Annali d'Italia, vol. 6 - 54

Trattandosi di un principe italiano, a noi non disconverrà l'andar
passando in Fiandra, per accennar brevemente le gloriose azioni di
_Alessandro Farnese_ governatore di que' paesi. In questi tempi i
Fiamminghi confederati contro il re Cattolico, mal soddisfatti del
giovane _arciduca Mattias_, dopo aver dichiarato esso principe decaduto
da ogni diritto sopra le loro contrade, presero per difensore della
Fiandra _Francesco_ già dichiarato _duca d'Angiò_, fratello di _Arrigo
III re_ di Francia. Con buon esercito passò questo principe a Cambrai,
città indarno assediata dall'armi spagnuole, e trionfalmente vi fu
ricevuto. Fece poi pochi altri acquisti, perchè a poco a poco i suoi
Franzesi se ne tornarono alle delizie della patria, ed egli passò in
Inghilterra, dove la _regina Elisabetta_ tanta disposizione mostrò
ad accettarlo per marito, che già tutti il felicitavano, tenendosi
egli come gli altri la cosa per fatta. Ma non andò molto che si trovò
solennemente beffato dall'astuta e simulatrice regina, non men di
quello che era succeduto prima a tanti altri. S'impadronì in quest'anno
il principe Alessandro di Bredà, che fu messa a sacco. Ricuperò
Sangislan, e poscia imprese l'assedio di Tournai, che fu ben lungo e
costò di molto sangue e fatiche, ma con terminare nella resa di quella
importante città, obbligata a pagare ducento mila fiorini per esimersi
dal sacco. Colò tutta questa rugiada in mano dei vittoriosi soldati.
Con gran solennità nei medesimi tempi ricevette il re Cattolico il
giuramento di fedeltà dalla bocca, ma non dal cuore, degli Stati di
Portogallo, e fece riconoscere per erede di quel regno _don Diego_ suo
maggior figliuolo. Quindi sul fine di giugno si trasferì a Lisbona,
accolto colla maggior magnificenza e con segni di somma allegrezza da
quel popolo, a cui confermò gli antichi privilegii e ne aggiunse de'
nuovi, nulla ommettendo per guadagnarsi la benevolenza di quella gente,
che internamente fremeva per vedersi ridotta sotto il giogo d'una
nazione tanto da essi odiata.


Anno di CRISTO MDLXXXII. Indizione X.
GREGORIO XIII papa 11.
RODOLFO II imperadore 7.

Quand'anche non fossero concorse tante memorabili azioni a rendere
gloriosissimo il pontificato di _papa Gregorio XIII_, basterebbe bene
ad assicurar l'immortalità al suo nome la correzione da lui fatta in
quest'anno del calendario romano. Gran tempo era che si lagnavano
gl'intendenti astronomi dello sconcerto avvenuto nel ciclo solare
fissato ai tempi di Giulio Cesare e di Augusto imperadori, perchè
allora non fu ben conosciuto l'esatto corso annuale del sole. Era
passato questo disordine nel tempo della Pasqua, stabilito dai padri
del primo concilio niceno, perchè chiaramente si scorgevano troppo
slontanati dal sito allora prefisso alla celebrazion della Pasqua
gli equinozii della primavera, e fuor di sito le feste principali
della Chiesa. Ora il generoso pontefice con tutto vigore si applicò
ad emendare i trascorsi passati, e ad impedirli per l'avvenire.
