Annali d'Italia, vol. 6 - 35

fortezza sommamente forte in faccia al porto di Tunisi.
Con immenso valore fu espugnato quel sito dai cristiani, e sbaragliata
la grossa armata navale del Barbarossa, restando presi più di cento
de' suoi legni. Arrivò a tempo al soccorso dell'armata cristiana _don
Ferrante Gonzaga_ con assai navi cariche di vettovaglie, provenienti
dalla Sicilia; perchè già il biscotto era muffito. Prese poi posto
l'esercito cesareo intorno alla città di Tunisi, e seguirono varie
scaramucce, ma col peggio sempre de' Mori, Turchi ed Arabi, che sopra
ottanta mila erano accorsi alla difesa. Crebbe perciò lo spavento fra
essi, talmente che un dì il Barbarossa, tutto infuocato di rabbia,
determinò di far perire qualunque schiavo cristiano che si trovasse
in Tunisi, o per vendetta, o per sospetto di qualche lor commozione o
tradimento. Li fece a questo fine rinchiudere tutti in un sito della
rocca. Il Giovio ed il Segni li fanno sei mila; altri quindici mila;
e Pietro Messia li fa giugnere fino a ventidue mila. Trattenuto fu il
Barbaro da sì enorme crudeltà da Sinam Ebreo che era il suo braccio
dritto. Ma in questo mentre due rinegati cristiani, che sapeano la
sentenza data dal tiranno, mossi a compassione di alcuni schiavi loro
amici, sciolsero le lor catene; e questi poi con somma fretta aiutarono
a scatenar tutta la folla degli altri miseri cristiani. Ruppero essi le
porte dell'armeria, e prese l'armi, ed uccisi quanti Mori si vollero
loro opporre, s'impadronirono della rocca, da cui cominciarono a far
segni ai cristiani di fuori, ma senza essere intesi. Cagion fu questo
inaspettato colpo che il Barbarossa disperato se ne fuggisse a Bona, e
poscia ad Algeri. Entrò il vittorioso imperadore nel dì 21 di luglio
coll'esercito in Tunisi; e non seppe negare, o non potè impedire a'
suoi il sacco della città per un giorno. Molti di que' Mori e Turchi vi
rimasero tagliati a pezzi colle altre iniquità consuete in simili casi;
ma per conto del bottino, questo riuscì troppo inferiore alle speranze.
Perì in questa congiuntura un'insigne biblioteca d'antichi libri
arabi, che meritavano d'essere conservati. Conoscendo poi l'imperadore
l'impossibilità di conservare in suo dominio quella gran città e il
suo regno, la rilasciò a Muleasse (fuorchè la Goletta) con obbligo di
riconoscerla in feudo dai re di Spagna, e di pagare un annuo censo, con
altre condizioni favorevoli alla religion cristiana, che il Maomettano
senza fatica accettò e giurò, ben sapendo che nulla poi durerebbe
col tempo, siccome avvenne. _Andrea Doria_ spedito a Bona, la prese e
smantellò, a riserva della rocca, dove lasciò buon presidio.
Dopo sì gloriosa impresa il trionfante Augusto, licenziate le navi
spagnuole e portoghesi, dirizzò le vele alla volta della Sicilia,
e sbarcò a Trapani. Indi passò a Palermo, e poscia a Messina; e
lasciato don Ferrante Gonzaga vicerè di Sicilia, pervenne a Napoli,
dove fece la sua magnifica entrata nel dì 30 di novembre. Maravigliose
furono le feste, gli archi trionfali ed altri spettacoli, co' quali
solennizzarono tutte quelle città l'arrivo dell'invittissimo monarca.
Nel dì 4 di dicembre comparve a Napoli _Ercole II duca _di Ferrara
ad inchinare la maestà sua, che l'accolse con singolar degnazione.
Parimente portatisi colà i fuorusciti fiorentini, ed ottenuta udienza,
esposero tutte le loro querele contra del _duca Alessandro de Medici_.
