Annali d'Italia, vol. 6 - 67

essergli di aiuto e sollievo; ma perciocchè stava il duca saldo nel
suo proposito, l'accorto porporato con intelligenza d'alcuni nobili più
coraggiosi, segretamente entrò una notte nella fortezza di Castelnuovo;
e comunicato il suo arrivo anche ai governatori delle altre due di
Sant'Ermo e dell'Uovo, improvvisamente allo spuntar dell'alba colla
salva delle artiglierie diede segno alla città del nuovo suo vicerè.
A questa salva andarono per terra tutte le trame ordite dall'Ossuna,
per indurre il popolo a non accettare il Borgia. Imbarcatosi dipoi
lo stesso Ossuna, sbarcò in Provenza, e per terra passò alla corte di
Spagna, dove sostenuto dagli amici, e dalla pecunia seco recata, trovò
buon volto e carezze nel re, finchè, mancato di vita nel susseguente
anno esso monarca, venne meno anche la fortuna del medesimo duca, il
quale, imprigionato in un castello, quivi dopo qualche mese, non si sa
il come, finì i suoi giorni.
Non erano senza fondamento i sospetti decantati dall'Ossuna di qualche
invasione di Turchi nel regno di Napoli, bench'egli stesso forse ne
fosse stato il promotore co' suoi armamenti, e col tanto minacciar
le coste della Turchia. Scommetterei ancora che non mancò qualche
malevolo che attribuì ai segreti maneggi suoi la mossa di que' cani,
per farsi conoscere alla sua corte troppo necessario in questi tempi al
governo di quel regno. Sbarcò nel mese di agosto la flotta turchesca ai
lidi della città di Manfredonia nella provincia di Capitanata; prese
quella città, la saccheggiò, e ne condusse via gran copia d'anime
battezzate dell'uno e dell'altro sesso. Nè si dee tacere che l'armi
dell'_imperador Ferdinando_, congiunte con quelle di _Massimiliano
duca_ di Baviera, di _Gian-Giorgio elettor_ di Sassonia, e d'altri
principi, si affrettarono a ricuperar la Boemia occupata, siccome
dicemmo, da _Federigo elettor_ palatino del Reno, gran calvinista.
Nello stesso tempo per ordine del re di Spagna, il _marchese Ambrosio
Spinola_, generale dell'armi dell'_arciduca Alberto_ in Fiandra, si
mosse con poderoso esercito alla volta del Palatinato inferiore, e
quivi occupò varie città. Poscia nel dì 9 di novembre in vicinanza di
Praga si venne ad un terribil fatto d'armi fra la lega Cattolica, e il
suddetto usurpator Palatino. Toccò una fiera sconfitta ai Boemi, le cui
conseguenze furono la presa e il sacco di Praga, e la fuga con pochi
dell'efimero re palatino, il quale dopo lunghi giri coll'ambiziosa sua
moglie passò in Olanda, a mendicar ivi il pane da quella repubblica,
e da _Giacomo re_ d'Inghilterra suocero suo. Fu poi ricuperata
nell'anno seguente dall'Augusto Ferdinando la Slesia con gli altri
paesi ribellati, e gli restò solamente il peso della Ungheria, occupata
da Bethlem Gabor. Per assistere in questi bisogni all'imperadore con
soccorsi d'oro, il _pontefice Paolo V_ gravò di decime l'uno e l'altro
clero. Nel dì 15 di marzo dell'anno presente seguì la solenne entrata
in Torino di _Cristina di Francia_, sorella del re Cristianissimo
_Lodovico XIII_, maritata in _Vittorio Amedeo_ principe di Piemonte.
Sontuose feste furono ivi fatte in tal congiuntura, alle quali
concorse anche l'_infanta Isabella_ principessa di Modena, e sorella
d'esso principe, accompagnata nel viaggio dal _cardinal Maurizio_ suo
fratello.


Anno di CRISTO MDCXXI. Indizione IV.
GREGORIO XV papa 1.