Consultò dunque i più valenti astronomi d'allora, e molti ne chiamò a
Roma, facendo ben ventilare la miglior forma di stabilire un cielo di
epatte che non fosse da lì innanzi soggetto a mutazioni. Meritò sopra
gli altri applauso un ciclo già inventato da Luigi Lilio Veronese,
nel quale furono fatte alcune lievi mutazioni, se con ragione e
frutto, a me non appartiene il cercarlo. Pertanto fu determinato
di levar via dieci giorni dall'ottobre dell'anno presente, affinchè
l'equinozio della primavera tornasse al dì 21 di marzo, secondo la
determinazione del concilio niceno. Per mantenerlo poscia in quel
sito, e schivar nuovi sconcerti da lì innanzi, si stabilì che ogni
tre centesimi anni si tralasciasse il bissesto, ma che corresse nel
quarto centesimo, con altre regole che io tralascio. Comunicato questo
insigne progetto a tutte le potenze cattoliche, acciocchè fosse ben
esaminato, riportò l'approvazion d'ognuno. Il perchè nel dì 24 di
febbraio dell'anno presente si vide con solenne bolla pubblicato dal
pontefice, e ne fu ordinata l'esecuzione. Non si può dire che plauso
per questa sì faticosa e riguardevole impresa conseguisse il buon
papa Gregorio presso tutti i cattolici, contando noi per nulla il
ridicolo schiamazzo, che per ciò fece lo spirito contraddittorio de'
protestanti, ai quali il bello e buono procedente da Roma non suol
aver la fortuna di piacere. Ma non si vuol dissimulare che sul fine
del secolo decimosettimo e sul principio del presente insorsero delle
difficoltà intorno alla stessa correzion gregoriana, e si disputò
non poco da alcuni valenti astronomi, specialmente italiani, con
pretendere che il celebre Cristoforo Clavio non avesse ben corrisposto
all'intenzione di questo saggio pontefice, e che quella correzione
tuttavia abbisogni di emenda, stante l'essere intervenuto dipoi, e
poter intervenire, che, seguitando noi il ciclo dell'epatte, o troppo
presto o troppo tardi si celebri la Pasqua, per non corrispondere
essa ai veri calcoli astronomici del sole e della luna. Oltre di
che, secondo essi, non fu ben preso a' tempi del pontefice Gregorio
il preciso annuo corso del sole, essendosi trascurati almeno alcuni
secondi, i quali col tempo possono produrre qualche sconcerto. Con
tutto ciò tali non parvero quelle obbiezioni, che fosse creduta
necessaria allora una nuova riforma del calendario. Tale forse la
crederà alcuno dei secoli avvenire.
Oltre a questa insigne azione riguardante tutto il cattolicismo,
fece il medesimo papa un'opera particolare per ornamento ed utilità
di Roma; e fu il collegio romano della compagnia di Gesù, fabbrica
sontuosissima, di cui si vede la pianta rapportata dal padre Bonanni.
Al mantenimento di que' religiosi assegnò ancora delle grandi rendite.
In questi tempi avendo _don Antonio di Portogallo_ coll'aiuto
de' Franzesi ed Inglesi messa insieme una buona flotta, andò per
impadronirsi dell'isole Terziere, come dipendenti dalla corona di
Portogallo. Non dormiva il _re Filippo II_, ed anch'egli spedì a quella
volta il _marchese di Santacroce_ nel mese di luglio con ventotto
navi ed altri legni. Vennero alle mani le due nemiche armate, e restò
sconfitta quella di don Antonio, con rimaner prigioni venticinque
baroni franzesi, cinquanta altri nobili di quella nazione, e circa
secento tra Franzesi ed Inglesi soldati ordinarii. Fu commessa allora
una crudeltà più che turchesca, onde risultò ignominia grave, e non
facile a cancellarsi, della nazione spagnuola. Il Santacroce, estratti
da luogo sacro tutti quei franzesi, condannò ognun di essi, parte al
taglio della testa, e parte al capestro, e la sentenza fu eseguita.
