggenza
d'Inspruch, dove trovarono buon accordo, e si conchiuse di muovere
unitamente l'armi per iscacciar di colà i Franzesi. Tra perchè il Roano
era stato infermo, ed aveano le di lui promesse e lusinghe perduto il
credito, non gli fu possibile di dissipar il temporale; di maniera che,
assalito dai Grigioni, Spagnuoli ed Austriaci nello stesso tempo, si
trovò obbligato a rendere le fortezze e a ritirarsi colle sue genti.
Così tornarono i Valtellini cattolici a provare il disgustoso governo
dei Grigioni eretici, salva ivi sempre restando la religione cattolica.
Stabilissi nondimeno che chiunque si tenesse aggravato dalle sentenze
dei magistrati grigioni, potesse ricorrere a due persone, che sarebbono
deputate l'una dal governator di Milano, l'altra dalle leghe d'essi
Grigioni.
Sbrigato da questo affare il _marchese di Leganes_, giacchè avea
all'ordine diciotto mila fanti e quasi cinque mila cavalli a cagion dei
rinforzi a lui giunti dalla Spagna e Germania e da Napoli, pensò ad
altre imprese. Occupò egli nelle Langhe la terra e rocca di Ponzone,
Nizza della Paglia nel Monferrato, ed Agliano nel territorio d'Asti.
Ritornò intanto di Francia il _maresciallo di Crequì_, ed unite che
ebbe le sue forze con quelle del duca di Savoia, uscì in campagna:
con che terminarono i progressi dell'armi spagnuole. Anzi riuscì al
_marchese Villa_ generale di Savoia nel dì 8 di settembre di mettere in
isconfitta a Mombaldone quattro mila Spagnuoli condotti da don Martino
di Aragona: il che recò gloria e piacere al _duca Vittorio Amedeo_. Ma
poco durò l'allegrezza di questo principe, perchè, caduto infermo in
Vercelli, nel dì 7 di ottobre con somma intrepidezza d'animo chiuse
gli occhi alla presente vita in età di cinquanta anni, e lasciò una
gran disputa ai temerarii giudizii del volgo, che il sospettò tolto
dal mondo col veleno. Era egli col conte di Verrua suo più confidente
ministro, e col marchese Guido Villa valoroso condottiere delle sue
armi, stato accollo ad un convito dal Crequì nel dì 26 di settembre.
Poco dopo furono tutti e tre assaliti da un malore, per cui il duca
e il conte furono tratti al sepolcro; ma ne campò il marchese, perchè
uomo di robusta complessione, restando sano dopo quattro soli giorni
di malattia. Gran dissensione era sempre stata in addietro fra il duca
e il Crequ', e in gran diffidenza si trovava il duca alla corte di
Parigi. Tali circostanze fecero nascere e fomentarono le dicerie degli
oziosi; ma, oltre all'essere in buon concetto i Franzesi di non valersi
di sì empii mezzi per far delle vendette, il corso della malattia del
duca _Vittorio Amedeo_ procedè sempre con sintomi naturali; e sparato
poi il suo cadavero, non vi si trovò indizio di alcun detestabile
tradimento. Non vi ha scrittore che non esalti le rare doti e virtù di
questo principe, in cui era passata col sangue non già l'affabilità e
il tratto obbligante, ma bensì l'inarrivabile intelligenza e sagacità
del _duca Carlo Emmanuele_ suo padre, temperata nondimeno da più
moderati pensieri e desiderii, essendosi creduto effetto della singolar
sua saviezza l'essersi attaccato ai Franzesi, perchè non potea di
meno, ma con regolare in tal guisa le cose, che non ne restassero
atterrati gli Spagnuoli, dei quali potea abbisognare contro le violenze
dei medesimi Franzesi. Non è a me permesso di maggiormente stendermi
nel di lui elogio. Riuscì l'inopportuna sua morte in mezzo a tanti
turbini di guerra un colpo funestissimo alla reale sua casa e a tutti
i sudditi suoi. Imperciocchè restarono di lui due figli maschi, cioè
_Francesco Giacinto_ nato nel settembre del 1632, e _Carlo Emmanuele
_nato nel giugno del 1634, oltre a due principesse, cioè _Luigia Maria_
e _Margherita Violante_. Erano tutti in età pupillare; ed essendo
succeduto nel ducato il primo dei maschi, prese la tutela di tutta
quella tenera prole la vedova _duchessa Cristina_, sorella del regnante
allora _Lodovico XIII_ re di Francia.
