Annali d'Italia, vol. 6 - 24
superiorità alle pretensioni dell'altro; e perchè ai principi della
Germania recava più timore la potenza unita di un re di Francia, che
la disunita di Carlo Austriaco; perciò nel dì 28 di giugno con bastanti
voti restò proclamato re di Germania e re de' Romani, ossia imperadore
eletto, esso _Carlo V_. Nei secoli addietro non prendevano i re di
Germania il titolo d'_imperadore_, se non dappoichè aveano ricevuta la
corona romana, siccome si è potuto vedere in tanti esempli de' secoli
antecedenti. Cominciò Massimiliano ad intitolarsi _imperadore eletto_,
trovandosi in vari suoi documenti questo titolo, benchè in altri si
vegga quel solo di _re de' Romani_. Ma Carlo V da lì innanzi altro
titolo non usò che quello di _eletto imperador de' Romani_. Nel che
è stato imitato dai suoi augusti successori, con lasciar anche nella
penna la parola _eletto_. Perciò a me ancora sarà lecito di chiamarli
tali in avvenire, ancorchè niun d'essi, fuorchè lo stesso Carlo V,
ricevesse o ricercasse mai l'imperiale corona di Roma. Non fu difficile
agl'intendenti delle cose del mondo il presagire, che poco sarebbe per
durar la pace fra il novello Augusto e Francesco re di Francia, per
gara di gloria, o per interesse di Stato. Si trovavano amendue giovani
e potenti: l'esaltazione dell'uno era troppo rincresciuta all'altro.
Il Belcaire[396] fa un ritratto di questi due principi. Egregie doti
concorrevano in _Francesco_, ma insieme due considerabili vizii,
cioè un eccessivo desio di gloria, congiunto con una somma stima di
sè medesimo, e una smoderata libidine. Della sua grazia spezialmente
godeano gli adulatori. Il gravar di nuove imposte i sudditi, per far
sempre nuove guerre, a lui pareva un nulla; nel che cominciò a non
voler punto ascoltare il consiglio de' pari e de' parlamenti, con
gloriarsi ancora di aver egli cavato dalla minorità, ed esentato dai
tutori il regno di Francia. In _Carlo V_ all'incontro si univa la
gravità con un perspicace ingegno, con molta moderazion delle passioni,
e con altre virtù atte a formare un insigne rettor di popoli, se non
che anche in lui l'amor della gloria il portò sempre alle guerre, e
talvolta ad anteporre l'utile all'onesto. L'emulazione di questi due
monarchi, che poi passò in odio, non produsse nell'anno presente alcun
litigio tra loro, ma si andò disponendo per partorirne.
Qual fosse l'ansietà di _papa Leone_ per esaltare la propria casa,
l'abbiam di sopra accennato. Ma ad altri tempi, e non ai suoi, era
riserbato il compimento de' suoi desiderii. Cadde infermo in Firenze
_Lorenzo de Medici duca_ d'Urbino, suo nipote. L'Ammirati dice[397]
di mal franzese, e che la sua lunga ed acerba infermità il trasse
finalmente a morte nel dì 28 d'aprile. Io non so mai come nella Storia
del Nardi[398] sia scritto che egli passò all'altra vita a' dì 4 di
maggio del 1518. Sarà errore di stampa. Pochi giorni prima era pure
morta di parto _madama Maddalena_ sua consorte, con lasciare dopo di
sè una figliuola che, appellata _Catterina_, vedremo, a suo tempo,
regina di Francia. Dai più de' Fiorentini fu con interno segreto
giubilo solennizzata la sua morte, perchè credenza vi era, che questo
nipote pontifizio, il quale non solo primeggiava in quella città,
ma n'era il principal direttore, pensasse a farsene signore. Sicchè
terminata in lui la legittima discendenza di _Cosimo de Medici_ il
Magnifico, parve che venisse meno al papa ogni speranza di propagare
ed ingrandir la sua linea; perciocchè è ben vero, che di Lorenzo restò
un figlio bastardo, per nome _Alessandro_, il quale noi vedremo, a suo
tempo, duca di Firenze; ma Leone X non ne facea in questi tempi molta
stima, siccome neppure pensava a promuovere i discendenti da _Lorenzo_
fratello del suddetto Cosimo, nella qual linea vivea allora _Giovanni
de Medici_, personaggio di raro valore, a cui appunto nel dì 11 di
giugno del presente anno nacque _Cosimo_ che siccome vedremo, arrivò ad
essere gran duca di Toscana. Perciò il papa riunì alla Chiesa il ducato
d'Urbino, Pesaro e Sinigaglia, e solamente mandò a Firenze il _cardinal
Giulio de Medici_, acciocchè ivi comandasse le feste, e conservasse
il lustro e la potenza della casa de' Medici in quella nobil città. In
ricompensa ancora delle tante spese fatte dalla repubblica fiorentina,
per occupare e ricuperare in favore del defunto Lorenzo il ducato di
Urbino, le concedette la fortezza di San Leo e tutto il Montefeltro.
Ma quantunque nella morte del nipote rimanessero troncate le idee del
pontefice d'ingrandire la propria famiglia, non cessavano già, anzi
presero dipoi maggior vigore le altre ch'egli nudriva di accrescere la
potenza temporale della Chiesa romana, per emulazione alla gloria di
_papa Giulio II_; giacchè, come nota il Guicciardini, l'ambizione de'
sacerdoti non era in questi tempi, ed anche prima, da meno di quella
dei secolari. Già vedemmo papa Leone più volte obbligato a restituire
Modena e Reggio ad _Alfonso duca_ di Ferrara. Invece di far questo,
andava egli sempre meditando di spogliarlo ancora di Ferrara, e non
già con armi manifeste, ma con insidie. E gli si presentò occasione
di eseguir sì ingiusto disegno; imperciocchè fu preso il duca nel
novembre di quest'anno da una lunga e pericolosa malattia, per cui
si sparse voce che fosse disperata sua vita. Avvertitone il papa, e
sapendo che il _cardinal Ippolito_ fratello del duca, atto a sostener
la città, si trovava al suo arcivescovato di Strigonia in Ungheria,
diede commissione ad _Alessandro Fregoso vescovo_ di Ventimiglia,
abitante allora in Bologna, che, fingendo di voler entrare per forza
in Genova, ammassasse genti d'armi, e se la intendesse con _Alberto
Pio_, signor di Carpi, nemico giurato della casa d'Este. Con circa
sei mila tra cavalli e fanti passò questo buon ecclesiastico, per
effettuare l'ordito tradimento, verso la Concordia, facendo vista di
volerla contro quella terra. Avea noleggiato eziandio molte barche, per
passare il Po alla bocca del fiume Secchia. Ma _Federigo marchese_ di
Mantova, che stava attento agli andamenti di quelle soldatesche, venne
scoprendo la mena, e per uomo apposta ne spedì tosto l'avviso al duca
Alfonso suo zio. Stava allora senza sospetto il convalescente duca,
nè tardò a raddoppiar le guardie e le precauzioni alla città, dove
si trovò che circa quaranta braccia di muro di essa erano cadute. Si
fecero anche ritirare all'altra riva tutte le barche destinate a quel
tentativo: provvisione che indusse il vescovo Fregoso a ritornarsene
indietro colle pive nel sacco. Poco fa si è nominato Federigo marchese
di Mantova, e qui conviene avvertire, che, a' dì 20 di febbraio
del presente anno, dopo lunga malattia, mancò di vita il _marchese
Francesco_ suo padre: principe che in tante azioni avea dati segni
di gran valore, e col suo moderato governo s'era comperato l'affetto
de' suoi popoli. Lasciò dopo di sè _Federigo_ primogenito, che a lui
succedette nel dominio; _Ercole_ che fu poi cardinale; e _don Ferrante_
che fu duca di Molfetta, Guastalla, ec., e gran nome acquistò fra i
capitani del secolo presente.