All'avviso di tanta barbarie, recato dall'ambasciator franzese con
altre doglianze, inorridì il buon papa Gregorio, nè potè contenere le
lagrime, non sapendo darsi pace che gente cristiana più delle fiere
stesse arrivasse ad infierire. Ne rigettò egli la colpa sul Santacroce;
ma non si potè levar di testa alla gente che l'ordine si spiccasse
previamente dalla corte dello stesso re Filippo, e spezialmente non
avendone fatto alcun risentimento contra del Santacroce. Fu creduto che
il consiglio venisse dal _duca d'Alva_, quel Silla novello che metteva
la gloria e il sostentamento della monarchia spagnuola, non già nel
farsi amare, ma nel farsi temere dai popoli. Questo crudel uomo finì
appunto di vivere nel dicembre di quest'anno. Se trovasse nell'altra
vita quell'indulgenza e misericordia ch'egli mai non esercitò, nè
conobbe in terra, non l'ha rivelato Iddio. Tornò in Fiandra nel mese
di febbraio _Francesco duca d'Angiò_, e in Anversa con sommo applauso
fu proclamato duca del Brabante, conte di Fiandra, d'Olanda, Zelanda,
ec. Con tutti questi bei titoli niun progresso fece egli in quelle
parti. _Alessandro Farnese_, allo incontro, s'impossessò di Oudenarde,
dell'Esclusa, di Cambresì, di Ninoven e d'altri luoghi. Cominciò in
quest'anno il giovane _Carlo Emmanuello duca_ di Savoia a scoprir le
sue idee guerriere col segreto disegno di sorprendere Ginevra, sentina
di tutte le eresie, alle porte, per così dire, d'Italia. Avendo egli
ben disposti i pezzi per quell'impresa, e comunicata la sua idea
al pontefice Gregorio e al re Cattolico, da amendue avea riportate
promesse di gagliardi aiuti, se gli veniva fatto il negozio. Ma
avendone anche ricercato il consenso dal re di Francia _Arrigo III_,
n'ebbe una negativa, allegando quel monarca che Ginevra era sotto la
protezion della sua corona. Gli convenne per questo di desistere; ma
concepì un odio tale contra de' Franzesi, che mai più nol depose.


Anno di CRISTO MDLXXXIII. Indiz. XI.
GREGORIO XIII papa 12.
RODOLFO II imperadore 8.

Circa questi tempi il _pontefice Gregorio_, nato per pensar sempre
a cose grandi pel pubblico bene, e, dopo averle ideate, costante in
eseguirle, presentò alla luce il decreto di Graziano con abbigliamenti
nuovi, per aver dianzi deputata una congregazion di letterati per
la correzione e per l'ornamento di quella raccolta di canoni, molto
allora accreditata nelle scuole. Prese ancora a migliorar la edizione
della sacra Bibbia; al qual fine procurò da ogni parte antichi codici
e deputò un'altra congregazione. Questa impresa non fu poi condotta
a fine se non sotto i papi susseguenti Sisto V e Clemente VIII.
Gran carestia fu in Roma per due mesi, e ciò per colpa de' ministri
che aveano con troppo larga mano conceduta l'estrazion de' grani.
Toccò al generoso animo del papa di emendar con grave spesa la lor
trascuratezza. Avvenne, oltre a ciò, in Roma un accidente che recò non
lieve rammarico e disturbo al pontefice; perciocchè ito il bargello
con gran copia di birri per prendere un bandito in casa degli Orsini,
capitati colà Raimondo Orsino, Silla Savello ed Ottavio de' Rustici,
baroni romani, per aver voluto impedir la cattura per pretension di
franchigia, restarono miseramente uccisi da quella canaglia. Sollevossi
perciò il popolo romano, ed anche la nobiltà, e quanti birri potè
cogliere, senza rimissione ammazzò. Essendo concorsi a questo rumore
molti banditi, seguirono altre uccisioni, e sarebbe succeduto peggio,
se la prudenza del pontefice non avesse rimediato. Tanta caccia fece
egli fare al bargello suddetto, che fu in fine preso e giustiziato:
il che nondimeno non bastò a quetar gli animi pregni di desiderio
di vendetta, talmente che non finì sì presto quella tragedia. Ora
il papa, per rallegrare il popolo, nel dì 12 di dicembre fece la
promozione di diecinove cardinali, tutti persone di gran merito, fra
i quali spezialmente si distinsero _Niccolò Sfondrati_, che fu poi
papa Gregorio XIV, _Francesco di Gioiosa_ Franzese, _Agostino Valerio_
vescovo di Verona, e _Vincenzo Lauro_ vescovo di Monreale.
