Annali d'Italia, vol. 6 - 43
legati, che spesero invano passi e parole con chi era o troppo
irritato o troppo superbo e pretendente. Ma in Toscana venuto il mese
di giugno senza che avessero i cesarei potuto espugnare Montalcino,
sempre valorosamente difeso dall'Orsino, in parte da sè stesso, e in
parte per l'interposizion del papa, cessò per allora quella contesa.
Imperciocchè, mandato da Cesare a Napoli per vicerè _pro interim_ il
_cardinal Pacieco_, presentando questi un gran preparamento de' Turchi
per tornare nei mari d'Italia ad istanza del re di Francia _Arrigo
II_, richiamò dal Sanese le genti ch'erano state cavate dai presidii di
quel regno; e così respirò Siena. Ma, nel tornar le milizie suddette a
Napoli, accadde uno scandaloso fatto. _Marcantonio Colonna_, comandante
di una parte della cavalleria cesarea, disgustato da gran tempo di
Ascanio suo padre (dicono, perchè gli negava un assegno conveniente
alla nascita sua), in tre giorni prese Palliano e tutte le altre
castella possedute dalla sua nobil casa negli Stati della Chiesa. Ossia
che Ascanio accorresse per salvare Tagliacozzo ed altri suoi feudi nel
regno di Napoli, oppure che andasse con gente armata per ricuperarli;
la verità si è, che, per ordine del suddetto cardinal Pacieco, fu preso
esso Ascanio, e mandato prigione nel castello di Napoli, dove stette
gran tempo, e infine, colto da malattia, vi morì, restando il figlio
padrone di tutto. Si stancarono i politici per trovar la cagione di
sì aspro trattamento, e l'han tuttavia da scoprire. Fu pure astretto
il Belcaire a confessare in quest'anno la sempre detestabil alleanza
del re di Francia con Solimano gran sultano de' Turchi, perchè sugli
occhi di tutti comparvero que' Barbari uniti colla flotta franzese
nei nostri mari. Vennero costoro sul principio di giugno con sessanta
galee, comandate da Mustafà bassà e dal corsaro Dragut, oltre alle
franzesi, in Sicilia, dove presero e abbruciarono Alicata, e fecero
secento cristiani schiavi. Nulla potendo ottenere contro Sacca e
Trapani, passarono dipoi in Toscana, e quivi spogliarono l'isola della
Pianosa, conducendo via mille di quegli abitanti. Grave danno ancora
fu recato dalla stessa armata turco-gallica all'isola dell'Elba; ma
dappoichè in essa si fu imbarcato il signor di Termes con quattro mila
fanti cavati dal Sanese, fece vela alla volta della Corsica, dove i
Franzesi teneano delle intelligenze, senza che i Genovesi, signori di
quella sì riguardevole isola, ancorchè avvisati del pericolo, avessero
provveduto al bisogno. Sbarcati colà i Franzesi coi Turchi, ridussero
in poco tempo in loro potere la Bastia e San Fiorenzo; e, sollevati
circa sette mila di quei feroci montanari, s'impossessarono di quasi
tutta l'isola, a riserva di Calvi, Aiaccio e Bonifazio. Se vogliam
credere al Manenti e al Campana, la Bastia si conservò in potere de'
Genovesi. Fu dipoi da' Turchi e Franzesi assediato e preso Aiaccio,
dove tutto andò a sacco, restarono preda della loro lussuria le donne,
e i presi Genovesi posti al remo. Quindi passarono i Turchi all'assedio
di Bonifazio, e i Franzesi a quello di Calvi. Il comandante della prima
città, ingannato da una finta lettera del doge e dell'uffizio di San
Giorgio, capitolò. Calvi si sostenne. Venuto il settembre, secondo gli
ordini del sultano, i Turchi se ne tornarono in Levante, e il signor
di Termes andò in Provenza, per condurre in Corsica genti, munizioni
e vettovaglie. Svegliati intanto i Genovesi, non omisero diligenza e
spesa per ricuperar la Corsica, del che parleremo all'anno seguente.
Non restò esente neppure in questo anno dagl'incomodi della guerra il
Piemonte. Dimorava _Carlo duca di Savoia_ in Vercelli, contemplando
l'infelice situazione de' suoi Stati, occupati in gran parte da'
nemici franzesi di qua e di là dai monti, e quasi signoreggiato il
resto dagli amici imperiali, con restare intanto i popoli esposti alle
continue incursioni sì dell'uno come dell'altro partito, e forzati
spesso a cangiar padrone. Giunse la morte a liberarlo da queste nere
meditazioni, essendo egli mancato di vita nel dì 18 d'agosto, come
vuole il Sardi storico contemporaneo, o piuttosto, secondo che scrivono
gli autori piemontesi, nel dì 16 d'esso mese: principe d'ottimo genio,
fatto più per la pace e pel gabinetto che per la guerra; ma principe
sommamente sfortunato, che seco nondimeno portò la consolazione di
lasciar suo erede _Emmanuel Filiberto_ principe di Piemonte, giovane
bellicoso e di grande aspettazione, che in questi tempi militava in
Fiandra presso l'imperadore, e s'era già segnalato con varie azioni di
senno e di valore. Seguirono in esso Piemonte varii movimenti e fatti
delle nemiche armate, ma non di tal rilievo, che lor s'abbia a dar
luogo in questo compendio. Solamente fece strepito la presa di Vercelli
fatta da' Franzesi nel dì 20 di novembre per intelligenza con alcuni
Vercellesi mal soddisfatti della guarnigione tedesca. Ma _don Francesco
d'Este_ generale cesareo, appena ciò inteso, spedì Cesare da Napoli
con centocinquanta cavalli ed altrettanti fanti in groppa, affinchè
rinforzassero la cittadella, ed egli poi li seguitò frettolosamente col
resto della cavalleria e con mille fanti, ed, entrato anch'egli nella
fortezza, era per piombare addosso alla città. Ma non l'aspettarono
i Franzesi, che prima di ritirarsi spogliarono l'arnese e il tesoro
del duca defunto, ricoverato in Sant'Eusebio, non avendo la fortuna,
tanto a lui avversa in vita, cessato di perseguitarlo anche dopo
morte. Condussero via eziandio molti mercatanti e terrazzani ricchi
o per ostaggi delle contribuzioni intimate al pubblico, o per
ricavarne delle taglie private. Seguitò quest'anno ancora la guerra
fra l'imperadore e il re di Francia. Assediata dai cesarei con potente
esercito Terovana città fortissima, e battuta per quattordici giorni
con sessanta pezzi di artiglieria, mentre si stendeva la capitolazion
della resa, vi entrarono furiosamente Spagnuoli e Tedeschi, e le
diedero un terribil sacco. Venne poi, per ordine dell'imperadore,
spianata quella piazza da' fondamenti. Non fu meno strepitoso l'assedio
posto dipoi nel mese di luglio alla città di Edino, forte, al pari
dell'altra, dalle armi cesaree sotto il comando del suddetto _principe
di Piemonte_, dichiarato supremo general dell'armata. Alla difesa di
quella piazza era entrato _Orazio Farnese duca_ di Castro con assai
nobiltà franzese, ma, colpito da un tiro d'artiglieria, perdè ivi la
vita, compianto da ognuno pel raro suo valore. La stessa disavventura,
che avea provato Terovana, toccò anche ad esso Edino, messo a sacco
colla strage di alcune centinaia di Franzesi, e colla prigionia di non
pochi riguardevoli signori. Restò similmente rasata quella piazza,
e niun'altra azione si fece degna di memoria in quelle parti. In
questo mentre, essendo accaduta la morte del giovinetto _Odoardo re
d'Inghilterra_, gli succedette _Maria_ sua sorella, con giubilo grande
della cristianità, perchè ella poco stette a professare la religione
cattolica, siccome l'imperadore non tardò a progettare il matrimonio di
essa regina col _principe don Filippo_ suo figlio vedovo. In quest'anno
nel dì 23 di maggio terminò la sua vita _Francesco Donato_ doge di
Venezia, e nel dì 4 di giugno fu assunto a quella dignità _Marcantonio
Trevisano_, personaggio singolare per la sua pietà e saviezza.
NOTE:
[457] Alessandro Sardi. Adriani. Segni. Mambrin Roseo. Campana, ed
altri.
Anno di CRISTO MDLIV. Indizione XII.
GIULIO III papa 5.
CARLO V imperadore 36.