Il Varchi con una studiata aringa, in cui immaginò quanto di male
intorno al duca dovea o potea dire il capo d'essi all'imperadore, non
lasciò indietro alcuna delle iniquità vere o pretese di lui. Sospese
l'Augusto Carlo ogni risoluzione, finchè fosse venuto alla corte anche
il duca Alessandro, il quale nel dì 21 di dicembre si mosse da Firenze
per passare colà. In questo mentre avvenne la morte di _Francesco
Sforza duca _di Milano, che diede incentivo a nuovi incendii di
guerra. Dopo avere lo sfortunato principe sofferta una lunga e molesta
infermità, finalmente gli convenne soccombere alla legge universale
dell'umanità nel dì 24 di ottobre, senza lasciar dopo di sè prole
alcuna, e con dichiarar erede l'imperadore. In esso Francesco finì
la linea legittima della celebre casa Sforza. _Antonio da Leva_ prese
tosto colla _duchessa Cristierna_ il governo di quel ducato, finchè si
sapessero le intenzioni dell'Augusto Carlo V. Pretendeva di succedere
in quegli Stati _Gian-Paolo Sforza_, marchese di Caravaggio, figlio
naturale di _Lodovico il Moro_, siccome chiamato nelle investiture
dopo i legittimi. Ma partitosi egli da Milano per passare a Roma
ad implorare i buoni uffizii del papa presso l'imperadore, allorchè
giunse a Firenze, nel pranzare fu sorpreso da un maligno accidente,
per cui finì i suoi giorni. Fu poi dichiarato Antonio da Leva
governatore cesareo del ducato di Milano. Intanto l'odio implacabile
che si era allignato in cuore di _Francesco I re_ di Francia contra
dell'imperadore, non gli lasciava aver posa, nè riguardo alcuno alla
religione. Fra le sue glorie certo non si conterà l'aver egli, che
pur si gloriava del titolo di Cristianissimo, commossi e sostenuti i
principi protestanti contra di Cesare, con giugnere, siccome vedremo, a
far lega fino coi Turchi. Durava tuttavia in lui la brama di ricuperare
il ducato di Milano, ancorchè ne' precedenti trattati avesse rinunziato
a cotal pretensione. Vi ha chi scrive, che per la morte del duca di
Milano si svegliasse il suo prurito di portar di nuovo la guerra in
Italia, e che cominciasse sul fine di quest'anno a muoverla a _Carlo
duca di Savoia_, per aver poi libero il passo in Lombardia. Le ragioni
o pretesti, che egli adoperò per giustificare la sua rottura con
quel principe, sono diversamente riferiti da varii storici. Cioè, che
Nizza e Monaco erano state impegnate alla casa di Savoia (sarebbe da
vedere se Monaco fosse allora in potere del duca), nè questi le volea
restituire al re, tuttochè gli fosse esibito il rimborso. Che il duca
avesse ottenuta la città d'Asti, che da tanto tempo apparteneva alla
Francia, con altre ragioni ch'io tralascio. Ora il Guichenon, storico
della real casa di Savoia, il quale si può credere meglio informato
di questi affari, sostiene[422], avere il re di Francia richiesta la
restituzion di Nizza, e di alcuni luoghi del marchesato di Saluzzo,
con altre doglianze contra del duca, alle quali egli contrappose, ma
indarno, delle forti ragioni. La verità si è, che il re non sapea
digerire l'attaccamento del duca all'imperadore, l'aver negato il
congresso di _papa Clemente VII_ col re a Nizza, ed inviato il suo
primogenito ad allevarsi nella corte di Spagna, che in questo medesimo
anno fu rapito dalla morte. Se crediamo al menzionato scrittore, fin
dal mese di febbraio dell'anno presente il re dichiarò la guerra ad
esso duca; e siccome teneva in pronto una potente armata, con disegno
d'invadere lo Stato di Milano, così gli riuscì facile di spogliarlo
della Savoia, e d'altri paesi di là dall'Alpi, prima che terminasse
quest'anno. Spedì il duca Carlo ambasciatori a Napoli ad informar
l'imperadore di queste novità funeste, e ne riportò solamente buone
parole e promesse, giacchè per ora egli non poteva di più.