Trovossi questa saggia principessa ben presto in un pericoloso
labirinto, per avere nemici fieri gli Spagnuoli, amici poco fedeli i
Franzesi. E ad accrescere le angustie sue da lì a poco scoppiarono
le pretensioni dei fratelli del defunto duca, cioè del _cardinale
Maurizio_ e del _principe Tommaso_. Mossi amendue questi principi dalla
politica spagnuola, e insieme dalla propria ambizione, intendevano di
venire in Piemonte collo spezioso titolo di assistere alla duchessa
in tempi sì turbolenti per l'indennità dei nipoti; e le cominciarono
a persuadere che si guardasse da' Franzesi, ne' quali più potea
l'interesse proprio che la regia parentela. Ma perciocchè ambedue
seguitavano il partito austriaco, il cardinale in Roma e il principe
Tommaso in Fiandra, si mostrò risoluta la duchessa di non volerli in
Piemonte; e intanto si raccomandava alla corte di Francia, perchè
si venisse ad un armistizio, affine di levarsi di dosso la guerra
troppo minacciante i suoi Stati. Ma il _cardinale di Richelieu_, che
riguardava per molto utile alle sue idee la continuazion di questo
incendio in Italia, altro non rispondeva che belle promesse e sparate
della regal potente protezione per gl'interessi della duchessa e de'
suoi figli. Per quanto poi fu detto, appena cessò di vivere il duca
Vittorio Amedeo, che saltò in capo all'Emery, ambasciatore di Francia
in Piemonte, di sorprendere non solamente Vercelli, ma anche la stessa
duchessa co' principini, a titolo di assicurarsi della casa di Savoia
e di quello Stato, sperando che cotale ingiuriosa violenza potesse
essere non disapprovata, anzi gradita, dal ministero, di Francia.
Ma scopertasi la mena (se pur non fu un mero sospetto o pretesto),
il marchese Villa entrato di notte in Vercelli con delle truppe, e
chiuse tenendo le porte, fece abortire ogni contrario attentato. Alla
morte del duca di Savoia precedette di pochi giorni quella di _Carlo
Gonzaga_ duca di Mantova, che nel dì 25 settembre cessò di vivere
in età di sessantun anni: principe che in Francia, dove era gran
signore, ma suddito, avea mostrato sentimenti da sovrano; giunto poi
alla sovranità di Mantova, non ebbe che genio e costumi da privato:
scusabile nondimeno, per essere restato troppo esangue e desolato lo
Stato suo a cagion delle passate tragedie. Restò dopo di lui un suo
nipote erede del ducato, cioè _Carlo II_, nato dal principe ossia _duca
di Rhetel_ suo figlio, ma per l'età incapace del governo. La reggenza
fu presa dalla principessa ossia _duchessa Maria_, sua nuora e madre
del duchino, che si diede con molta forza a governar que' popoli.
Niuna novità si fece per tal mutazione da' vicini Spagnuoli, e meno
dagli imperiali, perchè non mancò alla duchessa la buona assistenza
della repubblica veneta. In quest'anno ancora, adirati i Franzesi per
vedere annidati nelle isole di Santo Onorato e di Santa Margherita gli
Spagnuoli, e volendone far vendetta, uscirono in mare con una flotta
sotto il comando del conte d'Arcourt; e fatto un improvviso sbarco in
Sardegna, s'impadronirono d'Orestano; ma ne furono ben tosto cacciati
dai Sardi. Quindi passarono alle suddette isole di Jeres, dove colla
forza e colla espugnazione di varie fortezze finalmente costrinsero gli
Spagnuoli a rimettere tutto nelle lor mani, con istupore d'ognuno per
la difficoltà e insieme per la felicità di quell'impresa.


