Annali d'Italia, vol. 6 - 21
volta andò in fascio l'affare per le differenti pretensioni di tante
teste. Prima che terminasse l'anno presente, con tuttochè, a cagion
d'esso trattato, fosse seguita sospension d'armi, fu preso dai Tedeschi
Marano, castello quasi inespugnabile nel Friuli. Per ricuperarlo fu
spedito colà dai Veneziani un picciolo esercito, ma che restò rotto
con istrage di molti, e colla perdita delle artiglierie. In Lombardia
_Prospero Colonna_, divenuto generale dell'esercito del duca di Milano,
andò a mettere l'assedio a Crema al dispetto del verno ben rigoroso.
Dentro v'era _Renzo da Ceri_, che fece delle maraviglie di valore, con
rompere più volte i nemici, e far prigioni e prede; e condusse così ben
l'impresa, che fu necessitato il Colonna a lasciar in pace quella terra
nell'anno seguente. Durante esso verno occuparono i Tedeschi anche
Sacile e Feltre e misero di nuovo a ferro e fuoco la misera patria
del Friuli. Delle guerre fatte in questi tempi dal re d'Inghilterra e
dagli Svizzeri contra al re di Francia, per le quali il re Lodovico non
potè accudire all'Italia, e della guerra mossa dal re di Scozia contro
gl'Inglesi, siccome avventure non pertinenti all'assunto mio, niuna
menzione farò io, dovendo i lettori curiosi prenderne informazione da
altre storie.
Anno di CRISTO MDXIV. Indizione II.
LEONE X papa 2.
MASSIMILIANO I re de' Romani 22.
Ancorchè durasse la discordia fra tanti principi cristiani, e
continuasse anche la guerra in Italia, pure nell'anno presente non
si contarono avvenimenti sì strepitosi, come ne' precedenti. Ai tanti
infortunii patiti fin qui dalla veneta repubblica, se ne aggiunse uno
gravissimo nel dì 13 di gennaio. Circa un'ora di notte attaccatosi,
o per inavvertenza o per malizia degli uomini il fuoco in Rialto
a una bottega di telerie, questo, a cagione d'un gagliardo vento
che soffiava, sì fieramente si dilatò, che in poco tempo bruciò la
parte più ricca e frequentata di Venezia, perchè piena di drapperie,
argenterie e d'ogni altra sorta di merci preziose; calcolandosi che
circa due mila tra botteghe e case col fondaco de' Tedeschi restassero
preda del furioso incendio. Seguitava intanto la guerra nel Friuli,
dove _Cristoforo Frangipane_ e il _capitan Rizzano_ con mille cavalli
e cinque mila fanti tedeschi assediarono e bombardarono Osopo, castello
fortissimo. In tre assalti che gli diedero, vi perderono circa mille e
cinquecento persone. _Girolamo Savorgnano_, che difendea quella rocca,
s'era infine ridotto con soli ventiquattro uomini, essendo perito
il resto di sua gente; e però fece sapere a Venezia la necessità di
rendersi, qualora non gli venisse soccorso. Allora il senato ordinò
all'_Alviano_ di portarsi colà il più segretamente che potesse,
quantunque il vicerè Cardona fosse tuttavia ad Este e a Monselice,
e le di lui soldatesche facessero di tanto in tanto delle scorrerie
sino alle porte di Padova. Andò l'Alviano alla sordina (era il mese di
marzo) con un buon corpo di gente, e giunto a Sacile, spinse _Malatesta
Baglione_ contro il capitan Rizzano, che restò prigione. Sconfitti i
Tedeschi del suo seguito, si salvarono a Pordenone; ma poco stette a
comparir colà l'Alviano e a piantar le artiglierie. Terminò la faccenda
colla presa e col sacco dell'infelice castello, e colla strage di
tutti i difensori. Questo colpo fece ritirare in fretta il Frangipane
dall'assedio d'Osopo; laonde l'Alviano se ne tornò trionfante a Padova.
Perchè premeva non poco ai Veneziani di ricuperar Marano, castello
di molta importanza, fu spedito colà il Savorgnano con gente assai,
che cominciò a bersagliarlo colle batterie: nella quale occasione
a Giovanni Vetturi riuscì in un aguato di far prigione lo stesso
Frangipane, gran nemico della repubblica, e d'inviarlo nelle carceri
di Venezia. Ma, sciolto che fu questo assedio, anche il Vetturi, colto
in un'imboscata dai Tedeschi, restò prigione con cento de' suoi. Andò
poscia il vicerè con tutto il campo spagnuolo addosso a Cittadella, e,
formata la breccia, fece dare, nel dì 27 di giugno, un fiero assalto,
per cui restò preso e saccheggiato quel castello, e i soldati e
cittadini tutti fatti prigioni.
In questi tempi, venuta meno la vettovaglia al castello di Milano,
fu forzato a capitolare la resa, e il presidio franzese libero venne
condotto sino ai monti. Da lì a pochi giorni altrettanto fece il
castello di Cremona: il che quanta letizia recò al duca di Milano,
altrettanto scemò la riputazion de' Francesi in Italia. Restava in
lor potere la sola creduta inespugnabil fortezza della Lanterna,
presso a Genova; ma, per mancanza di viveri, fu anche essa astretta
nel dì 26 d'agosto a rendersi ai Genovesi, che per più mesi l'aveano
tenuta assediata; nè tardarono a spianarla sino a' fondamenti: con
che parve tolta affatto ogni apparenza che i Franzesi avessero più
a comparir in Italia: il che diede non poco affanno alla repubblica
veneta, restata sola contro a tanti nemici, ma che nondimeno giammai
non invilì, nè volle consentire a proposizione alcuna di pace, per cui
avesse da cedere alcuna delle città a lei tolte in terra ferma. Pure
con tutte queste peripezie il _re Luigi XII_ più che mai si sentiva
acceso della costante brama di ricuperare lo Stato di Milano. E però,
dappoichè con paci, tregue e parentadi ebbe acconci i suoi interessi
coi re d'Inghilterra e d'Aragona, che gli aveano date delle disgustose
lezioni in varii fatti di arme, si diede tutto a nuovi preparamenti di
gente d'arme, d'artiglierie e munizioni, risoluto di calar di nuovo in
Italia nello anno seguente. Fu in quest'anno fatta una specie di blocco
dall'armi del duca di Milano comandate da _Silvio Savello_ all'insigne
terra di Crema. Dentro v'era la peste, la guarnigione senza paghe e
gran carestia di viveri, per modo che _Renzo da Ceri_, ivi comandante,
omai diffidava di potersi sostenere. Pure, siccome persona di mirabil
senno ed attività, nel dì 25 d'agosto uscito all'improvviso addosso ai
nemici, li mise in rotta; e fama fu che il Savello vi perdesse trecento
fanti e quattrocento cinquanta cavalli uccisi, oltre ad altrettanti
rimasti prigioni. Fu poi rifornita Crema di vettovaglia da' Veneziani,
e il _conte Niccolò Scotto_ v'introdusse mille e cinquecento fanti.