FERDINANDO II imperadore 3.

Ebbe di grandi faccende in questo anno la morte. Primieramente il
pontefice _Paolo V_ dopo quindici anni, otto mesi e tredici giorni di
pontificato, e dopo uno stabile tenor di vita religiosa e limosiniera,
fu chiamato da Dio ad un miglior paese. Dappoichè sui principii del
governo suo ebbe conosciuto che la bravura non era più un mestier da
papa, fu sempre amator della pace, impiegando i suoi pensieri nella
conservazione ed aumento della religione cattolica, nella riforma
del clero secolare e regolare, e nell'ornare sempre più di magnifiche
fabbriche l'impareggiabil città di Roma. Soprattutto attese ad ampliare
la basilica Vaticana, tempio perciò divenuto una delle maraviglie
del mondo. Quanto egli operasse in questa impresa, esigerebbe non
poche carte. Son da vedere intorno a ciò il vescovo Angelo Rocca, i
padri Oldoino e Bonanni della compagnia di Gesù. Insigni memorie di
magnificenza lasciò ancora nella basilica Liberiana, dove spezialmente
si ammira la cappella Borghese. Accrebbe di varie fabbriche il palazzo
del Quirinale. Dal territorio di Bracciano tirò con insigne acquedotto
per lo spazio di quarantacinque miglia, abbondanti e perenni acque per
sovvenire al bisogno della parte trasteverina della città. Tralascio
altre sue nobili fatture, per le quali fu sommamente benemerito di
Roma, delle quali si trova il catalogo e la descrizione nella di lui
vita composta dal Padre Bzovio dell'ordine dei predicatori. La sola
taccia che fu data al suo pontificato, si ridusse all'esorbitante
profusione ne' nipoti, i quali e dentro e fuori di Roma fabbricarono
palagi sì superbi, che gareggiavano con quei dei re. Il solo principe
di Sulmona nipote suo giunse ad avere rendite annue di cento, e vi
ha chi dice di ducento e più mila scudi, oltre il danaro in cassa.
Nè è da stupirsene. Il _cardinal Borghese_, dianzi chiamato Scipione
Caffarelli, figlio di una sorella del papa, e ministro dispotico
della sacra corte, tutto quanto veniva a vacare, lo conferiva ai
parenti suoi: del che pubbliche erano le doglianze. E però ebbe a
dire Andrea Vettorelli di questo pontefice: _Si una caruisset nota,
largitione nempe in suos, Beatissimis comparandum fuisse omnes
fatentur_. Convengono tutti i più accreditati scrittori che la di lui
morte avvenne nel dì 28 di gennaio dell'anno presente, e questo si
raccoglie ancora dalla sua iscrizion sepolcrale, che difettosa poi si
legge nell'edizion dell'Oldoino, dove il dì 28 per errore di stampa
è divenuto il dì 22. Entrati nel concistoro i porporati, parve sul
principio che il _cardinal Pietro Campor_i Modenese, portato dalla
fazion Borghese, avesse a riportare indubitatamente il pallio; ma
mutato all'improvviso parere, si rivolsero i voti alla persona del
_cardinale Alessandro Ludovisio_ di patria Bolognese ed arcivescovo
d'essa città, che nel dì 9 di febbraio restò eletto papa, e prese il
nome di _Gregorio XV_. Era egli personaggio di vita esemplarissima,
perito nella scienza delle leggi ecclesiastiche e civili, esperto negli
affari del mondo, di tal benignità e modestia ornato, che lo stesso
popolo romano con uno straordinario plauso diede risalto maggiore alla
di lui elezione, sperando di vedere rinato in lui l'altro glorioso
pontefice bolognese _Gregorio XIII_. S'era già introdotto che i papi, e
massimamente se vecchi, quale appunto era esso Gregorio XV, eleggessero
uno dei nipoti cardinale, a cui poscia si conferiva il titolo di
primo ministro, e volgarmente veniva appellato il _cardinal padrone_.
