Annali d'Italia, vol. 6 - 34

spedisse l'esercito pontificio contro d'esso abbate di Farfa. V'ha chi
scrive che _Luigi Gonzaga_, soprannominato Rodomonte, nello assedio
di Viscovaro, colpito da una archibusata, ivi lasciò la vita, e in
suo luogo al comando succedette _Giulio Acquaviva duca_ d'Atri, il
quale stabilì tra i fratelli un accordo. Ma, se non falla Alessandro
Sardi nella sua Storia manoscritta, si trova vivente questo medesimo
Gonzaga nelle guerre di Piemonte dell'anno 1537. Ritirossi l'abbate di
Farfa a Venezia, e di là passò in Francia, ed allorchè papa Clemente
fu in Marsilia, coll'interposizione del re Cristianissimo ottenne il
perdono dalla santità sua. Tornato poscia a Roma, perchè contro il suo
volere data fu in moglie una sua sorella ad un principe napoletano,
mentre essa era condotta a Napoli, con alquanti suoi sgherri andò
per rapirla. Se ne avvide Girolamo suo fratello, che accompagnava la
sposa con trenta uomini a cavallo; e andatogli incontro, con molte
ferite gli tolse la vita, continuando poscia il suo viaggio a Napoli.
Gran tempo era che in Ferrara veniva magnificamente trattata dal duca
Alfonso _Isabella_ già regina di Napoli con _Giulia_ sua figlia.
Tanto si adoperò esso duca, che conchiuse il matrimonio di questa
sventurata principessa infante con _Gian-Giorgio _novello marchese
di Monferrato: e lo sposalizio fu fatto nella città suddetta a dì 29
di marzo. S'inviò essa a dì 3 di aprile alla volta di Casale; ma nel
dì 30 d'esso mese Gian-Giorgio, sorpreso da un parossismo, terminò
le allegrezze nuziali e la vita; e, secondo gli Annali manoscritti di
Ferrara, che ciò raccontano, _si scoprì che era morto di veleno_. Altri
nondimeno scrissero che da gran tempo languiva la sua sanità, e però è
facile che mancasse di morte naturale: al che forse contribuì anche il
suo matrimonio. Mancò in questo principe quel ramo della nobilissima
imperial casa Paleologa, che già vedemmo portato da Costantinopoli
al possesso del Monferrato; e non avendo egli lasciata successione
maschile, i ministri cesarei presero il possesso di quel florido paese,
finchè l'imperador giudicasse a chi ne appartenesse il dominio. Per la
mancanza de' maschi, pretendeva _Carlo duca di Savoia_ quegli Stati. Ma
perchè quell'insigne feudo dovea forse passar nelle femmine, fu poi,
siccome dirò a suo tempo, decretato che ne fosse erede _Margherita_
di lui nipote, moglie di _Federigo duca_ di Mantova: con che venne
la casa Gonzaga ad acquistare un dominio di maggior estensione che il
proprio ducato. Ammalossi poi la suddetta _regina Isabella_ di passione
per le disavventure della figlia, e nel dì 18 di maggio terminò i
suoi giorni in Ferrara. Un orrido fatto ancora avvenuto nel presente
anno merita luogo in questi Annali. Era tornato in possesso della
Mirandola il _conte Gian-Francesco Pico_ figlio di un fratello del fu
_Giovanni Pico_, cioè di chi fu appellato la Fenice degl'ingegni, ed
avea acquistata anch'egli fama di letterato e filosofo distintissimo
ai suoi tempi, siccome ne fan fede le Opere sue stampate. Sopra quella
nobil terra avea delle non ingiuste pretensioni _Galeotto conte_
della Concordia, figlio di un fratello di esso Gian-Francesco, cioè
di quel _conte Lodovico Pico_ che in guerra fu ucciso nell'anno 1509.