Anno di CRISTO MDXX. Indiz. VIII.
LEONE X papa 8.
CARLO V imperadore 2.
Trovavasi ne' suoi regni di Spagna _Carlo V_, allorchè seguì l'elezione
di lui in re de' Romani, ossia imperadore. Essendosi egli preparato per
venire a prendere la corona germanica, passò in questo anno per mare
con flotta magnifica alla volta di Fiandra, e prima diede una scorsa
in Inghilterra per abboccarsi col _re Arrigo VIII_, con cui acconciò
i suoi interessi, e di là poi sbarcò ne' Paesi Passi, dove incredibil
fu il concorso de' principi, degli ambasciatori e della nobiltà, per
complimentarlo. Venuto l'ottobre, si trasferì ad Aquisgrana, dove con
somma magnificenza ricevè la prima corona dell'imperio nel dì 24 d'esso
mese. Di non lieve negligenza accusar si può Pietro Messia, che nella
vita di questo gloriosissimo augusto il vuol coronato nel dì 24 di
febbraio, giorno di san Mattia, siccome ancora chi ciò mette al dì 15
di giugno. Intanto sempre più insolentiva Martino Lutero in Germania.
Dal far guerra agli abusi della corte di Roma, era egli passato a farla
ancora contro la Chiesa cattolica, riprovando ora uno, ora altro degli
antichissimi suoi dogmi. Perciò _papa Leone X_ non potè più ritenersi
dal procedere contro un sì fiero laceratore della vigna del Signore.
Pubblicò egli nel dì 16 di giugno una bolla, in cui condennati molti
degli errori d'esso Lutero, fulminò le censure contra di lui e di tutti
i suoi aderenti, il numero de' quali era già divenuto formidabile in
Germania con iscoprirsi tale anche _Federigo duca di Sassonia_. Ma
questo incendio, a smorzar il quale non furono sul principio adoperati
valevoli mezzi, tal piede avea preso, che non solo non cessò con
tutti i fulmini del Vaticano, e con tutte le prediche degli zelanti
cattolici, ma si andò sempre più rinforzando, trovandolo utile i
principi, per occupar gl'immensi beni degli ecclesiastici; gustoso
gli stessi ecclesiastici, perchè dispensati dalla continenza; e soave
i secolari, perchè sgravati da varii digiuni e da altri salutevoli
istituti della Chiesa cattolica. Ma intorno a questa lagrimevol
tragedia può il lettore consigliarsi colla storia ecclesiastica.
Allorchè maggiormente paventava la Cristianità per li terribili
apparati di guerra che faceva Selimo tiranno dell'Oriente, e mentre già
si provavano ne' confini della Croazia e Dalmazia furiose scorrerie di
Turchi, con credersi anche imminente l'assedio di Rodi, posseduto dai
cavalieri, detti oggidì di Malta: allo improvviso vennero ordini da
Costantinopoli, che si sciogliesse quel grande armamento per mare, e
che le milizie tornassero alle lor case. La cagion di ciò fu che a quel
feroce sultano una pericolosa ulcera nelle reni cominciò a far guerra,
per cui calò a lui la voglia di muoverla contro i cristiani. Venuto poi
l'autunno, cotanto crebbe il suo malore, che restò colla morte di lui
libero il mondo dal timore di sì sanguinario regnante, glorioso bensì
fra i suoi per tante vittorie e conquiste, ma infame per la crudeltà
usata contro gli stessi suoi parenti e fratelli, e fin contra del
proprio padre. Succedette nell'imperio turchesco Solimano suo figlio,
gran flagello anch'esso, siccome vedremo, dei popoli cristiani. Per
questa mutazion di cose in Levante respirò Roma e l'Italia tutta.
Altro avvenimento degno di qualche memoria, accaduto in Italia nel
presente pacifico anno, non ci somministra l'istoria, fuorchè quanto
avvenne a _Gian-Paolo Baglione_ che avea fatta in addietro sì gran
figura fra gl'Italiani come condottier d'armi, e come signore o tiranno
di Perugia sua patria. Dall'Anonimo Padovano scrittore contemporaneo,
ci vien dipinto come tiranno non solo di quella città, ma di tutti i
luoghi circonvicini, uomo empio, senza fede, e, per dir tutto in una
parola, mostro di natura orrendissimo. Se di tutto egli fosse reo,
nol saprei dire. Cessata la guerra, era egli ritornato alla patria.
Pazientò un pezzo _papa Leone_ questo mal arnese, ma, stimolato
da tanti ricorsi di que' popoli, determinò finalmente di mettervi
rimedio. Scrive il Guicciardini, che per avere Gian-Paolo cacciato
da Perugia Gentile della medesima famiglia, fu citato a Roma; che in
sua vece mandò Malatesta suo figlio; ma che persistendo il papa, ed
assicurandolo gli amici da ogni pericolo, perchè parlatone ad esso
pontefice, con parole di astuzia aveva egli fatto lor credere che niun
danno gli avverrebbe: se ne andò il Baglione a Roma, dove, dopo essere
stato imprigionato, e processato gli fu mozzato il capo. L'anonimo
Padovano pretende che Leone non confidando di poter avere in mano
questo tiranno, e parendogli che si potesse in tal caso rompere la
fede, con un breve tutto dolcezza il chiamò alla corte, fingendo di
voler trattare con lui d'importante affare. Mandò Gian-Paolo a Roma il
figlio per iscusarsi, stante una malattia che gli era sopraggiunta.
Il papa, dopo di aver fatto di grandi carezze al giovane, il rimandò
dicendo: essere necessaria la persona del padre a cagion della materia
da trattarsi, che non si potea confidare a lettere o persone. Aggiugne
esso Anonimo che il pontefice gli mandò anche un salvo condotto,
affidato dal quale, e dalle esortazioni del figlio, comparve Gian-Paolo
a Roma, dove baciò il piede al papa, e si trovò molto accarezzato. Ma
che ito nel seguente giorno a palazzo, fu ritenuto prigione dal _conte
Annibale Rangone_, capitano della guardia pontificia. Dopo di che
processato e tormentato, confessò un'infinità di enormi delitti, per li
quali non una, ma mille morti meritava; laonde fu una notte decapitato
in Castello Sant'Angelo. Fuggirono la moglie e i figli col loro
meglio a Padova, perchè Gian-Paolo era condottier d'armi al servigio
della repubblica veneta, e con quella sponda si credea di poter
commettere quante iniquità volea. Con ciò Perugia fu pienamente rimessa
all'ubbidienza del papa.
Racconta eziandio esso Anonimo Padovano, avere in quest'anno papa Leone
all'improvviso inviato _Giovanni de Medici_, giovane ferocissimo e vago
di guerra, con mille cavalli e quattro mila fanti a Fermo contra di
_Lodovico Freducci_ tiranno di quella città, ed uomo di gran valore.