Pertanto non tardò il novello pontefice, nel dì 15 di febbraio, a
fregiar colla sacra porpora il nipote _Lodovico Ludovisio_, giovane
di gran talento, che sollevò da lì innanzi il quasi settuagenario zio
dalle fatiche e regolò gli affari non men con lode che con arbitrio
supremo.
S'affollarono tosto addosso al nuovo papa i ministri di Francia,
Spagna, Venezia e Savoia, per interessarlo vivamente nelle controversie
della Valtellina; nè fu egli pigro a scrivere di proprio pugno lettera
premurosa al re Cattolico _Filippo III_, esortandolo a tagliare il
corso a quella pendenza, minacciante oramai un'asprissima guerra
in Italia. Ma non andò molto che lo stesso monarca delle Spagne fu
sottratto dalla morte nel dì ultimo di marzo ai pensieri ed imbrogli
dei mondo, con lasciar dopo di sè una illustre memoria della sua
scrupolosa pietà e buon volere, ma una molto infelice del suo governo.
Imperciocchè o per poca abilità o per troppo amore alla quiete,
avendo lasciato in balia dei favoriti, e massimamente di _Francesco
duca di Lerma_ (che nel 1618 creato fu cardinale da Paolo V) tutto
il reggimento, parve che null'altro conservasse per sè fuorchè il
titolo di re. Perciò sotto di lui decaduta la monarchia spagnuola da
quel colmo di riputazione ed autorità, in cui la lasciò _Filippo II_
suo padre, andò poi maggiormente declinando per tutto il presente
secolo. A lui succedette _Filippo IV_ suo figlio primogenito, verso
di cui nè pur era stata assai liberale di belle doti la natura. Oltre
all'età di sedici anni, che il rendea poco atto all'amministrazion
degli affari, più cuore mostrava egli ai divertimenti geniali che alle
serie applicazioni; e però anche sotto di lui colla depression de'
precedenti continuò la disordinata fortuna di altri favoriti; anzi
questa si ridusse ad un solo, cioè a _don Gasparo di Guzmano_, _conte
di Olivares_, il quale, avendo ottenuto il titolo di duca, si fece poi
pomposamente nominare il conte duca, e riuscì un cattivo arnese di
quella sì potente monarchia. Fece fine ai suoi giorni anche _Cosimo
II gran duca_ di Toscana nel febbraio di quest'anno. Fu principe di
elevato ingegno, liberale, benigno ed amato dai popoli, ma sì mal
fornito di sanità, che quasi sempre fece alla lotta colle infermità;
laonde, nulla gustando della sua grandezza, invidiava la condizione de'
privati sani. I figli restati di lui furono _Ferdinando II_ proclamato
gran duca, _Gian Carlo_, che fu poi cardinale, _Leopoldo_, fregiato
anch'egli della porpora, _Mattias_ e _Francesco_, ed oltre a due altre
femmine, _Margherita_ maritata in _Odoardo duca_ di Parma. Perchè il
nuovo gran duca era tuttavia in età pupillare, presero la di lui tutela
il _cardinal Carlo_ suo zio, e l'avola Lorenese _Caterina_, e la madre
Austriaca _Maria Margherita_. Nè si dee tacere che nel dì 13 di luglio
cessò parimente di vivere in Fiandra _Alberto arciduca_, con vere
lagrime compianto da quei popoli che un placido governo aveano provato
sotto di lui. L'_infanta Isabella_ sua moglie, da cui non avea tratta
prole alcuna, tosto prese l'abito monastico, restando nulladimeno
governatrice di nome di que' paesi. Il _marchese Ambrosio Spinola_
godeva ivi il comando dell'armi; e perciocchè, essendo terminata la
tregua fra la Spagna e gli Olandesi, di nuovo si riaccese la guerra,
quel prode generale passò in quest'anno ad assediare Giulliers; del
che io nulla altro dirò, se nonchè dopo mirabili pruove del suo saper
militare se ne impadronì, con aver precluso l'adito ad ogni soccorso
del conte Maurizio di Nassau.