Principe di somma avvedutezza s'era fin qui fatto conoscere _Cosimo
de Medici duca_ di Firenze; ma specialmente in questo anno diede
gran prova del suo coraggio coll'imprendere guerra aperta contro
di Siena, da cui s'era saggiamente astenuto in addietro al vedere
sì contrabbilanciate le forze franzesi colle imperiali. S'era egli
segretamente tenuto sempre forte nel partito di Cesare, benchè per
altra parte praticasse molte finezze coi ministri della Francia.
Ma dacchè si venne a scoprire (a cagion della congiura dell'anno
precedente, vera o pretesa che fosse) troppo congiunto di massime in
favore di Cesare, s'avvide egli tosto del mal animo conceputo contro
di lui dai Franzesi. E tanto più, perchè il _re Arrigo_, invece
del Termes, passato in Corsica, avea spedito a Siena per comandante
delle sue armi _Pietro Strozzi_ Fiorentino fuoruscito, persona di
gran credito nell'arte della guerra, ed insieme il maggior nemico
che s'avesse la casa de Medici. Nè durò fatica ad accorgersi che il
medesimo Strozzi macchinava contra dei suoi Stati. Però animosamente
determinò di voler egli piuttosto far guerra a' Sanesi, che di
aspettarla in casa sua. Intorno a ciò s'intese prima coll'_imperador
Carlo V_, il quale (tanta era la sua ansietà di veder cacciati dalla
Toscana i Franzesi) non solamente consentì a concedergli il dominio di
Siena, se gli riusciva di conquistarla, ma gli promise anche soccorsi.
Che l'imperador nondimeno promettesse allora quella città al duca, se
ne può fondatamente dubitare. Similmente si assicurò Cosimo di _papa
Giulio_, col promettere in moglie la terza sua figlia _Isabella_ a
Fabiano di lui nipote, a cui assegnò in feudo Monte San Sovino con
titolo di marchese. Non essendosi poi effettuate queste nozze vivente
il papa, molto meno si effettuarono dopo la sua morte. Corse anche voce
ch'esso pontefice concorresse alle spese di quella guerra con quindici
mila scudi il mese. Ciò poi che accresceva la speranza al duca Cosimo,
era l'osservare in tale stato il re di Francia per la gran guerra sua
coll'imperadore e coi Genovesi, che non gli resterebbe voglia nè potere
di accudire alle cose della Toscana. Gli avea dianzi l'Augusto monarca
inviato per general di milizie _Gian-Giacomo de Medici_ marchese di
Marignano, il più astuto uomo che si trovasse nel mestier della guerra.
Alla testa e al valore di costui il duca appoggiò l'esecuzione dei
disegni stabiliti fra loro. Era il mese di gennaio, e in Siena si stava
in allegria e senza buona guardia, perchè senza sospetto di aver per
nemico il duca di Firenze. E molto meno ne sospettava il _cardinal di
Ferrara_, con cui fin qui l'accorto duca avea mantenuta una mirabil
confidenza ed amicizia. Ora Cosimo, dopo aver tenute per quattro giorni
chiuse le porte di Firenze, Pisa, Arezzo e Volterra, e fatto intanto
segretamente raunare e marciare tanto le fanterie da soldo che le bande
forensi, nella notte precedente al dì 29 di gennaio (il Sardi ha la
notte del dì 26) con gran copia di scale si presentò egli col marchese
di Marignano ad un forte già fabbricato dai Franzesi fuori della porta
di Siena, chiamata di Camollia; e trovatolo mal custodito da quaranta
soldati, che furono tosto fatti prigioni, se ne impadronì. Gran
rumore, gran timore di tradimenti si svegliò in Siena; ma, chiarito
ch'entro la città non v'erano mali umori, si attese dipoi alla difesa,
e maggiormente si assicurò ed animò quel popolo al comparire di Pietro
Strozzi, che non era in Siena quando accadde la novità suddetta.
Allora il duca Cosimo, cavatasi affatto la maschera, dichiarò la
guerra a Siena e a' Franzesi; diede ampia facoltà, anzi ordine a tutti
i suoi popoli di procedere a' danni de' Sanesi: nel che fu egli ben
servito. Prese al suo soldo da varie parti quante soldatesche potè,
e, se vogliamo stare al Segni, formò un esercito di ventiquattro mila
fanti tra Italiani, Spagnuoli e Tedeschi, e mille cavalli. Asprissima
guerra si fece dipoi, non già di combattimenti fra i soldati, ma
di desolazione agl'innocenti contadini, ed anche con impiccarne e
con violare le donne. Contuttociò nella notte precedente al venerdì
santo, Ascanio della Cornia e Ridolfo Baglione con tre mila fanti e
quattrocento cavalli andando per sorprendere Chiusi, dove aveano un
trattato, ma doppio, furono disfatti i Franzesi, restando il primo
con altri mille e cinquecento prigione, e l'altro ucciso. Nel dì 12
di giugno Pietro Strozzi, segretamente uscito di Siena con tre mila
fanti e trecento cavalli, arditamente entrò nello Stato fiorentino,
e, passato l'Arno, penetrò fino sul Lucchese, per quivi raccogliere
quattro mila (altri dicono due mila) Grigioni, ed altre milizie
spedite da Parma e dalla Mirandola, colle quali formò un'armata di
dieci mila fanti e secento cavalli. Gli avea sempre tenuto dietro il
marchese di Marignano con grosso corpo di gente; ed, arrivato a Pescia,
gran ventura fu la sua che lo Strozzi non conoscesse il vantaggio
esibitogli dalla fortuna di poterlo battere a man salva, perchè, oltre
all'essere il marchese inferiore di gente, in quella terra non trovò
da vivere per un giorno, essendo allora afflitta tutta la Toscana da
un'aspra carestia. Si mosse bensì a quella volta lo Strozzi, ma il
marchese, presa la fuga, si ridusse in salvo a Pistoia, il che diede
campo allo Strozzi di insignorirsi di Pescia, Montecarlo, Buggiano,
Montevetolino ed altri luoghi di Val di Nievole. Perchè vennero di poi
meno allo Strozzi le speranze di ricevere altri maggiori rinforzi di
Franzesi e di Turchi, a lui promessi dalla corte di Francia, e perchè
udì pervenuto a Pisa don Giovanni di Luna con quattro mila fanti
italiani, due mila tedeschi e quattrocento cavalli, spediti da Milano
in soccorso del duca Cosimo, se ne tornò verso Siena. Ebbe dipoi a
patti il castello di Marciano, e a forza d'armi quel di Foiano nel dì
23 di luglio, con trovar in amendue gran copia di grano, che servì di
buon ristoro all'esercito suo. In questo mentre giunsero ad unirsi col
marchese di Marignano tre mila fanti assoldati da Camillo Colonna in
Roma, e trecento uomini d'armi inviati dal regno di Napoli: con che il
duca di Firenze fu di parere che si venisse a battaglia, contuttochè di
contrario sentimento fosse lo stesso marchese con altri uffiziali.
Erano le tredici ore della mattina del dì 2 d'agosto, quando il
marchese, che dianzi era in procinto di ritirarsi, chiaramente scoprì
che Pietro Strozzi s'era da Marciano messo in cammino per ritirarsi a
Lucignano, o pure a Foiano. Mandò un corpo di cavalleria a pizzicarlo;
ed allora fu che lo Strozzi, vedendo di non potere schivar con onore la
battaglia, mise in ordinanza le sue genti, e si affrontò col nemico.
Ma quella non fu propriamente battaglia, perciocchè, essendo generale
della cavalleria franzese il giovinetto conte della Mirandola Lodovico,
il suo luogotenente Lodovico Borgonovo, chiamato Bighetto dal Campana,
che reggea la truppa, oppure portava lo stendardo di esso generale,
appena urtato dalla cavalleria nemica, prese vergognosamente la fuga,
lasciando senza difesa le povere fanterie. Lo Strozzi si vide tosto
perduto, e tuttochè restringesse i battaglioni ad un fosso, pure non
potè impedire che non fossero in breve tempo sloggiati dall'artiglieria
e cavalleria nemica, andando tutti appresso in rotta, e restando
trucidato chi non godeva il privilegio delle buone gambe. Secondo
gli scrittori fiorentini, quasi quattro mila dell'esercito franzese
rimasero estinti sul campo; copioso fu il numero de' prigioni; e ben
cento bandiere guadagnate furono portate per trofeo a Firenze. Tutto
il bagaglio, le artiglierie e l'armi vennero alle mani de' vincitori.