Ne uscì costui con ducento cavalli, pensando di fuggire; ma raggiunto
dal Medici, fece bensì una maravigliosa difesa, ma finalmente lasciò
nel combattimento la vita con più di cento de' suoi seguaci. Fermo
immantinente ritornò alle mani del pontefice. La caduta del Freducci,
da cui dipendeano altri tirannetti che occupavano città o castelli in
quelle vicinanze, cagion fu ch'essi parte fuggissero, parte corressero
a Roma ad implorar la clemenza pontifizia, dove la maggior parte
furono carcerati: con che tutta la Marca restò purgata da que' mali
umori. Nè già lasciava papa Leone il pensiero di spogliar, se potea, di
Ferrara il _duca Alfonso_, giacchè gli parea poco il detener tuttavia
le imperiali città di Modena e Reggio contro le autentiche promesse
di restituirle ad esso duca. Vincere Ferrara coll'armi non era cosa
facile. Determinò dunque di adoperare un mezzo non degno de' principi
secolari, e molto meno di chi più dovrebbe ricordarsi d'essere Vicario
di Cristo, che di essere principe. Intavolò dunque un trattato di far
assassinare il duca, del che parlano non i soli storici ferraresi, ma
il Guicciardini stesso, insigne storico, che era allora governatore
dì Modena e Reggio pel medesimo papa, ed innocentemente si trovò
mischiato in questo nero tradimento. Chi maneggiò il trattato, fu
_Uberto Gambara_, protonotario apostolico, persona che arrivò poi a
guadagnare il cappel rosso. Se l'intese egli con Rodolfo Hello Tedesco,
capitano della guardia d'esso duca, a cui fu promesso molto, e mandata
per caparra la somma di due mila ducati d'oro. Già era concertato il
tempo e luogo di uccidere il duca; dato ordine al Guicciardini, e agli
uffiziali di Bologna di presentarsi in un determinato giorno ad una
porta di Ferrara. Ma il Tedesco, uomo d'onore, rivelò sul principio, e
continuamente di poi, al duca Alfonso tutta l'orditura del tradimento.
Si sentì più d'una volta tentato esso duca di lasciarlo proseguir sino
al fine; ma se ne astenne per non aver poi nemico dichiarato il papa, e
però gli bastò di far troncare la pratica, e di fermar poscia autentico
processo di questo infame attentato, colla deposizione di alcuni
complici, e colle lettere originali del Gambara per valersene, quando
occorresse il bisogno.
NOTE:
[396] Belcaire, Rerum Gallic., lib. 16.
[397] Ammirati. Guicciardini.
[398] Nardi.
Anno di CRISTO MDXXI. Indiz. IX.
LEONE X papa 9.
CARLO V imperadore 3.
Tenuta fu in quest'anno una magnifica dieta in Vormazia da _Carlo V
imperadore_, dove intervennero in gran copia i principi dell'impero.
Lo strepito e commozione che faceva la più che mai crescente eresia di
Lutero, e le istanze dei ministri pontifizii, indussero esso Augusto
a chiamar colà l'autore di tanti sconcerti. Senza salvocondotto non si
volle egli muovere. Giunto colà nel dì 16 di aprile con gran baldanza,
e presentato davanti a Cesare e alla maestosa adunanza, sostenne
quanto aveva insegnato, nè maniera si trovò di farlo muovere un dito.
Perciò restò licenziato, e poscia nel dì otto di maggio l'imperadore
pubblicò un terribil bando contro la di lui persona e suoi errori:
passi tutti che nulla servirono per fermare il torrente impetuoso delle
sue eresie. Alla guerra contro la religion cattolica tenne dietro in
quest'anno quella ancora de' principali potentati della Cristianità.
Dacchè fu partito di Spagna Carlo V si scoprirono in quelle parti dei
malcontenti e sediziosi; perciocchè il primo regalo ch'egli avea fatto
a que' popoli, nuovi sudditi, era stato l'accrescimento de' pubblici
aggravi, e l'aver loro tolti alcuni antichi privilegii. Si lamentavano
altri di avere un re straniero e lontano, dietro al quale correva l'oro
del regno. Nè mancavano altri che non sapeano digerire, che i ministri
fiamminghi comandassero alle teste spagnuole, e potessero tutto in
corte dell'augusto monarca. Però insorsero ribellioni e guerre. Anche
nella Navarra, già occupata da _Ferdinando il Cattolico_, si fecero più
commozioni, non amando quei popoli il nome spagnuolo, perchè uniti in
addietro ai Franzesi. Ora _Francesco I re_ di Francia che si sentiva
pieno di rabbia, dacchè vide congiunta in Carlo V la monarchia di
Spagna colla dignità imperiale, e con tanti altri Stati della casa
d'Austria, e troppo con ciò cresciuta la di lui potenza, non volle più
contenersi, e mosse guerra, nella primavera di quest'anno, contro la
Navarra, per renderla, diceva egli, ad _Arrigo re_ fanciullo, il cui
padre _Giovanni_ era stato spogliato di quel regno, ma, come mostrarono
i fatti, per incorporarla nel suo dominio. Confessa il Guicciardini,
che a dar moto alle guerre che maggiori delle passate sconvolsero
poi non solo l'Italia, ma quasi tutta la Cristianità d'occidente,
fu il primo chi più degli altri sarebbe stato tenuto a conservar la
pace, e invece di accendere il fuoco della guerra, avrebbe dovuto,
se occorreva, procurare di spegnerlo col proprio sangue. Parla di
_papa Leone X_ che ruminando alti pensieri di gloria mondana, più
che agli affari della religione, agonizzante in Germania, pensando
all'ingrandimento temporale della Chiesa, non solamente moriva di
voglia di ricuperar Parma e Piacenza, e di torre Ferrara al _duca
Alfonso_, ma eziandio meditava conquiste nel regno di Napoli. Trattò
col re di Francia, incitandolo all'impresa di quel regno, con che ne
restasse una porzione in dominio della Chiesa. Confortò ancora esso
re a dar principio alla rottura, con portar le armi nella Navarra.
Fu preso quel regno dai Franzesi, ma in breve ancora ricuperato dagli
Spagnuoli. Altra guerra di lunga mano più terribile fu in Fiandra fra
que' due emuli monarchi, la quale, siccome non pertinente all'assunto
mio, tralascio.
Ossia che il pontefice camminasse con simulazione ne' trattati col
re Cristianissimo, e fosse dietro a burlarlo (che in quest'arte
si sa essere egli stato eccellente), oppure che il re, entrato
in sospetto della fede di lui, tardasse troppo a ratificar la
capitolazion già formata, ossia finalmente che il papa ricevesse in
questo mentre dei disgusti dall'insolenza del Lautrec governator
di Milano, che non ammetteva, e con superbe parole dispregiava le
provvisioni ecclesiastiche inviate da Roma nello Stato di Milano:
certo è che il papa strinse e sottoscrisse nel giorno 8 di maggio
una lega con _Carlo V imperadore_ a difesa della casa de' Medici e
de' Fiorentini, con istabilire che togliendosi ai Franzesi il ducato
di Milano, questo si desse a _Francesco Maria Sforza_, figliuolo del
fu _Lodovico il Moro_, il quale se ne stava tutto dimesso in Trento,
aspettando qualche buon vento alla povera sua fortuna; e che Parma e
Piacenza tornassero alla Chiesa, per possederle con quelle ragioni
colle quali le avea tenute innanzi; e che l'imperadore desse aiuto
al papa, per togliere Ferrara all'Estense, e uno Stato in regno di
Napoli ad _Alessandro_, figlio bastardo di _Lorenzo de Medici_, già
duca d'Urbino. Fu con gran segretezza maneggiata questa lega, in cui
entrarono anche i Fiorentini, e prima che uscisse alla luce, papa Leone
con ispesa di cinquanta mila ducati d'oro assoldò sei, altri dicono
otto mila Svizzeri, e colle sue doppiezze ottenne loro il passaggio
per lo Stato di Milano, facendo credere ai Franzesi di averli presi
per opporli agli Spagnuoli a' confini del regno di Napoli. Vennero
costoro a Modena, e poi s'inviarono verso il Po, per quivi imbarcarsi.