Intanto il _duca di Feria_ governator di Milano, che sosteneva con
vigore in Lombardia il credito della corona di Spagna, dall'un canto
seguitava a fabbricar nuovi forti nella Valtellina, e dall'altro
sempre facea giocar le proteste d'essere pronto a demolir tutto, e di
atterrare infino quel di Fuentes, benchè piantato nella giurisdizione
dello Stato di Milano. E denari ed artifizii seppe egli adoperar sì
a proposito, che mise la disunion fra gli stessi Grigioni, e parte
di essi ancora tirò nel febbraio ad una capitolazione o lega, che non
fu poi accettata dagli altri; anzi gl'incitò a maggior sollevazione,
con restar vittima del loro furore non pochi Cattolici, e spogliate
le chiese con altri assai gravi disordini, senzachè gli eretici la
perdonassero a quel lor nazionali che si erano accordati col duca
di Feria. Riuscì in questo mentre al Bassompiere, ambasciatore di
Francia spedito a Madrid, d'indurre il nuovo _re Filippo IV_ e il
consiglio di Madrid ad un accordo, per cui nel dì 25 d'aprile restò
determinato che la Valtellina tornasse in poter dei Grigioni, ma colla
conservazione della religion cattolica in quelle parti: al che eziandio
condiscese il nunzio pontificio. Ma questo trattato venne da tante
parti attraversato, che ne andò per terra l'esecuzione, soffiando
tutti i litiganti contra di esso. Al duca di Feria non si può dire
quanto dispiacesse il vedere in un fascio tutte le macchine sue per
l'ingrandimento della potenza spagnuola. Ne erano assai disgustati
anche i Veneziani, perchè veniva troncata con esso ogni lor pretensione
della lega col Grigioni. E gli stessi Grigioni vi trovarono più di un
motivo di rigettarlo. Il perchè, risoluti essi Grigioni di ricuperar
colle proprie forze la Valtellina, furiosamente uscirono in campagna
con più di dieci mila combattenti, ma disordinati e mal capitanati, che
al primo rimbombo delle artiglierie spagnuole nella contea di Bormio,
presi da terror panico, diedero alle gambe. Per questa invasione
il duca di Feria dalle parti del Milanese, e l'_arciduca Leopoldo_
da quelle del Tirolo mossero le lor armi. S'impadronì il primo di
Chiavenna, e l'altro delle valli d'Engedina e di Parentz e d'altri
siti, e poscia della stessa città di Coira, con rimetter ivi il vescovo
che dianzi ne era Stato cacciato. Sicchè sempre più venne a peggiorar
la fortuna dei Grigioni, provandone anche un incredibil dispiacere
i Veneziani, che miravano crescere ogni dì più i lor pericoli per
li felici progressi degli Austriaci. E pure, contuttochè sommamente
abbisognassero del braccio del papa e della Francia per liberar la
Valtellina dalle unghie spagnuole, e tanto il pontefice _Gregorio XV_
che il re _Lodovico XIII_ si prevalessero di questa congiuntura per
indurli coi più caldi uffizii a ricevere in lor grazia i gesuiti; pure
s'incontrò in quel senato un'insuperabile resistenza a tal petizione.
Era tuttavia vivo il famoso fra Paolo Sarpi lor teologo, essendo egli
mancato di vita solamente nell'anno seguente. Probabilmente non li
dovette consigliare che fossero indulgenti in questo caso. Merita il
_cardinal Roberto Bellarmino_ della compagnia di Gesù che si faccia qui
menzione della morte sua, accaduta nel dì 17 di settembre dell'anno
presente, con lasciare un celebratissimo ed immortal nome sì per li
suoi libri pieni di singolar dottrina, che per le sue rarissime virtù
morali e cristiane. Uomo in tutto mirabile, e che più onore compartì
alla porpora, che la porpora a lui.


Anno di CRISTO MDCXXII. Indizione V.