Erano corsi molto prima a questa danza assaissimi Fiorentini, parte
d'essi fuorusciti, ed altri solamente perchè appetitosi della libertà
della patria. Sette d'essi rimasti prigionieri ebbero poi reciso
il capo, e il duca Cosimo, confiscati i beni di chiunque avea prese
l'armi contra di lui, o tenute corrispondenze co' nemici, mirabilmente
ingrassò il suo patrimonio e fisco. E ben fu questa vittoria che
finì di assicurar la signoria di esso Cosimo, e gli accrebbe tal
riputazione, che giunse, siccome vedremo, ad unire anche Siena al suo
dominio. Salvossi lo Strozzi ferito in due luoghi a Lucignano, e quindi
a Montalcino. Appresso fu Lucignano vilmente ceduto da Alto Conti
agl'imperiali, dove si conservava gran copia di vettovaglie. Parimente
ricuperò il duca tutte le castella dianzi perdute in Val di Nievole.
Dopo di che il marchese di Marignano voltò tutte le sue forze contro
il distretto di Siena, conquistando Monteregioni, Murlo e Casoli (a
cui fu dato il sacco contro i patti) ed altre castella: con che venne
maggiormente a strignersi l'assedio, o, per dir meglio, il blocco di
Siena. Pietro Strozzi, a cui non piaceva di restar quivi rinchiuso,
uscitone nella notte del dì 11 di ottobre, si ridusse a Porto Ercole,
dove attese a fortificar quella piazza.
In quest'anno ancora si ravvivò la guerra in Piemonte. Erasi portato
alla corte di Cesare _don Ferrante Gonzaga_ governator di Milano,
per rispondere alle molte querele ed accuse portate colà non meno
dai Milanesi stanchi del suo governo, che da don Giovanni di Luna
castellano di Milano, lasciando suo luogotenente in essa città di
Milano Gomez Suarez di Figheroa. Fece questi levar l'assedio posto dal
maresciallo franzese a Valfenere; ricuperò Aqui, Sommariva ed altri
luoghi. Ma il Brisac fece molto di più, perchè s'impadronì nel dì 29 di
dicembre della città d'Ivrea, ceduta dal Morales, perchè la guarnigione
spagnuola non pagata ricusava di combattere. Ebbe dipoi Biella, e
fece fortificare Santià per incomodar Vercelli e Crescentino. Già
dicemmo occupata buona parte della Corsica dall'armi franzesi; e però i
Genovesi nell'anno addietro si affrettarono a far gente per sostenere
e ricuperar quell'isola tanto utile e decorosa al loro dominio. Uniti
otto mila fanti, dichiararono generale di quest'armata il principe di
Melfi, cioè il celebre _Andrea Doria_, che, quantunque giunto all'età
di ottantaquattro anni, conservava una vigorosa sanità e vecchiezza,
nè ricusò per amor della patria le fatiche di tale impiego. Mandò egli
innanzi Agostino Spinola suo luogotenente a Calvi con tre mila fanti,
i quali costrinsero il signor di Tremes a ritirarsi di là. Scrive
il Sardi, che, giunto colà il Doria, ricuperò la Bastia, città che
altri pretendono conservata da' Genovesi. Certo è bensì ch'egli mise
l'assedio a San Fiorenzo, terra valorosamente difesa da Giordano Orsino
con due mila fanti francesi. La buona ventura de' Genovesi portò,
che, preparata in Marsiglia una buona flotta per portare soccorso agli
assediati, dopo aver messo alla vela, fu colta da un vento maestrale sì
indiscreto, che sei galee, andando attraverso, perirono verso Piombino,
e le altre malmenate se ne tornarono in Provenza. Perciò nel febbraio
di quest'anno fu necessitato l'Orsino a capitolar la resa d'esso San
Fiorenzo, salve nondimeno le persone presidiarie, con patto che queste
fossero trasportate fuori dell'isola. Restarono poi quivi arenati
i disegni dell'una e dell'altra parte. Nell'anno presente continuò
la guerra fra l'_imperador Carlo V_ ed _Arrigo II re di Francia_
nei Paesi Bassi, con vantaggio piuttosto dell'ultimo. E il principe
_don Filippo_, dall'Augusto padre dichiarato re di Napoli e duca
di Milano, passò con accompagnamento magnifico in Inghilterra, dove
si solennizzarono le sue nozze colla _regina Maria_: avvenimento di
somma allegrezza per lutti i regni professanti la religion cattolica,
quantunque mal veduto dalla corte di Francia, a cui dava troppo da
pensare ogni innalzamento della casa di Austria. Poco potè godere della
sua dignità _Marcantonio Trevisano_ piissimo doge di Venezia, perchè
da improvvisa morte fu rapito nel dì 31 di maggio, ed ebbe nel dì 11 di
giugno per successore _Francesco Veniero_.
Anno di CRISTO MDLV. Indizione XIII.
MARCELLO II papa 1.
PAOLO IV papa 1.
CARLO V imperadore 37.
Stava godendo in Roma i frutti della pace dei suoi Stati _Giulio III_
papa, se non che un'aspra guerra a lui faceva la podagra. Sperava
anche l'immensa consolazione di veder presto comparire al bacio del
suo piede un ambasciatore inglese, giacchè la religion cattolica era
tornata sul trono d'Inghilterra, quando venne la morte a citarlo per
l'altra vita. Fu creduto che per domar la podagra si mettesse a tale
astinenza di vitto, che questa poi contro sua voglia il liberasse da
tutti i guai della terra. Ad altra cagione vien da altri attribuita
la mutazion da lui fatta della maniera di vivere. Mancò egli di vita
nel dì 29 di marzo, lasciando dopo di sè fama di buon pontefice,
piuttosto per non aver fatto del male, che per aver fatto del bene;
ancorchè negar non si possa ch'egli procurasse la pace fra i principi,
e rinovellasse il concilio di Trento, e pensasse anche a riformar la
corte di Roma, con lasciarne nondimeno la cura a' suoi successori.
A niuno eccesso trascorse egli verso dei suoi parenti, forse perchè
il tennero in briglia i porporati d'allora. Riportò solamente non
poco disonore dall'aver promosso alla sacra porpora, siccome dicemmo,
Innocenzo del Monte, indegno affatto di sì riguardevol ornamento.
Tanto il Segni che il Panvinio, autori allora viventi, confessano
ch'egli uomo da negozii quando era cardinale, fatto che fu papa, attese
piuttosto a godere che a reggere il pontificato, avendo rilasciata del
tutto al suo genio, ai piaceri e ai conviti la briglia. La principal
sua applicazione era quella di fabbricare un giardino fuori di porta
Flaminia, ossia del popolo. Forse perchè avea letto o udito parlare
degli orti mirabili fatti da Nerone al suo tempo, s'incapricciò
di non voler essere da meno; ed, abbracciato un sito di tre miglia
di paese, lo circondò di muraglie, lo compartì in varii ordini di
coltivazione e di viali, e l'ornò di parecchi edifizii, con logge,
archi, fontane, stucchi, statue e colonne, di modo che il tutto
produceva non meno ammirazione che diletto. Per questo giardino, che
divenne poi celebre col nome di _vigna di papa Giulio_, pareva (dice il
Panvinio) ch'egli impazzisse, tanto v'era perduto dietro, e quivi stava
sovente banchettando, lasciando in mano altrui il pubblico governo.
Mirabil cosa fu il vedere come in sì poco tempo, cioè nel dì 9 di
aprile restasse innalzato alla suprema dignità della Chiesa, contro
la aspettazione e voglia sua il _cardinal Marcello Cervino_, nativo
di Montepulciano; il quale, ritenendo il proprio nome, volle poscia
essere chiamato _Marcello II_, ancorchè gli fosse ricordata l'opinione
corrente allora, essere breve il pontificato di chi ritiene il proprio
nome, confermata dall'esempio di Adriano VI. Doti luminose di pietà,
di senno e di sapere in lui concorrevano; e tale era in lui l'integrità
de' costumi, il disinteresse, il desiderio e zelo per le cose migliori,
e la mansuetudine, che certamente si poteva aspettare da lui un
glorioso pontificato. Certo è altresì ch'egli meditava seriamente
di togliere le corruttele de' suoi tempi; nè volle punto che i suoi
nipoti, ed Alessandro fratello corressero ad aiutarlo nel suo scabroso
uffizio. Ma altri furono i disegni di Dio. Fu Marcello II chiamato a
miglior vita nella notte precedente al primo di maggio, in età di soli
cinquantacinque anni. Restò onorata la di lui sepoltura e memoria dalle
lagrime di tutti i buoni.