Avea la morte rapito al re _Filippo II_ nell'anno precedente il suo
figlio maggiore _don Diego_; però fece egli nel presente prestar
giuramento dai Portoghesi a _don Filippo_, restato unico di lui
figlio. Gli riuscì ancora di finir di ricuperare le isole Terziere.
In Fiandra accaddero delle novità, delle quali ben seppe profittare
il principe _Alessandro Farnese_. Quantunque fossero stati conferiti
gloriosi titoli, dei quali sopra si parlò, a _Francesco duca d'Angiò_;
pure, perchè da alcune condizioni alquanto dure veniva ristretta
la sua autorità, si avvisò egli, spinto principalmente dagli alteri
suoi consiglieri franzesi, di voler dar egli la legge a' Fiamminghi,
parendogli vergogna il riceverla da loro. Volle dunque adoperar la
forza, e destinò il giorno 16 o 17 di gennaio del presente anno per
farsi libero signore di quelle contrade. L'ordine andò a tutti i
presidii franzesi d'insignorirsi dei luoghi dove si trovavano, ed
egli prese a sottomettere l'insigne città di Anversa, in cui erano di
guarnigione quattrocento de' suoi; ma con incontrar egli ciò che non
si aspettava, cioè quello a che si espone chiunque de' principi che,
volontariamente chiamato da un popolo alla signoria, si mette sotto i
piedi con tanta facilità i patti della dedizione. Prese pretesti da una
rassegna per accostarsi colle sue truppe ad Anversa, ed allorchè usciva
di città con gran corteggio de' suoi soldati, diede il segno della
macchinata trama. Furono uccise le guardie della porta, ed entrarono
secento cavalli e tre mila pedoni franzesi, che montati sui baloardi
voltarono i cannoni contro la città, e si diedero a saccheggiar le
case, e ad uccidere chiunque si opponeva. Ossia che gli Anversani
stessero dianzi con gli occhi aperti, o che solamente li svegliasse
quell'improvviso assalto, il vero è che tosto fecero sonar le campane a
martello, tirarono le catene alle strade, e, dato di piglio all'armi,
animosamente fecero fronte a chi non più amico, ma nemico e traditore
lor si mostrava. Con tal gagliardia dai feroci cittadini furono
assaliti e respinti i Franzesi, che lor convenne rinculare sino alla
porta, dove, per voler eglino uscire, e nello stesso tempo entrare gli
Svizzeri del duca d'Angiò, si fece una calca e miscuglio che costò
la vita a moltissimi o uccisi o caduti nella fossa. Vi fu chi fece
ascendere sino a due mila i Franzesi morti; la città restò liberata,
e il duca pien di vergogna, e rampognato dalla propria coscienza per
tanta infedeltà, si ritirò. Agli altri Franzesi venne fatto di occupar
Doncherche ed alcun altro luogo, ma non già Ostenda, Bruges e Neoporto.
Arrivò a tempo questa discordia de' Fiamminghi col duca d'Angiò per
rinvigorire _Alessandro Farnese_, a cui soprastava la rovina, se a'
Franzesi riusciva quel colpo, e se di Francia fossero venuti nuovi
rinforzi. Mosse dunque il Farnese l'armi sue, e colla metà d'esse
diede una rotta al maresciallo franzese _Biron_, dove fu creduto che
perissero de' vinti circa due mila persone, e de' vincitori solamente
otto, se vogliam prestar fede a chi non è mai intervenuto a battaglie.
Assediò il Farnese intanto Doncherche, e lo costrinse alla resa, e
prima dell'agosto ebbe ai suoi voleri Neoporto, Berga, Furnes, Dismuda
e Menin, e poi Zutfen col paese di Vaes, Middelburgo, Rupelmonda, Alost
ed altri luoghi: tutte vittorie ed acquisti che sommamente accrebbero
il credito alla parte regia ne' Paesi Bassi e la gloria al principe di
Parma.