NOTE:
[422] Guichenon, Histoire de la Maison de Savoye.


Anno di CRISTO MDXXXVI. Indiz. IX.
PAOLO III papa 3.
CARLO V imperadore 18.

Dacchè _Alessandro de Medici_ duca di Firenze, coll'accompagnamento
di trecento cavalieri, tutti ben all'ordine, fu giunto a Napoli, ed
ebbe soddisfatto agli atti del suo ossequio verso l'imperadore, gli
furono comunicate le accuse de' fuorusciti fiorentini, alle quali diede
quella risposta che a lui parve più propria. Ma ossia che l'efficacia
del danaro applicato ai ministri cesarei producesse que' buoni effetti
che suol produrre dappertutto, oppure che l'imperadore, trovandosi in
procinto d'una nuova guerra in Italia, conoscesse più profittevole
a' suoi interessi l'avere in Firenze un solo dominante, dipendente
da' suoi cenni, che una unione di molte teste, quasi sempre disunite
fra loro, e inclinate piuttosto in favor de' Franzesi, come veramente
erano i Fiorentini: certo è ch'egli sentenziò in favore del duca, e il
riconobbe per signor di Firenze. Inoltre gli diede per moglie le tante
volte promessa _Margherita_ sua figlia naturale, con certi patti, co'
quali trasse da lui buona somma di danari, da impiegare nell'imminente
guerra. Decretò ancora, che fosse lecito ai Fiorentini fuorusciti di
ritornare alla lor patria, e di goder dei lor beni e degli uffizii
soliti a dispensarsi agli altri cittadini. Ma i più d'essi o per timore
o per rabbia non si sentirono voglia di prevalersi di tal grazia. Nel
dì ultimo di febbraio furono celebrate quelle nozze con gran pompa, e
dopo alcuni giorni di solazzo se ne tornò il duca trionfante a Firenze.
I movimenti de' Franzesi contro il duca di Savoia non permisero
all'Augusto Carlo di trattenersi più lungamente a Napoli; e però si
mosse alla volta di Roma, colla guardia di settecento uomini d'arme e
di sei mila fanti spagnuoli veterani, con far la sua entrata in quella
gran città nel dì 5 d'aprile, accolto con sommo onore e magnificenza
dalla corte del papa e dal popolo romano. Se stiamo al giudicio del
Varchi, _papa Paolo_ mostrò veramente d'aver animo romano, perchè
ebbe ardire d'accogliere senza forze forestiere un imperadore armato
e vittorioso; quasichè l'alto grado di pontefice, e pontefice amante
della pace, e l'animo grande e cattolico di quell'Augusto non fossero
una più poderosa e sicura guardia del papa, che qualche migliaio di
soldati venali. Il Segni nondimeno scrive che tutto il popolo romano
era armato, ed avere il pontefice assoldati tre mila fanti per sua
guardia. Furono a stretti e lunghi colloquii il papa e l'imperadore; e
tenuto poi il concistoro, in cui furono ammessi anche gli oratori del
re Cristianissimo, l'imperadore risentitamente si dolse dell'iniquità
del re di Francia, il quale si mettea sotto i piedi tutti i trattati
ed accordi precedenti, ed avea mossa un'indebita guerra al _duca di
Savoia_ suo zio, e volea turbar la cristianità colla rovina di tanti
popoli innocenti. Studiossi il buon papa di calmar lo sdegno di Cesare,
con esibirsi mediatore di pace. E siccome egli bramava di buon cuore
essa pace, perchè lontano dalle massime turbolenti di alcuni suoi
predecessori, ne trattò poscia coi ministri franzesi. Avea l'imperadore
esibito, o esibì dipoi, d'investire il _duca d'Angolemme_, terzogenito
del re di Francia, del ducato di Milano. Aggiunse che meglio sarebbe
un personal duello per risparmiare il sangue di tanti cristiani. Ma il
_re Francesco_ ostinato ne' suoi voleri, richiedendo Milano pel _duca
d'Orleans_ suo secondogenito, marito di _Caterina de Medici_, mandò
poi a monte le buone disposizioni di Cesare (se pur questi parlava di
cuore), e certamente frastornò lo zelo e l'amorevole interposizione di
papa Paolo.