Nella notte del dì 15 di ottobre si mosse Galeotto dalla Concordia
con quaranta uomini suoi, che seco portarono molte scale, Ossia che
nelle fosse della Mirandola trovasse preparata una barchetta, o che
ancor questa seco la portassero, certo è che superate le fosse, ed
applicate le scale, senza rumore salirono le mura, e, dopo, aver
uccise tre o quattro guardie che dormivano, passarono fino alla
camera di Gian-Francesco. Rottane la porta, il trovarono che, udito lo
strepito, si era andato ad inginocchiare davanti una immagine di Cristo
crocefisso. Ivi crudelmente il trucidarono: fine miserabile, non degno
veramente d'uomo sì eccellente, il quale siccome ad un raro sapere avea
accoppiata una non minor pietà, così avea imparato a tener ben contento
del governo suo quel popolo. La stessa barbarie fu esercitata contra di
_Alberto_ di lui figlio, giovane di grande espettazione. Fu salvata la
vita per misericordia a _Paolo_, altro di lui figlio; ma contro altri
di quella famiglia, e fin contro le donne inferocì l'iniquo Galeotto.
Con questa facilità s'impadronì egli di quella quasi inespugnabile
terra o città, e il popolo nel giorno seguente, non potendo di meno, il
riconobbe pel loro signore.


Anno di CRISTO MDXXXIV. Indiz. VII.
PAOLO III papa 1.
CARLO V imperadore 16.

Fu in quest'anno che _papa Clemente_ proferì la sentenza sua contra
di _Arrigo VIII_ re d'Inghilterra, a cagione del suo divorzio da
_Caterina d'Austria_ sua legittima consorte: il che fece maggiormente
peggiorare gli affari della religione cattolica in quel regno sotto
un re perduto dietro alle femmine e crudele. Da molti fu lodata la
costanza del pontefice in questa controversia; ma abbondarono ancora
altri che biasimarono cotal risoluzione, perchè riuscì troppo funesta
alla Chiesa di Dio. Gran terrore nel presente anno si sparse per
l'Italia, e massimamente in Roma, per cagione di Ariadeno Barbarossa,
gran corsaro, e generale dell'armata navale del sultano dei Turchi
Solimano. Venendo costui di Levante con formidabil quantità di navi
armate, passò per lo stretto di Messina, e, dopo aver saccheggiati
varii luoghi in quelle coste, arrivò a Capri, vicino a Napoli. Fu ben
creduto che s'egli avesse assalita essa città di Napoli, oppure Roma,
l'avrebbe sottomessa: tanta era la costernazione di que' popoli. Diede
costui il sacco a Procida, Fondi, Terracina ed altri luoghi, menando
poi seco in ischiavitù gran copia di poveri cristiani. Dimorava in
Fondi Giulia Gonzaga, moglie di Vespasiano Colonna duca di Traietto
e conte di essa città di Fondi. Voce correa che in bellezza ella
superasse tutte le altre donne d'Italia. Ne giunse la fama sino al
Barbarossa, il quale perciò si mise in pensiero di far quella caccia
per voglia di presentare al gran signore una sì vaga preda. Gli andò
fallito il colpo. Mentre egli con due mila Turchi sbarcati era dietro
una notte a scalare le mura di Fondi, svegliata la giovane duchessa,
e conosciuto il pericolo, coi piè nudi ebbe tempo di fuggire, e di
salvarsi il meglio che potè fuori della terra, lasciando scornato il
barbaro cacciatore, il quale infierì poscia contro i poveri abitanti.
