Annali d'Italia, vol. 6 - 18
con farne fuggire _Alberto Pio_, che ebbe poco tempo di goderne il
possesso. Ricuperò ancora il Polesine di Rovigo, ed avrebbe anche
potuto riaver Modena; ma di più non osò per riverenza a _Massimiliano
Cesare_ che comandava in questa città, e al _re Cristianissimo_,
a cui non piaceva di dar maggiore molestia al pontefice. Quanto al
_Trivulzio_, dacchè egli ebbe intesa la mente del re, lasciato qualche
rinforzo di gente ai Bentivogli, s'inviò coll'esercito franzese alla
Concordia; e, se vogliam credere all'Anonimo Padovano, più che al
Guicciardino, fu in questo tempo, e non già prima, che l'espugnò.
Fu presa a forza d'armi quella terra, e data a sacco, colla morte di
quasi tutto il presidio di trecento fanti, che ivi si trovarono sotto
il comando del suddetto Alberto Pio. Locchè fatto, si spinse sotto la
Mirandola. _Gian-Francesco Pico_, non vedendo speranza di soccorso,
e sapendo anche d'essere odiato da quel popolo, giudicò meglio di
capitolarne la resa, e di ritirarsi dolente colla sua famiglia ed avere
in Toscana; con che rientrò nella Mirandola la _contessa Francesca_,
figlia d'esso maresciallo Trivulzio, con Galeotto suo figlio. Attesero
da lì innanzi i Franzesi alla guerra contro la signoria di Venezia,
uniti con gl'imperiali in Verona. Nel mese di giugno dall'armata
veneta che era a Soave e a San Bonifazio, e continuamente infestava
il Veronese, fu spedito un grosso corpo di gente per dare il guasto
alle biade già mature. Trecento lance franzesi, uscite di Verona,
ne lasciarono tornar pochi al loro campo. Un altro giorno imperiali,
Franzesi ed Italiani, in numero di sedici mila persone sotto il comando
del _signor della Palissa_ e del signor di Rossa Borgognone, marciarono
verso Soave. _Lucio Malvezzo_ e _Andrea Gritti_, messo in armi
l'esercito veneto, animosamente s'affrontarono con loro a Villanova.
La peggio toccò ai Veneti, i quali poi si ritirarono a Lunigo, e di là
a Padova, lasciando aperta la strada a' nemici di venire a postarsi a
Vicenza. Passò dipoi l'armata de' collegati sotto Trivigi, ma lo trovò
ben guardato. Nel tempo stesso calò un esercito tedesco, comandato
dal _duca di Brunsvich_, nel Friuli, stato finora campo di battaglia e
di miserie. Si impadronì di Castel Nuovo, Conegliano, Sacile, Udine;
in una parola di tutto il Friuli. Quindi passò sotto Gradisca, una
delle migliori fortezze d'Italia; e, piantate le batterie, per viltà
de' soldati che erano alla difesa, furono obbligati gli uffiziali
veneti a capitolar la resa con oneste condizioni. Ma che? non andò
molto che si vide cangiar faccia la fortuna. Era mancato di vita
_Lucio Malvezzo_ governator dell'armata veneta, e in suo luogo eletto
_Gian-Paolo Buglione_ Perugino, persona di gran credito nella milizia.
Questi, sapendo essere Verona restata assai smilza di presidio,
e con soli fanti, spedì cinquecento stradiotti a cavallo, che si
diedero ad infestar tutti i contorni di Verona; cosicchè quella città
pareva assediata, nè potea ricevere vettovaglie. Venendo ancora il
conte di Prosnich Tedesco da Marostica, per andare a Trivigi con
trecento cavalli, il Baglione spedì contra d'essi _Giano Fregoso
_e il _conte Guido Rangone_ con secento cavalli. La battaglia ne'
contorni di Bassano fu svantaggiosa ai Veneti sul principio, con
restarvi prigioniere il Rangone, che, senza volere o potere aspettar
il compagno, avea attaccata la zuffa. Sopraggiunto poscia il Fregoso,
non solo ricuperò i prigioni, ma ruppe affatto i Tedeschi, che parte
dai vincitori, parte dai villani furono uccisi. Quel che è più,
venute le pioggie, rotte le strade, non potendo gli eserciti ricevere
vettovaglie, si ritirarono i collegati di sotto Trivigi, e andarono a
Verona. Anche il duca di Brunsvich se ne tornò in Germania. La loro
ritirata servì di facilità a' Veneziani per ricuperar l'infelice
Vicenza e tutto il Friuli, a riserva di Gradisca, non so se con più
loro onore o più vergogna di Massimiliano Cesare.
