Annali d'Italia, vol. 6 - 58

alcuno. Infatti _Clemente VIII_, che navigava allora coi venti di
Spagna, sulle prime fece intendere al duca di Nevers di non poterlo
ammettere in Roma come ambasciatore d'Arrigo. Poscia si contentò che
venisse in Roma, ma con prescrivergli di fermarsi non più di dieci
giorni, e di non trattare con alcuno de' cardinali per conto degli
affari di Francia. Entrò egli in Roma nel dicembre come incognito;
parlò vivamente col papa del re; ma nè le sue ragioni, nè una lettera
piena di divote espressioni del re, nè un bel memoriale d'esso duca
poterono punto smuovere il papa. E perciocchè non mancavano molti
cardinali di dolersi che il pontefice lavorasse qui di sua testa, nè
gli ammettesse a parte di un negozio di tanta importanza per la Chiesa
di Dio, egli in un concistoro risentitamente parlò, dicendo di essere
risoluto di non approvar quel fatto: _contro la qual deliberazione_
(scrive Cesare Campana) _se per innanzi alcuno osasse di dir parola,
egli era per farne rigorosa dimostrazione_. In tale stato rimasero
per quest'anno gli imbrogli della Francia, con aver nulladimeno il
re pubblicato nel dì 27 di dicembre un proclama, in cui faceva sapere
ad ognuno la sincera sua riunione colla fede e Chiesa cattolica, e la
spedizione fatta a Roma del duca di Nevers per riconoscer il papa e il
vivo suo desiderio della pace, esortando i popoli all'ubbidienza e ad
abbandonare i perturbatori della pubblica quiete.
Per ordine del re Cattolico era passato nel presente anno dalla
Fiandra in Francia con sei mila fanti e mille cavalli il conte
Carlo di Mansfeld, figlio del conte Pietro Ernesto, cioè di chi pro
interim governava allora le provincie cattoliche fiamminghe. Unito
egli col duca d'Umena, s'impadronì della città di Noion, e di altri
luoghi in Picardia, finchè la tregua suddetta fece posar l'armi per
tutta la Francia. Rimasta assai sguernita di forze la Fiandra, il
conte Maurizio di Nassau, generale delle Provincie Unite, seppe ben
profittarne. Imprese l'assedio di Gertrudemberga; ed avendo tentato
in vano il vecchio conte di Mansfeld di rimuoverlo di là, costrinse
quella piazza alla resa. Impossessossi dipoi di altri luoghi di nome
oscuro. Ne' quali tempi una sopra modo fiera tempesta di mare danni
immensi recò alla Olanda, dicendosi che restassero preda dell'Oceano
circa cento e quaranta navi cariche di varie merci. Nè pure cessò
in quest'anno _Carlo Emmanuele duca_ di Savoia di far guerra in
Piemonte, dove, per assicurare il passo della Savoia e di Susa, prese
per forza il castello di Exiles, e il forte di Miradolo fabbricato da
Lesdiguieres: azioni fatte a vista del nemico, il quale non osò mai
di opporsi. Fabbricò ancora un forte nella valle di Perusa, e ricuperò
il castello di Luserna e la terra di Cavours, ma non già la rocca. In
Croazia ancora ed in Ungheria fecero guerra i Turchi all'_imperadore
Rodolfo_, e ne riportarono in varii incontri delle buone busse. La
vicinanza di que' rumori, e il sospetto ch'essi Turchi, benchè durasse
la pace, potessero far qualche scorreria nella patria del Friuli,
fece prendere a' signori veneziani la saggia risoluzione di fabbricar
di pianta una città che insieme fosse fortezza. Fu dunque scelto un
sito ai confini degli Stati Austriaci, lungi dieci miglia da Udine,
e due da Strasoldo, ed ivi fabbricata una mirabil ampia fortezza, a
cui fu posto il nome di Palma-Nuova, grande antemurale del Friuli e
dell'Italia. Non andarono esenti in quest'anno dalle insolenze dei
Turchi le spiaggie della Sicilia e del regno di Napoli, perchè sbarcati
que' Barbari predarono migliaia di anime cristiane, arsero anche molti
villaggi e qualche terra grossa in quelle parti, non trovandosi più
nel Mediterraneo, eccettochè i cavalieri di Malta, chi pensasse a
reprimere l'orgoglio loro. Accadde anche in Palermo l'incendio di quel
castello, essendosi attaccato il fuoco al magazzino della polve, che
saltò in aria con grande squarcio nelle altre fabbriche, e colla morte
di circa trecento persone: disgrazia a cui facilmente son sottoposte le
fortezze, allorchè succedono temporali nell'aria; perchè siccome per
la fermentazione dei nitri e di altre esalazioni si accendono i lampi
e le folgori nelle nuvole, così anche presso alla terra fermentandosi
i nitri, e spezialmente i raunati nei conservatorii della polve da
artiglieria, e concependo il fuoco, cagionano dipoi grandi sterminii.