Anno di CRISTO MDLXXXIV. Indiz. XII.
GREGORIO XIII papa 13.
RODOLFO II imperadore 9.

In quest'anno ancora _papa Gregorio_ lasciò una bella memoria in Roma
colla erezione del collegio dei Maroniti, cristiani cattolici, abitanti
nel monte Libano sotto la tirannia de' Turchi; ma non ebbe tempo da
assegnargli tutta la convenevol dote: al che fu poi soddisfatto dal
suo successore. Fu chiamato in quest'anno a miglior paese nella notte
precedente al dì 4 di novembre il santo cardinale ed arcivescovo di
Milano _Carlo Borromeo_ in età di soli quarantasei anni, un mese ed un
giorno: vita ben corta, ma con tante azioni di pietà e zelo pastorale
da lui menata, che non si possono leggere senza ammirazione. Fu egli
allora e sempre sarà considerato per un luminoso prototipo de' veri
pastori della Chiesa di Dio, in cui si sono specchiati tanti altri
insigni vescovi che in Italia e fuori d'Italia son camminati per le vie
della santità; e i suoi concilii ed istruzioni sono e saranno sempre
in somma venerazione, siccome fonti perenni di tutta l'ecclesiastica
disciplina. Per le tante memorabili sue virtù venne poi questo
incomparabil porporato messo nel ruolo de' santi. Eransi già provati
giuridicamente i difetti corporali di _Margherita principessa Farnese_,
maritata in _don Vincenzo Gonzaga_ principe ereditario di Mantova;
laonde restò disciolto quel matrimonio, ed egli nell'anno presente
prese per moglie _Leonora_ figlia di _Francesco gran duca_ di Toscana.
Le nozze furono celebrate in Mantova sul fine di aprile con incredibil
pompa e magnificenza. Era vicerè di Sicilia _Marcantonio Colonna_, il
più valoroso e gentil cavaliere che avesse l'Italia, e sempre glorioso
per la vittoria riportata a Lepanto ossia alle Curzolari contra de'
Turchi. Passò egli in Ispagna, chiamatovi dal re Cattolico con dieci
galee. Ma appena giunto a Medinaceli nel dì 2 d'agosto fu portato
all'altra vita da un sì precipitoso e violento male, che fece dubitar
di veleno. Lo stesso sospetto corse nella morte di _Francesco duca
d'Angiò_, fratello di _Arrigo III re_ di Francia, da noi poco fa veduto
duca del Brabante e conte di Fiandra. Era egli tornato in Francia, e
trattava di riaccomodarsi coi Fiamminghi, quando fu preso sul principio
di maggio da un malore, per cui gli usciva il sangue da tutti i meati
del corpo, di modo che terminò il suo vivere nel dì 10 di giugno. Il
titolo di liberator della Fiandra, ch'egli s'era attribuito, non fu
certamente scritto sulla sua tomba. A _Guglielmo_ ancora _principe
d'Oranges_, cioè al principal motore e fomentatore della ribellion
de' Paesi Bassi, toccò in quest'anno nel dì 10 di luglio la morte, e
morte violenta, perchè proditoriamente ucciso da Baldassare Gherardo
nato presso Lione, il quale non sedotto da alcuno, ma unicamente mosso
da odio verso un principe eretico, autore di tanti mali, tolse a lui
la vita colla perdita della propria. A lui succedette il _principe
Maurizio_ suo secondogenito, che, dichiarato ammiraglio dalle Provincie
Unite, riuscì poi un valoroso lor protettore.
Queste morti quanto sconcertarono gli animi dei ribelli Fiamminghi,
altrettanto incoraggirono il prode principe di Parma Alessandro.