Gravemente s'infermò in Roma _papa Giulio_ verso la metà d'agosto, e
fece sperare a molti e temere ad altri il fine di sua vita. Neppur
questo ricordo dell'umana bastò ad introdurre in quel feroce animo
veri desiderii di pace, benchè tanto v'inclinasse il re di Francia
con altri potentati. Appena si riebbe egli, che tornò ai soliti
maneggi di leghe e ai preparamenti di guerra. S'era dato principio
in Pisa all'immaginato conciliabolo contra di lui. Per opporsegli,
intimò anch'egli un concilio generale da tenersi nell'anno prossimo
nel Laterano. Tanto poi seppe fare l'indefesso pontefice, che trasse
affatto ai suoi voleri in quest'anno _Ferdinando il Cattolico_ re
d'Aragona e delle due Sicilie, ed _Arrigo VIII_ re d'Inghilterra.
Veramente il primo avea mirato sempre di mal occhio le nuove
conquiste dei Franzesi in Italia, e dacchè ebbe ricuperato ciò che a
lui apparteneva nel regno di Napoli, sospirava ogni dì una ragione
o pretesto per levarsi dalla Lega di Cambrai, e romperla col re di
Francia. Siccome principe di mirabil accortezza, sapeva per lo più
coprir la sua fina politica col mantello della religione. Così fu nella
presente occasione. Col motivo di far guerra ai Mori in Africa, ottenne
dal papa le decime del clero, e con far predicare questa santa impresa,
ricavò lauto danaro dalla pietà de' suoi popoli, che mise insieme una
buona annata, la quale avea poi da servire contro i Cristiani, come
ne' tre secoli precedenti si era tante altre volte praticato non senza
disonore della religion cristiana. Ossia ch'egli fosse prima d'accordo
col papa per questo armamento, o che il papa il tirasse nel suo
partito in quest'anno, certo è che fecero lega insieme, comprendendo
in essa i Veneziani; e questa fu solennemente pubblicata in Roma nel
dì quinto d'ottobre. Indotto a ciò si mostrava il re Cattolico dal suo
particolare zelo di religione per difendere il papa, oppresso dall'armi
franzesi coll'occupazion di Bologna, e con lo scismatico concilio di
Pisa. Trasse il papa, siccome poco fa dissi, in questa lega anche il re
d'Inghilterra; e si legge presso in Rymer[384] e presso il Du-Mont[385]
lo strumento d'unione fra esso re e il Cattolico, stipulato a dì 20 di
dicembre dell'anno presente _pro suscipienda sanctae romanae Ecclesiae
Matris nostrae defensione pernecessaria_. Pertanto avendo Ferdinando
inviato nel regno di Napoli mille e ducento lance, o vogliano dire
uomini d'armi, mille cavalli leggeri e dieci mila fanti, tutta gente
di singolar bravura e fedeltà, pel cui mantenimento s'erano obbligati
il pontefice e il senato veneto di pagare ogni mese quaranta mila
ducati d'oro, la metà per cadauno: ordinò che questo esercito, sotto
il comando di _don Raimondo di Cardona_ vicerè di Napoli, venisse
ad unirsi in Romagna col pontificio e veneto, il che fu eseguito. Ma
qui non finì la tela. Furono di nuovo mossi dal danaro del papa gli
Svizzeri contro lo Stato di Milano; e in fatti molte migliaia d'essi
sul principio di novembre calarono a Varese, col concerto che le armi
venete e del papa avrebbono fatta una gagliarda diversione. Portavano
lo stendardo, sotto il quale nel precedente secolo aveano date le
memorabili rotte al duca di Borgogna. A questo formidabil segno dovea
tremar chicchessia. Lo Storico Padovano scrive, che nel loro generale
stendardo a lettere d'oro era scritto: DOMATORES PRINCIPVM. AMATORES
JUSTITIAE. DEFENSORES SANCTAE ROMANAE ECCLESIAE.
Era intanto dichiarato per governator di Milano e suo luogotenente
generale dal re Cristianissimo, _Gastone di Fois_ suo nipote, giovane
che nell'età di soli ventidue anni uguagliava, se non superava,
in senno e valore i più vecchi e sperimentati capitani. Poca gente
d'armi, poca fanteria avea egli; e in Milano era non lieve il terrore
e la costernazione. Andò Gastone per consiglio del _Trivulzio_ a
postarsi a Saronno con quelle forze che potè raunare. Ed essendosi
inoltrati gli Svizzeri a Galerate, con saccheggiare e bruciare ogni
cosa, seguitarono il viaggio verso Milano, dove si andò ritirando
Gastone, oppure Trivulzio, come s'ha dall'Anonimo Padovano. Il
quale aggiugne che seguirono varii combattimenti colla peggio ora
degli uni, ora degli altri. Ma non osando gli Svizzeri di fare alcun
tentativo contra di quella gran città, piegarono verso Cassano, con
apparenza di voler passare l'Adda. Quand'eccoti a tutto un tempo,
spedito un loro uffiziale a Gastone, si offerirono di tornarsene alle
loro montagne, se si volea dar loro un mese di paga. Essendo intanto
arrivati quattro mila fanti italiani a Milano, Gastone allora parlò