A questo mansueto ed amabil pontefice, correndo il dì 25 di maggio,
nel sacro conclave succedette un altro di genio totalmente opposto,
cioè _Giovan-Pietro Caraffa_, di nobil famiglia, Napoletano, appellato
il Cardinal Teatino, perchè era stato vescovo di Chieti, in latino
_Theate_. Pretesero i politici d'allora ch'egli dal cardinal Farnese,
tutto attaccato alla Francia, fosse portato al trono, perchè conosciuto
di inclinazion contraria agl'imperiali: giacchè in affare sì santo ed
importante fu creduto che prevalesse talvolta in quei tempi l'interesse
privato al ben pubblico della Chiesa. Era nato il Caraffa non già nel
1466, come per errore di stampa si legge presso il Ciacconio, ma nel
1476, come s'ha dal Panvinio e dall'Oldoino. Prese egli il nome di
_Paolo IV_: personaggio che in addietro s'era procacciato il concetto
d'uomo dottissimo, zelante e pio, colla somma probità ed esemplarità
della vita, collo sprezzo talvolta delle dignità e grandezze umane, e
con uno spirito di religiosa conversazione, per cui con _Gaetano Tiene_
nobile vicentino e prelato romano, che poi fu aggregato al ruolo de'
santi, istituì la pia congregazione de' chierici regolari, appellali
Teatini, approvata nel 1528 da papa Clemente VII. Pareva nondimeno ad
altri ch'egli sotto il manto del vivere suo religioso coprisse una
buona dose di desiderio d'onori; nè certamente egli avea rifiutato
l'arcivescovato di Napoli, e molto men fece alla lotta per isfuggire
il pontificato supremo. Potea chiamarsi la sua testa un ritratto in
picciolo del patrio suo Vesuvio, perchè ardente in tutte le azioni sue,
iracondo, duro ed inflessibile, portato certamente da un incredibile
zelo per la religione, ma zelo talora scompagnato dalla prudenza,
perchè traboccava in eccessi di rigore: quasi che la religione di
Cristo non fosse la maestra della mansuetudine, e la scuola dell'amare
e del farsi amare. Perciò presagirono i saggi sotto questo pontefice un
governo aspro ed insoffribile, e si aspettarono varie calamità, che pur
troppo avvennero. Nè altro prediceva la fiera sua guardatura con occhi
incavati, ma scintillanti ed accesi, per chi s'intendeva di fisonomia.
Studiossi ben egli sul principio di levar di testa alla gente la
sinistra opinione di lui, con dar segni di clemenza e liberalità, e
di concedere tali grazie e favori al popolo romano, che ne meritò una
statua nel Campidoglio. Poco nondimeno stette l'alquanto raffrenato
torrente a sboccare, e a verificar le infauste predizioni formate di
lui.
Per tutto il verno continuò il blocco di Siena fatto dall'armi
imperiali sotto il comando del _Medichino marchese di Marignano_;
e già cominciava quel popolo a penuriar di tutto il bisognevole pel
vitto, con anteporre nondimeno l'amore della libertà a qualsivoglia
patimento. Fu presa la risoluzione di scaricar la città non solo delle
bocche inutili, ma di parte ancora della guarnigione superflua. Fu più
di una volta tentato questo salasso, ed infelicemente quasi sempre. I
soldati che ne uscirono, ebbero a comperarsi il passaggio colla punta
delle spade, e la maggior parte vi restò svenata o prigioniera, e le
donne e i fanciulli costretti a rientrare nella città. Tale in questa
occasione fu la crudeltà del marchese, che quanti si arrischiarono
a portar vettovaglie alla afflitta patria, tutti (e furono un gran
numero) li fece appendere per la gola; e quanti osarono d'uscir della
città, o di sua mano o per mano altrui gli uccideva. Perchè poi da
Firenze venivano spesso lettere di fuoco che il sollecitavano a finir
quella impresa, tentò egli l'uso della artiglieria; il che nulla giovò,
per la gagliarda difesa e per le molte precauzioni prese dai Franzesi.
Ma ciò che non potè fare il cannone, lo fece la fame, cresciuta a tal
segno, che la povera gente era ridotta a tener per regalo i cibi più
schifi. Pertanto si cominciò a trattar di capitolare e di rendere la
città all'imperadore con patti onorevoli pel presidio franzese. Dopo
gran dibattimento, fu, secondo l'Adriani, conchiusa, nel dì 2 d'aprile,
la capitolazione, ma differitane l'esecuzione per alquanti giorni, ne'
quali tentarono i Sanesi inutilmente le raccomandazioni e la mediazione
del novello papa Marcello. Sicchè nel dì 21 d'esso mese uscirono di
Siena i Franzesi con tutti gli onori militari. Sembra a chi legge la
Storia del Segni che quella città venisse come in balia di _Cosimo duca
di Firenze_. Ma l'Adriani e il Sardi, meglio informati di quell'affare,
scrivono, pattuito che Siena restasse libera (parola che nulla dipoi
dovea significare), sotto la protezion dell'imperadore, e co' proprii
magistrati, ma con ricevere e pagar la guarnigione ch'esso Augusto vi
metterebbe. Rimasero in man de' Franzesi Chiusi, Grosseto, Porto Ercole
e Montalcino, dove si ritirarono que' Sanesi, a' quali non piacque di
star sotto gli odiati imperiali, e con quella forma di governo che si
dovea prescrivere alla lor patria dal medesimo Cesare. Fu preso dal
marchese di Marignano a nome di sua maestà il possesso di Siena, e
posto ivi presidio di Tedeschi e Spagnuoli. Colà tosto comparve tanto
pane e grascia, che potè non solo sfamarsi tutto il popolo, ma anche
provvedersene a buon mercato per l'avvenire. Quivi poscia il duca
Cosimo riordinò il governo, e da lì a non molto arrivò _don Francesco
di Toledo_, dichiarato dall'Augusto signore per governatore d'essa
città. Eppur vi ha chi scrive promessa Siena al duca Cosimo, allorchè
irritato o troppo superbo e pretendente. Ma in Toscana venuto il mese
di giugno senza che avessero i cesarei potuto espugnare Montalcino,
sempre valorosamente difeso dall'Orsino, in parte da sè stesso, e in
parte per l'interposizion del papa, cessò per allora quella contesa.
Imperciocchè, mandato da Cesare a Napoli per vicerè _pro interim_ il
_cardinal Pacieco_, presentando questi un gran preparamento de' Turchi
per tornare nei mari d'Italia ad istanza del re di Francia _Arrigo
II_, richiamò dal Sanese le genti ch'erano state cavate dai presidii di
quel regno; e così respirò Siena. Ma, nel tornar le milizie suddette a
Napoli, accadde uno scandaloso fatto. _Marcantonio Colonna_, comandante
di una parte della cavalleria cesarea, disgustato da gran tempo di
Ascanio suo padre (dicono, perchè gli negava un assegno conveniente
alla nascita sua), in tre giorni prese Palliano e tutte le altre
castella possedute dalla sua nobil casa negli Stati della Chiesa. Ossia
che Ascanio accorresse per salvare Tagliacozzo ed altri suoi feudi nel
regno di Napoli, oppure che andasse con gente armata per ricuperarli;
la verità si è, che, per ordine del suddetto cardinal Pacieco, fu preso
esso Ascanio, e mandato prigione nel castello di Napoli, dove stette
gran tempo, e infine, colto da malattia, vi morì, restando il figlio
padrone di tutto. Si stancarono i politici per trovar la cagione di
sì aspro trattamento, e l'han tuttavia da scoprire. Fu pure astretto
il Belcaire a confessare in quest'anno la sempre detestabil alleanza
del re di Francia con Solimano gran sultano de' Turchi, perchè sugli
occhi di tutti comparvero que' Barbari uniti colla flotta franzese
nei nostri mari. Vennero costoro sul principio di giugno con sessanta
galee, comandate da Mustafà bassà e dal corsaro Dragut, oltre alle
franzesi, in Sicilia, dove presero e abbruciarono Alicata, e fecero
secento cristiani schiavi. Nulla potendo ottenere contro Sacca e
Trapani, passarono dipoi in Toscana, e quivi spogliarono l'isola della
Pianosa, conducendo via mille di quegli abitanti. Grave danno ancora
fu recato dalla stessa armata turco-gallica all'isola dell'Elba; ma
dappoichè in essa si fu imbarcato il signor di Termes con quattro mila
fanti cavati dal Sanese, fece vela alla volta della Corsica, dove i
Franzesi teneano delle intelligenze, senza che i Genovesi, signori di
quella sì riguardevole isola, ancorchè avvisati del pericolo, avessero
provveduto al bisogno. Sbarcati colà i Franzesi coi Turchi, ridussero
in poco tempo in loro potere la Bastia e San Fiorenzo; e, sollevati
circa sette mila di quei feroci montanari, s'impossessarono di quasi
tutta l'isola, a riserva di Calvi, Aiaccio e Bonifazio. Se vogliam
credere al Manenti e al Campana, la Bastia si conservò in potere de'
Genovesi. Fu dipoi da' Turchi e Franzesi assediato e preso Aiaccio,
dove tutto andò a sacco, restarono preda della loro lussuria le donne,
e i presi Genovesi posti al remo. Quindi passarono i Turchi all'assedio
di Bonifazio, e i Franzesi a quello di Calvi. Il comandante della prima
città, ingannato da una finta lettera del doge e dell'uffizio di San
Giorgio, capitolò. Calvi si sostenne. Venuto il settembre, secondo gli
ordini del sultano, i Turchi se ne tornarono in Levante, e il signor
di Termes andò in Provenza, per condurre in Corsica genti, munizioni
e vettovaglie. Svegliati intanto i Genovesi, non omisero diligenza e
spesa per ricuperar la Corsica, del che parleremo all'anno seguente.