Aveva egli molto prima occupati varii posti, e fabbricato un forte che
angustiava non poco l'importante città d'Ipri, e l'affamava. Quei di
Bruges vollero soccorrerla con un grosso convoglio di viveri, scortato
da cinquecento fanti e da ducento cinquanta cavalli. Fu questo preso
dai cattolici, colla morte di circa cinquecento nemici: colpo che
indusse poi la cittadinanza d'Ipri a capitolare la resa. La stessa fame
consigliò quei di Bruges a seguitar l'esempio d'Ipri. Animato da così
prosperi successi il Farnese, prese una risoluzione che a molti parve
ardita, e fin temeraria ad altri: cioè di assediare la città d'Anversa,
non men per l'ampiezza e popolazione, che per la situazione, da tutti
tenuta per fortissima. Benchè dissuaso da' suoi consiglieri, pur diede
egli principio all'assedio, con occupar varii siti e forti intorno ad
essa. Nel medesimo tempo colla forza obbligò Tenremonda a rendersi;
e i Gantesi domati dalla fame vennero a dimandar perdono e ad esibire
ubbidienza. Furono accettati coll'obbligazione di pagar ducento mila
fiorini, e di rifabbricar la cittadella. La maggior città della Fiandra
era allora Gante. Intanto mirabili cose facea l'indefesso principe per
maggiormente strignere la superba città d'Anversa con chiuse nuove,
canali nuovi, trincieramenti, e sopra tutto con un ponte lunghissimo,
ch'egli arrivò a compiere solamente nell'anno seguente. Pressato da'
suoi sudditi _Carlo Emmanuello duca_ di Savoia a prendere moglie, la
ricercò ed ottenne nel presente anno, e in Sciamberì nel dì 18 d'agosto
fu pubblicato il suo matrimonio con _donna Caterina d'Austria_ figlia
minore del regnante re di Spagna _Filippo II_. Molte feste perciò
furono fatte ne' suoi Stati; ed avendo il duca o per ambasciatori o
per lettere significato a Roma, all'imperadore, al re di Francia e agli
altri principi questo suo nobile accasamento, concorsero a Torino varie
ambascierie per seco rallegrarsi. Tuttavia solamente nell'anno appresso
si diede il compimento a questo affare.


Anno di CRISTO MDLXXXV. Indiz. XIII.
SISTO V papa 1.
RODOLFO II imperadore 10.

Uno spettacolo insolito, che si tirò dietro gli occhi di tutti, ebbe
Roma nel presente anno per l'arrivo colà degli ambasciatori cristiani
giapponesi. Nelle ricchissime e popolatissime isole del Giappone, regno
o imperio situato di là dalla China con popoli sommamente ingegnosi
e bellicosi, il primo ad introdurre la religione di Cristo era stato
san Francesco Saverio apostolo dell'Indie. Coltivata quella vigna da
altri susseguenti religiosi della compagnia di Gesù, sempre più andò
fiorendo, di maniera che non solamente le migliaia del basso popolo,
ma anche assaissimi nobili, ed alcuni dei principi, appellati re, per
nostro modo d'intendere, a cagion della lor grande autorità e potenza,
aveano ricevuto il battesimo, alzati sacri templi, e piantata ivi
un'amplissima università di fervorosi cristiani. Non han saputo negare
la verità, l'ampiezza e i pregi di quella cristianità i nemici stessi
della Chiesa romana, i quali, più mercatanti che cristiani, nulla
poi tralasciarono di trame ed inganni per opprimerla e sradicarla,
siccome nel seguente secolo, per l'infame loro iniquità, avvenne. Per
rendere dunque ubbidienza al sommo pontefice furono spediti due giovani
ambasciatori da tre di que' gran signori, chiamati re dai nostri; i
quali accompagnati da alcuni gesuiti, dopo aver ricevuto in Portogallo,
in Ispagna e in Toscana grandi onori e finezze, giunsero nel dì 22
di marzo a Roma. Con solennità ammessi nel sacro concistoro al bacio
de' piedi, presentarono al pontefice le lettere dei loro principali,
e furono poi trattati con ogni sorta di onorevolezza e di amore tanto
da esso papa, che da tutti i cardinali e dalla nobiltà romana. Per la
comparsa di questi nuovi germi della religione cristiana, venuti da sì
remote parti del mondo, incredibil fu la consolazione ed allegrezza
che ne provò il buon _pontefice Gregorio_, nè potè contener le
lagrime tanto egli che gli altri zelanti dell'accrescimento della vera
Chiesa di Dio. Ma a questo giubilo poco tardò a succedere il lutto.