Noi questi incendii attribuiamo a' fulmini scendenti dalle nuvole; ma
naturalmente succede anche nel basso ciò che noi sì sovente miriamo
nella region delle nubi.


Anno di CRISTO MDXCIV. Indizione VII.
CLEMENTE VIII papa 3.
RODOLFO II imperadore 19.

Gran materia di discorsi somministrò in quest'anno a' politici la
renitenza ed inflessibilità di _papa Clemente_ ad accettare in seno
della Chiesa il convertito _re Arrigo IV_. Per quante ragioni sapesse
addurre il duca di Nevers, non gli fu possibile smuovere punto
l'animo di esso pontefice, cioè di chi non voleva consiglio se non
da sè stesso; anzi fu come forzato a partirsi di Roma: il che seguì
egli con protestare che di tutti i disordini che potessero da lì
innanzi avvenire in Francia, si rifonderebbe la colpa sopra sì duro
pontefice. Parea bene avere Clemente dei giusti motivi di procrastinare
in questo negozio, sì per conservare la autorità della santa Sede,
ch'egli chiamava lesa dai prelati di Francia, coll'aver eglino senza
di lui assoluto il re Arrigo; sì ancora per non lasciar esposti alla
vendetta di esso re que' principi e popoli della lega, la resistenza
de' quali avea forzato Arrigo a meglio pensare all'elezion della
religione; e finalmente per assicurarsi che sincera e non dolosa fosse
la conversione d'esso re. Ma non si sapeva intendere nè in Roma,
nè altrove, perchè un pontefice, obbligato ad essere padre comune,
e clemente più di fatti che di nome, non ammettesse temperamenti e
trattati di salvar la sua dignità, di conciliar la lega col re, e di
ben assicurarsi del cuore d'Arrigo. Da ciò arguivano poi che non solo
interesse della religione, ma altri ingredienti di umana politica
intorbidassero la sospirata union della Francia. E che sarebbe poi
succeduto se i prelati di Francia, che in addietro aveano proposto di
creare un patriarca, irritati maggiormente ora dalle di lui durezze,
avessero eseguito un sì fatto progetto? Il bello fu che al dispetto
degli sforzi del cardinal legato in Francia, e delle declamazioni de
frati, cominciò a poco a poco a sciogliersi la lega santa in quel
regno. Imperciocchè sul principio di questo anno la città di Meaux
riconobbe per suo legittimo re Arrigo. Il popolo di Parigi anch'egli
nel dì 12 di gennaio fece delle novità, privando il duca d'Umena del
titolo di luogotenente del regno, con ordinargli ancora di licenziare
i presidiarii spagnuoli. Le città di Aix in Provenza, Lione, Orleans ed
altre vennero all'ubbidienza del re. Nè credendosi necessaria in Reims
la coronazione sua, fu questa fatta nel dì 27 di febbraio in Sciartres
con gran solennità. Il che fatto, nel dì 22 di marzo, concertato
prima segretamente l'affare col signore di Brissac, il re Arrigo
pacificamente entrò nella città di Parigi, e però ne partirono senza
offesa gli Spagnuoli e Fiamminghi. E perchè il cardinal Sega legato,
benchè rispettato dal re, anzi invitato con tutto onore, più che mai
si mostrò alieno dal re, in esecuzione, delle istruzioni di Roma,
fu accompagnato a Montargis da _Jacopo di Perrona_ insigne vescovo
e letterato, che poi conseguì il cappello cardinalizio. L'esempio
di Parigi si trasse poi dietro molte altre città, e il duca di Guisa
si riconciliò col re. Coll'armi ancora furono sottomesse la Ciapella
piazza forte e Noione. Se questi felici progressi di Arrigo piacessero
al papa e al re Cattolico, non occorre ch'io lo dica.