Appena fu salito nella cattedra di san Pietro esso pontefice, che diede
a conoscere al sacro collegio la sincera sua brama e risoluzione di
convocare un concilio generale[423], e nel concistoro tenuto a dì 17
di ottobre (il cardinal Pallavicino scrive[424] nel dì 13 di novembre)
del 1534 ne insinuò la necessità con sua lode, giacchè _Leon X_ non
vi pensò, _Adriano VI_ non potè, e _Clemente VII_ non ne trattò mai
daddovero. Non avendo questo pontefice fin qui potuto eseguire così
santa intenzione, colla venuta a Roma dell'imperadore, trovato ancora
lui uniforme di desiderio e di parere, tenne concistoro nel dì 18
d'aprile (il Pallavicino ha il dì 8 d'esso mese), ed ivi pubblicò il
decreto della convocazion del concilio. Fu poi per un tempo disturbato
questo importante affare dalla mortal guerra che si svegliò fra i
suddetti due emuli monarchi. Ma non per questo lasciò papa Paolo di
far quanto era in sua mano, acciocchè si recasse questo gran bene alla
Chiesa; anzi nel dì 29 di maggio dell'anno presente nel concistoro
ne intimò il principio in Mantova pel maggio dell'anno susseguente.
Tanto inoltre era il suo buon genio, che fin dai primi momenti del
suo pontificato, e molto più di poi, ordinò che si cominciasse a
riformar la corte e curia di Roma, e a notare gli abusi e disordini che
esigevano correzione. Lasciarono scritto molti storici che l'_Augusto
Carlo_ non si fermò che quattro giorni in Roma, e, secondo essi,
dovette partirne nel dì 9 di aprile. Ma siamo assicurati dal Panvinio,
dal cardinal Pallavicino e dell'annalista pontificio Rinaldi, ch'egli
vi dimorò sino al dì 18 d'esso mese, nel quale si mise in viaggio alla
volta della Toscana. Prima nondimeno che partisse, attento il pontefice
ai vantaggi del figlio _Pier-Luigi_ e de' nipoti, procacciò loro da
esso imperadore stabili e pensioni d'annua rendita di trentasei mila
scudi d'oro. Magnifico accoglimento con archi trionfali e grandi feste
all'Augusto Carlo fu fatto in Siena, arrivato colà nel dì 23 di aprile.
Maggiormente poi in Firenze, dove egli entrò nel dì 29 d'esso mese, e
si trattenne fino il dì 4 di maggio, godendo di que' solazzi e della
bellezza della città. Di là passò poi a Lucca, trovandola ben governata
da' proprii cittadini; ed ivi stette sino il dì 10 di maggio. Dovunque
passò, riscosse danari, abbisognandone per le meditate imprese.
Finalmente per la via di Pontremoli calò in Lombardia. Fu poi condotta
da Napoli _Margherita_ sua figlia di età di tredici anni, a Firenze;
e con sommo tripudio ed allegrezza entrò essa in quella città nel dì
ultimo di maggio. Seguitò appresso il dì delle nozze; ma perchè in quel
giorno accadde una non lieve eclisse del sole, trasse da ciò la gente
augurio d'infelicità a quel matrimonio.
Dacchè fu venuta la primavera, l'esercito franzese, senza trovare
ostacolo veruno, passate l'Alpi, calò alle pianure del Piemonte
sotto il comando di _Filippo Sciabot_ ammiraglio di Francia, con
cui si unì _Francesco marchese di Saluzzo_. Non avendo forze _Carlo
duca di Savoia_ per trattener questo torrente, mandò la moglie e il
figlio co' più preziosi mobili a Milano, ed egli si fermò a Vercelli.