Anno di CRISTO MDCXXXVIII. Indiz. VI.
URBANO VIII papa 16.
FERDINANDO III imperadore 2.

Trovavasi forte di gente il _marchese di Leganes_ governator di
Milano; sapeva in oltre dubbiosa ne' suoi disegni la reggente di Savoia
_Cristina_, sì pel suo desiderio di una sospension d'armi, e sì per
l'inquietudine che cominciava a recarle il _cardinal Maurizio_ suo
cognato; e però pensò a levarsi dal piede una dolorosa spina, cioè il
vigoroso forte di Breme, fabbricato dal defunto _duca Vittorio_, che
teneva in un continuo allarme lo Stato di Milano. Passò a quell'assedio
nel dì 11 di marzo. Pensavano i Franzesi che Breme si potesse sostenere
per due mesi; restarono ben delusi, perchè quella piazza nel termine
di non molti giorni, cioè nel dì 30 del mese suddetto, capitolò la
resa, e costò questa il capo al Mongagliardo, che n'era governatore,
senza che gli valessero scuse e ragioni. Costò anche quell'assedio la
vita al _maresciallo di Crequì_, perchè, essendo egli ito, nel dì 26,
a spiar col cannocchiale i postamenti degli assedianti, colpito dalla
palla di un sagro, in un momento passò all'altro mondo. Fu in sua vece
scelto al comando dell'armi franzesi in Italia il _cardinale della
Valletta_, che non dovea aver bene studiato i sacri canoni, e s'era
forse dimenticato d'essere arcivescovo. Per la presa della fortezza di
Breme, che tutta fu poi smantellata, grandi allegrezze si fecero in
Milano. Provveduta di gran talento era la vedova duchessa di Savoia,
ma questo non bastava nel fiero viluppo delle circostanze presenti.
Trattava segretamente con gli Spagnuoli di pace; ricusava di confermar
la lega co' Franzesi; ma cotante minaccie, e insieme sì belle promesse
di gagliardi aiuti misero in campo essi Franzesi, che la duchessa non
trovò scampo, e si lasciò condurre a ratificar la lega con essi. Perchè
nondimeno fece ella questa risoluzione, come vogliono alcuni (il che è
negato da altri), senza participazione e consenso de' suoi ministri, ne
fu un gran dire; e i popoli cominciarono a mostrarsi mal animati contra
di lei; e tanto più perchè segretamente soffiavano in quel fuoco gli
emissarii del _cardinale Maurizio_ e del _principe Tommaso_, zii del
piccolo duca, che aspiravano alla di lui tutela, e alla depressione
della duchessa. Anzi scrive Vittorio Siri di avere saputo dalla bocca
di _Francesco I duca_ di Modena che, nel passare per quella città, in
venendo da Roma esso cardinale, spiegò apertamente l'intenzione sua
di farsi duca di Savoia; al che inorridì l'Estense suo nipote. Ora il
marchese di Leganes, veggendo che non andavano innanzi i suoi trattati
colla duchessa, pubblicò nel dì 25 di maggio una circolare, dove, per
dar qualche colore all'invasione da lui già meditata del Piemonte,
si servì di quelle galanti apparenti ragioni che bene spesso veggiamo
usate dall'ingegnosa penna dei politici per deludere gl'ignoranti, ma
che fan ridere i savii: cioè muover egli l'armi solo per compassione
degl'infelici Piemontesi oppressi da' Franzesi, e per liberare la
duchessa reggente dalla loro prepotenza, e non già per usurpare menoma
parte di quegli Stati, promettendo inoltre buon trattamento a chi non
si opponesse _ad un così santo ed approvato disegno_.