Non restò esente neppure in questo anno dagl'incomodi della guerra il
Piemonte. Dimorava _Carlo duca di Savoia_ in Vercelli, contemplando
l'infelice situazione de' suoi Stati, occupati in gran parte da'
nemici franzesi di qua e di là dai monti, e quasi signoreggiato il
resto dagli amici imperiali, con restare intanto i popoli esposti alle
continue incursioni sì dell'uno come dell'altro partito, e forzati
spesso a cangiar padrone. Giunse la morte a liberarlo da queste nere
meditazioni, essendo egli mancato di vita nel dì 18 d'agosto, come
vuole il Sardi storico contemporaneo, o piuttosto, secondo che scrivono
gli autori piemontesi, nel dì 16 d'esso mese: principe d'ottimo genio,
fatto più per la pace e pel gabinetto che per la guerra; ma principe
sommamente sfortunato, che seco nondimeno portò la consolazione di
lasciar suo erede _Emmanuel Filiberto_ principe di Piemonte, giovane
bellicoso e di grande aspettazione, che in questi tempi militava in
Fiandra presso l'imperadore, e s'era già segnalato con varie azioni di
senno e di valore. Seguirono in esso Piemonte varii movimenti e fatti
delle nemiche armate, ma non di tal rilievo, che lor s'abbia a dar
luogo in questo compendio. Solamente fece strepito la presa di Vercelli
fatta da' Franzesi nel dì 20 di novembre per intelligenza con alcuni
Vercellesi mal soddisfatti della guarnigione tedesca. Ma _don Francesco
d'Este_ generale cesareo, appena ciò inteso, spedì Cesare da Napoli
con centocinquanta cavalli ed altrettanti fanti in groppa, affinchè
rinforzassero la cittadella, ed egli poi li seguitò frettolosamente col
resto della cavalleria e con mille fanti, ed, entrato anch'egli nella
fortezza, era per piombare addosso alla città. Ma non l'aspettarono
i Franzesi, che prima di ritirarsi spogliarono l'arnese e il tesoro
del duca defunto, ricoverato in Sant'Eusebio, non avendo la fortuna,
tanto a lui avversa in vita, cessato di perseguitarlo anche dopo
morte. Condussero via eziandio molti mercatanti e terrazzani ricchi
o per ostaggi delle contribuzioni intimate al pubblico, o per
ricavarne delle taglie private. Seguitò quest'anno ancora la guerra
fra l'imperadore e il re di Francia. Assediata dai cesarei con potente
esercito Terovana città fortissima, e battuta per quattordici giorni
con sessanta pezzi di artiglieria, mentre si stendeva la capitolazion
della resa, vi entrarono furiosamente Spagnuoli e Tedeschi, e le
diedero un terribil sacco. Venne poi, per ordine dell'imperadore,
spianata quella piazza da' fondamenti. Non fu meno strepitoso l'assedio
posto dipoi nel mese di luglio alla città di Edino, forte, al pari
dell'altra, dalle armi cesaree sotto il comando del suddetto _principe
di Piemonte_, dichiarato supremo general dell'armata. Alla difesa di
quella piazza era entrato _Orazio Farnese duca_ di Castro con assai
nobiltà franzese, ma, colpito da un tiro d'artiglieria, perdè ivi la
vita, compianto da ognuno pel raro suo valore. La stessa disavventura,
che avea provato Terovana, toccò anche ad esso Edino, messo a sacco
colla strage di alcune centinaia di Franzesi, e colla prigionia di non
pochi riguardevoli signori. Restò similmente rasata quella piazza,
e niun'altra azione si fece degna di memoria in quelle parti. In
questo mentre, essendo accaduta la morte del giovinetto _Odoardo re
d'Inghilterra_, gli succedette _Maria_ sua sorella, con giubilo grande
della cristianità, perchè ella poco stette a professare la religione
cattolica, siccome l'imperadore non tardò a progettare il matrimonio di
essa regina col _principe don Filippo_ suo figlio vedovo. In quest'anno
nel dì 23 di maggio terminò la sua vita _Francesco Donato_ doge di
Venezia, e nel dì 4 di giugno fu assunto a quella dignità _Marcantonio
Trevisano_, personaggio singolare per la sua pietà e saviezza.
NOTE:
[457] Alessandro Sardi. Adriani. Segni. Mambrin Roseo. Campana, ed
altri.
Anno di CRISTO MDLIV. Indizione XII.
GIULIO III papa 5.
CARLO V imperadore 36.
Principe di somma avvedutezza s'era fin qui fatto conoscere _Cosimo
de Medici duca_ di Firenze; ma specialmente in questo anno diede
gran prova del suo coraggio coll'imprendere guerra aperta contro
di Siena, da cui s'era saggiamente astenuto in addietro al vedere
sì contrabbilanciate le forze franzesi colle imperiali. S'era egli
segretamente tenuto sempre forte nel partito di Cesare, benchè per
altra parte praticasse molte finezze coi ministri della Francia.
Ma dacchè si venne a scoprire (a cagion della congiura dell'anno
precedente, vera o pretesa che fosse) troppo congiunto di massime in
favore di Cesare, s'avvide egli tosto del mal animo conceputo contro
di lui dai Franzesi. E tanto più, perchè il _re Arrigo_, invece
del Termes, passato in Corsica, avea spedito a Siena per comandante
delle sue armi _Pietro Strozzi_ Fiorentino fuoruscito, persona di
gran credito nell'arte della guerra, ed insieme il maggior nemico
che s'avesse la casa de Medici. Nè durò fatica ad accorgersi che il
medesimo Strozzi macchinava contra dei suoi Stati. Però animosamente
determinò di voler egli piuttosto far guerra a' Sanesi, che di
aspettarla in casa sua. Intorno a ciò s'intese prima coll'_imperador
Carlo V_, il quale (tanta era la sua ansietà di veder cacciati dalla
Toscana i Franzesi) non solamente consentì a concedergli il dominio di
Siena, se gli riusciva di conquistarla, ma gli promise anche soccorsi.
Che l'imperador nondimeno promettesse allora quella città al duca, se
ne può fondatamente dubitare. Similmente si assicurò Cosimo di _papa
Giulio_, col promettere in moglie la terza sua figlia _Isabella_ a
Fabiano di lui nipote, a cui assegnò in feudo Monte San Sovino con
titolo di marchese. Non essendosi poi effettuate queste nozze vivente
il papa, molto meno si effettuarono dopo la sua morte. Corse anche voce
ch'esso pontefice concorresse alle spese di quella guerra con quindici
mila scudi il mese. Ciò poi che accresceva la speranza al duca Cosimo,
era l'osservare in tale stato il re di Francia per la gran guerra sua
coll'imperadore e coi Genovesi, che non gli resterebbe voglia nè potere
di accudire alle cose della Toscana. Gli avea dianzi l'Augusto monarca
inviato per general di milizie _Gian-Giacomo de Medici_ marchese di
Marignano, il più astuto uomo che si trovasse nel mestier della guerra.