Animato da questo rinforzo il valoroso Renzo da Ceri, uscì una notte di
Crema, e all'improvviso comparve a Bergamo, e v'entrò senza contrasto,
essendo fuggiti que' pochi Spagnuoli che v'erano di presidio, nella
Cappella, fortezza sopra il monte. Diedesi egli immantenente a far
bastioni ed altri ripari, con risoluzion di difendere di nuovo quella
città. Avvisati di ciò il _duca di Milano_ e il _vicerè Cardona_,
che stava nel Polesine di Rovigo, affinchè Renzo maggiormente ivi
non si afforzasse, si affrettarono per isloggiarlo di là. Andò lo
stesso vicerè con un corpo di gente e molta artiglieria colà, ed,
unitosi con _Prospero Colonna_ generale dell'armi duchesche, cominciò
aspramente a percuotere le mura di quella città. Ma quanto danno si
faceva il giorno, la notte veniva con tagliate e nuove fortificazioni
riparato dall'indefesso Renzo, il quale non lasciava di far anche delle
sortite con grave incomodo degli assedianti. Per segreti messi gli
faceva intanto sapere lo _Alviano_ che si difendesse, perchè farebbe
tal diversione, che il vicerè sarebbe astretto a ritirarsi. Tentò
infatti Verona, ma senza frutto. Quindi sollecitamente, passato verso
la nobil terra di Rovigo, spinse innanzi Baldassare di Scipione con
secento cavalli, che nel dì 19 di novembre trovati gli Spagnuoli senza
guardia, quasi tutti li fece prigioni od uccise; e furono cento uomini
d'arme, ducento cavalli leggeri e cinquecento fanti. Sopraggiunto poi
esso Alviano, la misera terra andò tutta a sacco. Questo colpo fece
scappare in fretta da Lendenara e dalla Badia quanti Spagnuoli si
trovavano in quelle terre. In questo mentre Renzo da Ceri, lusingato
sempre dalla speranza che l'Alviano il soccorresse, avea consumata
buona parte di sue genti nella difesa di Bergamo. Conosciuto poi
disperato il caso, capitolò la resa, se in termine d'otto giorni non
veniva soccorso, con patto che la città fosse salva dal sacco, e che
uscissero i suoi soldati con armi e bagaglio, ma senza poter entrare
in Crema per lo spazio di sei mesi. Spirati gli otto giorni senza
che comparisse soccorso alcuno, fu presa dal vicerè e dal Colonna la
tenuta della città, ma città bersagliata da infinite sciagure, perchè
condannata anche in questa occasione allo sborso di ottanta mila ducati
d'oro. Tornato poscia il vicerè a Verona, ed uscito in campagna contro
l'armata dell'Alviano, tal terrore ad essa recò, che come in rotta
si ritirarono i Veneziani a Padova, con perdita di molti cavalli. La
dirotta pioggia e le strade piene di fango impedirono agli Spagnuoli di
più ottenere nell'anno presente.
Quali fossero in tempi di tante discordie i maneggi e raggiri di
_papa Leone_, chiunque bramasse d'esserne pienamente informato, dee
ricorrere al Guicciardino, storico provveduto di un buon microscopio,
per discernere le simulazioni e dissimulazioni della politica mondana
de' principi, nella quale certamente eccellenti furono in questi
tempi esso _pontefice_ e _Ferdinando il Cattolico_ re d'Aragona e
delle Due Sicilie. Ebbe esso pontefice, mentre continuava ancora
il concilio lateranense, la consolazion di vedere affatto estinto
lo scisma de' Franzesi, cominciato col conciliabolo pisano. Nel
dì 12 di marzo ricevette ancora con gran pompa gli ambasciatori di
_Emmanuello re_ di Portogallo[387]. Condussero essi, oltre ad altri
preziosi regali, in dono al papa un superbo elefante, che riempiè di
maraviglia il popolo romano, concorso a folla per mirare un animale
strano agli occhi loro, ma sì familiare agli antichi Romani. Giunta
questa bestia davanti alla finestra, dove era assiso il papa, tre
volte s'inginocchiò, ubbidendo a chi lo avea così ammaestrato. Poi da
un tino d'acqua preparata ne tirò colla sua tromba o proboscide una
buona quantità, con cui asperse chi si trovava anche nelle finestre
più alte, e molto più ne spruzzò sopra la circostante plebe. Perchè
ancora a quel re era noto come il pontefice, senza gran cura della
sua dignità, si dilettasse della caccia, gl'inviò in dono una pantera,
avvezzata a quell'esercizio; e fattane la pruova, quante bestie le si
affacciarono, tutte in breve tempo le strozzò. Attendeva intanto papa
Leone, come si ha dal suddetto Guicciardino e dall'autore della Lega di
Cambrai, a coprir le segrete sue intenzioni, con deludere or questo,
or quello de' principi, essendo la general mira di seminar fra loro
la mala intelligenza, e di persuadere a cadauno la sua predilezione,
per desiderio di rendersi arbitro degli affari. Ma l'aver egli inviato
a Venezia il celebre _Pietro Bembo_ per istaccare quella repubblica
dall'alleanza coi Franzesi, senza però poterla smuovere, fece infine
capire al _re Lodovico_ che capitale avesse egli a fare delle belle
proteste di questo pontefice. Peggio intervenne ad _Alfonso duca_
di Ferrara. Dopo aver questi assistito alla coronazion di questo
papa, se ne tornò a casa sua carico di carezze e di promesse quante
ne volle. Insisteva il duca perchè gli fosse restituita la città di
Reggio, indebitamente occupata a lui da _papa Giulio II_ contro la
fede obbligata nel salvocondotto. Era disposto Leone a restituirla; ma
questo benedetto giorno non arrivava giammai[388]. Dopo grandi maneggi
si lasciò indurre il duca nel dì 15 di giugno a spogliarsi del diritto
di far sale nella città di Comacchio, della quale la casa d'Este per
tanti anni era stata, ed è tuttavia, investita dai soli imperadori; ma
_senza pregiudizio della cesarea maestà, e non altrimenti, nè in altro
modo_, come canta quella convenzione. Oltre allo essere stati annullati
tutti i processi di papa Giulio, promise il papa di restituire ad esso
duca in termine di cinque mesi Reggio. Ma questi cinque mesi nel cuor
di papa Leone doveano essere cinquecento mesi, perciocchè non solamente
mai non volle rendere quella città al duca, ma due giorni appena
dopo la convenzione suddetta stipulò coi ministri di _Massimiliano
Cesare_ la compera (salvo il gius della ricupera) della imperial città
di Modena pel prezzo di quaranta mila ducati d'oro, contati a quel
monarca, sempre ansioso e sempre bisognoso di pecunia, e che nulla badò
a commettere una sì patente ingiustizia in pregiudizio di un vassallo
che nulla avea operato contra del sacro romano imperio. Fruttava questa
città di sole rendite annue altrettanta somma. Troppo stava sul cuore
al pontefice l'acquisto di Modena, per aver libero il passaggio e la
comunicazione colle città di Reggio, Parma e Piacenza, che erano già
in suo potere. Gli occulti fini nondimeno d'esso papa non terminavano
qui, come osserva il Guicciardino. Imperciocchè, se non il primo,
certo uno de' principali pensieri di Leone era quello d'ingrandire
la propria casa de Medici, e non già con allodiali o feudi minori,
ma con di que' principati e Stati, che partecipano della sovranità,
spogliandone i legittimi possessori. Questa malattia l'abbiam trovata
in altri precedenti papi, ma specialmente comparve dipoi in esso Leone
X e in Clemente VII, amendue della stessa casa, che, per ottenere
quest'intento, impiegarono senza misura i tesori della Chiesa, e fecero
o fomentarono più guerre fra i popoli battezzati. Tale certo non era
la intenzione di Dio, allorchè li pose sulla cattedra di san Pietro,
e li costituì pastori del gregge suo. Avea papa Leone _Giuliano_ suo
fratello, avea _Lorenzo_ figlio di _Pietro Medici_ che era suo nipote,
e continuamente pensava ad innalzarli. Poichè quanto a _Giulio_ suo
cugino, figlio di _Giuliano_ ucciso nella congiura de' Pazzi, che
fu poi _papa Clemente VII_, benchè dal Nardi, dal Guicciardino, dal
Varchi, dal Panvinio e da altri si sappia essere egli nato fuori di
matrimonio, Leone l'avea creato cardinale nell'anno precedente. Le idee
di esso papa Leone erano di formare per _Giuliano_ un principato di
Modena, Reggio, Parma e Piacenza, e, se gli veniva fatto, d'aggiugnervi
anche Ferrara. Fu eziandio creduto che trattasse col re di Francia
di acquistare il regno di Napoli o per la Chiesa, oppure pel suddetto
suo fratello, già creato prefetto di Roma, e generale e gonfaloniere
della santa romana Chiesa. Qual esito avessero i suoi grandiosi disegni
l'andremo a poco a poco vedendo.