Vennero in poter de' Franzesi Torino, Pinerolo, Fossano, Chieri ed
altri luoghi. Poche forze allora si trovavano nello Stato di Milano;
contuttociò _Antonio da Leva_ governatore, raunate quelle milizie che
potè, ed unito col duca di Savoia, si spinse avanti per impedire i
maggiori progressi de' nemici, e mise un buon presidio in Vercelli.
S'erano anche mossi i Veneziani, co' quali avea l'imperadore nel
precedente anno contratta lega, ma solamente per la difesa dello Stato
di Milano. Questa nondimeno non fu la cagione che frenasse il corso
dell'armata franzese; ma bensì la premura del pontefice di trattar
di pace, per cui avea scritte efficaci lettere al re di Francia, con
fargliela anche credere assai facile, perchè l'imperadore ne dava
colle parole buona intenzione: il che fu creduto dai politici una
simulazione per guadagnar tempo, e per potersi mettere in istato di
far guerra; che di questa più che della pace era riputato sitibondo
per isperanza d'ingoiare la Francia. Su queste apparenze di poter
conseguir co' maneggi quello che coi troppo dispendiosi e pericolosi
impegni di guerra si andava cercando, il _re Francesco_ addormentato,
non solamente spedì in Italia il _cardinal di Lorena_ per trattare
d'accordo con esso Augusto, ma eziandio ordinò all'ammiraglio di non
procedere innanzi, e richiamollo in Francia con parte dello esercito.
Lasciò egli buona guarnigione in Torino, città che fu mirabilmente
fortificata e provveduta di munizioni da bocca e da guerra; _Gian-Paolo
Orsino_ nella città d'Alba, ed altri capitani in altre fortezze; e
poi se ne andò a trovare il re. Allorchè l'imperadore arrivò a Siena,
vi giunse ancora il cardinal di Lorena, e con lui trattò più volte di
concordia, accompagnandolo pel viaggio; ma infine altro non raccolse
che parole. Pervenuto l'imperadore ad Asti, ed indi a Savigliano,
dove il _duca di Savoia_ ed _Antonio da Leva_ furono ad inchinarlo,
tenne varii consigli, ne' quali, contro il parere de' più, prevalse
il sentimento suo di portar la guerra nel cuor della Francia, per
vendicarsi del re Cristianissimo. Intanto Antonio da Leva assediò
Fossano e lo costrinse alla resa, e il _marchese di Saluzzo_ abbandonò
il partito franzese. Aspettò l'Augusto Carlo che fossero giunte le
grosse leve fatte da lui in Germania, ed unito che fu l'esercito tutto,
si trovò, secondo i conti del Belcaire, ascendere a venticinque mila
fanti tedeschi, otto mila spagnuoli, maggior numero d'italiani, con
mille e ducento uomini d'armi. Altri gli diedero ventiquattro mila
Tedeschi, quattordici mila Spagnuoli, dodici mila Italiani, con tre
mila cavalli tra uomini d'armi e cavalli leggieri: voci ordinariamente
insussistenti. Quel ch'è certo, una potente e fioritissima armata ebbe
Cesare, in cui si contarono i _duchi di Savoia, Baviera_ e _Brunsvich_,
ed altri principi e baroni. Suoi generali erano _Antonio da Leva,
Alfonso marchese del Vasto, don Ferrante Gonzaga_, il _duca d'Alva_,
con gran copia d'altri condottieri.