Nel giorno seguente all'improvviso spinse l'esercito suo sotto la
città di Vercelli, e ne imprese l'assedio. Dentro vi era il marchese
Dogliana, che coraggiosamente si preparò alla difesa, deplorando
solamente la scarsezza del suo presidio e delle munizioni. Diedesi
frettolosamente il Leganes a formar la circonvallazione e gli approcci,
e cominciarono le artiglierie a far il loro dovere. Pervenne in questo
tempo a Torino il _cardinale della Valletta_ col _duca di Candale _suo
fratello; ma le soldatesche condotte da lui erano poche; altre bensì
ne venivano, ma zoppicando. La riputazione sua e le premure della
duchessa esigevano che si andasse al soccorso di Vercelli. In fatti
colà marciarono tutte le forze de' Franzesi e Piemontesi, e nella notte
del dì 20 di giugno venne lor fatto di spignere entro quella città da
ottocento fanti. Questo rinforzo servì bensì a far differire, ma non
già ad impedire, la resa di Vercelli; perchè, venute men le munizioni
ai difensori, i quali con gran valore s'erano sostenuti, finchè
poterono, dopo aver ottenuto oneste condizioni, lasciarono nel dì 5
di luglio libero l'ingresso agli Spagnuoli in quella città. In quello
assedio, se dice il vero Alberto Lazari, fu adoperata l'_invenzion
nuova delle bombe_, ma già da noi veduta molto più antica. Ivi ancora
scrivono, che alzate in aria venti braccia di grosso muro da una mina,
ricaddero a piombo nel medesimo sito, senza nè pure che apparisse una
fessura: il che par troppo. Mentre si facea questa danza in Piemonte
un'altra scena ancora succedette nel Monferrato. Oltre all'essere stata
allevata la _principessa Maria_ reggente di Mantova con genio agli
Spagnuoli, non sapeva ella veder di buon occhio i ministri di Francia,
che in Mantova stessa si davano l'aria come di padroni; e però nacquero
dissensioni fra lei ed essi, e si passò alle vicendevoli gelosie e
diffidenze. E queste per parte de' Franzesi furono credute dai saggi
ben fondate; imperciocchè non solamente la principessa escluse dal
ministero chiunque professava parzialità alla corona di Francia,
sostituendone altri partigiani della Spagna, ma si venne anche a
scoprire un trattato menato da lei co' ministri di Spagna, di scannare
quanti Franzesi si trovavano in _Casale_, e d'introdurvi guarnigion
spagnuola. Negò dipoi la principessa questo maneggio; ma pretesero
i Franzesi di averne chiare e convincenti pruove. Adunque per ordine
loro fu preso il Monteglio governatore, poi processato e decapitato.
Furono ancora cacciati altri uffiziali e ministri della principessa,
e molti di que' nobili del suo partito; e rinforzato maggiormente quel
presidio. In sostanza, occuparono il dominio di quella città, lasciando
gridar gli Spagnuoli che queste erano imposture e mascherate per andare
usurpando l'altrui.