NOTE:
[387] Orosius, de Rebus Emanuelis regis.
[388] Antichità Estensi, tom. 2. Piena Esposizione dei diritti
imperiali ed estensi sopra Comacchio.
Anno di CRISTO MDXV. Indizione III.
LEONE X papa 3.
MASSIMILIANO I re de' Romani 23.
Funesto principio ebbe l'anno presente, perchè nello stesso primo
giorno di gennaio mancò di vita _Lodovico XII re_ di Francia per
infermità, comunemente creduta cagionata dal recente matrimonio colla
sorella del re d'Inghilterra di età d'anni diciotto, quando egli era
giunto ai cinquanta quattro anni, e prometteva ben più lunga vita. Fu
assai compianta la di lui perdita, perchè s'era acquistato il titolo
di padre de' suoi popoli, elogio il più glorioso d'ogni altro, ma che
per disavventura miriamo assai raro in tutti i tempi. Ora favorito
dalla prospera, ed ora battuto dall'avversa fortuna, era non di meno in
tal maniera risorto, che di gran cose tuttavia promettea, se la morte
non avesse troncato il filo di sua vita e delle sue speranze. Ma si
consolarono in breve i Franzesi, perchè a lui succedette _Francesco
I_ conte di Angolemme, il più prossimo del regal sangue maschile
secondo le leggi o le consuetudini di quel regno; giacchè Lodovico
non lasciò dopo di sè se non due femmine, cioè _Claudia_, sposata
ad esso Francesco nel dì 18 maggio dell'anno precedente, e _Renea_,
ch'era stata bensì in un trattato del dì 24 di marzo dello stesso
anno promessa a _Carlo_, nipote di _Massimiliano re de' Romani_, che
fu poi il glorioso Carlo V Augusto, ma divenne col tempo moglie di
_Ercole II d'Este_ principe e susseguentemente duca di Ferrara. Si
trovava il nuovo re Francesco in età di soli ventidue anni, principe
di gran mente, pieno di spiriti guerrieri, e sommamente avido di
gloria. Con gli altri suoi titoli unì egli tosto ancor quello di
duca di Milano, con tutto che sui principii occultasse la voglia di
ricuperar quel ducato, affine di assodar prima gli interessi suoi co'
potentati vicini. Confermò la lega col _re d'Inghilterra_, e poscia
colla _repubblica veneta_; ma nulla di pace potè ottenere nè da
_Massimiliano Cesare_, nè da _Ferdinando il Cattolico_ re d'Aragona, nè
dagli _Svizzeri_, e meno da _papa Leone_, il quale andava barcheggiando
in questi tempi, sempre nondimeno con animo contrario a' Franzesi,
qualora volessero tentar di nuovo la conquista dello Stato di Milano.
In effetto essi re de' Romani e di Aragona, il duca di Milano, gli
Svizzeri e Fiorentini contrassero lega fra loro in questi tempi colla
mira di opporsi ai Franzesi, lasciato luogo d'entrarvi al papa, il
quale volea giocare a carte sicure. Avea nondimeno esso pontefice nel
dì 9 di dicembre del precedente anno fatta una particular lega coi
medesimi Svizzeri[389], confidando più in essi che in altra potenza per
la difesa del ducato di Milano. Inoltre fu da lui procurato nell'anno
antecedente un accasamento nobilissimo a _Giuliano_ suo fratello,
con avergli ottenuta per moglie[390] _Filiberta_ figlia di _Filippo
duca di Savoia_, e prossima parente, dice lo scrittor della Lega di
Cambrai, ma dovea dire sorella di _Luisa_ madre del sopraddetto re di
Francia _Francesco I_. Tale era ne' tempi presenti la potenza de' sommi
pontefici, che niuno de' gran principi si sdegnava di far parentado con
loro. Nel mese di febbraio si effettuò questo matrimonio, e sì suntuoso
e magnifico fu il ricevimento di questa principessa in Roma, che il
papa vi spese più di cento cinquanta mila ducati d'oro, come si ricava
dalle lettere del Bembo. Altre grandi feste s'erano fatte in Torino,
dove lo sposo si fermò per un mese; e similmente in Firenze, dove
ognuno o per amore o per timore gareggiava ad onorare ed esaltare la
casa de Medici.
Ardeva intanto di voglia il re Francesco di calare in Italia, e
cominciò a non essere più un segreto questo suo disegno: tanto grande
era la massa di gente armata ch'egli facea. L'autore della Lega di
Cambrai scrive, aver egli accresciuto il numero delle lancie, ossia
degli uomini d'arme, sino a quattromila; il che, secondo esso storico,
facea quasi venti mila combattenti a cavallo. Merita esame questa
asserzione, perchè non era molto in uso che un uomo d'arme conducesse
seco cinque cavalli e quattro armati di suo seguito. Scrive l'Anonimo
Padovano ch'esso re inviò il _signor di Lautrec_ con cinquecento
lancie e cinque mila fanti a' confini della Guascogna, per opporsi ai
tentativi del re Cattolico; e il _Tremoglia_ in Borgogna con un altro
corpo di gente, e _Gian-Jacopo Trivulzio_ con quattrocento lancie in
Provenza, per vegliare ai movimenti degli Svizzeri, a' quali premeva
troppo la conservazion dello Stato di Milano, dacchè aveano imparato
a succiar tutto il sangue de' popoli di quella contrada. Oltre ad
otto mila fanti e tre mila guastatori suoi sudditi, avea parimente
il re Francesco presi al suo soldo diciotto oppur ventidue mila fanti
tedeschi sotto varii capitani; e _Pietro Navarro_ celebre capitano, che
s'era ritirato dal servigio del re Cattolico, avea arrolati altri dieci
mila fanti, che l'autor della Lega fa tutti Biscaini, ma, l'Anonimo
Padovano scrive, essere stati sei mila Guasconi e quattro mila
Italiani. Per la impresa d'Italia scelse due mila e cinquecento uomini
d'arme e tre mila cavalli leggeri da unirsi alla copiosissima fanteria.
Il primo buon colpo che fece sulle prime il re Francesco, fu di tirar
dalla sua _ Ottaviano Fregoso_ doge di Genova, il quale, avendo fin
qui finto un grande attacamento ai collegati, e trovando vacillante
il suo Stato per la nemicizia degli Adorni e dei Fieschi, s'accordò
segretamente con esso re Cristianissimo. Ma troppo frettolosamente fu
fatto da lui questo passo; imperocchè trapelato il suo maneggio, e già
scesi in Lombardia sei mila Svizzeri che si unirono alle milizie del
duca di Milano, _Prospero Colonna_ generale del duca marciò alla volta
di Genova, avendo seco gli Adorni e i Fieschi. Avea bene il Fregoso
ammassati cinque mila fanti per sua difesa; ma, diffidando di potersi
sostenere con sì lievi forze, ricorse al papa suo gran protettore,
il quale, prestando fede alle di lui proteste, non tardò a spedire un
suo oratore al Colonna con ordine d'intimargli di non proceder oltre
contra del Fregoso, minacciando, in caso di contravvenzione (oh questa
è bella!), le pene spirituali e temporali. Fu cagione una tal sinfonia
che il Colonna, per non irritare il papa, venisse ad una convenzione
col Fregoso, per cui questi si obbligò di non favorire i Franzesi;
e sborsata gran quantità di danaro, che sempre era l'unico mezzo per
quetare gli Svizzeri, fu lasciato in pace. Ciò fatto, volò il Colonna
in Piemonte, per contrastare il passo ai Franzesi, quali già erano
con grandi forze giunti in Delfinato e in Provenza, ed aveano anche
preparata in Marsilia un'armata navale.
