Annali d'Italia, vol. 6 - 45

e quattrocento uomini d'armi venivano al servigio di _Cosimo duca_
di Firenze. A cagione di tanti barbari, chiamati e ben pagati, perchè
venissero a divorar l'Italia, altro non si udiva che maledizioni de'
popoli contro di chi era autore di quella guerra.
A tal risoluzione maggiormente ancora si animò il pontefice, perchè
al duca di Palliano suo nipote, al maresciallo Strozzi, a Francesco
Colonna e ad altri suoi capitani riuscì di ricuperar Genazzano,
Volmontone, Frascati, Grottaferrata, Tivoli, Marino, Palestrina ed
altre terre, e, quel che più importò, anche Ostia e Vicovaro. Sì
prosperosi successi gonfiavano forte il cuore del papa e dei suoi
nipoti, senza far caso dello sterminio che pativa in mezzo a quel fuoco
tanto paese della Chiesa nel Lazio, ed anche nella Romagna, dove si
era dolcemente riposata l'armata franzese. Promosse in questi tempi
papa Paolo alla sacra porpora alcuni personaggi ben degni di essa,
fra' quali mischiò ancora _Alfonso Caraffa_, figlio d'Antonio suo
nipote. Non si sapeva accordare colla severità mostrata dal pontefice
per rimettere la disciplina ecclesiastica, il crear cardinale ancor
questo, quando ve n'erano due altri della stessa sua famiglia, e
alzare a tanto onore un giovinetto di soli diecisette anni, con dargli
appresso l'amministrazione eziandio della chiesa arcivescovile di
Napoli. Più rumore ancora fece l'aver esso papa fatto comparire il
disegno di procedere alle censure e alla privazion dei regni contra
di _Carlo V_ e di _Filippo II_, giacchè egli non riconosceva per
imperadore _Ferdinando I_. Imperciocchè nel giovedì santo nella bolla
in _Coena Domini_ furono specialmente scomunicati da lui gli occupatori
delle sue terre della Campagna e della Marittima, _quantunque eminente
per dignità eziandio imperiale, e tutti i consigliatori, fautori ed
aderenti_. Oltre a ciò nella messa papale del venerdì santo si lasciò
la solita preghiera per l'imperadore. Attendeva intanto il vicerè _duca
d'Alva_ a provvedersi di danari, munizioni e vettovaglie; e fortificati
i luoghi dell'Abbruzzo, per parere del vecchio _don Ferrante Gonzaga_,
che si trovava allora nelle sue terre del regno di Napoli, cioè in
Molfetta, determinò d'uscire anche egli in campagna per impedir gli
avanzamenti a' nemici.
Restituitosi il duca _di Guisa_ all'armata, quando Dio volle,
proseguì il suo viaggio alla volta del fiume Tronto; ma nè per via,
nè a' confini dell'Abbruzzo trovò quelle tante genti, artiglierie,
vettovaglie ed intelligenze che magnificamente gli aveano fatto sperare
i Caraffi. Contuttociò nel dì 15 d'aprile cominciò in quelle parti
le ostilità. Nel giovedì santo fu preso e messo a ruba Campli colle
più orride iniquità, affin di facilitar le imprese con questo primo
terrore. Teramo si arrendè; e giacchè arrivarono per mare alquante
artiglierie, nel dì 24 d'aprile fu impreso l'assedio di Civitella,
terra, pel sito suo alto e circondato da tre parti da una valle, assai
forte, alla cui guardia con presidio di mille fanti si trovavano don
Carlo di Loffredo e il conte Sforza da Santafiora. Mirabil fu la difesa
fatta da que' soldati, dai terrazzani, e fin dalle donne, animate dagli
eccessi commessi in Campli da' Franzesi. In questo tempo comparve il
_duca d'Alva_ a Giulia-Nuova, dodici miglia da Civitella, menando
seco tre mila fanti spagnuoli veterani, sei mila tedeschi, undici
mila italiani e siciliani, mille e cinquecento cavalli leggieri, e
settecento uomini d'armi. Bello esercito parea questo; ma, per esser