GREGORIO XV papa 2.
FERDINANDO II imperad. 4.

Già era tornato a Milano il _duca di Feria_, come trionfante per le
conquiste e vittorie sue nella Valtellina, e più non degnava d'un
pensiero la capitolazione segnata in Madrid fra il suo re e quello
di Francia. Ma i Veneziani, che più degli altri principi aveano
questo interesse a cuore, altamente strepitavano in tutte le corti, e
massimamente in Roma e a Parigi, rappresentando come troppo svelati i
misteri della politica spagnuola, che, sotto l'ombra di proteggere la
religione cattolica della Valtellina, erano chiaramente incamminati a
slargar le ali e, coll'ingoiar quello Stato, ad opprimere la libertà
d'Italia, mettendo un forte catenaccio a quella porta per cui possono
calare i soccorsi stranieri. _Carlo Emmanuele duca_ di Savoia, sì
perchè principe avido sempre di nuove guerre, e che non potea sofferire
gl'ingrandimenti della Spagna, e la baldanza dei ministri di quella
corte; si ancora per suoi particolari riguardi, e per l'alleanza sua
colla veneta repubblica, cominciò vigorosamente a procurar una lega
fra il re Cristianissimo, la repubblica veneta e lui. Essendo venuto a
Lione esso re di Francia, il duca insieme col principe di Piemonte suo
figlio e colla nuora Cristina, sorella del medesimo re, colà si portò
ad inchinare la maestà sua, da cui ricevette molte finezze. Perorò egli
molto contro l'avidità degli Spagnuoli, e si esibì di concorrere ad
una lega con dieci mila fanti e mille cavalli; ma ritrovò che nel cuore
di quel monarca aveano troppo polso i riflessi della stretta parentela
col re Cattolico e la guerra viva contro gli ugonotti, non mai quieti
nelle viscere del suo regno. Tornò il duca nel dì 17 di novembre ad
abboccarsi col re in Avignone. Tutto quel che per ora tanto egli che
i Veneziani ottennero, fu che il re Lodovico fece parlar alto dai
suoi ministri alla corte di Spagna, acciocchè si desse esecuzione al
trattato di Madrid per gli affari della Valtellina. Perciò si rinforzò
il negoziato fra i ministri delle due corone, intervenendovi sempre
anche il nunzio pontificio: e siccome era stato fatto il progetto di
depositar la Valtellina con tutte le fortezze in mano del papa, oppure
del gran duca, o del duca di Lorena, senza che per anche si fosse
arrivato a fissare chi ne avesse da essere il depositario; così la
maggiore applicazione si rivolse ad effettuare il proposto deposito. Ma
intanto i Grigioni, ora inviliti, ora temerarii, pensarono ad ottener
colla forza ciò che amichevolmente s'era dietro a procurar colla
destrezza nei gabinetti. Però mossi a furore, ed animati dai veneti
zecchini, benchè i più armati di soli bastoni a foggia di mazze, si
diedero a ricuperar i luoghi dall'armi dell'_arciduca Leopoldo_, e
quanti Tedeschi trovarono nei presidii, tutti li sacrificarono alla
lor collera, a riserva di quei ch'erano alla guardia di Maienfelt
e di Coira, i quali rifugiati ne' castelli, si renderono con patti
onesti. Ma nel settembre si cangiò scena, perchè le truppe arciducali
diedero una sconfitta ad essi Grigioni e agli Svizzeri loro ausiliarii,
e ricuperarono Maienfelt e Coira con altri importanti luoghi. Seguì
poscia una sospension d'armi, e continuò nelle corti il filo pacifico
de' trattati.