Alla testa e al valore di costui il duca appoggiò l'esecuzione dei
disegni stabiliti fra loro. Era il mese di gennaio, e in Siena si stava
in allegria e senza buona guardia, perchè senza sospetto di aver per
nemico il duca di Firenze. E molto meno ne sospettava il _cardinal di
Ferrara_, con cui fin qui l'accorto duca avea mantenuta una mirabil
confidenza ed amicizia. Ora Cosimo, dopo aver tenute per quattro giorni
chiuse le porte di Firenze, Pisa, Arezzo e Volterra, e fatto intanto
segretamente raunare e marciare tanto le fanterie da soldo che le bande
forensi, nella notte precedente al dì 29 di gennaio (il Sardi ha la
notte del dì 26) con gran copia di scale si presentò egli col marchese
di Marignano ad un forte già fabbricato dai Franzesi fuori della porta
di Siena, chiamata di Camollia; e trovatolo mal custodito da quaranta
soldati, che furono tosto fatti prigioni, se ne impadronì. Gran
rumore, gran timore di tradimenti si svegliò in Siena; ma, chiarito
ch'entro la città non v'erano mali umori, si attese dipoi alla difesa,
e maggiormente si assicurò ed animò quel popolo al comparire di Pietro
Strozzi, che non era in Siena quando accadde la novità suddetta.
Allora il duca Cosimo, cavatasi affatto la maschera, dichiarò la
guerra a Siena e a' Franzesi; diede ampia facoltà, anzi ordine a tutti
i suoi popoli di procedere a' danni de' Sanesi: nel che fu egli ben
servito. Prese al suo soldo da varie parti quante soldatesche potè,
e, se vogliamo stare al Segni, formò un esercito di ventiquattro mila
fanti tra Italiani, Spagnuoli e Tedeschi, e mille cavalli. Asprissima
guerra si fece dipoi, non già di combattimenti fra i soldati, ma
di desolazione agl'innocenti contadini, ed anche con impiccarne e
con violare le donne. Contuttociò nella notte precedente al venerdì
santo, Ascanio della Cornia e Ridolfo Baglione con tre mila fanti e
quattrocento cavalli andando per sorprendere Chiusi, dove aveano un
trattato, ma doppio, furono disfatti i Franzesi, restando il primo
con altri mille e cinquecento prigione, e l'altro ucciso. Nel dì 12
di giugno Pietro Strozzi, segretamente uscito di Siena con tre mila
fanti e trecento cavalli, arditamente entrò nello Stato fiorentino,
e, passato l'Arno, penetrò fino sul Lucchese, per quivi raccogliere
quattro mila (altri dicono due mila) Grigioni, ed altre milizie
spedite da Parma e dalla Mirandola, colle quali formò un'armata di
dieci mila fanti e secento cavalli. Gli avea sempre tenuto dietro il
marchese di Marignano con grosso corpo di gente; ed, arrivato a Pescia,
gran ventura fu la sua che lo Strozzi non conoscesse il vantaggio
esibitogli dalla fortuna di poterlo battere a man salva, perchè, oltre
all'essere il marchese inferiore di gente, in quella terra non trovò
da vivere per un giorno, essendo allora afflitta tutta la Toscana da
un'aspra carestia. Si mosse bensì a quella volta lo Strozzi, ma il
marchese, presa la fuga, si ridusse in salvo a Pistoia, il che diede
campo allo Strozzi di insignorirsi di Pescia, Montecarlo, Buggiano,
Montevetolino ed altri luoghi di Val di Nievole. Perchè vennero di poi
meno allo Strozzi le speranze di ricevere altri maggiori rinforzi di
Franzesi e di Turchi, a lui promessi dalla corte di Francia, e perchè
udì pervenuto a Pisa don Giovanni di Luna con quattro mila fanti
italiani, due mila tedeschi e quattrocento cavalli, spediti da Milano
in soccorso del duca Cosimo, se ne tornò verso Siena. Ebbe dipoi a
patti il castello di Marciano, e a forza d'armi quel di Foiano nel dì
23 di luglio, con trovar in amendue gran copia di grano, che servì di
buon ristoro all'esercito suo. In questo mentre giunsero ad unirsi col
marchese di Marignano tre mila fanti assoldati da Camillo Colonna in
Roma, e trecento uomini d'armi inviati dal regno di Napoli: con che il
duca di Firenze fu di parere che si venisse a battaglia, contuttochè di
contrario sentimento fosse lo stesso marchese con altri uffiziali.
Erano le tredici ore della mattina del dì 2 d'agosto, quando il
marchese, che dianzi era in procinto di ritirarsi, chiaramente scoprì
che Pietro Strozzi s'era da Marciano messo in cammino per ritirarsi a
Lucignano, o pure a Foiano. Mandò un corpo di cavalleria a pizzicarlo;
ed allora fu che lo Strozzi, vedendo di non potere schivar con onore la
battaglia, mise in ordinanza le sue genti, e si affrontò col nemico.
Ma quella non fu propriamente battaglia, perciocchè, essendo generale
della cavalleria franzese il giovinetto conte della Mirandola Lodovico,
il suo luogotenente Lodovico Borgonovo, chiamato Bighetto dal Campana,
che reggea la truppa, oppure portava lo stendardo di esso generale,
appena urtato dalla cavalleria nemica, prese vergognosamente la fuga,
lasciando senza difesa le povere fanterie. Lo Strozzi si vide tosto
perduto, e tuttochè restringesse i battaglioni ad un fosso, pure non
potè impedire che non fossero in breve tempo sloggiati dall'artiglieria
e cavalleria nemica, andando tutti appresso in rotta, e restando
trucidato chi non godeva il privilegio delle buone gambe. Secondo
gli scrittori fiorentini, quasi quattro mila dell'esercito franzese
rimasero estinti sul campo; copioso fu il numero de' prigioni; e ben
cento bandiere guadagnate furono portate per trofeo a Firenze. Tutto
il bagaglio, le artiglierie e l'armi vennero alle mani de' vincitori.
Erano corsi molto prima a questa danza assaissimi Fiorentini, parte
d'essi fuorusciti, ed altri solamente perchè appetitosi della libertà
della patria. Sette d'essi rimasti prigionieri ebbero poi reciso
il capo, e il duca Cosimo, confiscati i beni di chiunque avea prese
l'armi contra di lui, o tenute corrispondenze co' nemici, mirabilmente
ingrassò il suo patrimonio e fisco. E ben fu questa vittoria che
finì di assicurar la signoria di esso Cosimo, e gli accrebbe tal
riputazione, che giunse, siccome vedremo, ad unire anche Siena al suo
dominio. Salvossi lo Strozzi ferito in due luoghi a Lucignano, e quindi
a Montalcino. Appresso fu Lucignano vilmente ceduto da Alto Conti
agl'imperiali, dove si conservava gran copia di vettovaglie. Parimente
ricuperò il duca tutte le castella dianzi perdute in Val di Nievole.
Dopo di che il marchese di Marignano voltò tutte le sue forze contro
il distretto di Siena, conquistando Monteregioni, Murlo e Casoli (a
cui fu dato il sacco contro i patti) ed altre castella: con che venne
maggiormente a strignersi l'assedio, o, per dir meglio, il blocco di
Siena. Pietro Strozzi, a cui non piaceva di restar quivi rinchiuso,
uscitone nella notte del dì 11 di ottobre, si ridusse a Porto Ercole,
dove attese a fortificar quella piazza.