Che Giulia cadesse fuggendo in mano de' banditi, fu una frangia fatta
dagli scioperati maligni a questo avvenimento. Poco appresso il crudel
corsaro indirizzò le prore verso Tunisi, di cui e del suo regno seppe
poi a forza d'inganni insignorirsi. Gran rumore avea fatto in addietro,
e maggior lo fece in quest'anno, quanto avvenne a _Luigi Gritti_. Era
egli figlio di _Andrea Gritti doge_ in questi tempi della repubblica
veneta. Essendo egli tornato a Costantinopoli, dove era nato, allorchè
il padre vi stette come bailo, talmente s'insinuò nella grazia di
Solimano, che divenne suo confidente e generale nella spedizion da
lui fatta contra di _Ferdinando re_ de' Romani in favor di _Giovanni
re_ d'Ungheria: il che fu di non lieve scandalo fra i Cristiani. Ma
trovandosi egli nell'autunno dell'anno presente nella Transilvania, per
aver crudelmente ordinata la morte di _Americo vescovo_ di Varadino,
quei popoli, amanti dell'infelice ucciso prelato, sì Ungheri che
Transilvani, raunato un potente esercito, volarono ad assediarlo in
Cibach nel mese d'ottobre. Andò a finir quella festa nella morte di
esso Gritti, che restò vittima del lor furore insieme con tutti i
giannizzeri ed altri Turchi del suo seguito. Non si sa ch'egli avesse
mai abiurata la religione cristiana. Solamente si sospettò ch'egli
fosse per fare un dì questo salto; ma il Giovio lasciò difesa, per
quanto si potè, la di lui memoria.
Desiderava il papa, e con esso lui tutti i principi d'Italia, che
_Francesco Sforza duca_ di Milano, accasandosi con qualche principessa,
tentasse di lasciar successione nella sua casa, affinchè quel ducato,
per mancanza di figli, non ricadesse in mano dell'imperadore, secondo i
patti. Per quetare tanta gelosia, lo stesso _Augusto Carlo_ gli procurò
una ragguardevole alleanza, con dargli in moglie _Cristierna_ figlia
del _re di Danimarca_ e nipote sua. Fu condotta questa real principessa
nel mese d'aprile a Milano, città che, quasi dimentica di tante passate
sciagure, fece mirabili feste di apparati, d'archi trionfali e d'altri
spettacoli in sì gioiosa occasione. Vi entrò essa con incredibile
accompagnamento di nobiltà e di popolo sotto ricco baldacchino, avendo
ai lati suoi _Ercole Gonzaga cardinale_ e _Antonio da Leva_ generale di
Cesare. Dopo essere stata al duomo, passò al castello, dove le venne
incontro il duca, appena reggendosi col bastone in piedi, che in quel
palazzo da lì a poco colle sacre funzioni della Chiesa solennemente
la sposò. Riuscì di consolazione a tutta l'Italia questo matrimonio,
per la speranza di vederne frutti a suo tempo; ma questi mai non si
videro, ridendosi i saggi di questo tentativo, come di un matrimonio da
commedia, perchè troppo era mal ridotta la sanità di quello sfortunato
principe. Neppur molto contento della sua cominciò ad essere _papa
Clemente_, perchè lo stomaco infiacchito non soddisfaceva al consueto
suo uffizio. Questi sentori della nostra mortalità diedero a lui motivo
di sollecitare in Firenze la fabbrica di una fortezza, per cui si
venisse sempre più ad assicurare lo Stato del _duca Alessandro_ suo
nipote. Indusse ancora il _duca di Ferrara_, benchè odiato da lui, a
fare sloggiar dai suoi Stati tutti i Fiorentini fuorusciti che colà
si erano rifugiati. Dianzi ancora gli avea fatti cacciar da Roma,
Venezia, Genova ed Ancona. Nel giugno sopraggiunse ad esso papa una
lenta e leggiera febbre con qualche dolor colico, di cui andò talvolta
migliorando, ma poi ricadendo. Comparve nel seguente luglio una cometa,
ed ecco subito gli speculativi invasati dalla ridicola opinione che
tali fenomeni predicano morti ed altre disavventure ai principi della
terra, correre a credere disegnata in cielo la mancanza del pontefice.
Il Varchi ancora lasciò scritto che da un santo monaco della riviera
di Genova era stato predetto a papa Clemente VII non solamente il
pontificato, ma anche il tempo della morte, cioè nell'anno stesso in
cui fosse mancato di vita quel monaco; e che il pontefice, nel tornare
da Marsilia, cercatone conto, il trovò poco fa defunto: laonde immaginò
non lontano il suo fine. Può essere che ancor questa fosse una diceria
o inventata da qualche cervello visionario dopo la morte di lui, o nata
nel volgo ignorante e facile a sognare; perchè per altro la sconcertata
sanità di Clemente bastò senza rivelazione a fargli comprendere che si
appressava il passaggio alla altra vita.