Ora avvenne un caso in Parigi per cui gran rumore e diceria insorse.
Trovavasi quel re nella sua camera nel dì 27 di dicembre, colà appena
arrivato da San Germano, quando uno scellerato giovane parigino d'anni
diciotto, per nome Giovanni Castello, cacciandosi per la folla de'
cortigiani, e a lui appressatosi, gli tirò una coltellata, chi dice
verso la gola, chi verso il ventre; ma essendosi accidentalmente
chinato il re, il colpo altro non fece che tagliargli un labbro
e cavargli un dente. Preso costui, confessò di aver commesso il
delitto, credendo di acquistar merito presso Dio, avendo massimamente
inteso ch'era lecito il levar la vita ad un tiranno. Perchè disse
di avere studiato sotto i padri gesuiti, e furono dipoi trovati in
camera del padre Giovanni Guignardo sacerdote della compagnia alcuni
scritti contra del re, composti allorchè era nel suo maggior bollore
la lega: ciò bastò perchè uscisse un editto, promosso da chi, per
altri precedenti motivi, mirava di mal occhio i gesuiti, in cui fu
ordinato ch'essi tutti sotto varie pene uscissero del regno: sentenza
creduta ingiusta dai saggi, perchè a cagion del delitto di un solo,
o di alcuni pochi, si veniva a punire tutta una grande università,
benemerita per varii titoli della religione e del pubblico. Ancorchè
prosperassero cotanto gli affari del re Arrigo, pure _Filippo re di
Spagna_ non ritirava le sue milizie dalla Francia, e continuava la
guerra in Bretagna per mezzo del duca di Mercurio, e nel Delfinato e
Provenza coll'armi del duca di Savoia e dello Stato di Milano. Fece
esso duca l'assedio di Bricheràs; e quantunque Lesdiguieres avesse
fatto il possibile per ben fortificare quella terra e la sua rocca, e
costasse l'impresa più di un sanguinoso assalto, pure se ne impadronì.
Riacquistò ancora il forte di San Benedetto, ed ebbe il contento di
veder tornare alla sua divozione tre delle valli abitate dagli eretici
Valdesi, cioè Luserna, Angrogna e Perusa. In Fiandra, al cui governo
entrò in quest'anno l'_arciduca Ernesto_, non succederono fatti di gran
conseguenza, se non che Groninga assediata dal conte Maurizio di Nassau
fu obbligata a rendersi. Seguì eziandio in quelle parti un pertinace
ammutinamento de' soldati italiani, e poi degli Spagnuoli, per mancanza
delle paghe; cosa tante altre volle accaduta, e sempre con discredito
della monarchia di Spagna, la qual pure tante ricchezze continuamente
ritraeva dalle Indie Orientali ed Occidentali, giacchè il re allora
comandava anche al regno di Portogallo. In Ungheria sì e nella Croazia
furono molti fatti d'armi fra gli eserciti dell'imperadore e de'
Turchi. Acquistarono i cristiani Novigrado ed altri luoghi, ma che
non compensarono la perdita dell'importante fortezza di Giavarino,
che dopo un ostinato assedio fatto dai Musulmani fu loro ceduto da
quel comandante, senza aspettare il vicino soccorso. Provò in questo
anno ancora la povera Italia gl'insulti della crudeltà turchesca.