Cangiarono faccia anche in Piemonte le cose; imperciocchè madama reale
_Cristina_ mirando esacerbati i sudditi non men per le conquiste
degli Spagnuoli, che per l'aggravio de' Franzesi; e temendo anche
delle segrete mine dalla parte dei due principi cognati suoi, tutta
si gittò in braccio agli stessi Franzesi. Fece vista di arrolare
un reggimento di essi per la propria difesa, e il mise in Torino;
lasciò in oltre, che nelle altre sue fortezze i medesimi mettessero
il piede: con che tutto il Piemonte col Monferrato si trovò come in
ceppi, divenuto Franzese. Prese motivo il Leganes dai cangiamenti
avvenuti in Mantova, per pubblicare un altro manifesto, lavorato sul
torno del precedente, intendendo di giustificare la di lui meditata
invasione del Monferrato, non già per vantaggio alcuno della Spagna,
che Dio guardi; ma per iscacciarne i Franzesi occupatori ingiusti, in
benefizio del duchino di Mantova. Entrarono in fatti poco d'appresso
l'armi spagnuole nel Monferrato, col farvi la sola bravura di prendere
il castello di Pomà, e di spianarlo da' fondamenti: che questo fu
il primo servigio prestato al duchino. Essendo accorsa l'armata del
cardinale della Valletta co' Piemontesi, se ne ritirarono da lì a
non molto gli Spagnuoli con poco lor gusto; e tutti poscia andarono a
godersi i quartieri d'inverno. Fu rapito in questi tempi dalla morte
il picciolo duca di Savoia _Francesco Giacinto_ in età di sei anni,
dopo molte febbri, che nel dì 4 d'ottobre il levarono dai guai del
mondo. Non vi restò di maschi se non _Carlo Emmanuele_, che in età di
quattro anni prese il titolo di duca. Nè solamente in quest'anno restò
innaffiata la terra dell'uman sangue, ma anche il mare. Faceano vela
quindici galee di Spagna venendo da Napoli, sotto il comando di don
Rodrigo Velasco, per isbarcar al Finale mille e cinquecento fanti, e
assai danaro in soccorso dell'esercito di Lombardia. N'ebbe avviso il
signor di Poncurlè, nipote del _cardinale di Richelieu_, e con quindici
altre galee uscito di Provenza, cominciò a rondare, aspettando che gli
Spagnuoli avessero sbarcate le soldatesche, per poscia assalirli. Il
Velasco, senza far altro sbarco, si fermò aspettando le risoluzioni
della flotta nemica. Sicchè nel dì primo di settembre si attaccò
fra loro alla vista di Genova un atroce conflitto. Quattro galee di
Spagna non reggendo al diluvio dei sassi gittati dai mortai o cannoni
franzesi, si ritirarono dalla battaglia. Se questo non succedea, fu
creduto che avrebbero gli Spagnuoli cantato il trionfo. Non perciò
si smarrirono le undici rimaste in ballo, finchè fu ucciso il lor
generale Velasco, e le lor ciurme, composte di schiavi e di malviventi
condennati al remo, tumultuarono, gridando _libertà_. Perciò e di
dentro e di fuori bersagliati gli Spagnuoli, furono forzati a cedere il
campo, seco nondimeno conducendo prese tre galee nemiche. All'incontro
i Franzesi, meglio serviti delle lor ciurme, consistenti in soli
volontarii, presero cinque galee, e in oltre la capitana di Sicilia,
che poi lasciarono andare per mancanza di remiganti e fu condotta a
Genova. Rimasero anche malconci i Franzesi per la strage fatta dalla
moschetteria nemica, essendovi perito lo stesso lor generale, e, ciò
non ostante, si attribuirono, e con ragione, la vittoria.
Ma altro incomparabilmente maggior motivo di tripudiare ebbe in
quest'anno la Francia, perciocchè dopo più di venti anni di sterilità
della _regina Anna d'Austria_, sorella del re di Spagna, e moglie del
_re Lodovico XIII_ (alla qual disgrazia aveano forse contribuito non
poco le illecite amicizie del re consorte, e le cabale del cardinale
di Richelieu), si videro in fine frutti del suo matrimonio. Per
accidente impensato accoppiatasi essa regina col re verso la metà di
dicembre del precedente anno 1637 a Grobois, concepì un Delfino, che
venne alla luce nel giorno quinto di settembre del presente anno, e
fu poi gloriosissimo re di Francia col nome di _Luigi XIV_. Abbiamo
l'attestato del celebre Ugon Grozio, ambasciatore allora di Svezia in