Crebbero pertanto i suoi malori, di modo che nel settembre egli
terminò la carriera del suo vivere. Grande imbroglio ch'è nella storia
l'accertare i punti minuti della cronologia. Il Segni il fa mancato di
vita nel dì 24 di settembre. Fra Paolo carmelita, che in questi tempi
scriveva i suoi Annali, mette la sua morte nel dì 26 d'esso mese.
Con lui va d'accordo il Giovio, anch'esso contemporaneo, mentre la
dice avvenuta _sexto kalendas octobris_, cioè nel dì 26 di settembre.
Ma altri il fanno passato a rendere conto a Dio nel dì 25 del mese
suddetto, come il Guicciardini e Paolo Gualtieri nei suoi Diarii
manuscritti, citati dal Rinaldi, dove dice, che _nel dì 25 di settembre
alle ore diciotto e mezza, egli spirò, e fu seppellito nel seguente dì
26_. A questo giorno riferiscono la morte sua eziandio il Panvinio, il
Ciacconio, l'Ammirati ed altri, i quali non di meno si può credere che
seguissero il Guicciardini. Io non mi sento di faticare per decidere
questo punto, quantunque a me paia più certo il dì 25, giacchè a noi
basta di sapere che cessò di vivere papa Clemente in questi tempi:
pontefice, a cui certamente non mancò il concetto d'ingegno politico,
di molla accortezza e gravità, e che sapea ben maneggiar affari,
simulare e dissimulare secondo i bisogni, e che dai politici d'allora
tenuto sempre fu per uomo di doppia fede. Per fare da principe, secondo
il rito de' mondani, la natura e la sperienza l'aveano fornito di
molti aiuti. Ma se cercate in lui le virtù di pontefice vicario di
Cristo, e qual bene egli facesse alla Chiesa in que' gran torbidi
della religione, e quali abusi e disordini egli levasse, benchè da essi
prendesse origine e pretesto il terribile scisma che tuttavia divide
tanti popoli della vera Chiesa di Dio; non sarà sì facile il trovarlo.
Troverete bensì, che egli si servì del pontificato, delle sue forze e
de' suoi proventi per suscitare o mantener guerre; che fra gli altri
disordini costarono un orrido sacco a Roma stessa, e un gran vilipendio
alla sacratissima sua dignità. Molto più se ne servì egli per
ispogliare della libertà Firenze sua patria, e per ingrandire, non dirò
in forme oneste e discrete (che queste non è vietato), ma con insigni
principati e parentadi sublimi la propria casa. Se questo si accordi
coll'intenzion di Dio, allorchè uno è intronizzato nella sedia di san
Pietro, chiunque sa misurar le cose divine ed umane, non ha bisogno
ch'io gliel dica. Certo è ch'egli morì odiato dalla corte per la sua
stitichezza ed avarizia, quando poi scialacquava tanto nei volontarii
suoi impegni di guerre; e più odiato dal popolo romano, perchè alla sua
politica venivano attribuiti tutti i guai di quella città. A noi non è
permesso l'entrare ne' giudizii occulti di Dio; ma i viventi d'allora
non lasciarono d'osservare quasi un gastigo venuto dall'alto il
miserabil fine di due suoi nipoti bastardi, cioè d'_Ippolito cardinale_
e di _Alessandro duca_ di Firenze, per la grandezza dei quali cotanto
egli avea mosso e cielo e terra. Imperciocchè esso cardinale e
vicecancelliere arricchito da Clemente suo zio con tanti vescovati e
benefizii, per invidia continua che portava ad Alessandro, tentò fino
i tradimenti per occupargli la signoria, e terminò poi miseramente i
suoi giorni nel seguente anno. Alessandro, perduto nelle disonestà e in
altri vizii, qual fine facesse, lo diremo a suo luogo: di modo che in
pochi anni dopo la morte di Clemente si vide schiantata la di lui linea
maschile, e diroccati amendue quegl'idoli dell'ambizione sua.