Adunque per tre parti dell'Alpi si inviò sul principio di luglio sì
poderoso esercito verso la Provenza, secondato per mare dalla flotta
di _Andrea Doria_. Restò in Piemonte con un corpo di otto o dieci mila
persone _Gian-Giacomo signore _di Musso, e poi marchese di Marignano,
soprannominato o cognominato il Medeghino, acciocchè, congiunto col
marchese di Saluzzo, assediasse Torino. Nello stesso tempo fu mossa
guerra in Fiandra dall'armi cesaree al re di Francia. All'assunto mio
basterà di accennare che con tante forze l'Augusto Carlo, entrato in
Provenza, nulla operò di memorabile. Circa un mese si perdè nella valle
d'Aix, tentò in vano di formar lo assedio di Marsilia, nè alcun fatto
d'armi considerabile avvenne in quella spedizione. Intanto il gran
caldo fece guerra alle sue truppe, alle quali mancavano bene spesso
le vettovaglie. Sopravvenne poi l'autunno colle pioggie e col fango,
e coll'avviso che il _re di Francia_ si accostava con un esercito di
quaranta mila combattenti, giacchè venti mila Svizzeri erano giunti
al suo campo: laonde l'imperadore non volle maggiormente differire il
ritornarsene in Italia. Ci ritornò, ma col rimprovero d'aver cantato
il trionfo prima della vittoria, e coll'armata sua disfatta, perchè
almen la metà delle sue truppe vi perì per gli stenti, per le malattie
e per gli altri disordini. Seco ancora portò il rammarico di aver
perduto sotto Marsilia il valoroso suo generale spagnuolo _Antonio da
Leva_, morto d'infermità di corpo e di passion di animo per l'infelice
successo dell'armi cesaree in Francia, essendo stato creduto ch'egli
fosse il promotore di quella, quasi dissi, vergognosa impresa. Al re
di Francia costò la guerra suddetta infinite spese e gravissimo danno
a' suoi popoli di Provenza. Quel nondimeno che gli trapassò il cuore fu
l'inaspettata morte del _delfino_, cioè di _Francesco_ suo primogenito,
giovinetto di mirabil espettazione, che, venuto all'armata, in
quattro dì di malattia si sbrigò da questa vita. Nel bollore di quella
doglia corse l'usuale sospetto di veleno, e ne fu imputato il _conte
Sebastiano Montecuccoli_ suo coppiere, onorato gentiluomo di Modena,
a cui di complessione delicatissima, come attesta Alessandro Sardi,
scrittore contemporaneo,[425] colla forza d'incredibili tormenti fu
estorta la falsa confessione della morte procurata a quel principe
ad istigazione di Antonio da Leva e dell'imperadore stesso: perlochè
venne poi condannato l'innocente cavaliere ad un'orribil morte. Non
vi fu saggio che non conoscesse la falsità e indegnità di quella
imputazione, di cui non era mai degno l'animo generoso di un Carlo V.
Mentre si facea questa danza in Provenza, il _conte Guido Rangone_
Modenese, decretato dal re di Francia generale delle armi sue in
Italia, nel mese di luglio ridottosi alla Mirandola, quivi raunò un
corpo di dieci mila fanti italiani e di settecento cavalli, sotto
il comando di varii prodi capitani. Teneva ordine esso Rangone di
tentar Genova in tempo che _Andrea Doria_ col suo stuolo di galee era
passato in Francia. Mossosi egli nel dì 16 d'agosto, arrivato che fu
a Tortona, l'ebbe in suo potere. Marciò poscia a Genova, e fatta la
chiamata a nome del re di Francia, trovò quel popolo ben disposto a
difendersi. Nella notte seguente con una scalata diede l'assalto alle
mura, sperando pure qualche favorevol movimento nella città; ma niun si
mosse; e però, conoscendo egli che con sì poche forze era impossibile
il vincere una tanto popolata città, se ne andò in Piemonte. Prese
Carignano, Chieri, Carmagnola e Cherasco; ed indi passato Pinerolo,
spedì _Cesare Fregoso_ a Raconigi, che se ne impadronì a forza
d'armi. Vi fu messo a fil di spada il presidio imperiale, e rimasero
prigionieri _Annibale Brancaccio_ e il _conte Alessandro Crivello_. Era
da molto tempo la città di Torino assediata da _Francesco marchese_
di Saluzzo, e da _Gian-Giacomo de Medici_. Lo arrivo del conte
Guido fece sciogliere quell'assedio; e perchè egli avea trovata gran
copia di artiglierie e di viveri in Carignano, tutto fece condurre
a Torino. Gran disattenzione fu quella del Varchi, allorchè arrivò a
scrivere che i soldati del Rangone dopo il tentativo di Genova _se ne
tornarono senz'ordine alcuno verso la Mirandola, dove si dissolverono e
sbandarono del tutto_. In questo ne seppe ben più di lui il Segni, per
tacer d'altri storici.