Parigi, che questo monarca nacque con due denti, avendo egli perciò
scritto: _Caveant vicini a mordacitate hujus Principis_, il che ben si
avverò. È scritto che anche il rinomato _cardinal Mazzarino_ uscì dal
ventre materno con due denti già formati. Nè si vuol tacere che col
tempo (cioè allorchè la felicità del medesimo cardinal Mazzarino, e la
sua intrinsichezza nel servigio d'essa regina, suscitarongli l'invidia
e la malevolenza d'infinite persone), saltò fuori e prese piede per
tutti i regni cristiani un'ingiuriosa e abbominevol diceria, cioè che
esso Mazzarino avesse supplito alle mancanze del re Lodovico XIII per
arricchir la Francia di un sospirato Delfino. Questa infame calunnia fu
chiaramente poi strozzata dalla penna di Gregorio Leti, facendo egli
toccar con mano che Giulio Mazzarino molti mesi prima era partito di
Francia, e trovavasi in Roma, allorchè avvenne il concepimento di Luigi
XIV. La nascita di questo principe diede impulso a grandissime feste,
e portò seco importanti conseguenze pel regno di Francia. All'incontro
una lagrimevol calamità accadde in quest'anno alla Calabria a cagion
d'un fierissimo tremuoto, accaduto nel dì 27 di marzo, dove Cosenza,
Stigliano e più di cinquanta luoghi rimasero affatto atterrati; più
di cento divennero inabitabili; e vi si contarono più di dodici mila
persone estinte. Fra gli altri luoghi la città di Policastro vide
a terra il vescovato e tutte le chiese e monisteri; niuna casa vi
restò in piedi, e perirono mille e ducento abitanti, fra i quali
il duca d'Aquino, padrone d'essa città. Seppellita fra le rovine
la principessa sua moglie, gravida di più mesi, fu ritrovata viva e
salva con una sua figliuola. Erano entrati nell'Adriatico i corsari
algerini e tunesini con forte squadra di galeotte, e gran timore vi
fu che mirassero a svaligiar la sacra casa di Loreto. Marino Cappello
coll'armata veneta di ventotto galee e due galeazze sorprese costoro
alla Vallona, e nel dì 5 d'agosto in quel porto, senza far caso delle
cannonate della piazza turchesca, a forza d'armi s'impadronì di tutti
quei legni barbareschi, e trionfalmente li condusse a Corfù. Poco
mancò che per tal atto la porta Ottomana non dichiarasse la guerra ai
Veneziani; ma questi ebbero maniera di placar lo sdegno dei Musulmani.
Desiderosa in questi tempi la corte del re Cattolico di tirar nel suo
partito _Francesco I d'Este duca_ di Modena, principe che ad un raro
senno accoppiava uno non inferior valore, mostrò gran piacere che
egli passasse in Ispagna, per tenere al sacro fonte quel principe o
principessa che era per dare alla luce la gravida regina. Con superbo
accompagnamento si portò colà questo principe per mare, ricevette
grandi onori, ed alzò nel dì 7 d'ottobre dal fonte battesimale
l'_infanta Maria Teresa_, che fu, nel 1660, sposata dal poco prima nato
_Luigi XIV_ re di Francia. Di più non ne dico io, per avere abbastanza
parlato nelle Antichità Estensi dei motivi ed effetti di questo
viaggio.


Anno di CRISTO MDCXXXIX. Indiz. VII.
URBANO VIII papa 17.
FERDINANDO III imperad. 3.

Gran teatro di guerra e di calamità fu in quest'anno il Piemonte a
cagion dei principi di Savoia, cioè del _cardinal Maurizio_ e del
_principe Tommaso_, che, ricorsi all'appoggio della Spagna (seppur
non furono stimolati da essa), pretendevano di spogliar la duchessa
vedova Cristina della tutela del duchino e del governo di quegli Stati.
Il cardinale, che, siccome dicemmo, aspirava anche più alto, era,
nell'autunno dell'anno precedente, celatamente venuto in Piemonte,
dove non gli mancavano parziali e divoti, e fra essi alcuno dei
ministri della medesima duchessa. Questa, dopo avere scoperto il suo
arrivo ed alcune di lui intelligenze nella cittadella di Torino, e
postovi rimedio, mandò a Chieri un suo uffiziale con una compagnia
dì cavalli, a dirgli che non era buona aria per lui quel luogo, e
che se ne andasse. Però senza farlo arrestare, come avrebbe potuto
fare, il fece accompagnare ad Annone, castello dello Stato di Milano.