In questi tempi non istava in ozio la _repubblica veneta_, incoraggita
dall'imminente venuta de' Franzesi suoi collegati. Rinforzata il più
che potè la sua armata, giacchè era non lieve gara e mal animo fra
l'_Alviano_ e _Renzo da Ceri_, perchè l'ultimo facea continue querele,
quasi che l'altro l'avesse tradito con abbandonarlo, allorchè avvenne
l'assedio di Bergamo, prese la risoluzion di separarli. Dichiarato
dunque Renzo generale della fanteria, l'inviò segretamente con molte
schiere alla volta di Crema, dove in tre giorni felicemente arrivò.
Intanto il _vicerè Cardona_, formato un esercito di mille lancie,
di ottocento cavalli leggieri e di otto mila ottimi fanti, con un
buon treno d'artiglieria s'incamminò a Vicenza, dove soggiornava
l'Alviano, il quale, non volendo aspettare questa visita, si ritirò
tosto alle Brentelle: laonde entrarono gli Spagnuoli in quella misera
città, correndo il mese di giugno, e vi commisero dei gran rubamenti.
Quanto frumento quivi si trovò, fu inviato a Verona; quanto ancora
poterono estrarne dal Polesine di Rovigo, lo condussero a quella città.
Terribile era l'apparato delle armi in questi tempi. Trovavasi alle
porte d'Italia una potente armata di Franzesi, più potente di gran
lunga per la presenza di un re guerriero ed armato. All'incontro, sino
al numero di trenta mila era cresciuto l'esercito degli Svizzeri,
che con _Prospero Colonna_ e colle truppe duchesche unito andò a
postarsi a Susa, a Pinerolo e ad altri siti. per dove poteano tentar
di sboccare i Franzesi. Fu d'uopo al _duca Massimiliano_ di mandare
un corpo di milizie a Cremona, per tenere in freno _Renzo da Ceri_, il
quale da Crema facea frequenti scorrerie sino alle porte d'essa città.
In questo mentre giunse a Piacenza _Lorenzo de Medici_, nipote del
papa, e generale de' Fiorentini, con cinquecento lancie, altrettanti
cavalli leggieri e sei mila fanti spediti da Firenze. Pervenuto
parimente a Bologna _Giuliano de Medici_ fratello del pontefice con tre
mila cavalli ed altrettanti fanti, gente papalina, inviò tosto alla
guardia di Verona ducento uomini d'arme. Anche il _vicerè Cardona_
coll'esercito suo andò ad unirsi co' Fiorentini a Piacenza. Era sul
principio d'agosto, e allora fu che si pubblicò in Roma, Napoli ed
altre città la lega conchiusa fra il _papa_ (stato fin qui fluttuante
ed ascoso), _Massimiliano re dei Romani_, _Ferdinando re_ d'Aragona,
_Firenze_, _Milano_ e _Svizzeri_. Nulla di questo potè ritenere i passi
dell'ardente re Cristianissimo, e molto meno un'ambasciata del _re
inglese_, che cercò di dissuaderlo da questa impresa. Spedì egli per
mare il signor della Clieta, ossia Aymar di Prie, con ducento cavalli
e cinque mila fanti, che, giunto a Savona, subito ebbe ubbidienza da
quella città. A questa nuova, l'astuto _Ottaviano Fregoso_ spedì tosto
chiedendo soccorso al duca di Milano e alla lega. E perchè questo non
venne, fingendo di non potersi difendere, ammise nel porto e nella
città i Franzesi, inalberando le loro insegne, con prendere da lì a
poco guarnigione del re di Francia. Rinforzato poi questo picciolo
esercito dalle genti del Fregoso, passò ad Alessandria e a Tortona, e
senza difficoltà se ne impadronì, tuttochè il vicerè avesse mandato un
buon numero di fanti e cavalli al Castellazzo. Anche Asti venne dipoi
alle loro mani.
Erasi già partito da Este _Bartolomeo d'Alviano_ coll'esercito veneto,
ed entrato nel serraglio di Mantova. Appena gli arrivò la nuova dello
sbarco fatto dai Franzesi a Genova, che passò sul Cremonese, dove diede
il sacco a più terre, e massimamente alla ricca terra di Castello
Lione. Quindi, accostatosi a Cremona, senza spargimento di sangue
l'occupò, e ne prese il possesso a nome del re di di Francia. Secondo
l'Anonimo Padovano, corse allora voce che il duca di Misano, chiuso
nel castello di quella città, lenza lasciarsi vedere, costernato da sì
brutti principii, e dal timore di peggio, uscisse di sè. Ma in simili
contrattempi facile è che nascano nel volgo siffatte immaginazioni.
Immense difficoltà provava intanto l'armata franzese a trovar la
via per penetrare in Italia, essendo presi i più importanti passi
dalla Svizzera che vantava di voler fare prodezze incredibili per
frastornare i disegni dei Franzesi. Un gran pezzo è che quelle barriere
d'alti monti e di scoscesi valloni si credono posti dalla natura per
impedir con facilità l'ingresso in Italia, purchè vi stia un'armata
alla guardia. Pure tante volte s'è veduto, ed anche ai dì nostri, che
non basta un sì orrido baluardo a trattener gli oltramontani, purchè
superiori di forze, che non vengano a visitarci. Ciò anche allora
avvenne. Il maresciallo Trivulzio, pratico di quelle aspre montagne,
tanto andò girando, che, adocchiato il sito dove è il castello,
dell'Argentiera, e dove nasce la Stura che va a Cuneo, siccome ancora
il Colle dell'Agnello: quivi fissò che potesse trovarsi il varco nel
Piemonte. Il Giovio egregiamente descrive le immense fatiche durate da'
Franzesi per passare, ed anche con artiglierie, per quella parte, per
cui giunsero alle pianure di Saluzzo; mentre gli Svizzeri, accampati
tanto lungi verso Susa, li stavano aspettando per farne un sognato
macello. Era andato _Prospero Colonna_ generale del duca di Milano
con molte squadre a Villafranca, sette miglia lungi da Saluzzo, e con
varii uffiziali se ne stava nel dì 15 d'agosto saporitamente desinando,
quando all'improvviso ecco con una marcia sforzata giugnere colà il
_Palissa_ coll'_Aubigny_ e circa mille cavalli, che fece prigione
lui, _Cesare Feramosca, Pietro Margano_ ed altri capitani illustri, e
svaligiò la gente loro. Non piccolo sfregio recò alla riputazion del
Colonna l'essersi lasciato cogliere in quella positura, per non aver
tenute spie e guardie avanzate, con altre precauzioni usate da' saggi
condottieri d'armate. Fama fu che il bottino fatto da essi Franzesi
ascendesse a cento cinquanta mila scudi. Calò intanto per varie strade
l'esercito franzese, e andò a riunirsi a Torino, dove il _re Francesco_
fu magnificamente accolto da _Carlo III duca_ di Savoia.
Già gli Svizzeri aveano veduto andar a monte tutte le loro speranze e
braverie; e, riflettendo poscia allo scacco patito dalla cavalleria di
Prospero Colonna, in cui confidavano, per essere eglino senza cavalli;
e sentendo che l'Alviano, passato l'Adda, s'era impossessato di Lodi;
e che veniva il corpo de' Franzesi e Genovesi da un'altra parte:
dopo aver dato il sacco a Chivasso (e fu detto anche a Vercelli), si
ritirarono verso il Milanese. Tuttavia si fermava a Piacenza l'esercito
spagnuolo col pontificio e fiorentino; ma con poca armonia, perchè
_papa Leone_, che navigava sempre con due bussole, avea spedito un
suo familiare al re Cristianissimo, per iscusare il movimento delle
sue armi, e le lettere sue intercette dal vicerè Cardona aveano fatto
nascere molta diffidenza fra loro. Nulla di meno mostrava esso Cardona
di voler pure uscir in campagna, per unirsi cogli Svizzeri; se non
che l'Alviano dalla parte di Lodi coi Veneziani, e il signor della
Clieta colle brigate sue e dei Genovesi da un'altra parte pareano
teste. Prima che terminasse l'anno presente, con tuttochè, a cagion
d'esso trattato, fosse seguita sospension d'armi, fu preso dai Tedeschi
Marano, castello quasi inespugnabile nel Friuli. Per ricuperarlo fu
spedito colà dai Veneziani un picciolo esercito, ma che restò rotto
con istrage di molti, e colla perdita delle artiglierie. In Lombardia
_Prospero Colonna_, divenuto generale dell'esercito del duca di Milano,
andò a mettere l'assedio a Crema al dispetto del verno ben rigoroso.