Mal soddisfatto di sè medesimo venne l'_imperador Carlo V_ per mare a
Genova, e colà si portarono ad inchinarlo varii principi d'Italia, e
primo fra essi _Federigo duca_ di Mantova, per promuovere le ragioni di
_Margherita_ sua moglie sopra il Monferrato. Dopo aver fatto ventilar
quella causa, nel dì 3 di novembre proferì, quanto al possesso, la
sentenza in favore del duca di Mantova. Su quello Stato avea delle
pretensioni il marchese di Saluzzo. Molte più ne avea _Carlo duca_ di
Savoia a cagion d'una donazione fatta al _duca Amedeo_ da_ Gian-Giacomo
marchese_ di Monferrato. Verisimilmente per guadagnarsi il favore
dell'Augusto sovrano avea il primo abbandonati i Franzesi, e il secondo
tanto prima avea coltivata in varie forme la di lui buona grazia.
Dopo la perdita della maggior parte de' suoi Stati s'era ritirato esso
duca a Nizza, dove si fortificò. Si dolse egli non poco del suddetto
decreto cesareo; perchè, quantunque restassero vive le sue ragioni, da
conoscersi poi in giudizio: pure intendeva che vantaggio fosse quello
di chi possiede le cose controverse. Tanto più s'afflisse egli, dacchè
seppe che l'imperadore imbarcatosi avea nel dì 15 di novembre spiegate
le vele verso la Spagna, senza prendersi cura di ricuperar quegli Stati
ch'egli pel suo attaccamento allo stesso Augusto, avea perduto. Venne
poscia il duca di Mantova con un commissario cesareo per prendere il
possesso di Casale di Sant'Evasio. Ma mentre egli si stava preparando
per farvi una magnifica entrata, introdussero alcuni suoi malevoli di
notte in quella città mille fanti e trecento cavalli franzesi, che
diedero il sacco a tutti i fautori della duchessa di Mantova. Ciò
riferito al _Marchese del Vasto_, che in luogo di Antonio da Leva
era stato creato capitan generale dello Stato di Milano, e dimorava
allora in Asti, vi accorse nel dì 24 di novembre con molte sue brigate,
ed entrato nella rocca, che tuttavia si teneva, assalì i Franzesi
verso la città, e dopo un sanguinoso conflitto li sconfisse, con
saccheggiar poscia chiunque loro avea prestato favore. Fu solennemente
nel dì 29 del suddetto mese dato al duca Federigo il possesso col
titolo di marchese di Monferrato. Fin qui _Massimiliano Stampa_,
alla cui fede il defunto duca _Francesco Sforza_ avea raccomandato
l'inespugnabil castello di Milano, non s'era potuto indurre a
consegnarlo all'imperadore. Nel sopraddetto novembre si lasciò egli
vincere, e n'ebbe per ricompensa cinquanta mila scudi d'oro, e fu
dichiarato marchese di Soncino. Merita ancora _Lorenzo_, ossia _Renzo
signore di Ceri_, dell'insigne casa Orsina, da noi veduto sì valoroso
condottier di armi in tante passate guerre, che si faccia menzion
della sua morte accaduta nel dì 20 di gennaio dell'anno presente, per
essergli caduto addosso il cavallo, mentre era alla caccia. Secondo
l'annalista Spondano, nell'anno precedente venuto a Ferrara l'eresiarca
Giovanni Calvino, sotto abito finto, talmente infettò Renea figlia
del _re Lodovico XII_, e duchessa di Ferrara, degli errori suoi, che
non si potè mai trarle di cuore il bevuto veleno. Ma nel presente
anno, veggendosi scoperto questo lupo, se ne fuggì a Ginevra. Vengo
assicurato da chi ha veduto gli atti della inquisizion di Ferrara, che
sì pestifero mobile fu fatto prigione; ma nel mentre che era condotto
da Ferrara a Bologna, da gente armata fu messo in libertà. Onde fosse
venuto il colpo, ognun facilmente l'immaginò.