Venne poscia di Fiandra il principe Tommaso, e tanta fu la voglia
di questi principi fratelli di spuntarla nel loro impegno, che si
sottomisero ad alcune pesanti capitolazioni col _marchese di Leganes_,
benchè mal volentieri. Doveano le piazze e luoghi, che colla forza si
conquistassero in Piemonte, venir presidiate dagli Spagnuoli; e quelle,
all'incontro, che volontariamente si rendessero, aveano da restar
libere in mano de' due principi. Fecero eziandio entrare l'autorità
dell'imperadore in questi viluppi, avendo egli spedito decreto del
dì 6 di novembre del 1638, in cui annullava il testamento del fu duca
_Vittorio Amedeo_ per conto della tutela lasciata alla duchessa, e un
monitorio ai sudditi di cacciare i Franzesi, e di aderire ai principi
legittimi tutori del duchino. Cannonate senza palla sarebbero state
carte tali se non le avesse accompagnate la forza. Ma questa non mancò;
e però si diede principio alla guerra civile, febbre che per lo più è
la più lagrimevole e perniciosa che possa accadere ad uno Stato. Dopo
la perdita di Vercelli, i popoli del Piemonte miravano di mal occhio i
Franzesi, e più la duchessa, che s'era lasciata cotanto allacciare dal
loro affetto. Si sparsero anche delle ridicole voci ch'essa pensasse,
con dare in moglie la figlia maggiore al Delfino, che era tuttavia in
fasce, di sacrificare all'ambizion dei Franzesi gli stati del duchino
suo figlio: immaginazioni, che basta riferirle, per farne conoscere la
sciocchezza. Certo è, che i più di quei popoli inchinavano ai principi
del sangue, credendoli più atti a conservar quel dominio che una
principessa franzese.
Ora il marchese di Leganes diede fiato alle trombe coll'inviare don
Martino di Aragona, valoroso capitano, all'assedio di Cengio, castello
fortissimo delle Langhe. Mentre l'Aragona si era accinto ad espugnar
prima Saliceto, dove erano trenta Franzesi, colto da una moschettata,
lasciò ivi la vita. In suo luogo Antonio Sottello cinse d'assedio
Cengio, ributtò il soccorso che il _cardinal della Valletta_ e il
marchese _Villa_ tentarono d'introdurvi; e in fine s'impadronì di
quel castello. In questo mentre il _principe Tommaso_, entrato in
Piemonte coll'armi spagnuole nel dì 26 di marzo, poca fatica durò a
conquistar Chivasso; adoperata la forza a Crescentino, lo ridusse a
suoi voleri; e dipoi, o per tradimento o per viltà del comandante,
ebbe la fortezza di Verrua nel dì cinque d'aprile. Nello stesso
tempo il _cardinal Maurizio_ passò a Biella, e alla valle di Aosta,
che, dopo l'acquisto d'Ivrea, tutta venne alla di lui ubbidienza,
trovandosi popoli che acclamarono i principi al primo lor comparire.
La _duchessa Cristina_, all'avviso di questa metamorfosi, e più a
quello dei movimenti del Leganes, già in viaggio per venire con tutte
le sue forze verso Torino, colà chiamò il cardinal della Valletta, e i
marchesi Villa e di Pianezza, comandanti delle sue armi; e, risoluta
di star salda in quella città, per tenere in freno i cittadini del
partito contrario al suo, prese nondimeno la precauzione d'inviare i
figli in Savoia al castello di Sciamberì, oppure di Monmegliano, per
sottrarli ad ogni pericolo: il che aguzzò maggiormente contra di lei
le lingue dei mal affetti. Si affrettarono i due principi fratelli per
presentarsi coll'esercito spagnuolo sotto Torino, e presi varii posti,
si accamparono intorno a quella città, sperando pure che seguissero
movimenti nel popolo; ma scorti vani i lor pensieri, non vollero
più perdere il tempo in quella disperata impresa. Divise dunque le
truppe, il conte Galeazzo Trotti andò ad impossessarsi di Pontestura,