Dentro v'era _Renzo da Ceri_, che fece delle maraviglie di valore, con
rompere più volte i nemici, e far prigioni e prede; e condusse così ben
l'impresa, che fu necessitato il Colonna a lasciar in pace quella terra
nell'anno seguente. Durante esso verno occuparono i Tedeschi anche
Sacile e Feltre e misero di nuovo a ferro e fuoco la misera patria
del Friuli. Delle guerre fatte in questi tempi dal re d'Inghilterra e
dagli Svizzeri contra al re di Francia, per le quali il re Lodovico non
potè accudire all'Italia, e della guerra mossa dal re di Scozia contro
gl'Inglesi, siccome avventure non pertinenti all'assunto mio, niuna
menzione farò io, dovendo i lettori curiosi prenderne informazione da
altre storie.
Anno di CRISTO MDXIV. Indizione II.
LEONE X papa 2.
MASSIMILIANO I re de' Romani 22.
Ancorchè durasse la discordia fra tanti principi cristiani, e
continuasse anche la guerra in Italia, pure nell'anno presente non
si contarono avvenimenti sì strepitosi, come ne' precedenti. Ai tanti
infortunii patiti fin qui dalla veneta repubblica, se ne aggiunse uno
gravissimo nel dì 13 di gennaio. Circa un'ora di notte attaccatosi,
o per inavvertenza o per malizia degli uomini il fuoco in Rialto
a una bottega di telerie, questo, a cagione d'un gagliardo vento
che soffiava, sì fieramente si dilatò, che in poco tempo bruciò la
parte più ricca e frequentata di Venezia, perchè piena di drapperie,
argenterie e d'ogni altra sorta di merci preziose; calcolandosi che
circa due mila tra botteghe e case col fondaco de' Tedeschi restassero
preda del furioso incendio. Seguitava intanto la guerra nel Friuli,
dove _Cristoforo Frangipane_ e il _capitan Rizzano_ con mille cavalli
e cinque mila fanti tedeschi assediarono e bombardarono Osopo, castello
fortissimo. In tre assalti che gli diedero, vi perderono circa mille e
cinquecento persone. _Girolamo Savorgnano_, che difendea quella rocca,
s'era infine ridotto con soli ventiquattro uomini, essendo perito
il resto di sua gente; e però fece sapere a Venezia la necessità di
rendersi, qualora non gli venisse soccorso. Allora il senato ordinò
all'_Alviano_ di portarsi colà il più segretamente che potesse,
quantunque il vicerè Cardona fosse tuttavia ad Este e a Monselice,
e le di lui soldatesche facessero di tanto in tanto delle scorrerie
sino alle porte di Padova. Andò l'Alviano alla sordina (era il mese di
marzo) con un buon corpo di gente, e giunto a Sacile, spinse _Malatesta
Baglione_ contro il capitan Rizzano, che restò prigione. Sconfitti i
Tedeschi del suo seguito, si salvarono a Pordenone; ma poco stette a
comparir colà l'Alviano e a piantar le artiglierie. Terminò la faccenda
colla presa e col sacco dell'infelice castello, e colla strage di
tutti i difensori. Questo colpo fece ritirare in fretta il Frangipane
dall'assedio d'Osopo; laonde l'Alviano se ne tornò trionfante a Padova.
Perchè premeva non poco ai Veneziani di ricuperar Marano, castello
di molta importanza, fu spedito colà il Savorgnano con gente assai,
che cominciò a bersagliarlo colle batterie: nella quale occasione
a Giovanni Vetturi riuscì in un aguato di far prigione lo stesso
Frangipane, gran nemico della repubblica, e d'inviarlo nelle carceri
di Venezia. Ma, sciolto che fu questo assedio, anche il Vetturi, colto
in un'imboscata dai Tedeschi, restò prigione con cento de' suoi. Andò
poscia il vicerè con tutto il campo spagnuolo addosso a Cittadella, e,
formata la breccia, fece dare, nel dì 27 di giugno, un fiero assalto,
per cui restò preso e saccheggiato quel castello, e i soldati e
cittadini tutti fatti prigioni.
In questi tempi, venuta meno la vettovaglia al castello di Milano,
fu forzato a capitolare la resa, e il presidio franzese libero venne
condotto sino ai monti. Da lì a pochi giorni altrettanto fece il
castello di Cremona: il che quanta letizia recò al duca di Milano,
altrettanto scemò la riputazion de' Francesi in Italia. Restava in
lor potere la sola creduta inespugnabil fortezza della Lanterna,
presso a Genova; ma, per mancanza di viveri, fu anche essa astretta
nel dì 26 d'agosto a rendersi ai Genovesi, che per più mesi l'aveano
tenuta assediata; nè tardarono a spianarla sino a' fondamenti: con
che parve tolta affatto ogni apparenza che i Franzesi avessero più
a comparir in Italia: il che diede non poco affanno alla repubblica
veneta, restata sola contro a tanti nemici, ma che nondimeno giammai
non invilì, nè volle consentire a proposizione alcuna di pace, per cui
avesse da cedere alcuna delle città a lei tolte in terra ferma. Pure
con tutte queste peripezie il _re Luigi XII_ più che mai si sentiva
acceso della costante brama di ricuperare lo Stato di Milano. E però,
dappoichè con paci, tregue e parentadi ebbe acconci i suoi interessi
coi re d'Inghilterra e d'Aragona, che gli aveano date delle disgustose
lezioni in varii fatti di arme, si diede tutto a nuovi preparamenti di
gente d'arme, d'artiglierie e munizioni, risoluto di calar di nuovo in
Italia nello anno seguente. Fu in quest'anno fatta una specie di blocco
dall'armi del duca di Milano comandate da _Silvio Savello_ all'insigne
terra di Crema. Dentro v'era la peste, la guarnigione senza paghe e
gran carestia di viveri, per modo che _Renzo da Ceri_, ivi comandante,
omai diffidava di potersi sostenere. Pure, siccome persona di mirabil
senno ed attività, nel dì 25 d'agosto uscito all'improvviso addosso ai
nemici, li mise in rotta; e fama fu che il Savello vi perdesse trecento
fanti e quattrocento cinquanta cavalli uccisi, oltre ad altrettanti
rimasti prigioni. Fu poi rifornita Crema di vettovaglia da' Veneziani,
e il _conte Niccolò Scotto_ v'introdusse mille e cinquecento fanti.