Prima di morire avea papa Clemente consigliato il cardinal suo nipote
di promuovere al pontificato il _cardinale Alessandro Farnese_ decano
del sacro collegio; e però egli unitosi con _Giovanni cardinal di
Lorena_, capo della fazione franzese, durò poca fatica ad assicurar
la elezione di lui. Concorrevano nel Farnese molte degne qualità,
perchè nato di antica e nobil casa, che ne' secoli addietro s'era
acquistata gran riputazione nell'armi, e possedeva molte nobili
castella. Era esso Alessandro, per li meriti di Giulia sua sorella, o
parente, stato creato cardinale da Alessandro VI nel 1493. Oltracciò,
si distingueva il Farnese per la sua letteratura, per la lunga
sperienza delle cose del mondo, e per la sua prudenza, mansuetudine
ed affabilità. Aggiugnevasi l'età di sessantasette anni, e l'aver
egli industriosamente fatto credere, per quanto potea, debole la
sua complessione e sanità: il che trasse più facilmente a lui i voti
degli altri porporati, inclinati sempre a desiderar scene nuove per la
speranza di fare anch'eglino un dì la propria. Nè all'assunzione sua
servì punto di remora l'avere egli un frutto dell'umana fragilità, cioè
_Pier Luigi_ suo figlio, perchè in quel corrotto secolo non si guardava
sì per minuto a tali deformità, come, la Dio mercè, si fa da gran tempo
nella Chiesa di Dio. Fu dunque eletto papa il Farnese con universal
consentimento del sacro collegio, e prese il nome di _Paolo III_. È
da stupire come neppur vadano d'accordo gli scrittori nell'assegnare
il dì dell'elezion sua. Il Ciacconio scrive che ciò avvenne _VI idus
octobris_, cioè nel di 10 di ottobre. Altrettanto hanno gli Annali
manoscritti di Ferrara e Andrea Morosino. Il vescovo Spondano negli
Annali Ecclesiastici la mette _tertio idus octobris_, cioè nel di 13,
e di questo stesso giorno parla anche il Segni. L'Oldoino la riferisce
_die XI, seu verius ex MSto tabularii capitolini, die XIII octobris_.
Secondo il Varchi, _nella notte susseguente ai quattordici giorni
d'ottobre_ fu eletto papa il Farnese. Ma che questa elezione seguisse
verso un'ora o due della notte susseguente al _dì 12 d'ottobre_, si
dee credere, asserendolo il Panvinio e fra Paolo carmelitano, che in
questi tempi scriveva i suoi Annali, e soprattutto il Rinaldi annalista
pontificio, che cita i Diarii vaticani e gli Atti concistoriali.
Gran festa fecero i Romani per l'assunzion di Paolo III, perchè lor
nobile cittadino, giacchè per tanto tempo erano seduti nella cattedra
di san Pietro solamente papi d'altre nazioni. Nè già mancarono
turbolenze nello Stato ecclesiastico dopo la morte di papa Clemente
VII. Imperciocchè nel dì ultimo di settembre _Ridolfo_, figlio del
fu _Malatesta Baglione_ Perugino, essendo bandito dalla patria,
ammassate alquante schiere di fanti e cavalli, andò ad impossessarsi
di un borgo di Perugia; ma uscito il presidio papalino, dopo un
lungo conflitto, restò obbligato il Baglione a ritirarsi. Nella notte
poi del dì seguente, entrato che fu egli di nuovo nel borgo di San
Pietro, ecco aprirgli quella porta i suoi parziali, co' quali avea
intelligenza, e impadronirsi della città suddetta. Qui non si fermò il
suo furore. Diede il Baglione alle fiamme il palazzo del vice-legato,
cioè del _vescovo di Terracina_; e scoperto dove egli era fuggito,
il fece prendere coi due suoi auditori, col cancelliere e con alcuni
de' priori. Furono essi posti alla tortura, affinchè rivelassero i
lor danari, e nel dì seguente condotti nudi nella pubblica piazza,
ad ognuno di essi fu reciso il capo. Con tali iniquità si fece egli
signore di Perugia. Anche _Mattia_, figliuolo del vivente _Ercole
Varano_, s'era mosso di Lombardia nel dì primo d'ottobre con una gran
frotta d'armati in varie barche, inviandosi per mare con disegno di
ricuperar Camerino, il cui ducato pretendeva appartenere a sè stesso.