_Alfonso duca_ di Ferrara gran sospetto prese di questa gente, perchè,
come scrive l'Anonimo Padovano, troppo addottrinato alle insidie
private e pubbliche, colle quali era dal pontefice perseguitato; e
però fece quanti preparamenti potè in Ferrara per difendersi. Ma il
papa assicuratolo che ciò non era per nuocergli, dimandò il passo e
vettovaglia, e tutto ottenuto, gli Svizzeri si imbarcarono a Revere,
e a seconda del fiume andarono poi per mare a Ravenna, e di là nella
Marca. Dopo qualche tempo costoro o perchè attediati dal far nulla,
per cui poco guadagnavano, chiesero congedo, o perchè il papa scoprì
il lor capitano partigiano dei Franzesi, per la maggior parte se ne
tornarono a' lor paesi. Questo avvenne nel mese di marzo. Intanto si
andava unendo gente dal papa in Reggio, e colà ancora si ridussero
quasi tutti i fuorusciti dello Stato di Milano, ed arrivò dipoi anche
_Girolamo Morone_, gran manipolatore di tutti questi imbrogli. Perchè
era in Francia il _Lautrec_, il _signor dello Scudo_ suo fratello,
vicegovernatore, avvisato di quella tresca, si portò colà con
quattrocento cavalli a dimandar conto di quella adunanza, e nel dì 24
di giugno si presentò alla porta di Reggio. Il Guicciardini governatore
avea la notte innanzi fatto entrare in quella città un grosso corpo di
gente. Mentre parlava il governatore collo Scudo, volle cacciarsi in
città alcuno de' suoi uomini d'arme, e nacque un tumulto, per cui quei
che erano stesi per le mura, spararono contro la comitiva del Franzese.
Vi restò morto _Alessandro Trivulzio_, e gli altri se ne fuggirono. Lo
Scudo dopo varie inutili doglianze se n'andò anche egli. Si servì poi
papa Leone di questo pretesto per giustificare nel concistoro l'accordo
ch'egli avea già fatto coll'imperadore. Avvenne ancora in Milano nella
festa di San Pietro un formidabil caso, che fu preso dal volgo per
augurio e preludio della caduta de' Franzesi in Italia. Per fulmine, o
peraltro fuoco dell'aria, benchè fosse tempo sereno, la torre di quel
castello, dove si teneano i barili di polve da fuoco, andò in aria con
tal forza, che squarciò anche parte del muro, uccise e magagnò oltre a
ducento fanti, vari nobili milanesi che per sospetto erano stati chiusi
in quel castello, e portò lontano 25 piedi (e non già cinquecento, come
ha il Guicciardini) pietre, che dieci paia di buoi avrebbono stentato a
muovere. Trovavasi allora il Lautrec ritornato di Francia in Cremona;
corse a Milano, e diede gli ordini opportuni per riparare il castello
che era in altri siti ancora conquassato, e il fornì di tutto il
bisognevole.
Finalmente scoppiò, e si fece palese il bel servigio prestato
all'Italia da papa Leone, con tirarle addosso una nuova guerra mercè
della lega contratta con gli Svizzeri e coll'imperadore. Ne provarono
non lieve affanno i Veneziani, soli in Italia collegati colla Francia,
i quali assoldarono tosto otto mila fanti, con inviarne dipoi sul
bresciano cinque mila, e lancie quattro cento, e cavalli leggieri
cinque cento, sotto il comando di _Teodoro Trivulzio_ e di _Andrea
Gritti_ legato. Perchè sempre più s'ingrossava in Reggio l'armata
pontifizia il _Lautrec_ mandò a Parma ducento uomini d'armi, e quattro
mila fanti Guasconi comandati dal signor dello Scudo suo fratello,
e da _Federigo signor di Bozzolo_. Occupò dipoi Busseto, e tutto lo
Stato di _Cristoforo Pallavicino_, a cui tolse anche la vita, perchè
accusato d'intelligenza col papa. Fu fatto in quest'anno un tentativo
dagli Adorni e Fieschi, per cacciare di Genova _Ottavino Fregoso_ e i
Franzesi, tutto a sommossa del papa, che loro somministrò sette galee
di Napoli, e due delle sue; ma rimase sconcertato il loro disegno.
Ordito ancora un tradimento per occupar la città di Como, a nulla
giovò. Chiamò _papa Leone_ a Roma _Prospero Colonna_, il quale era
stato dall'imperadore molto prima creato suo generale, per concertar
seco la meditata impresa del ducato di Milano. Condusse eziandio
_Federigo marchese_ di Mantova con titolo di capitan generale della
Chiesa. Si fece a Bologna la massa delle genti pontificie e spagnuole;
e il Colonna che dovea, come capo, comandar quell'armata, dopo molti
dibattimenti s'inoltrò verso Parma, e incomincionne l'assedio nel mese
d'agosto, principalmente dalla parte verso Ponente. Giunsero ad unirsi
seco otto mila fanti tedeschi, venuti di Germania, e il marchese di
Mantova con trecento lancie e cinquecento cavalli ungheri. Talmente
giocarono le batterie, che i Franzesi giudicarono meglio di ritirarsi
dal Codiponte, cioè da quella parte della città, che è di là dal fiume
Parma. Grande allegrezza fecero quegli abitanti al vedersi ritornati
sotto il dominio ecclesiastico. Ma cessò ben presto la loro festa,
perchè entrati i soldati diedero anch'essi con festa grande il sacco
a tutte le lor case. L'Anonimo Padovano scrive che vi commisero le
maggiori scelleratezze del mondo, e che il Colonna fece impiccar quanti
fanti erano penetrati in un monistero di monache. Si diedero poscia i
collegati a maggiormente stringere e bombardare l'altra maggior parte
della città, posta al levante, e l'aveano ridotta a tale per iscarsezza
di vettovaglie, che n'era vicina la caduta. Tempestava _lo Scudo_ il
_signor di Lautrec_ suo fratello, per ottenere soccorso. Ma questi
assai lentamente procedeva, e con tutto che avesse una buona armata,
composta di cinquecento lancie, sette mila Svizzeri, quattro mila
fanti venuti poco fa di Francia, a' quali s'aggiunsero quattrocento
uomini d'arme, e quattro o cinque mila fanti de' Veneziani; pure non
si attentava a procedere innanzi, allegando che l'armata nemica era
superiore di forze, e che conveniva aspettar sei mila Svizzeri che
erano in viaggio per suo aiuto. Nulla di meno s'inoltrò finalmente sino
al Taro, sette miglia da Parma: movimento, di cui niuna apprensione
si misero gli assedianti. Ma eccoli un accidente che disturbò tutte
le loro misure. Era stato fin qui paziente _Alfonso duca_ di Ferrara,
mostrando di non conoscere l'odio che avea contra di lui _papa
Leone X_, e dissimulando le passate insidie. Venuto poi in chiaro
d'essere stato abbandonato alle voglie d'esso pontefice, nella lega
fatta coll'imperadore, e mirando il mal incamminamento degli affari
de' Franzesi unico uno sostegno, giudicò meglio di non tenersi più
neutrale. Però colle milizie che potè raunare, uscito di Ferrara, entrò
nel Modenese, prese il Finale, San Felice, e colle scorrerie arrivava
sino alle porte di Modena. Recato questo avviso al campo de' collegati,
bastò a far ch'essi, trovandosi fra due fuochi, spedissero in soccorso
di Modena il _conte Guido Rangone_, e poi sciogliessero l'assedio di
Parma, con ritirarsi a San Lazzaro: il che diede comodità al Lautrec di
ben fornire quella città di viveri e d'ogni altra munizione.
Aveva intanto il papa fatto assoldare dal _cardinale di Sion_, chi
dice dodici, chi dieci mila Svizzeri, ed altri dicono anche meno,
e questi calavano in Italia, quantunque protestassero di non voler
combattere co' Franzesi, per essere con loro in lega. _Prospero
Colonna_ adunque determinò di tentare ogni via per unirsi con loro,
siccome all'incontro andò il Lautrec a frapporsi, per impedir questa
unione. Allora che, passato il Po, fu egli giunto a Casal Maggiore,
colà comparve il _cardinal Giulio de Medici_, spedito dal papa con
titolo di legato, acciocchè, come uomo di testa, acquetasse colla sua
destrezza le discordie insorte fra i generali, e spezialmente fra il
_Colonnese_ e il _marchese di Pescara_, e desse calore alla impresa.