Animato da questo rinforzo il valoroso Renzo da Ceri, uscì una notte di
Crema, e all'improvviso comparve a Bergamo, e v'entrò senza contrasto,
essendo fuggiti que' pochi Spagnuoli che v'erano di presidio, nella
Cappella, fortezza sopra il monte. Diedesi egli immantenente a far
bastioni ed altri ripari, con risoluzion di difendere di nuovo quella
città. Avvisati di ciò il _duca di Milano_ e il _vicerè Cardona_,
che stava nel Polesine di Rovigo, affinchè Renzo maggiormente ivi
non si afforzasse, si affrettarono per isloggiarlo di là. Andò lo
stesso vicerè con un corpo di gente e molta artiglieria colà, ed,
unitosi con _Prospero Colonna_ generale dell'armi duchesche, cominciò
aspramente a percuotere le mura di quella città. Ma quanto danno si
faceva il giorno, la notte veniva con tagliate e nuove fortificazioni
riparato dall'indefesso Renzo, il quale non lasciava di far anche delle
sortite con grave incomodo degli assedianti. Per segreti messi gli
faceva intanto sapere lo _Alviano_ che si difendesse, perchè farebbe
tal diversione, che il vicerè sarebbe astretto a ritirarsi. Tentò
infatti Verona, ma senza frutto. Quindi sollecitamente, passato verso
la nobil terra di Rovigo, spinse innanzi Baldassare di Scipione con
secento cavalli, che nel dì 19 di novembre trovati gli Spagnuoli senza
guardia, quasi tutti li fece prigioni od uccise; e furono cento uomini
d'arme, ducento cavalli leggeri e cinquecento fanti. Sopraggiunto poi
esso Alviano, la misera terra andò tutta a sacco. Questo colpo fece
scappare in fretta da Lendenara e dalla Badia quanti Spagnuoli si
trovavano in quelle terre. In questo mentre Renzo da Ceri, lusingato
sempre dalla speranza che l'Alviano il soccorresse, avea consumata
buona parte di sue genti nella difesa di Bergamo. Conosciuto poi
disperato il caso, capitolò la resa, se in termine d'otto giorni non
veniva soccorso, con patto che la città fosse salva dal sacco, e che
uscissero i suoi soldati con armi e bagaglio, ma senza poter entrare
in Crema per lo spazio di sei mesi. Spirati gli otto giorni senza
che comparisse soccorso alcuno, fu presa dal vicerè e dal Colonna la
tenuta della città, ma città bersagliata da infinite sciagure, perchè
condannata anche in questa occasione allo sborso di ottanta mila ducati
d'oro. Tornato poscia il vicerè a Verona, ed uscito in campagna contro
l'armata dell'Alviano, tal terrore ad essa recò, che come in rotta
si ritirarono i Veneziani a Padova, con perdita di molti cavalli. La
dirotta pioggia e le strade piene di fango impedirono agli Spagnuoli di
più ottenere nell'anno presente.
Quali fossero in tempi di tante discordie i maneggi e raggiri di
_papa Leone_, chiunque bramasse d'esserne pienamente informato, dee
ricorrere al Guicciardino, storico provveduto di un buon microscopio,
per discernere le simulazioni e dissimulazioni della politica mondana
de' principi, nella quale certamente eccellenti furono in questi
tempi esso _pontefice_ e _Ferdinando il Cattolico_ re d'Aragona e
delle Due Sicilie. Ebbe esso pontefice, mentre continuava ancora
il concilio lateranense, la consolazion di vedere affatto estinto
lo scisma de' Franzesi, cominciato col conciliabolo pisano. Nel
dì 12 di marzo ricevette ancora con gran pompa gli ambasciatori di
_Emmanuello re_ di Portogallo[387]. Condussero essi, oltre ad altri
preziosi regali, in dono al papa un superbo elefante, che riempiè di
maraviglia il popolo romano, concorso a folla per mirare un animale
strano agli occhi loro, ma sì familiare agli antichi Romani. Giunta
questa bestia davanti alla finestra, dove era assiso il papa, tre
volte s'inginocchiò, ubbidendo a chi lo avea così ammaestrato. Poi da
un tino d'acqua preparata ne tirò colla sua tromba o proboscide una
buona quantità, con cui asperse chi si trovava anche nelle finestre
più alte, e molto più ne spruzzò sopra la circostante plebe. Perchè
ancora a quel re era noto come il pontefice, senza gran cura della
sua dignità, si dilettasse della caccia, gl'inviò in dono una pantera,
avvezzata a quell'esercizio; e fattane la pruova, quante bestie le si
affacciarono, tutte in breve tempo le strozzò. Attendeva intanto papa
Leone, come si ha dal suddetto Guicciardino e dall'autore della Lega di
Cambrai, a coprir le segrete sue intenzioni, con deludere or questo,
or quello de' principi, essendo la general mira di seminar fra loro
la mala intelligenza, e di persuadere a cadauno la sua predilezione,
per desiderio di rendersi arbitro degli affari. Ma l'aver egli inviato
a Venezia il celebre _Pietro Bembo_ per istaccare quella repubblica
dall'alleanza coi Franzesi, senza però poterla smuovere, fece infine
capire al _re Lodovico_ che capitale avesse egli a fare delle belle
proteste di questo pontefice. Peggio intervenne ad _Alfonso duca_
di Ferrara. Dopo aver questi assistito alla coronazion di questo
papa, se ne tornò a casa sua carico di carezze e di promesse quante
ne volle. Insisteva il duca perchè gli fosse restituita la città di
Reggio, indebitamente occupata a lui da _papa Giulio II_ contro la
fede obbligata nel salvocondotto. Era disposto Leone a restituirla; ma
questo benedetto giorno non arrivava giammai[388]. Dopo grandi maneggi
si lasciò indurre il duca nel dì 15 di giugno a spogliarsi del diritto
di far sale nella città di Comacchio, della quale la casa d'Este per
tanti anni era stata, ed è tuttavia, investita dai soli imperadori; ma
_senza pregiudizio della cesarea maestà, e non altrimenti, nè in altro
modo_, come canta quella convenzione. Oltre allo essere stati annullati
tutti i processi di papa Giulio, promise il papa di restituire ad esso
duca in termine di cinque mesi Reggio. Ma questi cinque mesi nel cuor
di papa Leone doveano essere cinquecento mesi, perciocchè non solamente
mai non volle rendere quella città al duca, ma due giorni appena
dopo la convenzione suddetta stipulò coi ministri di _Massimiliano
Cesare_ la compera (salvo il gius della ricupera) della imperial città
di Modena pel prezzo di quaranta mila ducati d'oro, contati a quel
monarca, sempre ansioso e sempre bisognoso di pecunia, e che nulla badò
a commettere una sì patente ingiustizia in pregiudizio di un vassallo
che nulla avea operato contra del sacro romano imperio. Fruttava questa
città di sole rendite annue altrettanta somma. Troppo stava sul cuore
al pontefice l'acquisto di Modena, per aver libero il passaggio e la
comunicazione colle città di Reggio, Parma e Piacenza, che erano già
in suo potere. Gli occulti fini nondimeno d'esso papa non terminavano
qui, come osserva il Guicciardino. Imperciocchè, se non il primo,
certo uno de' principali pensieri di Leone era quello d'ingrandire
la propria casa de Medici, e non già con allodiali o feudi minori,
ma con di que' principati e Stati, che partecipano della sovranità,
spogliandone i legittimi possessori. Questa malattia l'abbiam trovata
in altri precedenti papi, ma specialmente comparve dipoi in esso Leone
X e in Clemente VII, amendue della stessa casa, che, per ottenere
quest'intento, impiegarono senza misura i tesori della Chiesa, e fecero
o fomentarono più guerre fra i popoli battezzati. Tale certo non era
la intenzione di Dio, allorchè li pose sulla cattedra di san Pietro,
e li costituì pastori del gregge suo. Avea papa Leone _Giuliano_ suo
fratello, avea _Lorenzo_ figlio di _Pietro Medici_ che era suo nipote,
e continuamente pensava ad innalzarli. Poichè quanto a _Giulio_ suo
cugino, figlio di _Giuliano_ ucciso nella congiura de' Pazzi, che
fu poi _papa Clemente VII_, benchè dal Nardi, dal Guicciardino, dal
Varchi, dal Panvinio e da altri si sappia essere egli nato fuori di
matrimonio, Leone l'avea creato cardinale nell'anno precedente. Le idee
di esso papa Leone erano di formare per _Giuliano_ un principato di
Modena, Reggio, Parma e Piacenza, e, se gli veniva fatto, d'aggiugnervi
anche Ferrara. Fu eziandio creduto che trattasse col re di Francia
di acquistare il regno di Napoli o per la Chiesa, oppure pel suddetto
suo fratello, già creato prefetto di Roma, e generale e gonfaloniere
della santa romana Chiesa. Qual esito avessero i suoi grandiosi disegni
l'andremo a poco a poco vedendo.