In quest'anno ancora si ravvivò la guerra in Piemonte. Erasi portato
alla corte di Cesare _don Ferrante Gonzaga_ governator di Milano,
per rispondere alle molte querele ed accuse portate colà non meno
dai Milanesi stanchi del suo governo, che da don Giovanni di Luna
castellano di Milano, lasciando suo luogotenente in essa città di
Milano Gomez Suarez di Figheroa. Fece questi levar l'assedio posto dal
maresciallo franzese a Valfenere; ricuperò Aqui, Sommariva ed altri
luoghi. Ma il Brisac fece molto di più, perchè s'impadronì nel dì 29 di
dicembre della città d'Ivrea, ceduta dal Morales, perchè la guarnigione
spagnuola non pagata ricusava di combattere. Ebbe dipoi Biella, e
fece fortificare Santià per incomodar Vercelli e Crescentino. Già
dicemmo occupata buona parte della Corsica dall'armi franzesi; e però i
Genovesi nell'anno addietro si affrettarono a far gente per sostenere
e ricuperar quell'isola tanto utile e decorosa al loro dominio. Uniti
otto mila fanti, dichiararono generale di quest'armata il principe di
Melfi, cioè il celebre _Andrea Doria_, che, quantunque giunto all'età
di ottantaquattro anni, conservava una vigorosa sanità e vecchiezza,
nè ricusò per amor della patria le fatiche di tale impiego. Mandò egli
innanzi Agostino Spinola suo luogotenente a Calvi con tre mila fanti,
i quali costrinsero il signor di Tremes a ritirarsi di là. Scrive
il Sardi, che, giunto colà il Doria, ricuperò la Bastia, città che
altri pretendono conservata da' Genovesi. Certo è bensì ch'egli mise
l'assedio a San Fiorenzo, terra valorosamente difesa da Giordano Orsino
con due mila fanti francesi. La buona ventura de' Genovesi portò,
che, preparata in Marsiglia una buona flotta per portare soccorso agli
assediati, dopo aver messo alla vela, fu colta da un vento maestrale sì
indiscreto, che sei galee, andando attraverso, perirono verso Piombino,
e le altre malmenate se ne tornarono in Provenza. Perciò nel febbraio
di quest'anno fu necessitato l'Orsino a capitolar la resa d'esso San
Fiorenzo, salve nondimeno le persone presidiarie, con patto che queste
fossero trasportate fuori dell'isola. Restarono poi quivi arenati
i disegni dell'una e dell'altra parte. Nell'anno presente continuò
la guerra fra l'_imperador Carlo V_ ed _Arrigo II re di Francia_
nei Paesi Bassi, con vantaggio piuttosto dell'ultimo. E il principe
_don Filippo_, dall'Augusto padre dichiarato re di Napoli e duca
di Milano, passò con accompagnamento magnifico in Inghilterra, dove
si solennizzarono le sue nozze colla _regina Maria_: avvenimento di
somma allegrezza per lutti i regni professanti la religion cattolica,
quantunque mal veduto dalla corte di Francia, a cui dava troppo da
pensare ogni innalzamento della casa di Austria. Poco potè godere della
sua dignità _Marcantonio Trevisano_ piissimo doge di Venezia, perchè
da improvvisa morte fu rapito nel dì 31 di maggio, ed ebbe nel dì 11 di
giugno per successore _Francesco Veniero_.
Anno di CRISTO MDLV. Indizione XIII.
MARCELLO II papa 1.
PAOLO IV papa 1.
CARLO V imperadore 37.
Stava godendo in Roma i frutti della pace dei suoi Stati _Giulio III_
papa, se non che un'aspra guerra a lui faceva la podagra. Sperava
anche l'immensa consolazione di veder presto comparire al bacio del
suo piede un ambasciatore inglese, giacchè la religion cattolica era
tornata sul trono d'Inghilterra, quando venne la morte a citarlo per
l'altra vita. Fu creduto che per domar la podagra si mettesse a tale
astinenza di vitto, che questa poi contro sua voglia il liberasse da
tutti i guai della terra. Ad altra cagione vien da altri attribuita
la mutazion da lui fatta della maniera di vivere. Mancò egli di vita
nel dì 29 di marzo, lasciando dopo di sè fama di buon pontefice,
piuttosto per non aver fatto del male, che per aver fatto del bene;
ancorchè negar non si possa ch'egli procurasse la pace fra i principi,
e rinovellasse il concilio di Trento, e pensasse anche a riformar la
corte di Roma, con lasciarne nondimeno la cura a' suoi successori.
A niuno eccesso trascorse egli verso dei suoi parenti, forse perchè
il tennero in briglia i porporati d'allora. Riportò solamente non
poco disonore dall'aver promosso alla sacra porpora, siccome dicemmo,
Innocenzo del Monte, indegno affatto di sì riguardevol ornamento.
Tanto il Segni che il Panvinio, autori allora viventi, confessano
ch'egli uomo da negozii quando era cardinale, fatto che fu papa, attese
piuttosto a godere che a reggere il pontificato, avendo rilasciata del
tutto al suo genio, ai piaceri e ai conviti la briglia. La principal
sua applicazione era quella di fabbricare un giardino fuori di porta
Flaminia, ossia del popolo. Forse perchè avea letto o udito parlare
degli orti mirabili fatti da Nerone al suo tempo, s'incapricciò
di non voler essere da meno; ed, abbracciato un sito di tre miglia
di paese, lo circondò di muraglie, lo compartì in varii ordini di
coltivazione e di viali, e l'ornò di parecchi edifizii, con logge,
archi, fontane, stucchi, statue e colonne, di modo che il tutto
produceva non meno ammirazione che diletto. Per questo giardino, che
divenne poi celebre col nome di _vigna di papa Giulio_, pareva (dice il
Panvinio) ch'egli impazzisse, tanto v'era perduto dietro, e quivi stava
sovente banchettando, lasciando in mano altrui il pubblico governo.
Mirabil cosa fu il vedere come in sì poco tempo, cioè nel dì 9 di
aprile restasse innalzato alla suprema dignità della Chiesa, contro
la aspettazione e voglia sua il _cardinal Marcello Cervino_, nativo
di Montepulciano; il quale, ritenendo il proprio nome, volle poscia
essere chiamato _Marcello II_, ancorchè gli fosse ricordata l'opinione
corrente allora, essere breve il pontificato di chi ritiene il proprio
nome, confermata dall'esempio di Adriano VI. Doti luminose di pietà,
di senno e di sapere in lui concorrevano; e tale era in lui l'integrità
de' costumi, il disinteresse, il desiderio e zelo per le cose migliori,
e la mansuetudine, che certamente si poteva aspettare da lui un
glorioso pontificato. Certo è altresì ch'egli meditava seriamente
di togliere le corruttele de' suoi tempi; nè volle punto che i suoi
nipoti, ed Alessandro fratello corressero ad aiutarlo nel suo scabroso
uffizio. Ma altri furono i disegni di Dio. Fu Marcello II chiamato a
miglior vita nella notte precedente al primo di maggio, in età di soli
cinquantacinque anni. Restò onorata la di lui sepoltura e memoria dalle
lagrime di tutti i buoni.
A questo mansueto ed amabil pontefice, correndo il dì 25 di maggio,
nel sacro conclave succedette un altro di genio totalmente opposto,
cioè _Giovan-Pietro Caraffa_, di nobil famiglia, Napoletano, appellato
il Cardinal Teatino, perchè era stato vescovo di Chieti, in latino
_Theate_. Pretesero i politici d'allora ch'egli dal cardinal Farnese,
tutto attaccato alla Francia, fosse portato al trono, perchè conosciuto
di inclinazion contraria agl'imperiali: giacchè in affare sì santo ed
importante fu creduto che prevalesse talvolta in quei tempi l'interesse
privato al ben pubblico della Chiesa. Era nato il Caraffa non già nel
1466, come per errore di stampa si legge presso il Ciacconio, ma nel
1476, come s'ha dal Panvinio e dall'Oldoino. Prese egli il nome di
_Paolo IV_: personaggio che in addietro s'era procacciato il concetto
d'uomo dottissimo, zelante e pio, colla somma probità ed esemplarità
della vita, collo sprezzo talvolta delle dignità e grandezze umane, e
con uno spirito di religiosa conversazione, per cui con _Gaetano Tiene_
nobile vicentino e prelato romano, che poi fu aggregato al ruolo de'
santi, istituì la pia congregazione de' chierici regolari, appellali
Teatini, approvata nel 1528 da papa Clemente VII. Pareva nondimeno ad
altri ch'egli sotto il manto del vivere suo religioso coprisse una
buona dose di desiderio d'onori; nè certamente egli avea rifiutato
l'arcivescovato di Napoli, e molto men fece alla lotta per isfuggire
il pontificato supremo. Potea chiamarsi la sua testa un ritratto in
picciolo del patrio suo Vesuvio, perchè ardente in tutte le azioni sue,
iracondo, duro ed inflessibile, portato certamente da un incredibile
zelo per la religione, ma zelo talora scompagnato dalla prudenza,
perchè traboccava in eccessi di rigore: quasi che la religione di
Cristo non fosse la maestra della mansuetudine, e la scuola dell'amare
e del farsi amare. Perciò presagirono i saggi sotto questo pontefice un
governo aspro ed insoffribile, e si aspettarono varie calamità, che pur
troppo avvennero. Nè altro prediceva la fiera sua guardatura con occhi
incavati, ma scintillanti ed accesi, per chi s'intendeva di fisonomia.