la maggior parte composto di gente nuova ed inesperta, in cuore di cui
non alloggiava peranche lo spirito dell'onore, nè la vergogna della
fuga, il vicerè, capitano di buon discernimento e di gran cautela, era
ben lontano dal tentare battaglia alcuna; se non che tolse ai Franzesi
Giulia-Nuova, e barbaramente la lasciò saccheggiare ai soldati. Tale
operazione, ciò non ostante, fece questo suo avvicinamento al campo
franzese, che il duca di Guisa, considerando non potersi espugnare
Civitella senza gran mortalità di gente, nel dì 15 di maggio si levò
da quell'assedio, riducendosi sull'Ascolano, e poscia sul territorio
di Macerata, dove attese a ristorare l'esercito sì faticato in nulla
conseguire. Ma non succedè questa ritirata senza un precedente grave
sconcerto; perchè, dopo avere il Guisa fatte più volte gravi querele
con _don Antonio Caraffa_ marchese di Montebello, perchè mancavano le
genti, le munizioni e le paghe promesse dal papa, e neppur una delle
tante decantate rivoluzioni del regno di Napoli s'era udita finora;
un giorno si riscaldò cotanto in simili doglianze, che il marchese,
perduta la pazienza, gli rispose per le rime, e il duca gli gittò sul
volto una salvietta. Per tale affronto se ne andò il Caraffa a Roma a
dolersi dell'alterigia ed insolenza de' Franzesi; ma bisognò che papa
Paolo di lui zio, troppo bisognoso del loro aiuto, tutto inghiottisse.
Rinforzato intanto il duca d'Alva da sei mila Tedeschi, condotti
dalla flotta del Doria, spedì Marcantonio Colonna con tre mila di
essi nel Lazio. La terra di Valmontone da lui presa andò a sacco, e
restò anche preda delle fiamme. Provò lo stesso infortunio Palestrina,
preservata nondimeno dal fuoco. Passò dipoi il Colonna, accresciuto
di gente, sotto Palliano, dianzi ben fortificato dai Caraffi; e
perchè il marchese di Montebello, e Giulio Orsino con tutte le milizie
ecclesiastiche sì italiane che svizzere, andarono in soccorso di quella
nobil terra o città, si venne ad un fatto d'armi, in cui rimasero
sconfitti i papalini, ferito e prigione lo stesso Orsino.
Facevasi intanto guerra anche in Piemonte, dove il _maresciallo di
Brisac_, uscito in campagna con otto mila fanti e mille e cinquecento
cavalli, prese e spianò Valfenera; e di là poi portatosi a Cuneo,
ne imprese l'assedio. Vi trovò quattrocento cinquanta fanti e i
terrazzani, gente valorosa ed affezionata al duca di Savoia, tutti
ben accinti alla difesa; e però vi alzò tre forti per impedir loro
il soccorso, e non lasciò di far giuocare le artiglierie. Ma venuto
il giovane _marchese di Pescara_ a Fossano, ebbe maniera di spignere
colà gente e munizioni. In questi tempi anche il _duca di Ferrara_
fece guerra a Correggio e a Guastalla poco prima comperata da don
_Ferrante Gonzaga_, che la tramandò ai suoi posteri. Nè stette in ozio
_Cosimo duca di Firenze_. Avea egli intese le proposizioni di cedere
Siena ai Caraffi: cosa che gli trafisse il cuore, perchè da tanto
tempo faceva egli l'amore a quello Stato, e tanti tesori avea speso
per cacciarne a questo fine i Franzesi. Non lasciò indietro parole e
mezzi per dissuadere da tal contratto il re _Filippo II_; e poscia,
facendo sotto mano palesi i vantaggi che a lui profferivano i Franzesi
per tirarlo seco in lega, tanto s'ingegnò, che indusse il re a cedere
a lui quella città con tutte le sue dipendenze, ancorchè parte di esse
tuttavia restasse in poter de' Franzesi. Lo strumento, stipulato nel
mese di luglio di quest'anno, vien rapportato dal Du-Mont[462], da
cui apparisce che gli Spagnuoli riservarono in lor dominio Orbitello,