Sul principio di settembre comparve verso Reggio di Calabria il bassà
Sinan, ossia Assane Cicala, rinegato appunto Calabrese, ed ammiraglio
turchesco, con una flotta di ben cento legni; e sbarcata la gente sua,
perchè il popolo col loro meglio s'era ritirato entro terra, per rabbia
di non aver colpita la preda, se ne vendicò col fuoco, incendiando
quella tante volte incendiata o rovinata città, e tagliando quanto
v'era di fruttifero in que' contorni. Altrettanto poi fecero a varii
villaggi e terre murate di quella riviera, con danno di centinaia
di migliaia di scudi per quegl'infelici abitanti. Nel dì 5 di agosto
in Mantova cessò di vivere _Leonora d'Austria_ figlia di _Ferdinando
imperadore_, e già moglie di _Guglielmo duca di Mantova_, principessa
di singolar bontà di costumi, e d'una vita sì religiosa, che era, per
così dire, adorata da quel popolo.


Anno di CRISTO MDXCV. Indizione VIII.
CLEMENTE VIII papa 4.
RODOLFO II imperadore 20.

Finalmente nel presente anno facendo breccia nel cuore di _papa
Clemente_ que' riflessi che nel precedente aveano avuta sì poca
fortuna, ebbe la cristianità la consolazione di veder calmate le
turbolenze della Francia, e rimesso il _re Arrigo IV_ in grazia
della santa Sede. I prosperosi successi d'esso re, a cui pochi oramai
palesemente ricalcitravano in Francia, e l'aver egli dichiarata la
guerra al re di Spagna che fin qui avea alimentato quel fuoco, cagion
furono che il pontefice non si lasciasse più regolar dalle massime
spagnuole, ma che si consigliasse unicamente con chi, senza privati
interessi, amava il ben della Chiesa. Fatte dunque segretamente
penetrar le sue scuse e il buon animo al re per mezzo del celebre
Arnoldo d'Ossat, che come prete privato stava allora in Roma e trattava
gli affari di esso re, fu spedito da Parigi _Jacopo Davy signor
di Perrona_, un dei più dotti cattolici della Francia, acciocchè
maneggiasse così importante affare. Arrivò egli a Roma senza formalità
nel dì 12 di luglio, informò il papa di quanto occorreva, e gli
porse un'umile supplica a nome del re. Furono smaltite le condizioni
colle quali il pontefice volea accordargli l'assoluzione; poscia nel
concistoro del dì 2 di agosto propose la determinazione da lui presa
di ricevere nel grembo della Chiesa cattolica esso Arrigo. Non vi
furono fra i porporati, se non alcuni pochi parziali degli Spagnuoli,
i quali, giacchè non poteano impedirlo, misero in campo delle
stravaganti condizioni, secondo le quali mai non si sarebbe venuto
allo scioglimento di quel nodo. Non così fece il cardinal _Francesco
Toledo_, personaggio dottissimo della compagnia di Gesù, rapito di
poi nell'anno seguente dalla morte, il quale quantunque Spagnuolo di
nascita, pure, tenendo davanti agli occhi la sola gloria di Dio e il
bene della Chiesa, mirabilmente s'adoperò per condurre a fine quella
impresa di tanto rilievo. Altrettanto ancora operò _Cesare Baronio_
confessore del papa, poscia cardinale, spezialmente a ciò spinto da
_san Filippo Neri_, il quale in quest'anno appunto nel dì 26 di maggio
passò a miglior vita. Scelta dunque la domenica corrente nel dì 17 di
settembre, con tutta solennità e decoro si eseguì la funzione. Nel
portico della basilica di San Pietro, le cui porte stavano chiuse,
si presentarono al papa, attorniato dal sacro collegio e da infinito
popolo, il Perrona e l'Ossat, come procuratori di Arrigo; esibirono
il di lui memoriale e lo strumento della lor procura; quindi a nome
del re abiurarono tutte le eresie, e fecero la profession della fede
cattolica, riconoscendo per nulla l'assoluzione a lui data in Francia,
ed accettando le già concordate condizioni e le penitenze imposte
al re. Fu poi proferita la sentenza dell'assoluzion pontificia,
spalancate le porte di San Pietro, intonato e cantato il _Te Deum_,
cui fecero ecco i rimbombi delle artiglierie di castello Sant'Angelo,
con assaissime altre feste del popolo romano. Di somma consolazione
eziandio al pontefice e al cattolicismo riuscì nell'anno precedente
l'arrivo a Roma di due oratori spediti dal patriarca d'Alessandria,
e nel presente anno di due altri inviati da alcuni vescovi della
Russia polacca per unir le loro chiese alla Chiesa e credenza romana,
con abiurar gli errori delle lor sette. Non occorre che io dica qual
frutto si ricavasse dalla comparsa dei primi, da che ognun sa che gli
eutichiani d'Egitto continuano ad essere separati da noi.