Tentò più volte il Lautrec di tirare a battaglia l'esercito de'
collegati, ma il saggio Prospero andò temporeggiando, che in fine a
Germania recava più timore la potenza unita di un re di Francia, che
la disunita di Carlo Austriaco; perciò nel dì 28 di giugno con bastanti
voti restò proclamato re di Germania e re de' Romani, ossia imperadore
eletto, esso _Carlo V_. Nei secoli addietro non prendevano i re di
Germania il titolo d'_imperadore_, se non dappoichè aveano ricevuta la
corona romana, siccome si è potuto vedere in tanti esempli de' secoli
antecedenti. Cominciò Massimiliano ad intitolarsi _imperadore eletto_,
trovandosi in vari suoi documenti questo titolo, benchè in altri si
vegga quel solo di _re de' Romani_. Ma Carlo V da lì innanzi altro
titolo non usò che quello di _eletto imperador de' Romani_. Nel che
è stato imitato dai suoi augusti successori, con lasciar anche nella
penna la parola _eletto_. Perciò a me ancora sarà lecito di chiamarli
tali in avvenire, ancorchè niun d'essi, fuorchè lo stesso Carlo V,
ricevesse o ricercasse mai l'imperiale corona di Roma. Non fu difficile
agl'intendenti delle cose del mondo il presagire, che poco sarebbe per
durar la pace fra il novello Augusto e Francesco re di Francia, per
gara di gloria, o per interesse di Stato. Si trovavano amendue giovani
e potenti: l'esaltazione dell'uno era troppo rincresciuta all'altro.
Il Belcaire[396] fa un ritratto di questi due principi. Egregie doti
concorrevano in _Francesco_, ma insieme due considerabili vizii,
cioè un eccessivo desio di gloria, congiunto con una somma stima di
sè medesimo, e una smoderata libidine. Della sua grazia spezialmente
godeano gli adulatori. Il gravar di nuove imposte i sudditi, per far
sempre nuove guerre, a lui pareva un nulla; nel che cominciò a non
voler punto ascoltare il consiglio de' pari e de' parlamenti, con
gloriarsi ancora di aver egli cavato dalla minorità, ed esentato dai
tutori il regno di Francia. In _Carlo V_ all'incontro si univa la
gravità con un perspicace ingegno, con molta moderazion delle passioni,
e con altre virtù atte a formare un insigne rettor di popoli, se non
che anche in lui l'amor della gloria il portò sempre alle guerre, e
talvolta ad anteporre l'utile all'onesto. L'emulazione di questi due
monarchi, che poi passò in odio, non produsse nell'anno presente alcun
litigio tra loro, ma si andò disponendo per partorirne.
Qual fosse l'ansietà di _papa Leone_ per esaltare la propria casa,
l'abbiam di sopra accennato. Ma ad altri tempi, e non ai suoi, era
riserbato il compimento de' suoi desiderii. Cadde infermo in Firenze
_Lorenzo de Medici duca_ d'Urbino, suo nipote. L'Ammirati dice[397]
di mal franzese, e che la sua lunga ed acerba infermità il trasse
finalmente a morte nel dì 28 d'aprile. Io non so mai come nella Storia
del Nardi[398] sia scritto che egli passò all'altra vita a' dì 4 di
maggio del 1518. Sarà errore di stampa. Pochi giorni prima era pure
morta di parto _madama Maddalena_ sua consorte, con lasciare dopo di
sè una figliuola che, appellata _Catterina_, vedremo, a suo tempo,
regina di Francia. Dai più de' Fiorentini fu con interno segreto
giubilo solennizzata la sua morte, perchè credenza vi era, che questo
nipote pontifizio, il quale non solo primeggiava in quella città,
ma n'era il principal direttore, pensasse a farsene signore. Sicchè
terminata in lui la legittima discendenza di _Cosimo de Medici_ il
Magnifico, parve che venisse meno al papa ogni speranza di propagare
ed ingrandir la sua linea; perciocchè è ben vero, che di Lorenzo restò
un figlio bastardo, per nome _Alessandro_, il quale noi vedremo, a suo
tempo, duca di Firenze; ma Leone X non ne facea in questi tempi molta
stima, siccome neppure pensava a promuovere i discendenti da _Lorenzo_
fratello del suddetto Cosimo, nella qual linea vivea allora _Giovanni
de Medici_, personaggio di raro valore, a cui appunto nel dì 11 di
giugno del presente anno nacque _Cosimo_ che siccome vedremo, arrivò ad
essere gran duca di Toscana. Perciò il papa riunì alla Chiesa il ducato
d'Urbino, Pesaro e Sinigaglia, e solamente mandò a Firenze il _cardinal
Giulio de Medici_, acciocchè ivi comandasse le feste, e conservasse
il lustro e la potenza della casa de' Medici in quella nobil città. In
ricompensa ancora delle tante spese fatte dalla repubblica fiorentina,
per occupare e ricuperare in favore del defunto Lorenzo il ducato di
Urbino, le concedette la fortezza di San Leo e tutto il Montefeltro.
Ma quantunque nella morte del nipote rimanessero troncate le idee del
pontefice d'ingrandire la propria famiglia, non cessavano già, anzi
presero dipoi maggior vigore le altre ch'egli nudriva di accrescere la
potenza temporale della Chiesa romana, per emulazione alla gloria di
_papa Giulio II_; giacchè, come nota il Guicciardini, l'ambizione de'
sacerdoti non era in questi tempi, ed anche prima, da meno di quella
dei secolari. Già vedemmo papa Leone più volte obbligato a restituire
Modena e Reggio ad _Alfonso duca_ di Ferrara. Invece di far questo,
andava egli sempre meditando di spogliarlo ancora di Ferrara, e non
già con armi manifeste, ma con insidie. E gli si presentò occasione
di eseguir sì ingiusto disegno; imperciocchè fu preso il duca nel
novembre di quest'anno da una lunga e pericolosa malattia, per cui
si sparse voce che fosse disperata sua vita. Avvertitone il papa, e
sapendo che il _cardinal Ippolito_ fratello del duca, atto a sostener
la città, si trovava al suo arcivescovato di Strigonia in Ungheria,
diede commissione ad _Alessandro Fregoso vescovo_ di Ventimiglia,
abitante allora in Bologna, che, fingendo di voler entrare per forza
in Genova, ammassasse genti d'armi, e se la intendesse con _Alberto
Pio_, signor di Carpi, nemico giurato della casa d'Este. Con circa
sei mila tra cavalli e fanti passò questo buon ecclesiastico, per
effettuare l'ordito tradimento, verso la Concordia, facendo vista di
volerla contro quella terra. Avea noleggiato eziandio molte barche, per
passare il Po alla bocca del fiume Secchia. Ma _Federigo marchese_ di
Mantova, che stava attento agli andamenti di quelle soldatesche, venne
scoprendo la mena, e per uomo apposta ne spedì tosto l'avviso al duca
Alfonso suo zio. Stava allora senza sospetto il convalescente duca,
nè tardò a raddoppiar le guardie e le precauzioni alla città, dove
si trovò che circa quaranta braccia di muro di essa erano cadute. Si
fecero anche ritirare all'altra riva tutte le barche destinate a quel
tentativo: provvisione che indusse il vescovo Fregoso a ritornarsene
indietro colle pive nel sacco. Poco fa si è nominato Federigo marchese
di Mantova, e qui conviene avvertire, che, a' dì 20 di febbraio
del presente anno, dopo lunga malattia, mancò di vita il _marchese
Francesco_ suo padre: principe che in tante azioni avea dati segni
di gran valore, e col suo moderato governo s'era comperato l'affetto
de' suoi popoli. Lasciò dopo di sè _Federigo_ primogenito, che a lui
succedette nel dominio; _Ercole_ che fu poi cardinale; e _don Ferrante_
che fu duca di Molfetta, Guastalla, ec., e gran nome acquistò fra i
capitani del secolo presente.
Anno di CRISTO MDXX. Indiz. VIII.