Portercole, Telamone, Monte-Argentario e Porto di Santo Stefano. Parte
dell'Elba fu restituita all'Appiano signore di Piombino, restando
al duca Porto Ferraio con due miglia di contorno. Obbligossi il duca
a varii capitoli in favore del re di Spagna. Venne con ciò fatto un
bell'accrescimento alla potenza del duca di Firenze. Cagion poscia fu
la nuova di tale accordo che il duca di Guisa, temendo delle novità
dalla parte del duca Cosimo, non volle più tornare in Abbruzzo, e
neppur passare a Roma, dove con premura era chiamato dal papa, senza
ricevere nuovi ordini dalla corte di Francia. E contuttochè le genti
del duca d'Alva entrassero nell'Ascolano, altro egli non fece che
presidiar quella città: il che rendè inutile ogni altro tentativo
degli Spagnuoli. Ma nel Lazio avvennero intanto altre azioni di
guerra. Marcantonio Colonna, per maggiormente strignere Palliano,
andò all'assedio di Segna; nel qual tempo al barone di Feltz riuscì di
acquistare la rocca di Massimo, fortezza inespugnabile, perchè troppa
fu la paura ch'ei fece a Giovanni Orsino, signor di essa, con cannoni
di legno condotti in sito superiore alla rocca, e minaccianti ad essa
la total rovina. L'infelice città di Segna presa fu dagli arrabbiati
Spagnuoli e Tedeschi, avidi della preda, e quivi commesse le più
orride iniquità, solite ad accompagnare i saccheggi; e non finì quella
tragedia, che la misera terra fu anche data alle fiamme.
Racconta qui il Sardi contemporaneo Ferrarese una particolarità, di
cui non ho trovata menzione presso altri scrittori. Cioè, che venne a
Ponza e Palmirola l'armata navale franzese col principe di Salerno, per
unirsi colla turchesca composta di ottantaquattro galee. Che su questa
ultima era il signor della Vigna, il quale, per parte de' Caraffi
invitava quegl'infedeli a portar la guerra nel regno di Napoli, per
divertire le forze del duca d'Alva. Ma altro non fecero i Musulmani,
che saccheggiare ed abbruciare Cariati nel golfo di Taranto e Turrana:
il che fatto, con quanti cristiani schiavi poterono menar seco, se
ne tornarono in Levante, lasciando deluso il principe di Salerno,
il quale andò poscia a morire miseramente in Francia, degno di tal
fine per la sua smisurata dissolutezza ed ambizione. Tornò intanto
di Francia il _maresciallo Strozzi_ con ordine al _duca di Guisa_ di
assistere al pontefice, ed egli perciò passò colle sue genti a Tivoli.
Trasse anche il _duca d'Alva_ colle sue in quelle parti, ed unitosi
con _Marcantonio Colonna_, seco disegnò di tentare l'acquisto di
Roma. V'ha chi crede ch'egli dicesse daddovero, e sperasse anche di
buona riuscita, dopo aver dato giuramento ai capitani di astenersi da
ogni molestia dei Romani: cosa facile ad essere promessa, ma troppo
difficile, per non dire impossibile, ad essere mantenuta dall'avidità
de' soldati. Vogliono altri che il tentativo suo solamente tendesse ad
intimidire l'ostinato pontefice per ridurlo alla pace: cosa desiderata
più dal re Cattolico _Filippo II_ per varii riguardi, che dal medesimo
_papa Paolo IV_. Quello ch'è fuor di dubbio, nella notte del dì 26
d'agosto con iscale preparate si presentò il duca d'Alva alla porta
di San Sebastiano. Ma avendo il _cardinal Caraffa_ avvisato di questo
movimento dal _cardinal di Santafiora_, ben guernite di soldati le mura
di Roma, senza che i Romani ne avessero notizia, perchè di loro non
si fidava, e spinti anche fuori alcuni cavalli a scaramucciare, fece
conoscere al duca scoperti i di lui disegni; perlochè questi si ritirò
tornando a strignere Palliano.