NOTE:
[387] Orosius, de Rebus Emanuelis regis.
[388] Antichità Estensi, tom. 2. Piena Esposizione dei diritti
imperiali ed estensi sopra Comacchio.
Anno di CRISTO MDXV. Indizione III.
LEONE X papa 3.
MASSIMILIANO I re de' Romani 23.
Funesto principio ebbe l'anno presente, perchè nello stesso primo
giorno di gennaio mancò di vita _Lodovico XII re_ di Francia per
infermità, comunemente creduta cagionata dal recente matrimonio colla
sorella del re d'Inghilterra di età d'anni diciotto, quando egli era
giunto ai cinquanta quattro anni, e prometteva ben più lunga vita. Fu
assai compianta la di lui perdita, perchè s'era acquistato il titolo
di padre de' suoi popoli, elogio il più glorioso d'ogni altro, ma che
per disavventura miriamo assai raro in tutti i tempi. Ora favorito
dalla prospera, ed ora battuto dall'avversa fortuna, era non di meno in
tal maniera risorto, che di gran cose tuttavia promettea, se la morte
non avesse troncato il filo di sua vita e delle sue speranze. Ma si
consolarono in breve i Franzesi, perchè a lui succedette _Francesco
I_ conte di Angolemme, il più prossimo del regal sangue maschile
secondo le leggi o le consuetudini di quel regno; giacchè Lodovico
non lasciò dopo di sè se non due femmine, cioè _Claudia_, sposata
ad esso Francesco nel dì 18 maggio dell'anno precedente, e _Renea_,
ch'era stata bensì in un trattato del dì 24 di marzo dello stesso
anno promessa a _Carlo_, nipote di _Massimiliano re de' Romani_, che
fu poi il glorioso Carlo V Augusto, ma divenne col tempo moglie di
_Ercole II d'Este_ principe e susseguentemente duca di Ferrara. Si
trovava il nuovo re Francesco in età di soli ventidue anni, principe
di gran mente, pieno di spiriti guerrieri, e sommamente avido di
gloria. Con gli altri suoi titoli unì egli tosto ancor quello di
duca di Milano, con tutto che sui principii occultasse la voglia di
ricuperar quel ducato, affine di assodar prima gli interessi suoi co'
potentati vicini. Confermò la lega col _re d'Inghilterra_, e poscia
colla _repubblica veneta_; ma nulla di pace potè ottenere nè da
_Massimiliano Cesare_, nè da _Ferdinando il Cattolico_ re d'Aragona, nè
dagli _Svizzeri_, e meno da _papa Leone_, il quale andava barcheggiando
in questi tempi, sempre nondimeno con animo contrario a' Franzesi,
qualora volessero tentar di nuovo la conquista dello Stato di Milano.
In effetto essi re de' Romani e di Aragona, il duca di Milano, gli
Svizzeri e Fiorentini contrassero lega fra loro in questi tempi colla
mira di opporsi ai Franzesi, lasciato luogo d'entrarvi al papa, il
quale volea giocare a carte sicure. Avea nondimeno esso pontefice nel
dì 9 di dicembre del precedente anno fatta una particular lega coi
medesimi Svizzeri[389], confidando più in essi che in altra potenza per
la difesa del ducato di Milano. Inoltre fu da lui procurato nell'anno
antecedente un accasamento nobilissimo a _Giuliano_ suo fratello,
con avergli ottenuta per moglie[390] _Filiberta_ figlia di _Filippo
duca di Savoia_, e prossima parente, dice lo scrittor della Lega di
Cambrai, ma dovea dire sorella di _Luisa_ madre del sopraddetto re di
Francia _Francesco I_. Tale era ne' tempi presenti la potenza de' sommi
pontefici, che niuno de' gran principi si sdegnava di far parentado con
loro. Nel mese di febbraio si effettuò questo matrimonio, e sì suntuoso
e magnifico fu il ricevimento di questa principessa in Roma, che il
papa vi spese più di cento cinquanta mila ducati d'oro, come si ricava
dalle lettere del Bembo. Altre grandi feste s'erano fatte in Torino,
dove lo sposo si fermò per un mese; e similmente in Firenze, dove
ognuno o per amore o per timore gareggiava ad onorare ed esaltare la
casa de Medici.
Ardeva intanto di voglia il re Francesco di calare in Italia, e
cominciò a non essere più un segreto questo suo disegno: tanto grande
era la massa di gente armata ch'egli facea. L'autore della Lega di
Cambrai scrive, aver egli accresciuto il numero delle lancie, ossia
degli uomini d'arme, sino a quattromila; il che, secondo esso storico,
facea quasi venti mila combattenti a cavallo. Merita esame questa
asserzione, perchè non era molto in uso che un uomo d'arme conducesse
seco cinque cavalli e quattro armati di suo seguito. Scrive l'Anonimo
Padovano ch'esso re inviò il _signor di Lautrec_ con cinquecento
lancie e cinque mila fanti a' confini della Guascogna, per opporsi ai
tentativi del re Cattolico; e il _Tremoglia_ in Borgogna con un altro
corpo di gente, e _Gian-Jacopo Trivulzio_ con quattrocento lancie in
Provenza, per vegliare ai movimenti degli Svizzeri, a' quali premeva
troppo la conservazion dello Stato di Milano, dacchè aveano imparato
a succiar tutto il sangue de' popoli di quella contrada. Oltre ad
otto mila fanti e tre mila guastatori suoi sudditi, avea parimente
il re Francesco presi al suo soldo diciotto oppur ventidue mila fanti
tedeschi sotto varii capitani; e _Pietro Navarro_ celebre capitano, che
s'era ritirato dal servigio del re Cattolico, avea arrolati altri dieci
mila fanti, che l'autor della Lega fa tutti Biscaini, ma, l'Anonimo
Padovano scrive, essere stati sei mila Guasconi e quattro mila
Italiani. Per la impresa d'Italia scelse due mila e cinquecento uomini
d'arme e tre mila cavalli leggeri da unirsi alla copiosissima fanteria.
Il primo buon colpo che fece sulle prime il re Francesco, fu di tirar
dalla sua _ Ottaviano Fregoso_ doge di Genova, il quale, avendo fin
qui finto un grande attacamento ai collegati, e trovando vacillante
il suo Stato per la nemicizia degli Adorni e dei Fieschi, s'accordò
segretamente con esso re Cristianissimo. Ma troppo frettolosamente fu
fatto da lui questo passo; imperocchè trapelato il suo maneggio, e già
scesi in Lombardia sei mila Svizzeri che si unirono alle milizie del
duca di Milano, _Prospero Colonna_ generale del duca marciò alla volta
di Genova, avendo seco gli Adorni e i Fieschi. Avea bene il Fregoso
ammassati cinque mila fanti per sua difesa; ma, diffidando di potersi
sostenere con sì lievi forze, ricorse al papa suo gran protettore,
il quale, prestando fede alle di lui proteste, non tardò a spedire un
suo oratore al Colonna con ordine d'intimargli di non proceder oltre
contra del Fregoso, minacciando, in caso di contravvenzione (oh questa
è bella!), le pene spirituali e temporali. Fu cagione una tal sinfonia
che il Colonna, per non irritare il papa, venisse ad una convenzione
col Fregoso, per cui questi si obbligò di non favorire i Franzesi;
e sborsata gran quantità di danaro, che sempre era l'unico mezzo per
quetare gli Svizzeri, fu lasciato in pace. Ciò fatto, volò il Colonna
in Piemonte, per contrastare il passo ai Franzesi, quali già erano
con grandi forze giunti in Delfinato e in Provenza, ed aveano anche
preparata in Marsilia un'armata navale.