Ebbe egli a combattere colla furia del mare, e dopo aver perduto i più
del suo seguito, altro non guadagnò, che di salvar la vita tornando
all'imboccatura del Po.
Dacchè si partì da questa vita papa Clemente, _Alfonso I_ duca di
Ferrara si figurava oramai di godere il resto dei suoi giorni in pace,
perchè libero da un pontefice che con tante insidie e con odio sì
continuato l'avea tenuto fin qui sempre in allarme. E tanto più sperò
tornata la calma, per essere stato assunto al pontificato il _cardinal
Farnese_, personaggio fornito di miglior cuore e di massime più rette
che il suo predecessore. Disegnava egli d'inviare a Roma _don Ercole_
suo primogenito per congratularsi col novello pontefice, e trattare
con lui quell'accordo che non avea potuto ottenere da papa Clemente.
Ma nel dì 28 di settembre cadde malato, e tanto andò crescendo
l'infermità sua, che nel dì 31 d'ottobre il condusse al fine de'
suoi giorni: principe glorioso nel mondo, che in senno e valore ebbe
pochi pari al suo tempo. E di queste sue doti abbisognò ben egli per
potersi sostenere contra di tre potentissimi papi, che pieni di mondane
passioni ardevano di voglia di spogliar la nobilissima casa d'Este
degli antichi suoi dominii. Ma perchè di questo egregio principe, la
cui vita fu scritta dal vescovo Giovio, ne ho parlalo io abbastanza
nelle Antichità Estensi, nulla di più ne dirò qui. A lui succedette
nel ducato _Ercole II_ suo primogenito, signore di gran saviezza e
d'ottimo cuore, che un buon governo fece anch'egli goder da lì innanzi
ai sudditi suoi. Era in questi tempi governata la città di Camerino da
_Caterina Cibò_, vedova del fu _Giovanni Maria Varano_, duca d'essa
città, a nome di _Giulia_ sua figliuola, creduta legittima erede di
quello stato. Perchè il sopraccennato _Mattia Varano_, oppure _Ercole_
suo padre, pretendeva a sè dovuto quel ducato, e coll'aiuto di non
pochi fuorusciti teneva in continui timori e pericoli essa Caterina,
questa trattò con _Francesco Maria duca d'Urbino_ di dar per moglie
a _Guidubaldo_ di lui figliuolo primogenito la suddetta Giulia sua
figlia. Colà dunque si portò esso Guidubaldo, e, dopo avere sposata
quella principessa, si applicò in tutte le guise a fortificare e
rendere come inespugnabile Camerino. Non doveano poi mancar delle buone
ragioni alla menzionata Giulia su quel ducato, giacchè Clemente VII
l'avea confermato al di lei padre e ai successori, ed era papa di tal
animo e polso, che non avrebbe permesso alla figlia di continuare in
quel dominio, senza che l'assistesse qualche legittimo titolo.
Non l'intese così il novello _pontefice Paolo III_. Per l'influsso
che correva in que' tempi, bramando anch'egli di fabbricare in _Pier
Luigi_ Farnese suo figlio un gran principe, trovò che quel ducato
era decaduto alla Chiesa romana. Però, pubblicati i monitorii contro
di Caterina e di Giulia, venne alla sentenza e alle scomuniche.