In tale stato si trovavano le cose in Italia, quando giunsero a
Roma le nuove funeste della guerra dei Franzesi cogli Spagnuoli ne'
Paesi Bassi. Era questa apertamente stata dichiarata nel mese di
giugno, essendo entrata in lega col re Cattolico anche l'Inghilterra;
e tenutosi un gran consiglio dai capitani del re Filippo, in esso
prevalse il parere di _don Ferrante Gonzaga_, il qual poscia nel dì 15
di novembre dell'anno presente terminò i suoi giorni in Brusselles.
Ebbe questo principe la gloria d'essere compianto fin dagli emuli
suoi, e molto più dal re Cattolico, per avere perduto in lui un
valorosissimo capitano, e sempre fedele, non ostante le tante calunnie
inventate contra di lui. Fu dunque risoluto di formar l'assedio di San
Quintino, fortezza importante e di difficilissimo acquisto. _Emmanuel
Filiberto_, valoroso duca di Savoia, e capitan generale dell'armata
spagnuola, consistente in circa trentasette mila bravi combattenti,
nel dì 3 d'agosto andò ad accamparsi intorno a quella forte terra, e
tosto si applicò a fare i dovuti trinceramenti. Per soccorrerla giunse
nel dì 10 del suddetto mese con un'armata di ventitrè mila persone il
contestabile di Francia _Anna di Memoransì_. Allora fu che si venne
ad un fatto d'armi, in cui urtati e rovesciati i Franzesi dalla forte
cavalleria de' Tedeschi e Spagnuoli, andarono totalmente in rotta.
Memorabile al maggior segno fu quella vittoria, perciocchè poco costò
agli Spagnuoli; all'incontro, secondo alcuni, vi perirono quasi sei
mila Franzesi, e rimasero prigioni lo stesso contestabile col figlio,
i duchi di Mompensiero e di Longavilla ed altri gran signori, circa due
mila gentiluomini e quattro mila soldati. Dopo questa insigne vittoria
fu maggiormente stretto e bersagliato San Quintino, alla cui difesa non
mancò di far molte prodezze _Gasparo di Colignì_ ammiraglio di Francia.
Lo stesso re Cattolico si portò a quell'assedio, e andò a finire la
scena nella presa e nel saccheggio d'essa piazza. Di sì buon vento fu
creduto che non sapessero profittare l'armi del re Cattolico, essendo
bastato loro di prendere il Castelletto, Han, Noione, Scevì ed altri
luoghi di poco momento. Ora per questa grave percossa trovandosi il
re _Arrigo II_ in non lievi angustie, giudicò necessario il ritorno in
Francia del duca di Guisa colle soldatesche di suo comando; e l'ordine
a lui ne fu spedito.
A confondere intanto i disegni ambiziosi de' Caraffi, e i pensieri
mondani di papa Paolo, s'erano aggruppate molte disavventure, cioè la
ritirata del Guisa da Civitella, il sacco di Segna, e il pericolo che
Roma venisse saccheggiata. Vi si aggiunse, che gli stessi difensori
di Roma tuttodì commettevano ladronecci, rapine ed insolenze contro
le donne. Fra coloro si contavano anche degli eretici che spogliavano
altari e cose sante. Venne inoltre a scoprirsi, avere i Romani tenuto
consiglio di trattar d'oneste condizioni col duca d'Alva, s'egli fosse
ritornato sotto Roma. Contra d'essi per questo proruppe il papa in
ingiuriose parole, e vide oramai traballate le macchine bellicose de'
suoi nipoti. Arrivò in questo frangente il duca di Guisa a Roma, e
presentatosi alla santità sua coll'ordine a lui venuto di Francia, il
consigliò di pace. Per quanto avessero finora fatto i saggi _Veneziani_