Riportò ancora in quest'anno gran lode presso il popolo romano
la costituzione, ossia bolla della congregazione sopra i baroni,
pubblicata nel dì 30 di giugno da _papa Clemente_. Il far dei grossi
debiti costava poco ai nobili romani, nè poi maniera si trovava di
pagarli, essendo i lor beni sottoposti a fideicommissi e ad altri
legami: dal che proveniva immenso danno tanto ai creditori che al
pubblico commercio. Deputò dunque il pontefice una congregazione con
facoltà di poter distraere i feudi e le castella, ed altri beni stabili
di essi baroni, non ostante qualsivoglia vincolo di fideicommisso,
affinchè venisse da lì innanzi soddisfatto ai creditori. A questa
ordinazione diede poi miglior forma _papa Urbano VIII_. Grande
apprensione intanto recavano al pontefice Clemente i progressi de'
Turchi in Ungheria, divenuti più orgogliosi per la presa di Giavarino;
e l'_Augusto Rodolfo_ non cessava di chiedere aiuti. Per sovvenirlo
impose il pontefice quattro decime agli ecclesiastici d'Italia, e si
diede a far leva di soldatesche negli Stati della Chiesa, disegnando
di spedir colà un corpo di dodici mila fanti e di mille cavalli.
Il comando di questa gente, in cui si contarono assaissimi nobili
uffiziali italiani, fu dato a _Gian-Francesco Aldobrandino_, nipote
del papa, che, dopo avere con grandiosa solennità ricevuto il bastone
di generale e le bandiere, marciò alla volta dell'Ungheria. Anche
_Ferdinando gran duca_ di Toscana vi avea dinanzi spedito altri
soccorsi di gente. _Don Giovanni, don Antonio de Medici_, il duca di
Bracciano ed altri signori con quelle truppe si segnalarono in varie
imprese. Ma _Vincenzo duca di Mantova_, mosso dalla sua parentela
coll'imperadore, volle passare in persona a quella guerra, menando seco
un accompagnamento di circa mille e quattrocento uomini a cavallo tutti
atti a guerreggiare. Questo principe sorpreso poi in Comora da una
pericolosa malattia, fu forzato verso il fine d'ottobre di ritornarsene
in Italia a cercar aria migliore per risanarsi. Aveano intanto l'armi
dell'imperadore, comandate dal valoroso conte Carlo di Mansfeld, presa
in Ungheria la città vecchia e nuova di Strigonia; ma nulla si potea
dir fatto, se non s'impadronivano anche della cittadella; quando colà
giunsero anche gl'Italiani suddetti, ai quali fu assegnato il lor
posto per la espugnazione di quella fortezza. Diedersi varii assalti,
ed in essi valorosamente combattendo, sacrificarono la lor vita molti
di quegli uffiziali e soldati, di modo che in fine spezialmente alla
bravura di essi Italiani fu attribuito l'essere stati forzati i Turchi
a rendersi a patti. Giunto in appresso anche colà il duca di Mantova
colle sue truppe, e bramoso di lasciar qualche memoria di sè, prese
ad espugnare la città di Vicegrado, e la costrinse alla resa. Degli
altri fatti di guerra in quelle contrade non permette l'assunto mio che
maggiormente io ne parli.