Mentre i Giapponesi andavano visitando le cose rare di Roma, eccoti
cadere infermo il pontefice, e in due giorni di malattia, cioè nel
dì 10 d'aprile, passare a miglior vita, essendo pervenuto all'età di
ottantaquattro anni: età, ad atterrar la quale basta un soffio solo.
Che questo pontefice meriti luogo fra i più insigni pastori della
Chiesa di Dio, non ne lascia dubitare quanto si è finora detto di lui.
Eppur questo è poco rispetto a quel di più che dir se ne potrebbe; e
che infatti hanno più e più scrittori tramandato ai posteri. Perciocchè
eminente si trovò in lui l'amore della pace in Italia, lo zelo per
la conservazione ed aumento della fede Cattolica, e l'attenzione ad
eseguire i decreti del concilio di Trento: il che specialmente dimostrò
nel promuovere ed aiutare con grandi somme di denaro l'erezione di
tanti seminarii per le provincie Cattoliche, e nella fondazione in
Roma di collegii sì riguardevoli. Le sue limosine in sollievo dei
poveri, per attestato del popolo romano nell'iscrizione a lui posta,
ascesero a due milioni di scudi di oro; un altro ancora ne impiegò in
maritar povere zitelle. Lungi dall'imporre nuove gabelle e dazii, ne
levò alcuni già messi, e specialmente l'assai grave della farina, ed
ornò Roma di templi, e di altre opere magnifiche: per le quali cose,
e pel suo placido governo, e per la sua amorevolezza verso ognuno, il
suddetto popolo romano alzò la sua statua nel campidoglio, e l'alzò
dopo la sua morte, cioè in tempo che l'adulazione cessa, e il vero
merito è riconosciuto. Amò i suoi, ma con lodevol moderazione. Era
a lui nato un figlio da donna libera prima di ascendere agli ordini
sacri, per nome _Jacopo Boncompagno_ il quale per ingegno, probità
di costumi, e saviezza nei politici affari riuscì poscia un valente e
generoso signore. A lui bensì conferì il papa i gradi soliti a darsi ai
nipoti dei pontefici, cioè di generale della Chiesa, di governatore di
castello Sant'Angelo e di capitano delle sue guardie; ma non fabbricò
già la di lui fortuna con gli Stati della Chiesa. Solamente gli procurò
nel ducato di Modena il marchesato di Vignola, consistente in ventidue
comunità; e dal re Cattolico ottenne per lui il ducato di Sora, Arpino,
Aquino, Arce, ed altri luoghi nel regno di Napoli. Propagata poi la
di lui discendenza con uomini illustri, oggidì più che mai risplende
in _don Gaetano Boncompagno_ benignissimo e savissimo principe,
maggiorduomo maggiore del re delle Due Sicilie, che ai suoi titoli e
Stati ha ultimamente aggiunto l'importante e dovizioso principato di
Piombino, e in _don Pietro_ suo fratello duca di Fiano.