NOTE:
[423] Raynaldus, Annal. Eccl.
[424] Pallavicino, Storia del Concil. di Trento.
[425] Sardi, Ist. ms.


Anno di CRISTO MDXXXVII. Indizione X.
PAOLO III papa 4.
CARLO V imperadore 19.

Non altro che pensieri e consigli di pace meditava il _pontefice
Paolo_, e a questo fine nel precedente anno avea mandati due legati,
cioè il _cardinale Caracciolo_ all'_imperadore_, e il _cardinale
Trivulzio_ al _re di Francia_. Indarno impiegarono essi parole e
passi: cotanto erano alterati gli animi di que' due emuli monarchi.
Un altro motivo della spedizione d'essi porporati era la dichiarata
risoluzion del pontefice per convocare il concilio generale. Ancor
qui si trovarono delle discrepanze; e perchè s'era posta la mira
sopra Mantova, come città a proposito per quella sacra adunanza,
tali difficoltà eccitò quel duca, che convenne pensare ad altro sito.
Grande su questo punto fu sempre la premura del papa, sincera la sua
intenzione. Anzi a lui stava così a cuore la riforma della Chiesa, che,
siccome dicemmo, senza aspettare il concilio, seriamente s'applicò egli
a curarne le piaghe, e soprattutto a levare gli abusi della sua corte.
A questo fine con immensa sua lode chiamò nell'anno precedente a Roma
dei personaggi più illustri nelle scienze e nella pietà, e specialmente
_Reginaldo Polo_ Inglese, parente del re di Inghilterra, _Gian-Pietro
Caraffa_ Napoletano, vescovo teatino, cioè di Chieti, _Gregorio
Cortese_ Modenese, abbate di San Benedetto di Mantova, e _Girolamo
Aleandro_ da Istria, arcivescovo di Brindisi. E siccome egli ebbe
sempre gran cura di promuovere alla sacra porpora gli uomini di merito
distinto, e massimamente gli eccellenti letterati, ed avea già promosso
al cardinalato nel 1535 fra altri egregi personaggi _Gasparo Contarino_
Veneziano, ingegno mirabile; così sul fine del 1536 creò cardinali
i suddetti _Caraffa_, che fu poi papa Paolo IV, e il Polo e _Jacopo
Sadoleto_ Modenese, insigne per la sua letteratura. A questi ingegni
eccellenti avendo unito _Tommaso Badia_, parimente Modenese, dottissimo
maestro del sacro palazzo, avea poi dato papa Paolo l'incumbenza
di mettere segretamente in iscritto quegli abusi e disordini della
Chiesa di Dio e della corte romana, che esigessero emendazione. Il
che eseguirono essi con sommo giudizio ed onoratezza; benchè la loro
scrittura contro la mente del pontefice e d'essi, capitasse poi in
mano degli eretici, che ne fecero gran galloria: quasichè i difetti
introdotti nella disciplina potessero servire a giustificare il loro
scisma e le loro false dottrine. Non certo que' saggi uomini trovarono
nella Chiesa romana dogmi meritevoli di correzione; e stando questi
immobili, ancorchè avvengano slogature nella disciplina, immobile sta
e starà sempre la vera Chiesa di Dio. Con queste sì lodevoli azioni
egregiamente adempieva Paolo III il sacro suo ministero; e se gli
può ben perdonare, se nel medesimo tempo ancora ascoltava i consigli
dell'amor paterno verso la casa propria, cioè verso di _Pier-Luigi
Farnese_ suo figlio, che già si era addestrato alla profession della
milizia, forse con poca gloria, perchè, secondo il Varchi, fu casso
con ignominia dal marchese del Vasto. L'avea già il pontefice creato
gonfaloniere e generale dell'armi della Chiesa. Nel presente anno gli
diede Nepi, e il creò ancora duca di Castro di Maremma di Toscana,
permutato con Frascati da _Girolamo Estontevilla_, che dianzi era
investito d'esso Castro. Essendo questo luogo come un deserto,