e _Cosimo duca_ di Firenze per indurlo a pacificarsi, nulla aveano
potuto ottenere. Ora trovandolo i lor ministri, e con esso loro i più
zelanti cardinali, in miglior positura, tanto dissero, che cominciò
daddovero a smuoversi. Questo appunto era quello che sospirava _Filippo
II re_ di Spagna, ed anche il _duca d'Alva_, e però condiscese ad
accordare al pontefice una capitolazione sì onorevole alla di lui
dignità, che molti se ne stupirono. Abboccatisi adunque col suddetto
duca d'Alva i cardinali _Santafiora_ e _Vitelli_ in Cavi, tra Genazzano
e Palestrina, nel dì 14 di settembre sottoscrissero l'accordo, con
rinunziare il papa ad ogni lega contro il re Cattolico, e con perdonare
a chiunque avesse prese le armi contro la Chiesa. Palliano restò in
deposito per sei mesi, da restituirsi a Marcantonio Colonna, dappoichè
il conte di Montorio Caraffa fosse ricompensato dal re di Spagna, con
varii altri patti che a me non occorre di rapportare, alcuni de' quali
ancora furono tenuti occulti al pubblico, ma non già al pontefice, come
alcuni si fecero a credere. Il più bello fu che in tal concordia non
fu compreso _Ercole II duca_ di Ferrara, con esempio ai posteri di quel
che non rare volte succede a' principi minori nel volersi collegare coi
maggiori. Intanto il duca di Guisa, imbarcate le sue fanterie, le spedì
per mare in Provenza. Lasciò ire la cavalleria sbandata per varie vie
alla volta della Francia, senza volere valersi di un articolo della
capitolazione, per cui gli era lecito di condurre liberamente le sue
genti per gli Stati del re cattolico. Il duca d'Alva andò poscia a Roma
a render pubblicamente ubbidienza al papa.
E tale esito ebbe la guerra sconsigliatamente mossa da esso pontefice
al re di Spagna, benchè, secondo le apparenze, non da lui, ma dagli
Spagnuoli fosse inferita, con avere impiegati tanti tesori della
Chiesa per impinguare i nipoti suoi: guerra, per cui furono imposti
assaissimi aggravii allo Stato ecclesiastico, e che, oltre all'essere
costata tanto sangue, saccheggi, incendii, violenze e desolazioni alle
terre papali, si tirò dietro anche la rottura fra i re di Spagna,
d'Inghilterra e di Francia. Nè questo solo flagello toccò al ducato
romano nell'anno presente. Nel giorno seguente alla pace suddetta, cioè
nel giorno 15 di settembre, per le dirotte pioggie cadute ai monti,
sì fieramente s'ingrossò il Tevere, che allagò la maggior parte di
Roma ad un'altezza tale, che d'una simile non si ricordavano i Romani
di allora. Atterrò l'empito delle acque due ponti, la chiesa di San
Bartolomeo nell'isola, moltissime case, mulini ed altri edifizii, con
perdita di molte persone e bestiami, ed immenso danno di merci, fieni,
grani, vini ed altri commestibili, e con restar tutti i sotterranei
pieni di belletta. Da una pari disavventura fu afflitta anche Firenze
con altri luoghi di Toscana per la sfoggiata escrescenza dell'Arno, che
si trasse dietro i ponti di Santa Trinita, della Carraia e Rubaconte;
e quivi cagionò parimente i mali sopraddescritti. Anche in Palermo
un fiumicello a cagion delle pioggie, continuate per sette giorni, sì
rigoglioso calò dal monte, che rovinò assaissimi edifizii, affogando
oltre a sette mila persone. Scrivo ciò coll'autorità del Sardi allora
vivente; ma forse la fama ingrandì per viaggio il numero dei morti.