Non più di quattordici giorni stette vacante la sedia di San Pietro,
essendo Stato concordemente nel conclave eletto papa il _cardinale
Felice Peretti_, già frate dell'ordine conventuale di san Francesco,
uomo di petto, sommo amatore della giustizia, ed ornato di molta
dottrina. Era egli bassamente nato nelle grotte di Montalto, terra
della marca anconitana, da un povero contadino, ma pel suo felice
ingegno, pel suo sapere e merito salito a poco a poco ai primi gradi
dell'ordine francescano, nel 1570 da Pio V fu promosso alla sacra
porpora, e nominato il cardinal di Montalto. Per errore di stampa
presso il Ciaconio è riferita al dì 12 d'aprile l'esaltazione sua
al pontificato: errore non emendato neppure dal Vittorello, nè
dall'Oldoino, e che parimente s'incontra nel Bollario romano e in altri
libri. Certo è che l'elezione sua seguì nel dì 24 di aprile, giorno di
mercordì. Prese il nome di _Sisto V_ per rinovar la memoria di Sisto
IV, che parimente fu dell'ordine di San Francesco. Veramente bizzarra
è quella che noi chiamiamo natura, facendo essa talvolta nascere da un
povero rozzo bifolco figli di sì raro talento, e cotanto dalla fortuna
favoriti, che giungono ad essere o gran politici, o gran guerrieri,
o gran letterati; laddove altre volte da uomini grandi nascono
figliuoli zotici e di cervello stravolto, ai quali sembrava piuttosto
riservata una zappa. Ora Sisto, benchè sì poveri e bassi natali avesse
sortito, pure fuor di dubbio è che portò seco un animo grande, qual
si converrebbe al più eccelso monarca. Antonio Cicarelli, che continuò
le Vite de' papi del Panvinio, ed altri storici non ebbero difficoltà
di scrivere che il suddetto cardinale di Montalto coll'accortezza o
simulazione sua cooperò anch'egli non poco a far inchinare i voti degli
elettori in favor suo. Perciocchè gran cura ebbe di nascondere in varie
maniere il genio suo rigido ed imperioso, e l'ansietà di pervenire al
papato. Quieta era la vita sua, ritirato stava nella sua vigna, mai non
contendeva con gli altri cardinali, cedendo ad ognuno, e guardandosi da
ogni parzialità verso le nazioni. Benchè ingiuriato, niun risentimento
mostrava, e, quantunque talvolta chiamato asino della Marca dai
confratelli porporati, o mostrava di non udire, oppure rideva.
Essendogli stato ucciso un nipote, neppur volle far ricorso per questo
alla giustizia. Se ne ricordò bene creato che fu papa. Cardinale ebbe
in uso di accrescere di sette anni la sua età per parere più vecchio;
e mostravasi soprattutto così mal concio di sanità, che non vi era
cardinale che nol credesse sull'orlo del sepolcro. A chi nel conclave
gli parlava del papato, esagerava la sua inabilità: e quando pure per
miracolo ciò avvenisse, gli scappava detto di non poter senza buoni
coadiutori portare quel peso. In una parola, si crederono i cardinali
di avere eletto un papa mansuetissimo, un papa decrepito, fatto per
lasciarsi menar pel naso; e trovarono tutto il rovescio. Nè tardarono
ad avvedersene, perchè, appena chiariti i voti, e confermata l'elezion
sua, gittò via il bastoncello, su cui si appoggiava, e si alzò ritto;
laddove dianzi camminava gobbo e con gli occhi bassi a terra: avendo
poi egli detto scherzando, oppure avendo taluno detto per lui, che
dianzi cercava col volto chino le chiavi della terra, ed ora col volto
alto le chiavi da aprire il cielo. Per la sua coronazione dipoi salì
molto snello a cavallo, guardandosi l'un l'altro storditi i cardinali.
Pontefice pieno di buon cuore, spirante solo clemenza era stato
il predecessore Gregorio. Desideroso di farsi amare da tutti, e
specialmente dal popolo romano, difficilmente eleggeva le vie del
rigore; e forse tanta benignità gli venne attribuita a difetto.
Era perciò cresciuta la licenza e prepotenza in Roma; abbondavano
e crescevano dappertutto i banditi, gli sgherri, i sicarii; e per
quanto il buon papa Gregorio, che non era già un uomo indolente e
dimentico del dovere principesco, si adoperasse per metter freno a
questi disordini, anzi per estirparli, non gli venne mai fatto, perchè
sempre voleva accordar la clemenza colla giustizia. Venne Sisto V di
massime ben diverse provveduto, voglioso di acquistarsi gran nome