Attento il _pontefice Gregorio XV_ non solo alla difesa, ma anche
all'accrescimento della religion cattolica, istituì nel giugno
dell'anno presente una congregazione di cardinali, appellata _de
propaganda fide_, e le assegnò varie rendite: congregazione rinforzata
maggiormente dipoi da altri aiuti, onde singolar vantaggio è poscia
provenuto e proviene alla religione cristiana. Di somma consolazione
riuscì ancora ad esso papa e a tutto il cattolicismo l'occupazione
della città d'Eidelberga, capitale del Palatinato inferiore, tolta
all'eretico _Federigo elettor palatino_, al cui esercito e de' suoi
collegati fu data una gran rotta, talmente che egli di nuovo fu ridotto
ramingo e alla disperazione, siccome posto al bando dell'imperio
e abbandonato da tutti. Trovavasi in questi tempi vedovo e senza
successione l'_Augusto Ferdinando_, e però ricercò in moglie _Eleonora
Gonzaga_ sorella di _Francesco duca_ di Mantova. Furono celebrate le
di lui nozze nel febbraio dell'anno presente. Sul principio di marzo
terminò i suoi giorni _Ranuccio I duca_ di Parma e Piacenza, sorpreso
da improvviso male. Il suo funerale non fu accompagnato dalle lagrime
d'alcuno, giacchè coll'aspro suo, anzi crudele governo, s'era egli
sempre studiato di farsi piuttosto temere che amar da' suoi popoli.
Perchè gran tempo passò che _Margherita Aldobrandina_ sua moglie non
produceva frutti del suo matrimonio, s'era messo in pensiero di far
abilitare alla successione de' suoi Stati Ottavio suo bastardo. Ma
divenuta feconda la duchessa, gli partorì poi _Alessandro_ mutolo,
_Odoardo_ e _Francesco Maria_, che fu poi cardinale, oltre a due
principesse, _Maria_ e _Vittoria_, che furono poi duchesse di Modena.
La nascita di questi principi fece poscia eclissar l'amore di Ranuccio
verso dell'illegittimo Ottavio; e perciocchè questi era giovane di
alti spiriti, ed universalmente amato dai Parmigiani e dagli altri
sudditi, il duca suo padre, siccome principe pregno sempre di sospetti
e gelosie, dubitando d'intelligenze e di pretensioni dopo sua morte
al ducato, il confinò nella terribil rocchetta di Parma, sepoltura
de' vivi, dove da lì ad alquanti anni miseramente diede fine al suo
vivere. Perchè la sordità e mutolezza rendevano incapace di governo il
primogenito Alessandro, succedette in quel ducato _Odoardo_, marito di
_Margherita_ figlia di _Cosimo II gran duca_ di Toscana.
Per esempio ancora e cautela ai posteri, degna è qui di memoria
l'infelice morte di Antonio Foscherini, cavaliere e senator veneto, che
accusato di aver tenute corrispondenze segrete con istranieri ministri,
pubblicamente terminò col capestro la vita. Siccome lasciarono scritto
il cavalier Nani, Vittorio Siri ed altri, per le insidie passate e per
le turbolenze presenti, la veneta repubblica (sempre per somiglianti
delitti gelosissima ed inesorabile) gran credito diede ai sospetti,
e troppa fede agli accusatori e testimonii; laonde precipitosamente
si venne alla sentenza di morte. Ma fu fatto morire un innocente: il
che casualmente dopo qualche tempo si venne a scoprire. Perciocchè
in leggere un processo, per cui venivano certuni convinti di false
testimonianze, si risovvenne uno del consiglio de' dieci che un di
costoro avea testimoniato contro del senatore suddetto. Preso costui,
confessò di aver concertata la calunnia per cogliere il lucro proposto
a chi rivela delitti di Stato; laonde egli ne ebbe con gli altri il
meritato gastigo. Fu poi pubblicato un editto, che restituiva all'onor
primiero il giustiziato cavaliere, e tutta la sua nobilissima casa; ma
senza che si restituisse per questo la vita a chi per un sì mal fondato
e mal pesato processo l'avea già indegnamente perduta. È da lodar lo
zelo per la salute della patria, ma questo dee ben sempre camminar con
somma circospezione, affinchè gl'innocenti non soggiacciano alle pene
riserbate solo ai veri delinquenti. E che un caso tale abbia aperti gli
occhi a quei saggi signori, si è assai conosciuto dipoi, ed anche ai
giorni nostri se ne son vedute le pruove.