Era intanto restato solo _Ercole II duca_ di Ferrara, cioè abbandonato
affatto dal papa, e poco meno dai Franzesi stessi, ed esposto all'ira
del re Cattolico, il quale non tardò a far muovere _Ottavio duca_ di
Parma contra di lui, rinforzato a questo effetto da milizie speditegli
da _Cosimo duca_ di Firenze e da Giovanni Figheroa vicegovernator di
Milano, a cagion della discordia nata fra il _cardinal di Trento_ e
_Giambatista Castaldo_. Sul principio d'ottobre, uscito in campagna
il Farnese, s'impadronì di Montecchio, Sanpolo, Varano, Canossa e
Scandiano. Le genti del duca di Ferrara anch'esse cominciarono le
ostilità con delle scorrerie sino alle porte di Parma. Sopravvenne
il verno, che fece star quiete le armi; per altro il duca di Parma
per varii riguardi, e specialmente perchè non correano le paghe,
poco inclinato si sentiva a questo ballo. Meno ancora v'era portato
l'Estense, che nello stesso tempo per mezzo de' Veneziani e del
duca Cosimo avea de' maneggi in campo per ricuperar la grazia del re
Cattolico.

NOTE:
[458] Belcaire. Manenti. Campana. Surio, ed altri
[459] Du-Mont, Corps Diplomat.
[460] Pallavicino, Storia del Concilio di Trento.
[461] Cola, Apologia dei diritti imperiali su Parma e Piacenza.
[462] Du-Mont, Corp. Diplomat.


Anno di CRISTO MDLVIII. Indizione I.
PAOLO IV papa 4.
FERDINANDO I imperadore 1.

Conosceva il _pontefice Paolo_ quanto convenevole fosse al sacro
paterno suo grado procurar la pace fra i potentati, cristiani, e
tanto più avendola egli stesso riaccesa fra loro. Il perchè aveva
già, verso il fine del precedente anno, inviato in Francia legato il
_cardinal Trivulzio_ e il _cardinal Carlo Caraffa_ suo nipote al re
Cattolico, dimorante tuttavia in Brusselles. Questa si può credere che
fosse la vera e pura intenzione del pontefice; ma non meno a lui, e
forse più al cardinal nipote premeva l'ottenere dal _re Filippo_ una
magnifica ricompensa di Stati al _conte di Montorio_ suo fratello per
la cession di Palliano e delle altre terre colonnesi, che si dovea fare
a Marcantonio Colonna. Il re Cattolico, tuttochè internamente odiasse
quel bizzarro cardinale, considerato da lui per un mal arnese della
corte di Roma, pure, da quell'accorto signore ch'era, il ricevette
con istraordinarie finezze. Della pace poco si trattò, perchè troppo
alterati erano gli animi di quei regnanti, ed anche il Trivulzio
trovò il re Cristianissimo alieno da ogni concordia. Contribuì ancora
assaissimo a maggiormente accendere alla guerra i due emuli monarchi un
avvenimento, che quanto inaspettato, tanto più riempie di maraviglia
il pubblico. Erano ducento anni che gl'Inglesi possedeano di qua
dal mare la città di Cales in Piccardia, luogo di somma importanza
per la loro nazione. Non era ignoto alla corte di Francia che poca
guardia vi si faceva, e meglio ancora se ne chiarirono, perchè il
_maresciallo Pietro Strozzi_, il quale ne proponeva l'acquisto, andò
in persona travestito da villano in quella città, vi scandagliò le
fortificazioni, e riconobbe la facilità dell'impresa, per non esservi
dentro che secento fanti avviliti nell'ozio ed assuefatti più ai lor
proprii comodi che alle fazioni militari. Risoluta dunque nel consiglio
del re Cristianissimo quell'impresa, e destinatone direttore il _duca
di Guisa_, dopo aver prese varie precauzioni per occultar questo
disegno, in tempo che gli Spagnuoli erano qua e là divisi ai quartieri
d'inverno, il duca nel dì primo di gennaio con un buon esercito si
presentò sotto Cales, e tosto cominciò a battere colle artiglierie
le torri e fortezze del porto, e le costrinse alla resa. Quindi si
diede a bersagliar la città, riponendo le maggiori speranze nella
sollecitudine, prima che gli Spagnuoli e gl'Inglesi potessero tentarne
il soccorso. Con tal felicità venne condotto quest'assedio, che ne fu
capitolata la resa. Nel dì 8 oppur 9 del mese suddetto v'entrò il duca
di Guisa trionfante, con aver il piacere di trovar quivi circa trecento
pezzi d'artiglierie, munizioni e vettovaglie in somma copia. Passò egli
dipoi nel dì 13 sotto Guines, fortezza dieci miglia lontana da Cales, e
di questa parimente colla forza s'impadronì.