Fece quanto potè Francesco Maria duca d'Urbino per placare il papa,
esibendosi di stare a ragione per questo. Passi, parole e suppliche
furono impiegate indarno. Fin d'allora si pensò che quel paese sarebbe
stato meglio in mano di Pier Luigi. Pertanto fu spedito da esso
pontefice _Gian-Batista Savello_ coll'esercito pontificio ad assediar
Camerino. Scarseggiava quella città di viveri. Di mano in mano il duca
d'Urbino ne andò inviando al figlio con potente scorta, di maniera che
tra per questo, e per le sortite che di tanto in tanto faceva il duca
Guidubaldo, quell'assedio dopo qualche mese dell'anno vegnente svanì.
Di più non fece il papa per allora, perchè v'interposero i loro uffizii
i Veneziani, e molto più l'imperadore. Oltracciò, Francesco Maria di
lui padre fu dichiarato generale della lega contra il Turco; laonde
convenne aspettar tempo più opportuno per iscacciarne Guidubaldo; e
questo venne poscia, siccome vedremo. Terminò in quest'anno _Francesco
Guicciardini_ la rinomata sua Storia d'Italia, che se non è molto
dilettevole al volgo, gode almeno il privilegio di piacere a tutti gli
uomini sensati, per la finezza dei suoi giudizii, e per la professione
sua di non adular chicchessia, e neppure i papi, de' quali fu per
tanti anni ministro. Truovasi in questi tempi assai lodato papa Paolo,
perchè, invitato dai ministri dell'imperadore di confermar la lega
precedente, rispose di voler essere padre comune di tutti, e di nutrir
solamente pensieri di pace, non già di guerra. Che ai pontefici per
difesa de' proprii Stati, e contro i nemici del nome cristiano, o del
cattolicismo convenga lo sfoderar la spada, niun ci sarà che lo nieghi.
Per altri motivi o fini, se ne potrà disputare. Intanto non volle
perdere tempo esso pontefice a creare nel dì 18 di dicembre cardinale
_Alessandro Farnese_ suo nipote, cioè figlio di Pier Luigi, giunto
all'età di quattordici o quindici anni, che riuscì poscia un insigne
porporato.


Anno di CRISTO MDXXXV. Indizione VIII.
PAOLO III papa 2.
CARLO V imperadore 17.

Più lungamente non potè sofferire il _pontefice Paolo_ l'usurpazion di
Perugia fatta da _Ridolfo Baglione_, meritevole ancora di gravissimo
gastigo per le crudeltà usate contra il vescovo di Terracina ed altri
suoi concittadini. Però nel presente anno mandò il campo a Perugia.
Non avea forze il Baglione per resistere; dubitava molto ancora de'
cittadini, l'odio de' quali si era egli comperato colla sua barbarie:
però cedendo uscì della città, e se n'andò con Dio. Fece poscia il
pontefice diroccar sino a' fondamenti le mura di Spello anticamente
città, di Bettona, della Bastia e d'altre terre ch'erano già di
Ridolfo; e tornò la pace in quelle contrade. Svegliossi in quest'anno
una fiera tempesta contra di _Alessandro de Medici_ duca di Firenze.
Moltissimi erano i nobili fiorentini fuorusciti o confinati, ed
altri ancora che volontariamente, a cagione di vari disgusti, s'erano
ritirati da quella città, fra i quali specialmente _Filippo Strozzi_
co' suoi figli, che era il più ricco e potente cittadino di essa.
Tutti portando odio al suddetto Alessandro, si ridussero a Roma,
ed unironsi co' cardinali lor nazionali, cioè _Salviati, Ridolfi e
Gaddi_, per rimettere, se poteano, la libertà nella lor patria. Entrò
nel loro partito anche lo stesso _Ippolito cardinale de Medici_:
tanta era l'invidia e il suo mal animo contro del duca Alessandro.