LEONE X papa 8.
CARLO V imperadore 2.
Trovavasi ne' suoi regni di Spagna _Carlo V_, allorchè seguì l'elezione
di lui in re de' Romani, ossia imperadore. Essendosi egli preparato per
venire a prendere la corona germanica, passò in questo anno per mare
con flotta magnifica alla volta di Fiandra, e prima diede una scorsa
in Inghilterra per abboccarsi col _re Arrigo VIII_, con cui acconciò
i suoi interessi, e di là poi sbarcò ne' Paesi Passi, dove incredibil
fu il concorso de' principi, degli ambasciatori e della nobiltà, per
complimentarlo. Venuto l'ottobre, si trasferì ad Aquisgrana, dove con
somma magnificenza ricevè la prima corona dell'imperio nel dì 24 d'esso
mese. Di non lieve negligenza accusar si può Pietro Messia, che nella
vita di questo gloriosissimo augusto il vuol coronato nel dì 24 di
febbraio, giorno di san Mattia, siccome ancora chi ciò mette al dì 15
di giugno. Intanto sempre più insolentiva Martino Lutero in Germania.
Dal far guerra agli abusi della corte di Roma, era egli passato a farla
ancora contro la Chiesa cattolica, riprovando ora uno, ora altro degli
antichissimi suoi dogmi. Perciò _papa Leone X_ non potè più ritenersi
dal procedere contro un sì fiero laceratore della vigna del Signore.
Pubblicò egli nel dì 16 di giugno una bolla, in cui condennati molti
degli errori d'esso Lutero, fulminò le censure contra di lui e di tutti
i suoi aderenti, il numero de' quali era già divenuto formidabile in
Germania con iscoprirsi tale anche _Federigo duca di Sassonia_. Ma
questo incendio, a smorzar il quale non furono sul principio adoperati
valevoli mezzi, tal piede avea preso, che non solo non cessò con
tutti i fulmini del Vaticano, e con tutte le prediche degli zelanti
cattolici, ma si andò sempre più rinforzando, trovandolo utile i
principi, per occupar gl'immensi beni degli ecclesiastici; gustoso
gli stessi ecclesiastici, perchè dispensati dalla continenza; e soave
i secolari, perchè sgravati da varii digiuni e da altri salutevoli
istituti della Chiesa cattolica. Ma intorno a questa lagrimevol
tragedia può il lettore consigliarsi colla storia ecclesiastica.
Allorchè maggiormente paventava la Cristianità per li terribili
apparati di guerra che faceva Selimo tiranno dell'Oriente, e mentre già
si provavano ne' confini della Croazia e Dalmazia furiose scorrerie di
Turchi, con credersi anche imminente l'assedio di Rodi, posseduto dai
cavalieri, detti oggidì di Malta: allo improvviso vennero ordini da
Costantinopoli, che si sciogliesse quel grande armamento per mare, e
che le milizie tornassero alle lor case. La cagion di ciò fu che a quel
feroce sultano una pericolosa ulcera nelle reni cominciò a far guerra,
per cui calò a lui la voglia di muoverla contro i cristiani. Venuto poi
l'autunno, cotanto crebbe il suo malore, che restò colla morte di lui
libero il mondo dal timore di sì sanguinario regnante, glorioso bensì
fra i suoi per tante vittorie e conquiste, ma infame per la crudeltà
usata contro gli stessi suoi parenti e fratelli, e fin contra del
proprio padre. Succedette nell'imperio turchesco Solimano suo figlio,
gran flagello anch'esso, siccome vedremo, dei popoli cristiani. Per
questa mutazion di cose in Levante respirò Roma e l'Italia tutta.
Altro avvenimento degno di qualche memoria, accaduto in Italia nel
presente pacifico anno, non ci somministra l'istoria, fuorchè quanto
avvenne a _Gian-Paolo Baglione_ che avea fatta in addietro sì gran
figura fra gl'Italiani come condottier d'armi, e come signore o tiranno
di Perugia sua patria. Dall'Anonimo Padovano scrittore contemporaneo,
ci vien dipinto come tiranno non solo di quella città, ma di tutti i
luoghi circonvicini, uomo empio, senza fede, e, per dir tutto in una
parola, mostro di natura orrendissimo. Se di tutto egli fosse reo,
nol saprei dire. Cessata la guerra, era egli ritornato alla patria.
Pazientò un pezzo _papa Leone_ questo mal arnese, ma, stimolato
da tanti ricorsi di que' popoli, determinò finalmente di mettervi
rimedio. Scrive il Guicciardini, che per avere Gian-Paolo cacciato
da Perugia Gentile della medesima famiglia, fu citato a Roma; che in
sua vece mandò Malatesta suo figlio; ma che persistendo il papa, ed
assicurandolo gli amici da ogni pericolo, perchè parlatone ad esso
pontefice, con parole di astuzia aveva egli fatto lor credere che niun
danno gli avverrebbe: se ne andò il Baglione a Roma, dove, dopo essere
stato imprigionato, e processato gli fu mozzato il capo. L'anonimo
Padovano pretende che Leone non confidando di poter avere in mano
questo tiranno, e parendogli che si potesse in tal caso rompere la
fede, con un breve tutto dolcezza il chiamò alla corte, fingendo di
voler trattare con lui d'importante affare. Mandò Gian-Paolo a Roma il
figlio per iscusarsi, stante una malattia che gli era sopraggiunta.
Il papa, dopo di aver fatto di grandi carezze al giovane, il rimandò
dicendo: essere necessaria la persona del padre a cagion della materia
da trattarsi, che non si potea confidare a lettere o persone. Aggiugne
esso Anonimo che il pontefice gli mandò anche un salvo condotto,
affidato dal quale, e dalle esortazioni del figlio, comparve Gian-Paolo
a Roma, dove baciò il piede al papa, e si trovò molto accarezzato. Ma
che ito nel seguente giorno a palazzo, fu ritenuto prigione dal _conte
Annibale Rangone_, capitano della guardia pontificia. Dopo di che
processato e tormentato, confessò un'infinità di enormi delitti, per li
quali non una, ma mille morti meritava; laonde fu una notte decapitato
in Castello Sant'Angelo. Fuggirono la moglie e i figli col loro
meglio a Padova, perchè Gian-Paolo era condottier d'armi al servigio
della repubblica veneta, e con quella sponda si credea di poter
commettere quante iniquità volea. Con ciò Perugia fu pienamente rimessa
all'ubbidienza del papa.
Racconta eziandio esso Anonimo Padovano, avere in quest'anno papa Leone
all'improvviso inviato _Giovanni de Medici_, giovane ferocissimo e vago
di guerra, con mille cavalli e quattro mila fanti a Fermo contra di
_Lodovico Freducci_ tiranno di quella città, ed uomo di gran valore.
Ne uscì costui con ducento cavalli, pensando di fuggire; ma raggiunto
dal Medici, fece bensì una maravigliosa difesa, ma finalmente lasciò
nel combattimento la vita con più di cento de' suoi seguaci. Fermo
immantinente ritornò alle mani del pontefice. La caduta del Freducci,
da cui dipendeano altri tirannetti che occupavano città o castelli in
quelle vicinanze, cagion fu ch'essi parte fuggissero, parte corressero
a Roma ad implorar la clemenza pontifizia, dove la maggior parte
furono carcerati: con che tutta la Marca restò purgata da que' mali
umori. Nè già lasciava papa Leone il pensiero di spogliar, se potea, di
Ferrara il _duca Alfonso_, giacchè gli parea poco il detener tuttavia
le imperiali città di Modena e Reggio contro le autentiche promesse
di restituirle ad esso duca. Vincere Ferrara coll'armi non era cosa
facile. Determinò dunque di adoperare un mezzo non degno de' principi
secolari, e molto meno di chi più dovrebbe ricordarsi d'essere Vicario
di Cristo, che di essere principe. Intavolò dunque un trattato di far
assassinare il duca, del che parlano non i soli storici ferraresi, ma
il Guicciardini stesso, insigne storico, che era allora governatore
dì Modena e Reggio pel medesimo papa, ed innocentemente si trovò
mischiato in questo nero tradimento. Chi maneggiò il trattato, fu
_Uberto Gambara_, protonotario apostolico, persona che arrivò poi a
guadagnare il cappel rosso. Se l'intese egli con Rodolfo Hello Tedesco,
capitano della guardia d'esso duca, a cui fu promesso molto, e mandata
per caparra la somma di due mila ducati d'oro. Già era concertato il
tempo e luogo di uccidere il duca; dato ordine al Guicciardini, e agli
uffiziali di Bologna di presentarsi in un determinato giorno ad una
porta di Ferrara. Ma il Tedesco, uomo d'onore, rivelò sul principio, e
continuamente di poi, al duca Alfonso tutta l'orditura del tradimento.