Trovavansi prima in gran costernazione per la rotta e perdita di San
Quintino gli affari de' Franzesi. Questo felice avvenimento li rincorò
tutti, e mosse i popoli ad assistere al re con grossi sussidii pel
proseguimento della guerra; siccome, all'incontro, cagionò dei fieri
sintomi in cuore del re Cattolico e della nazione inglese, la quale
restò da lì innanzi priva di sì importante luogo. Avendo poi atteso
il re di Francia _Arrigo II_ a rinforzarsi di gente, spedì nel giugno
seguente il duca di Guisa all'assedio di Teonvilla, che fu anche
essa forzata a rendersi, con aver ivi lasciata la vita per una ferita
nel petto _Pietro Strozzi_ Fiorentino, maresciallo di Francia, degno
d'essere paragonato co' più valorosi ed insigni capitani del suo tempo,
ma sfortunato nelle imprese di Toscana. Ho dovuto far menzione di tali
stranieri successi, poichè da essi presero regola anche gli affari
d'Italia. Risvegliossi di nuovo la guerra sul principio dell'anno fra
il _duca di Ferrara Ercole II_ ed _Ottavio Farnese duca_ di Parma.
_Donno Alfonso d'Este_, primogenito del primo, si fece più volte
vedere alle porte di Parma, ripigliò Sanpolo e Canossa; costrinse alla
resa la fortezza di Guardasone, e tolse ai Correggieschi Rossena e
Rossenella. Fu poi ricuperato Guardasone dal Farnese, dappoichè gli
venne aiuto di gente da Milano, e danaro da Firenze. Mirava intanto
l'avveduto _duca Cosimo_ questo picciolo incendio, che poteva divenir
maggiore, e costava a lui non poco, senza profitto alcuno. Gli dava
ancora assaissimo da pensare l'avere il re Cristianissimo dato il
governo di quante terre restavano alla corona di Francia nel Sanese a
_don Francesco d'Este_ fratello del duca di Ferrara, il quale, passato
a Roma, cercava d'imbarcare in nuovi imbrogli i nipoti del papa, mal
soddisfatti del re Cattolico. Però con più premura che mai si adoperò
alla corte del _re Filippo II_, affinchè ricevesse in grazia il duca
estense, e si mettesse fine a quella turbolenza. Ora il re, che mirava
a prosperare a vista di occhio le cose de' Franzesi, temeva in Italia
de' Turchi, come diremo, e dubitava sempre de' cervelli inquieti dei
Caraffi, nel dì 22 d'aprile approvò la concordia dianzi abbozzata dal
duca di Firenze, concedendo onorevoli condizioni al duca di Ferrara, il
quale rinunziò alla lega franzese, e fu accettato sotto la protezione
del re Cattolico. Restituiti i luoghi presi, tornò anche la buona
armonia fra esso duca di Ferrara ed Ottavio Farnese; e maggiormente
questa si strinse fra l'Estense e il duca Cosimo per le nozze allora
conchiuse di _Lucrezia de Medici_ figlia d'esso Cosimo, e di donno
Alfonso, principe ereditario di Ferrara.
Qualche movimento d'armi fu ancora in Piemonte, perchè mandato al
governo di Milano _Ferdinando di Cordova duca di Sessa_, verso la
metà d'agosto liberò Cuneo e Fossano, che si trovavano in certo modo
bloccati dai Franzesi; prese dipoi Centale e Moncalvo, e ristrinse non
poco le guernigioni nemiche di Casale e Valenza. Ma ciò che maggiore
strepito fece in Italia, fu il ritorno anche in quest'anno dell'armata
navale turchesca ne' mari dell'Italia ad istanza dei Franzesi. Era
composta di centoventi galee, e veniva con ordini del gran signore per
unirsi colla franzese a' danni delle terre del re Cattolico. Di molti
regali e danari costava al re di Francia il far muovere quegl'infedeli.