Anno di CRISTO MDCXXIII. Indizione VI.
URBANO VIII papa 1.
FERDINANDO II imperadore 5.

Avea il duca di Baviera Massimiliano nella guerra mossa contro Federigo
elettor palatino, siccome dicemmo, fatto l'acquisto d'Eidelberga e di
tutto il Palatinato inferiore. In essa città si trovava un'insigne
biblioteca di antichi codici scritti a mano, ebraici, greci, latini
e d'altre lingue, raccolti, per quanto fu divolgato, da tutti i
monisterii di quella provincia, introdotta che vi fu l'eresia. Attento
il pontefice Gregorio a profittar anch'egli dell'altrui naufragio, sì
per qualche ricompensa de' sussidii prestati al duca in quell'impresa,
come ancora per la pretensione che appartenesse alla santa Sede quel
tesoro di manuscritti, come spoglio di luoghi sacri, fece gagliarde
istanze di ottenerli, e il duca vi condiscese. Scrivono alcuni che
la persona inviata dal papa ad Eidelberga per trasportar que' codici
a Roma, a cagion della poca sua accortezza, lasciò sfiorar quella sì
riguardevole libreria, essendone stati asportati i codici migliori. Non
pochi certamente se ne trovano nella imperiale biblioteca di Vienna.
Di poca attenzione per questo fu accusato Leone Allacci, uomo di gran
credito per la sua erudizione e per tanti libri dati alla luce, giacchè
a lui fu appoggiata l'incombenza suddetta. Non cessavano intanto i
maneggi della repubblica veneta e del duca di Savoia alla corte del re
Cristianissimo, per trarre dalle mani degli Austriaci la Valtellina,
e gli altri paesi occupati nella Rhetia. E perchè si scorgeva troppo
manifesto l'artificio degli Spagnuoli di dar sempre belle parole, senza
mai venire ai fatti, finalmente sul principio di febbraio fu conchiuso
a Parigi di adoperar mezzi più forti per terminar questa briga. Si
stabilì dunque una lega del _re Lodovico XIII_, della _repubblica
veneta_ e del _duca_ suddetto, affin di obbligare tanto il _re
Cattolico_ che l'_arciduca Leopoldo_ a rimettere in pristino le cose
de' Grigioni, salva sempre nella Valtellina la religione cattolica. Non
sembra che la corte di Francia nudrisse vera voglia d'impiegar le sue
armi in questo litigio, e fu piuttosto creduto che il solo strepito
della formata confederazione metterebbe il cervello a partito agli
Austriaci, siccome appunto avvenne. Era già stato altre volte messo in
campo il partito di consegnare in deposito al papa tutte le fortezze
occupate o fabbricate dagli Austriaci nella Rhetia e Valtellina,
acciocchè la santità sua le guernisse con presidio suo proprio, e
tenesse quel paese finchè fosse assicurato il punto della religione
d'essa Valtellina per l'avvenire. Ora il _re Filippo IV_ nel dì 17
del suddetto febbraio spedì l'ordine che si dovesse far la consegna
d'esse fortezze, forse lusingato dalla speranza di far anche buon
mercato col mezzo d'un pontefice, in cui non si potea presumere molta
inclinazione ai Grigioni seguaci dell'eresia. Ripugnavano a questo
impegno i cardinali per timore che entrasse in un labirinto la dignità
della santa Sede, stante non poter ella trattare con essi Grigioni,
e il rischio di disgustar infine alcuna delle potenze interessate.