Si sentì più d'una volta tentato esso duca di lasciarlo proseguir sino
al fine; ma se ne astenne per non aver poi nemico dichiarato il papa, e
però gli bastò di far troncare la pratica, e di fermar poscia autentico
processo di questo infame attentato, colla deposizione di alcuni
complici, e colle lettere originali del Gambara per valersene, quando
occorresse il bisogno.
NOTE:
[396] Belcaire, Rerum Gallic., lib. 16.
[397] Ammirati. Guicciardini.
[398] Nardi.
Anno di CRISTO MDXXI. Indiz. IX.
LEONE X papa 9.
CARLO V imperadore 3.
Tenuta fu in quest'anno una magnifica dieta in Vormazia da _Carlo V
imperadore_, dove intervennero in gran copia i principi dell'impero.
Lo strepito e commozione che faceva la più che mai crescente eresia di
Lutero, e le istanze dei ministri pontifizii, indussero esso Augusto
a chiamar colà l'autore di tanti sconcerti. Senza salvocondotto non si
volle egli muovere. Giunto colà nel dì 16 di aprile con gran baldanza,
e presentato davanti a Cesare e alla maestosa adunanza, sostenne
quanto aveva insegnato, nè maniera si trovò di farlo muovere un dito.
Perciò restò licenziato, e poscia nel dì otto di maggio l'imperadore
pubblicò un terribil bando contro la di lui persona e suoi errori:
passi tutti che nulla servirono per fermare il torrente impetuoso delle
sue eresie. Alla guerra contro la religion cattolica tenne dietro in
quest'anno quella ancora de' principali potentati della Cristianità.
Dacchè fu partito di Spagna Carlo V si scoprirono in quelle parti dei
malcontenti e sediziosi; perciocchè il primo regalo ch'egli avea fatto
a que' popoli, nuovi sudditi, era stato l'accrescimento de' pubblici
aggravi, e l'aver loro tolti alcuni antichi privilegii. Si lamentavano
altri di avere un re straniero e lontano, dietro al quale correva l'oro
del regno. Nè mancavano altri che non sapeano digerire, che i ministri
fiamminghi comandassero alle teste spagnuole, e potessero tutto in
corte dell'augusto monarca. Però insorsero ribellioni e guerre. Anche
nella Navarra, già occupata da _Ferdinando il Cattolico_, si fecero più
commozioni, non amando quei popoli il nome spagnuolo, perchè uniti in
addietro ai Franzesi. Ora _Francesco I re_ di Francia che si sentiva
pieno di rabbia, dacchè vide congiunta in Carlo V la monarchia di
Spagna colla dignità imperiale, e con tanti altri Stati della casa
d'Austria, e troppo con ciò cresciuta la di lui potenza, non volle più
contenersi, e mosse guerra, nella primavera di quest'anno, contro la
Navarra, per renderla, diceva egli, ad _Arrigo re_ fanciullo, il cui
padre _Giovanni_ era stato spogliato di quel regno, ma, come mostrarono
i fatti, per incorporarla nel suo dominio. Confessa il Guicciardini,
che a dar moto alle guerre che maggiori delle passate sconvolsero
poi non solo l'Italia, ma quasi tutta la Cristianità d'occidente,
fu il primo chi più degli altri sarebbe stato tenuto a conservar la
pace, e invece di accendere il fuoco della guerra, avrebbe dovuto,
se occorreva, procurare di spegnerlo col proprio sangue. Parla di
_papa Leone X_ che ruminando alti pensieri di gloria mondana, più
che agli affari della religione, agonizzante in Germania, pensando
all'ingrandimento temporale della Chiesa, non solamente moriva di
voglia di ricuperar Parma e Piacenza, e di torre Ferrara al _duca
Alfonso_, ma eziandio meditava conquiste nel regno di Napoli. Trattò
col re di Francia, incitandolo all'impresa di quel regno, con che ne
restasse una porzione in dominio della Chiesa. Confortò ancora esso
re a dar principio alla rottura, con portar le armi nella Navarra.
Fu preso quel regno dai Franzesi, ma in breve ancora ricuperato dagli
Spagnuoli. Altra guerra di lunga mano più terribile fu in Fiandra fra
que' due emuli monarchi, la quale, siccome non pertinente all'assunto
mio, tralascio.
Ossia che il pontefice camminasse con simulazione ne' trattati col
re Cristianissimo, e fosse dietro a burlarlo (che in quest'arte
si sa essere egli stato eccellente), oppure che il re, entrato
in sospetto della fede di lui, tardasse troppo a ratificar la
capitolazion già formata, ossia finalmente che il papa ricevesse in
questo mentre dei disgusti dall'insolenza del Lautrec governator
di Milano, che non ammetteva, e con superbe parole dispregiava le
provvisioni ecclesiastiche inviate da Roma nello Stato di Milano:
certo è che il papa strinse e sottoscrisse nel giorno 8 di maggio
una lega con _Carlo V imperadore_ a difesa della casa de' Medici e
de' Fiorentini, con istabilire che togliendosi ai Franzesi il ducato
di Milano, questo si desse a _Francesco Maria Sforza_, figliuolo del
fu _Lodovico il Moro_, il quale se ne stava tutto dimesso in Trento,
aspettando qualche buon vento alla povera sua fortuna; e che Parma e
Piacenza tornassero alla Chiesa, per possederle con quelle ragioni
colle quali le avea tenute innanzi; e che l'imperadore desse aiuto
al papa, per togliere Ferrara all'Estense, e uno Stato in regno di
Napoli ad _Alessandro_, figlio bastardo di _Lorenzo de Medici_, già
duca d'Urbino. Fu con gran segretezza maneggiata questa lega, in cui
entrarono anche i Fiorentini, e prima che uscisse alla luce, papa Leone
con ispesa di cinquanta mila ducati d'oro assoldò sei, altri dicono
otto mila Svizzeri, e colle sue doppiezze ottenne loro il passaggio
per lo Stato di Milano, facendo credere ai Franzesi di averli presi
per opporli agli Spagnuoli a' confini del regno di Napoli. Vennero
costoro a Modena, e poi s'inviarono verso il Po, per quivi imbarcarsi.