Nè occorre più ricordare, se per tale alleanza ed attentato fosse in
abbominazione e maledizione presso gl'Italiani il nome franzese. Giunti
que' Barbari a Reggio di Calabria, lo presero di nuovo ed arsero. Di
là venuti al golfo di Salerno, la notte precedente al dì 13 di giugno
misero gente a terra, entrarono nella terra di Massa, e rastellarono su
da cinque in sei mila anime cristiane. Ebbero per tradimento di un moro
schiavo, e senza contrasto, la città di Sorrento, dove commisero ogni
immaginabile iniquità. Salvossi una sola monaca, passando per mezzo
a loro col tabernacolo del santissimo Sacramento. Poichè per le altre
coste del regno di Napoli stavano all'erta i popoli, e facevano buone
guardie, passarono i Turchi in Corsica, e poscia ad Antibo, dove uniti
colle galee di Francia, si credeva che farebbono l'assedio di Nizza
o di Savona; ma nulla di ciò seguì a cagion dell'alterigia franzese,
che non sapeva accordarsi colla maggiore de' Turchi. Sciolsero poi le
vele costoro verso Minorica, dove fecero dei gran mali, con tornarsene
finalmente in Levante carichi di preda e di schiavi. Torniamo ora
ancor noi al _cardinal Carlo Caraffa_, che in Brusselles trattava
di una ricompensa al fratello _conte di Montorio_ per la cession di
Palliano. Fece il re offerire a lui una pensione annua di dodici mila
ducati sopra l'arcivescovato di Toledo, ed otto mila di naturalezza
in Ispagna. Esibì ancora pel fratello il ducato di Rossano, la cui
rendita ascendeva a quindici mila ducati. Ma al borioso cardinale, e
al gran merito ch'egli s'era certamente fatto alla corte di Spagna,
troppo poco parea. E siccome egli s'era invogliato dell'insigne ducato
di Bari, ultimamente vacato per la morte di _Bona Sforza_ già regina di
Polonia, nè poteva spuntarla, facendo il corrucciato, si ritirò fuori
di Brusselles. Tante dolci parole nondimeno e larghe promesse adoperò
poscia il re, che questo porporato contento, nel dì 12 di marzo, prese
le poste alla volta di Roma, per rompersi il capo coi ministri del re
in Italia, i quali andarono tanto temporeggiando, che la morte del papa
li liberò da qualsivoglia impegno.
Si ultimò in quest'anno affatto l'affare della succession nell'imperio,
avendo l'_Augusto Carlo V_ fatta nel dì 24 di febbraio una piena
rinunzia di tutti i suoi diritti sopra la dignità cesarea al _re
Ferdinando_ suo fratello. Fu questa portata dal principe d'Oranges
alla dieta degli elettori, i quali perciò nel dì 12, o 13 di marzo in
Francoforte riconobbero per legittimo imperadore esso Ferdinando. Nè
tardò egli a spedire a Roma Martino Gusmano per rendere ubbidienza,
come tale, al pontefice. Fece anche in questa congiuntura _papa Paolo_
conoscere qual fosse l'animo suo verso la casa d'Austria. Non volle
ammettere quell'ambasciatore, e rifiutò parimente Giovanni Figheroa,
che allora governava Milano, speditogli dal re Filippo in favore
dell'Augusto zio. In una parola, finchè visse, non seppe mai indursi
questo pontefice a riconoscere Ferdinando per imperadore, non senza
scandalo della Cristianità. Infierì la morte in quest'anno sopra
le teste coronate. Imperciocchè nel febbraio o marzo mancò di vita
_Isabella_ sorella di Carlo imperadore, stata regina di Portogallo, e
poi di Francia. Terminò parimente i suoi giorni nel dì 21 di settembre
il suddetto _imperador Carlo V_, dopo aver fatte celebrar le sue
esequie negli ultimi giorni di sua vita nel monastero del suo ritiro in
Ispagna: principe de' più gloriosi che abbiano maneggiato lo scettro
imperiale. Gli elogi fatti da tanti scrittori alla di lui religione