Studiossi ben egli sul principio di levar di testa alla gente la
sinistra opinione di lui, con dar segni di clemenza e liberalità, e
di concedere tali grazie e favori al popolo romano, che ne meritò una
statua nel Campidoglio. Poco nondimeno stette l'alquanto raffrenato
torrente a sboccare, e a verificar le infauste predizioni formate di
lui.
Per tutto il verno continuò il blocco di Siena fatto dall'armi
imperiali sotto il comando del _Medichino marchese di Marignano_;
e già cominciava quel popolo a penuriar di tutto il bisognevole pel
vitto, con anteporre nondimeno l'amore della libertà a qualsivoglia
patimento. Fu presa la risoluzione di scaricar la città non solo delle
bocche inutili, ma di parte ancora della guarnigione superflua. Fu più
di una volta tentato questo salasso, ed infelicemente quasi sempre. I
soldati che ne uscirono, ebbero a comperarsi il passaggio colla punta
delle spade, e la maggior parte vi restò svenata o prigioniera, e le
donne e i fanciulli costretti a rientrare nella città. Tale in questa
occasione fu la crudeltà del marchese, che quanti si arrischiarono
a portar vettovaglie alla afflitta patria, tutti (e furono un gran
numero) li fece appendere per la gola; e quanti osarono d'uscir della
città, o di sua mano o per mano altrui gli uccideva. Perchè poi da
Firenze venivano spesso lettere di fuoco che il sollecitavano a finir
quella impresa, tentò egli l'uso della artiglieria; il che nulla giovò,
per la gagliarda difesa e per le molte precauzioni prese dai Franzesi.
Ma ciò che non potè fare il cannone, lo fece la fame, cresciuta a tal
segno, che la povera gente era ridotta a tener per regalo i cibi più
schifi. Pertanto si cominciò a trattar di capitolare e di rendere la
città all'imperadore con patti onorevoli pel presidio franzese. Dopo
gran dibattimento, fu, secondo l'Adriani, conchiusa, nel dì 2 d'aprile,
la capitolazione, ma differitane l'esecuzione per alquanti giorni, ne'
quali tentarono i Sanesi inutilmente le raccomandazioni e la mediazione
del novello papa Marcello. Sicchè nel dì 21 d'esso mese uscirono di
Siena i Franzesi con tutti gli onori militari. Sembra a chi legge la
Storia del Segni che quella città venisse come in balia di _Cosimo duca
di Firenze_. Ma l'Adriani e il Sardi, meglio informati di quell'affare,
scrivono, pattuito che Siena restasse libera (parola che nulla dipoi
dovea significare), sotto la protezion dell'imperadore, e co' proprii
magistrati, ma con ricevere e pagar la guarnigione ch'esso Augusto vi
metterebbe. Rimasero in man de' Franzesi Chiusi, Grosseto, Porto Ercole
e Montalcino, dove si ritirarono que' Sanesi, a' quali non piacque di
star sotto gli odiati imperiali, e con quella forma di governo che si
dovea prescrivere alla lor patria dal medesimo Cesare. Fu preso dal
marchese di Marignano a nome di sua maestà il possesso di Siena, e
posto ivi presidio di Tedeschi e Spagnuoli. Colà tosto comparve tanto
pane e grascia, che potè non solo sfamarsi tutto il popolo, ma anche
provvedersene a buon mercato per l'avvenire. Quivi poscia il duca
Cosimo riordinò il governo, e da lì a non molto arrivò _don Francesco
di Toledo_, dichiarato dall'Augusto signore per governatore d'essa
città. Eppur vi ha chi scrive promessa Siena al duca Cosimo, allorchè
- Parts
- Annali d'Italia, vol. 6 - 01
- Annali d'Italia, vol. 6 - 02
- Annali d'Italia, vol. 6 - 03
- Annali d'Italia, vol. 6 - 04
- Annali d'Italia, vol. 6 - 05
- Annali d'Italia, vol. 6 - 06
- Annali d'Italia, vol. 6 - 07
- Annali d'Italia, vol. 6 - 08
- Annali d'Italia, vol. 6 - 09
- Annali d'Italia, vol. 6 - 10
- Annali d'Italia, vol. 6 - 11
- Annali d'Italia, vol. 6 - 12
- Annali d'Italia, vol. 6 - 13
- Annali d'Italia, vol. 6 - 14
- Annali d'Italia, vol. 6 - 15
- Annali d'Italia, vol. 6 - 16
- Annali d'Italia, vol. 6 - 17
- Annali d'Italia, vol. 6 - 18
- Annali d'Italia, vol. 6 - 19
- Annali d'Italia, vol. 6 - 20
- Annali d'Italia, vol. 6 - 21
- Annali d'Italia, vol. 6 - 22
- Annali d'Italia, vol. 6 - 23
- Annali d'Italia, vol. 6 - 24
- Annali d'Italia, vol. 6 - 25
- Annali d'Italia, vol. 6 - 26
- Annali d'Italia, vol. 6 - 27
- Annali d'Italia, vol. 6 - 28
- Annali d'Italia, vol. 6 - 29
- Annali d'Italia, vol. 6 - 30
- Annali d'Italia, vol. 6 - 31
- Annali d'Italia, vol. 6 - 32
- Annali d'Italia, vol. 6 - 33
- Annali d'Italia, vol. 6 - 34
- Annali d'Italia, vol. 6 - 35
- Annali d'Italia, vol. 6 - 36
- Annali d'Italia, vol. 6 - 37
- Annali d'Italia, vol. 6 - 38
- Annali d'Italia, vol. 6 - 39
- Annali d'Italia, vol. 6 - 40
- Annali d'Italia, vol. 6 - 41
- Annali d'Italia, vol. 6 - 42
- Annali d'Italia, vol. 6 - 43
- Annali d'Italia, vol. 6 - 44
- Annali d'Italia, vol. 6 - 45
- Annali d'Italia, vol. 6 - 46
- Annali d'Italia, vol. 6 - 47
- Annali d'Italia, vol. 6 - 48
- Annali d'Italia, vol. 6 - 49
- Annali d'Italia, vol. 6 - 50
- Annali d'Italia, vol. 6 - 51
- Annali d'Italia, vol. 6 - 52
- Annali d'Italia, vol. 6 - 53
- Annali d'Italia, vol. 6 - 54
- Annali d'Italia, vol. 6 - 55
- Annali d'Italia, vol. 6 - 56
- Annali d'Italia, vol. 6 - 57
- Annali d'Italia, vol. 6 - 58
- Annali d'Italia, vol. 6 - 59
- Annali d'Italia, vol. 6 - 60
- Annali d'Italia, vol. 6 - 61
- Annali d'Italia, vol. 6 - 62
- Annali d'Italia, vol. 6 - 63
- Annali d'Italia, vol. 6 - 64
- Annali d'Italia, vol. 6 - 65
- Annali d'Italia, vol. 6 - 66
- Annali d'Italia, vol. 6 - 67
- Annali d'Italia, vol. 6 - 68
- Annali d'Italia, vol. 6 - 69
- Annali d'Italia, vol. 6 - 70
- Annali d'Italia, vol. 6 - 71
- Annali d'Italia, vol. 6 - 72
- Annali d'Italia, vol. 6 - 73
- Annali d'Italia, vol. 6 - 74
- Annali d'Italia, vol. 6 - 75
- Annali d'Italia, vol. 6 - 76
- Annali d'Italia, vol. 6 - 77
- Annali d'Italia, vol. 6 - 78
- Annali d'Italia, vol. 6 - 79
- Annali d'Italia, vol. 6 - 80
- Annali d'Italia, vol. 6 - 81
- Annali d'Italia, vol. 6 - 82
- Annali d'Italia, vol. 6 - 83
- Annali d'Italia, vol. 6 - 84
- Annali d'Italia, vol. 6 - 85
- Annali d'Italia, vol. 6 - 86
- Annali d'Italia, vol. 6 - 87