_Alfonso duca_ di Ferrara gran sospetto prese di questa gente, perchè,
come scrive l'Anonimo Padovano, troppo addottrinato alle insidie
private e pubbliche, colle quali era dal pontefice perseguitato; e
però fece quanti preparamenti potè in Ferrara per difendersi. Ma il
papa assicuratolo che ciò non era per nuocergli, dimandò il passo e
vettovaglia, e tutto ottenuto, gli Svizzeri si imbarcarono a Revere,
e a seconda del fiume andarono poi per mare a Ravenna, e di là nella
Marca. Dopo qualche tempo costoro o perchè attediati dal far nulla,
per cui poco guadagnavano, chiesero congedo, o perchè il papa scoprì
il lor capitano partigiano dei Franzesi, per la maggior parte se ne
tornarono a' lor paesi. Questo avvenne nel mese di marzo. Intanto si
andava unendo gente dal papa in Reggio, e colà ancora si ridussero
quasi tutti i fuorusciti dello Stato di Milano, ed arrivò dipoi anche
_Girolamo Morone_, gran manipolatore di tutti questi imbrogli. Perchè
era in Francia il _Lautrec_, il _signor dello Scudo_ suo fratello,
vicegovernatore, avvisato di quella tresca, si portò colà con
quattrocento cavalli a dimandar conto di quella adunanza, e nel dì 24
di giugno si presentò alla porta di Reggio. Il Guicciardini governatore
avea la notte innanzi fatto entrare in quella città un grosso corpo di
gente. Mentre parlava il governatore collo Scudo, volle cacciarsi in
città alcuno de' suoi uomini d'arme, e nacque un tumulto, per cui quei
che erano stesi per le mura, spararono contro la comitiva del Franzese.
Vi restò morto _Alessandro Trivulzio_, e gli altri se ne fuggirono. Lo
Scudo dopo varie inutili doglianze se n'andò anche egli. Si servì poi
papa Leone di questo pretesto per giustificare nel concistoro l'accordo
ch'egli avea già fatto coll'imperadore. Avvenne ancora in Milano nella
festa di San Pietro un formidabil caso, che fu preso dal volgo per
augurio e preludio della caduta de' Franzesi in Italia. Per fulmine, o
peraltro fuoco dell'aria, benchè fosse tempo sereno, la torre di quel
castello, dove si teneano i barili di polve da fuoco, andò in aria con
tal forza, che squarciò anche parte del muro, uccise e magagnò oltre a
ducento fanti, vari nobili milanesi che per sospetto erano stati chiusi
in quel castello, e portò lontano 25 piedi (e non già cinquecento, come
ha il Guicciardini) pietre, che dieci paia di buoi avrebbono stentato a
muovere. Trovavasi allora il Lautrec ritornato di Francia in Cremona;
corse a Milano, e diede gli ordini opportuni per riparare il castello
che era in altri siti ancora conquassato, e il fornì di tutto il
bisognevole.
Finalmente scoppiò, e si fece palese il bel servigio prestato
all'Italia da papa Leone, con tirarle addosso una nuova guerra mercè
della lega contratta con gli Svizzeri e coll'imperadore. Ne provarono
non lieve affanno i Veneziani, soli in Italia collegati colla Francia,
i quali assoldarono tosto otto mila fanti, con inviarne dipoi sul
bresciano cinque mila, e lancie quattro cento, e cavalli leggieri
cinque cento, sotto il comando di _Teodoro Trivulzio_ e di _Andrea
Gritti_ legato. Perchè sempre più s'ingrossava in Reggio l'armata
pontifizia il _Lautrec_ mandò a Parma ducento uomini d'armi, e quattro
mila fanti Guasconi comandati dal signor dello Scudo suo fratello,
e da _Federigo signor di Bozzolo_. Occupò dipoi Busseto, e tutto lo
Stato di _Cristoforo Pallavicino_, a cui tolse anche la vita, perchè
accusato d'intelligenza col papa. Fu fatto in quest'anno un tentativo
dagli Adorni e Fieschi, per cacciare di Genova _Ottavino Fregoso_ e i
Franzesi, tutto a sommossa del papa, che loro somministrò sette galee
di Napoli, e due delle sue; ma rimase sconcertato il loro disegno.
Ordito ancora un tradimento per occupar la città di Como, a nulla
giovò. Chiamò _papa Leone_ a Roma _Prospero Colonna_, il quale era
stato dall'imperadore molto prima creato suo generale, per concertar
seco la meditata impresa del ducato di Milano. Condusse eziandio
_Federigo marchese_ di Mantova con titolo di capitan generale della
Chiesa. Si fece a Bologna la massa delle genti pontificie e spagnuole;
e il Colonna che dovea, come capo, comandar quell'armata, dopo molti
dibattimenti s'inoltrò verso Parma, e incomincionne l'assedio nel mese
d'agosto, principalmente dalla parte verso Ponente. Giunsero ad unirsi
seco otto mila fanti tedeschi, venuti di Germania, e il marchese di
Mantova con trecento lancie e cinquecento cavalli ungheri. Talmente
giocarono le batterie, che i Franzesi giudicarono meglio di ritirarsi
dal Codiponte, cioè da quella parte della città, che è di là dal fiume
Parma. Grande allegrezza fecero quegli abitanti al vedersi ritornati
sotto il dominio ecclesiastico. Ma cessò ben presto la loro festa,
perchè entrati i soldati diedero anch'essi con festa grande il sacco
a tutte le lor case. L'Anonimo Padovano scrive che vi commisero le
maggiori scelleratezze del mondo, e che il Colonna fece impiccar quanti
fanti erano penetrati in un monistero di monache. Si diedero poscia i
collegati a maggiormente stringere e bombardare l'altra maggior parte
della città, posta al levante, e l'aveano ridotta a tale per iscarsezza
di vettovaglie, che n'era vicina la caduta. Tempestava _lo Scudo_ il
_signor di Lautrec_ suo fratello, per ottenere soccorso. Ma questi
assai lentamente procedeva, e con tutto che avesse una buona armata,
composta di cinquecento lancie, sette mila Svizzeri, quattro mila
fanti venuti poco fa di Francia, a' quali s'aggiunsero quattrocento
uomini d'arme, e quattro o cinque mila fanti de' Veneziani; pure non
si attentava a procedere innanzi, allegando che l'armata nemica era
superiore di forze, e che conveniva aspettar sei mila Svizzeri che
erano in viaggio per suo aiuto. Nulla di meno s'inoltrò finalmente sino
al Taro, sette miglia da Parma: movimento, di cui niuna apprensione
si misero gli assedianti. Ma eccoli un accidente che disturbò tutte
le loro misure. Era stato fin qui paziente _Alfonso duca_ di Ferrara,
mostrando di non conoscere l'odio che avea contra di lui _papa
Leone X_, e dissimulando le passate insidie. Venuto poi in chiaro
d'essere stato abbandonato alle voglie d'esso pontefice, nella lega
fatta coll'imperadore, e mirando il mal incamminamento degli affari
de' Franzesi unico uno sostegno, giudicò meglio di non tenersi più
neutrale. Però colle milizie che potè raunare, uscito di Ferrara, entrò
nel Modenese, prese il Finale, San Felice, e colle scorrerie arrivava
sino alle porte di Modena. Recato questo avviso al campo de' collegati,
bastò a far ch'essi, trovandosi fra due fuochi, spedissero in soccorso
di Modena il _conte Guido Rangone_, e poi sciogliessero l'assedio di
Parma, con ritirarsi a San Lazzaro: il che diede comodità al Lautrec di
ben fornire quella città di viveri e d'ogni altra munizione.
Aveva intanto il papa fatto assoldare dal _cardinale di Sion_, chi
dice dodici, chi dieci mila Svizzeri, ed altri dicono anche meno,
e questi calavano in Italia, quantunque protestassero di non voler
combattere co' Franzesi, per essere con loro in lega. _Prospero
Colonna_ adunque determinò di tentare ogni via per unirsi con loro,
siccome all'incontro andò il Lautrec a frapporsi, per impedir questa
unione. Allora che, passato il Po, fu egli giunto a Casal Maggiore,
colà comparve il _cardinal Giulio de Medici_, spedito dal papa con
titolo di legato, acciocchè, come uomo di testa, acquetasse colla sua
destrezza le discordie insorte fra i generali, e spezialmente fra il
_Colonnese_ e il _marchese di Pescara_, e desse calore alla impresa.
Tentò più volte il Lautrec di tirare a battaglia l'esercito de'
collegati, ma il saggio Prospero andò temporeggiando, che in fine a
- Parts
- Annali d'Italia, vol. 6 - 01
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