Sempre più intanto si venne toccando con mano che _Filippo II re di
Spagna_, già sì caldo protettore ed ausiliario della lega cattolica in
Francia, col manto della religione copriva altre politiche intenzioni.
Per la conversione del _re Arrigo IV_ andava sempre più declinando
essa lega. Si sapeva che in Roma gagliardamente si trattava della
riconciliazione d'esso re; e pure Filippo, lungi dal pensare a rendere
la quiete alla Francia, maggiormente si accendeva a farle guerra, e la
continuò ancora dappoichè la pace data dal pontefice ad Arrigo tagliava
le gambe a tutti i pretesti della lega. Dichiarò dunque Arrigo la
guerra al re Cattolico con un pubblico manifesto, al quale con altro
simile fu risposto. Giacchè era mancato di vita l'_arciduca Ernesto_
governatore della Fiandra, e pro interim restava appoggiato quel
governo al conte di Fuentes, a lui venne da Madrid ordine di proseguir
le ostilità. Entrato pertanto egli nella Picardia coll'esercito suo,
covando il disegno di ricuperar la città di Cambrai, assediò e prese il
castelletto, fortezza d'importanza per l'intenzione sua. Di là passò
all'assedio di Dorlac, al cui soccorso passati i Franzesi, ebbero
la mala pasqua. Fu presa anche quella terra e saccheggiata: dopo di
che il Fuentes arditamente cinse di assedio la riguardevol città di
Cambrai, tuttochè si trovassero alla difesa di quella città circa due
mila e cinquecento fanti e secento cavalli, oltre al presidio della
cittadella, consistente in cinquecento fanti. Ma teneva egli delle
intelligenze con alcuni di que' cittadini, fautori dell'arcivescovo;
e in fatti, dappoichè furono ben inoltrate le trincee, ed ebbero le
batterie alzate, non solamente diroccata buona parte del muro, ma
anche bersagliato un buon numero delle case della città, quel popolo
si mosse a manifesta sollevazione, ed aprì le porte agli Spagnuoli.
Ritirati i Franzesi nella cittadella, non tardarono molto a trattare
con tutte le più onorevoli condizioni che poterono desiderare. Per
tale acquisto gran gloria riportò il Fuentes, e somma fu l'allegrezza
delle provincie cattoliche della Fiandra, al cui governo arrivò
dipoi il _cardinale arciduca Alberto_, fratello del defunto arciduca
Ernesto. Dalla parte ancora della Borgogna e della Savoia faceano gli
Spagnuoli guerra alla Francia. Lesdiguieres tolse al duca di Savoia
Exiles, e il duca a lui il forte castello di Cavours ed altri luoghi.
Ma non per questo lasciavano d'andare sempre prosperando gli affari
del re Arrigo, perchè ricuperò Vienna nel Delfinato; la Provenza tornò
quasi tutta alla sua ubbidienza; Digion e Sciallon in Borgogna a lui
si diedero, per tacer di altri vantaggi suoi. Quel che più importa,
la riconciliazione sua colla santa Sede operò che il duca d'Umena ed
altri principi cominciarono segretamente a trattar seco di concordarsi
e sottomettersi; e _Carlo Emmanuele duca_ di Savoia, siccome saggio,
intavolò tosto e conchiuse una tregua con lui.
Non andò esente nè pure in questo anno la Campagna di Roma dagl'insulti
de' banditi, cioè spezialmente verso Anagni e Frosinone, dove commisero
orrendi misfatti. Contra di costoro spedì il pontefice alcune compagnie
di cavalli, ed altrettanto fece il conte di Olivarez vicerè di
Napoli contra degli altri che maggiormente infestavano quel regno.