Tenuti fra loro varii consigli, determinarono d'inviare in Ispagna
all'_imperador Carlo_ le loro doglianze per l'aspro governo che facea
il duca, per la sua sfrenata libidine, e per aver egli contravvenuto
a quanto lo stesso Cesare aveva ordinato nel 1530 intorno a Firenze,
accordando la conservazion della libertà e i privilegii di repubblica:
laddove Alessandro ne avea affatto usurpata la signoria. Trovarono
questi deputati l'imperadore in Barcellona nel mese di maggio; ebbero
udienza; ma fu rimesso l'esame delle lor querele, allorchè l'Augusto
Carlo, tutto in quel tempo applicato all'impresa di Tunisi, sarebbe
poi venuto a Napoli, come già egli meditava. Non erano ignoti al duca
Alessandro questi maneggi, e anch'egli si studiava di sventar le mine
degli emuli e nemici suoi. Fu poi risoluto che il suddetto Ippolito
cardinal de Medici andasse in persona a trovar l'imperadore in Africa;
ma questo porporato, amatore grandissimo d'ogni maniera di virtù,
ma superbo a maraviglia, trovandosi ad Itri vicino a Fondi, preso da
lenta febbre, nel dì 10 d'agosto miseramente morì, e con voce comune di
veleno. Dai più fu creduto il duca Alessandro autore di sua morte. Il
Varchi aggiugne che ne fu incolpato lo stesso papa Paolo, con addurre
i fondamenti di tal conghiettura. Ma chi così dubitò, fece gran torto a
questo pontefice, i cui costumi tali sempre furono, che non lasciarono
fondamento alcuno a sospetti di sì nere iniquità. Inclinava troppo il
Varchi alla maldicenza.
Dissi poco fa rivolti i pensieri del magnanimo Carlo V in questi
tempi all'impresa di Tunisi, e quantunque sì strepitosa spedizione
propriamente non appartenga al mio suggetto, pure non posso dispensarmi
dal darne un po' d'idea; e tanto più perchè a quella gloriosa azione
ebbero gran parte i capitani e combattenti italiani. Dopo la morte di
_Oruccio re_ di Algeri, avea _Ariadeno Barbarossa_ suo fratello, e
gran corsaro, occupato quel regno. Crebbero poi le forze di costui,
perchè creato ammiraglio dal gran signore Solimano, e accresciuta a
dismisura la sua armata navale colla giunta de' legni turcheschi, era
divenuto il terrore del Mediterraneo. Già vedemmo all'anno precedente
quai terribili insulti e paure egli facesse all'Italia. Essendo guerra
fra due fratelli pretendenti al regno di Tunisi, tanto seppe fare
l'accorto Barbarossa, che finì le lor controversie, con impadronirsi
egli di Tunisi, città di gran popolazione, e capitale di tutto il suo
regno, con discacciarne Muleasse, che quivi allora signoreggiava. Ciò
fatto, colla formidabil sua potenza si disponeva all'acquisto di tutta
l'Africa, minacciando non solamente Orano, città degli Spagnuoli in
quelle coste, ma anche i circonvicini paesi, con paventar gravi mali da
costui anche i lidi dell'Italia, Francia e Spagna. Ora, essendo ricorso
Muleasse con varie vantaggiose condizioni all'invittissimo imperadore
Carlo, questi, sì per desiderio di dar nella testa al troppo crescente
Ariadeno, come anche per vaghezza di gloria (e gloria veramente pura
e legittima, che tale è allorchè i monarchi cristiani prendono l'armi
per difendere i popoli fedeli dagli infedeli e dai corsari, e non
già per perseguitarsi e scannarsi fra loro), determinò di portar la
guerra addosso a Tunisi. Gran preparamenti di navi e galee fece egli
non meno in Ispagna che in Italia e Fiandra. Molti legni ebbe dal re
di Portogallo e dai Genovesi, e dieci galee dal pontefice, che erano
comandate da _Virginio Orsino_. Ammiraglio di sì gran flotta, piena
di valorosi combattenti spagnuoli, tedeschi, italiani, fu creato
il valoroso _Andrea Doria_, principe di Melfi; e sopra la medesima
imbarcatosi il generoso imperadore col _marchese del Vasto_, col
_principe di Salerno_, col _duca d'Alva_ e gran copia d'altri insigni
baroni, arrivò circa il principio di luglio alla Goletta, isola e