In questi tempi non istava in ozio la _repubblica veneta_, incoraggita
dall'imminente venuta de' Franzesi suoi collegati. Rinforzata il più
che potè la sua armata, giacchè era non lieve gara e mal animo fra
l'_Alviano_ e _Renzo da Ceri_, perchè l'ultimo facea continue querele,
quasi che l'altro l'avesse tradito con abbandonarlo, allorchè avvenne
l'assedio di Bergamo, prese la risoluzion di separarli. Dichiarato
dunque Renzo generale della fanteria, l'inviò segretamente con molte
schiere alla volta di Crema, dove in tre giorni felicemente arrivò.
Intanto il _vicerè Cardona_, formato un esercito di mille lancie,
di ottocento cavalli leggieri e di otto mila ottimi fanti, con un
buon treno d'artiglieria s'incamminò a Vicenza, dove soggiornava
l'Alviano, il quale, non volendo aspettare questa visita, si ritirò
tosto alle Brentelle: laonde entrarono gli Spagnuoli in quella misera
città, correndo il mese di giugno, e vi commisero dei gran rubamenti.
Quanto frumento quivi si trovò, fu inviato a Verona; quanto ancora
poterono estrarne dal Polesine di Rovigo, lo condussero a quella città.
Terribile era l'apparato delle armi in questi tempi. Trovavasi alle
porte d'Italia una potente armata di Franzesi, più potente di gran
lunga per la presenza di un re guerriero ed armato. All'incontro, sino
al numero di trenta mila era cresciuto l'esercito degli Svizzeri,
che con _Prospero Colonna_ e colle truppe duchesche unito andò a
postarsi a Susa, a Pinerolo e ad altri siti. per dove poteano tentar
di sboccare i Franzesi. Fu d'uopo al _duca Massimiliano_ di mandare
un corpo di milizie a Cremona, per tenere in freno _Renzo da Ceri_, il
quale da Crema facea frequenti scorrerie sino alle porte d'essa città.
In questo mentre giunse a Piacenza _Lorenzo de Medici_, nipote del
papa, e generale de' Fiorentini, con cinquecento lancie, altrettanti
cavalli leggieri e sei mila fanti spediti da Firenze. Pervenuto
parimente a Bologna _Giuliano de Medici_ fratello del pontefice con tre
mila cavalli ed altrettanti fanti, gente papalina, inviò tosto alla
guardia di Verona ducento uomini d'arme. Anche il _vicerè Cardona_
coll'esercito suo andò ad unirsi co' Fiorentini a Piacenza. Era sul
principio d'agosto, e allora fu che si pubblicò in Roma, Napoli ed
altre città la lega conchiusa fra il _papa_ (stato fin qui fluttuante
ed ascoso), _Massimiliano re dei Romani_, _Ferdinando re_ d'Aragona,
_Firenze_, _Milano_ e _Svizzeri_. Nulla di questo potè ritenere i passi
dell'ardente re Cristianissimo, e molto meno un'ambasciata del _re
inglese_, che cercò di dissuaderlo da questa impresa. Spedì egli per
mare il signor della Clieta, ossia Aymar di Prie, con ducento cavalli
e cinque mila fanti, che, giunto a Savona, subito ebbe ubbidienza da
quella città. A questa nuova, l'astuto _Ottaviano Fregoso_ spedì tosto
chiedendo soccorso al duca di Milano e alla lega. E perchè questo non
venne, fingendo di non potersi difendere, ammise nel porto e nella
città i Franzesi, inalberando le loro insegne, con prendere da lì a
poco guarnigione del re di Francia. Rinforzato poi questo picciolo
esercito dalle genti del Fregoso, passò ad Alessandria e a Tortona, e
senza difficoltà se ne impadronì, tuttochè il vicerè avesse mandato un
buon numero di fanti e cavalli al Castellazzo. Anche Asti venne dipoi
alle loro mani.
Erasi già partito da Este _Bartolomeo d'Alviano_ coll'esercito veneto,
ed entrato nel serraglio di Mantova. Appena gli arrivò la nuova dello
sbarco fatto dai Franzesi a Genova, che passò sul Cremonese, dove diede
il sacco a più terre, e massimamente alla ricca terra di Castello
Lione. Quindi, accostatosi a Cremona, senza spargimento di sangue
l'occupò, e ne prese il possesso a nome del re di di Francia. Secondo
l'Anonimo Padovano, corse allora voce che il duca di Misano, chiuso
nel castello di quella città, lenza lasciarsi vedere, costernato da sì
brutti principii, e dal timore di peggio, uscisse di sè. Ma in simili
contrattempi facile è che nascano nel volgo siffatte immaginazioni.
Immense difficoltà provava intanto l'armata franzese a trovar la
via per penetrare in Italia, essendo presi i più importanti passi
dalla Svizzera che vantava di voler fare prodezze incredibili per
frastornare i disegni dei Franzesi. Un gran pezzo è che quelle barriere
d'alti monti e di scoscesi valloni si credono posti dalla natura per
impedir con facilità l'ingresso in Italia, purchè vi stia un'armata
alla guardia. Pure tante volte s'è veduto, ed anche ai dì nostri, che
non basta un sì orrido baluardo a trattener gli oltramontani, purchè
superiori di forze, che non vengano a visitarci. Ciò anche allora
avvenne. Il maresciallo Trivulzio, pratico di quelle aspre montagne,
tanto andò girando, che, adocchiato il sito dove è il castello,
dell'Argentiera, e dove nasce la Stura che va a Cuneo, siccome ancora
il Colle dell'Agnello: quivi fissò che potesse trovarsi il varco nel
Piemonte. Il Giovio egregiamente descrive le immense fatiche durate da'
Franzesi per passare, ed anche con artiglierie, per quella parte, per
cui giunsero alle pianure di Saluzzo; mentre gli Svizzeri, accampati
tanto lungi verso Susa, li stavano aspettando per farne un sognato
macello. Era andato _Prospero Colonna_ generale del duca di Milano
con molte squadre a Villafranca, sette miglia lungi da Saluzzo, e con
varii uffiziali se ne stava nel dì 15 d'agosto saporitamente desinando,
quando all'improvviso ecco con una marcia sforzata giugnere colà il
_Palissa_ coll'_Aubigny_ e circa mille cavalli, che fece prigione
lui, _Cesare Feramosca, Pietro Margano_ ed altri capitani illustri, e
svaligiò la gente loro. Non piccolo sfregio recò alla riputazion del
Colonna l'essersi lasciato cogliere in quella positura, per non aver
tenute spie e guardie avanzate, con altre precauzioni usate da' saggi
condottieri d'armate. Fama fu che il bottino fatto da essi Franzesi
ascendesse a cento cinquanta mila scudi. Calò intanto per varie strade
l'esercito franzese, e andò a riunirsi a Torino, dove il _re Francesco_
fu magnificamente accolto da _Carlo III duca_ di Savoia.
Già gli Svizzeri aveano veduto andar a monte tutte le loro speranze e
braverie; e, riflettendo poscia allo scacco patito dalla cavalleria di
Prospero Colonna, in cui confidavano, per essere eglino senza cavalli;
e sentendo che l'Alviano, passato l'Adda, s'era impossessato di Lodi;
e che veniva il corpo de' Franzesi e Genovesi da un'altra parte:
dopo aver dato il sacco a Chivasso (e fu detto anche a Vercelli), si
ritirarono verso il Milanese. Tuttavia si fermava a Piacenza l'esercito
spagnuolo col pontificio e fiorentino; ma con poca armonia, perchè
_papa Leone_, che navigava sempre con due bussole, avea spedito un
suo familiare al re Cristianissimo, per iscusare il movimento delle
sue armi, e le lettere sue intercette dal vicerè Cardona aveano fatto
nascere molta diffidenza fra loro. Nulla di meno mostrava esso Cardona
di voler pure uscir in campagna, per unirsi cogli Svizzeri; se non
che l'Alviano dalla parte di Lodi coi Veneziani, e il signor della
Clieta colle brigate sue e dei Genovesi da un'altra parte pareano
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