Grandi lamenti erano per quella iniqua gente, che tutto dì svaligiava
viandanti e corrieri, e talvolta anche levava loro la vita. Fecero
prigioni Giambatista Conti nobile romano, ed Alessandro Mantica, e
poscia l'arcivescovo di Taranto e il vescovo di Castellanetta, a'
quali imposero di grosse taglie. Era in questi tempi generale delle
galee di Napoli don Pietro di Toledo; e pensando egli come vendicarsi
dell'insolenze fatte nei tempi addietro da' Turchi alle marine
d'Italia, aggiunse alle sue quattordici galee otto altre di Sicilia,
tutte ben armate; e colto il tempo che si facea da' Turchi nel mese
di settembre la fiera di Patrasso, all'improvviso giunse colà, e
messe le genti a terra diede un fiero sacco a tutti quei mercatanti
ebrei, turchi e greci. Dicono che vi restarono uccise circa quattro
mila persone, sapendo anche i cristiani essere turchi, quando hanno
il vento in poppa. Il bottino si fece ascendere a quattrocento mila
scudi romani, e parecchi mercatanti furono menati via ed obbligati al
riscatto. Benchè l'ammiraglio de' Turchi Cicala si trovasse a Navarino
lungi da Patrasso quaranta miglia, non si attentò a muoversi per voce
precorsa essere cinquanta le galee cristiane, e quelle ben fornite di
bravi combattenti e munizioni da guerra. _Pasquale Cicogna_ doge di
Venezia, personaggio di singolar probità, terminò in quest'anno a' dì
2 d'aprile la carriera del suo vivere. Sotto di lui fu fabbricato il
sontuoso ponte di Rialto, una delle più insigni fabbriche di Venezia.
Nel dì 22 oppure 26 d'esso mese venne sostituito in quella dignità
_Marino Grimani_. Restò funestato l'anno presente dalla morte di
altri illustri personaggi, cioè cardinali e capitani di gran nome,
fra i quali io nominerò solamente _Lodovico Gonzaga_, zio paterno
di _Vincenzo duca_ di Mantova, il quale passato negli anni addietro
in Francia, per le nozze contratte con _Enrica_ figlia ed erede di
_Francesco duca_ di Nevers, acquistò quel ducato e lo tramandò a
_Carlo_ suo figlio, che a suo tempo vedremo duca di Mantova. Gran
figura fece esso Lodovico nelle guerre civili di Francia. Merita
ancora di essere accennata la morte di _Torquato Tasso_, accaduta nel
presente anno a dì 26 di aprile in Roma, mentre si preparava la solenne
di lui coronazione in Campidoglio. Insigne poeta e principe dei poeti
epici italiani, e filosofo di alto sapere, come costa non men dai
suoi versi che dalle sue prose, ma che per gl'insulti della soverchia
sua malinconia fu gran tempo, per non dir sempre, zimbello della mala
fortuna.


Anno di CRISTO MDXCVI. Indizione IX.
CLEMENTE VIII papa 5.
RODOLFO II imperadore 21.