Ma i nipoti del papa, siccome pensionarii della Spagna, col forte
motivo di risparmiare una guerra all'Italia e di poter meglio accudire
agl'interessi della religione nella Valtellina, trassero la santità
sua ad accettare il deposito. Pertanto nel mese di maggio spedì il
pontefice _don Orazio Ludovisio_ suo fratello, creato sui primi giorni
del di lui pontificato generale della Chiesa, e poscia divenuto duca di
Fiano, che con cinquecento cavalli e mille e cinquecento fanti nel dì
6 di giugno prese il possesso dei forti della Valtellina, e dopo molti
contrasti anche di Chiavenna e della Riva. Nel qual tempo l'arciduca
Leopoldo ritirò il presidio da altri luoghi della Rhetia: con che per
ora si tolsero i semi di una grave perturbazione alla Lombardia; e
tutti i negoziati per tal pendenza si ridussero alla corte di Roma,
giacchè a lei era rimessa la deliberazione di questo affare.
Perchè il papa dopo il deposito parve che non si affrettasse, come
bramavano i Franzesi, a sentenziare sulla Valtellina, e andava
prolungando i negoziati, non mancò gente maliziosa che sognò in
lui inclinazione a ritener quel dominio per la Chiesa romana, o a
trasferirlo ne' suoi nipoti. Ma a questi lunarii e sospetti mise fine
la morte che nel dì 8 di luglio rapì alla terra esso _Gregorio XV_
pontefice degno di più lunga vita, e glorioso per non avere ommessa
diligenza veruna per sostenere la religion cattolica in Germania, e
la quiete in Italia. Neppur egli dimenticò di arricchire, per quanto
potè, la propria casa, ma con onesti mezzi. Impetrò specialmente dal
re Cattolico che si maritasse con un suo nipote l'unica figlia ed erede
del principe di Venosa, che portò in dote un'annua rendita di quaranta
mila ducati in tanti feudi del regno di Napoli. Nè poco contribuì
a questo ingrandimento il _cardinale Lodovico Ludovisio_ nipote, il
quale, per risparmiare al pontefice zio le brighe spinose del governo,
le assunse egli, lasciando che il papa si divertisse in ascoltar
le accademie istituite da lui nel palazzo, alle quali interveniva
con piacere, siccome persona dottissima e amante dei professori
delle lettere. Questo cardinal padrone nondimeno riportò lode d'aver
esercitata la giustizia, e mantenuta l'abbondanza de' viveri e grani
in Roma, in tempi di notabil carestia, ed esercitata in varie maniere
la sua pietà e la sua carità verso de' poveri. Acquistò poi la casa
Ludovisia l'insigne principato di Piombino, che ultimamente, per
mancanza della medesima, è ricaduto col mezzo della madre Ludovisia
in _don_ _Gaetano Boncompagno_ duca di Sora. Avea il pontefice
Gregorio pubblicato nell'anno 1621 due riguardevoli costituzioni
intorno all'elezione de' romani pontefici, che anche oggidì servono
di norma ai conclavi per procedere con voti segreti in quel delicato
impiego. Adunato pertanto il sacro collegio, concorsero nel dì 6
d'agosto i concordi voti, dove meno inclinava l'opinion dei politici
e dei curiosi, cioè nella persona _del cardinal Maffeo Barberino_
di patria Fiorentino, non senza stupore di chiunque mirava caduta la
sacra tiara in un personaggio di età di soli cinquantacinque anni e di
complessione molto robusta, con rimaner troncate le speranze ai vecchi
cardinali di giugnere a maneggiar le chiavi di san Pietro. Era questo
porporato uomo di amenissimo ingegno, ed eccellente massimamente nelle
lettere umane, ed assai versato negli affari di Stato, per gl'impieghi
importanti da lui sostenuti con gran decoro in addietro. Prese egli
il nome di _Urbano VIII_; e contuttochè nelle prime apparisse in lui
disposizione a farla da padre comune senza veruna parzialità, pure
tardò poco a trapelare in lui non lieve inclinazione alla Francia,
ed unione con chi sofferiva mal volentieri la prepotenza de' ministri
spagnuoli. Trovossi ben tosto il nuovo pontefice in molte angustie a
ragion dell'impegno preso dall'antecessore della Valtellina; giacchè,