I pensieri del _pontefice Clemente_ nel presente anno furono
principalmente occupati in cercar le vie di estinguere la guerra che
tuttavia in varie partì lacerava la Francia. Spedì a questo effetto
il generale de' frati minori a spiar gli animi del _re Arrigo_ e
del _cardinale Alberto_ governatore della Fiandra, e ad istillare in
amendue pensieri di pace. Ma questa pace desiderata dal re franzese
_Arrigo IV _non si accordava colle vaste idee del re di Spagna _Filippo
II_; e tanto più perchè l'armi e raggiri suoi ebbero in più di un luogo
felice successo. Primieramente avea saputo l'accortezza de' ministri
spagnuoli talmente guadagnare Carlo Casale console, o piuttosto tiranno
di Marsilia, che quel popolo parte per timore e parte per mari e
monti di vantaggi lor fatti sperare dal re Cattolico, si misero sotto
la di lui protezione, ed accettarono nel loro porto Carlo Doria colà
inviato colle sue galee da esso re di Spagna: fatto che infinitamente
dispiacque al re Arrigo. Era già tornato in grazia dello stesso re
Cristianissimo il duca di Guisa. Mandato egli al governo della Provenza
con quelle forze maggiori che potè riunire, s'impadronì di Cisteron,
di Riez, di Grasse, di Hieres, di Santropè e di altri luoghi. Quindi
si diede a manipolare un segreto trattato in Marsilia coi malcontenti
del governo del Casali; e questo fu sì felicemente condotto, che nel dì
16 di febbraio il Casali restò ucciso da' congiurati; nel qual tempo
si presentò esso duca di Guisa alle porte della città, e vi entrò,
con acquistar dipoi le fortezze, ed obbligare il Doria a fuggirsene
non senza perdita di molti de' suoi soldati sorpresi in terra fuori
delle galee. Con più felicità succederono all'arciduca cardinale le
imprese ch'egli tentò. Trovandosi impegnato il re Arrigo nell'assedio
della fortezza della Fera, ed occorrendo troppe difficoltà a soccorrere
quella piazza, s'avvisò il porporato di fare una potente diversione.
Pertanto all'improvviso, nel dì 9 di aprile, piombò col suo esercito
addosso alla riguardevol terra e fortezza di Cales, e con gran
sollecitudine fece piantar le batterie, tanto per bersagliare la terra
che per impedire i soccorsi per mare, i quali furono ben tentati, ma
senza frutto alcuno. Era quella guarnigione di soli secento soldati
impoltroniti nell'ozio, di mille e ducento borghesi e trecento villani,
che intimoriti al primo feroce assalto degli Spagnuoli, dimandarono
capitolazione, e l'ottennero, per potersi ritirar nel castello,
promettendo di rendere ancor questo fra sei giorni, se non veniva
soccorso. Venne infatti il soccorso, ed ebbe maniera di entrar nel
castello. Adirato per questo il cardinale, fece giocar le artiglierie
contra d'esso castello, ed appena formata la breccia, fu dato un
sì furioso assalto, che avviliti i difensori non pensarono che alla
fuga. Ne furono uccisi ottocento e tutto andò a sacco, con fama che il
bottino ascendesse a un milione di scudi. Guines e Han si arrenderono
anche essi dipoi al cardinale. E lo stesso fece nel dì 23 di maggio
anche la picciola, ma forte città d'Ardres, e finalmente nell'agosto
l'importante fortezza di Hulst.
Intanto dopo alquanti mesi di ostinato assedio giunse finalmente il re
Arrigo nel precedente giorno, cioè nel dì 22 di maggio, ad obbligar
gli Spagnuoli alla resa di Fera. E perciocchè la perdita di Cales
era una continua puntura al suo cuore, non ebbe scrupolo a trattare
e conchiudere un'alleanza con _Elisabetta regina_ d'Inghilterra,
assai per altri motivi disgustata degli Spagnuoli. Nè si dee tacere
che, durante l'assedio della Fera, _Arrigo di Savoia duca_ di
Nemours, il _duca di Gioiosa_ potente in Linguadoca, e, quel che più
importò, il _duca d'Umena_ della casa di Lorena, dopo molti segreti
trattati, vennero all'ubbidienza e giurarono fedeltà al suddetto
re Cristianissimo, il quale siccome principe magnanimo benignamente
gli accolse, con loro concedere molti governi e vantaggi, ed obbliar
generosamente le cose passate. Tornò infine alla divozion sua anche
il _duca di Mercurio_, che più degli altri si era mostrato pertinace
fautore della lega: tutti avvenimenti che servirono di maggiore
ingrandimento e riputazione ad esso re. Ebbe in questi tempi una
dura lezion dagl'Inglesi _Filippo II re_ di Spagna. Fece la regina