alto, e poco esibì. Da lì a poco andarono a finir le minaccie di que'
barbari in ritirarsi al loro paese, lasciando per la seconda volta
delusi i commissarii del papa e de' Veneziani, che erano con loro,
ed allegando per iscusa che non correvano le paghe, ed aver mancato i
generali del papa e de' Veneziani al concerto della lor venuta. Così
è raccontato questo fatto dal Guicciardino e dall'autore franzese
della Lega di Cambrai. Ma l'Anonimo Padovano, forse meglio informato
di questi affari, scrive che Gastone col danaro corruppe il capitano
Altosasso, ed alcuni altri condottieri svizzeri, i quali, mosso tumulto
nell'armata, fecero svanire ogni altro disegno. Usciti di questo
pericoloso imbroglio i Franzesi, vennero dipoi a prendere il quartiere
a Carpi, alla Mirandola, a San Felice e al Finale; e questo perchè
gli Spagnuoli erano già pervenuti a Forlì, ed uniti coll'esercito
pontificio minacciavano l'assedio di Bologna. Riuscì in quest'anno a
di tre di settembre ai Fiorentini dopo lungo tratto e molte minaccie,
di cavar di mano de' Senesi la terra di Montepulciano. Di grandi
istanze fece loro il _re Lodovico_, perchè uscissero di neutralità,
ed entrassero in lega con lui; e le dimande sue erano avvalorate dal
Soderini perpetuo gonfaloniere di quella repubblica. Tuttavia prevalse
il parere dei più di non mischiarsi in sì arrabbiata guerra. Nè si dee
tralasciare che fu dato principio in Pisa al conciliabolo dei Franzesi;
ma principio ridicolo, sì poco era il numero de' concorrenti, nè si
vedea comparire alcuno dalla parte di _Massimiliano Cesare_. Avea
_papa Giulio_ colle buone tentato più volte, ma sempre inutilmente,
di far ravvedere quei pochi sconsigliati cardinali; ma allorchè si
vide forte in sella per le leghe, delle quali, s'è parlato disopra,
nel dì 24 d'ottobre fulminò le censure contra di loro, privandoli del
cappello e d'ogni altro benefizio. Non sapea digerire il popolo di
Pisa di tenere in sua casa un sì fatto scandalo, e brontolava forte,
e facea temer qualche sollevazione. Perciò que' prelati impetrarono da
Firenze di poter tenere una guardia di Franzesi, ma mediocre, per lor
sicurezza. I Franzesi di quel tempo, per confession d'ognuno, erano
senza disciplina; e gravosi anche agli amici per la loro arroganza ed
insolenza, massimamente verso le donne; locchè produsse delle risse
fra loro e i Pisani, ed una specialmente, in cui restarono feriti
i _signori di Lautres_ e di _Sciattiglione_, che comandavano quella
guardia. Il perchè quei cardinali, paventando di peggio, giudicarono
meglio di ritirarsi a Milano, anche ivi mal veduti da quel popolo, ma
sostenuti da chi potea farsi rispettare. Un grande tremuoto nel mese
di marzo del presente anno recò non lieve danno a Venezia, a Padova, al
Friuli e a molti di que' contorni.
NOTE:
[383] Bembo. Guicciardino. Storia Ven. MS.
[384] Rymer, Act. Public.
[385] Du-Mont, Corp. Diplomat.
Anno di CRISTO MDXII. Indizione XV.
GIULIO II papa 10.
MASSIMILIANO I re de' Romani 20.
Si meravigliano talvolta alcuni al vedere al di nostri le armate
campeggiare in tempo di verno, e fare assedii e battaglie, quasi
prodezze ignote agli antichi. Ma noi abbiam veduto ciò che avvenne
nel precedente verno; ora vedremo ciò che nel presente. Dappoichè
si fu congiunto l'esercito spagnuolo sotto il comando del vicerè
_Raimondo di Cardona_ col pontificio, in cui era legato _Giovanni
cardinale dei Medici_, e sotto di lui _Marcantonio Colonna_, messo
in consulta l'andare addosso a Ferrara, oppure a Bologna, si trovò
troppo difficile il primo disegno per le strade rotte e pel rigore
della stagione, e però fu presa la risoluzione di mettere il campo a
Bologna, dove si potea meglio campeggiare; e che intanto si procurasse
l'acquisto della bastia, ossia fortezza che il duca di Ferrara
teneva alla Fossa Zaniola, siccome posto di grande importanza per
andar a Ferrara. Colà fu inviato verso il fine di dicembre dell'anno
precedente _Pietro Navarro_, mastro di campo, generale della fanteria
spagnuola, uomo di gran credito nelle armi. V'andò egli con due mila
fanti (il Bembo scrive nove mila) e con un buon treno di artiglieria.
l'Anonimo Padovano: mette per capitano di questa impresa il signor
_Franzotto Orsino_. Aggiugne ancora che in poche ore, tolte le difese
agli assediati, se ne impadronirono gli Spagnuoli a forza d'armi. Del
medesimo tenore parla anche lo scrittore della Lega di Cambrai. Ma il
Guicciardino e il Bembo dicono, che dopo tre dì di resistenza, Gasparo
Sardi ferrarese dopo cinque giorni, e fra Paolo carmelitano dopo dieci
dì, ebbero quella piazza. Non può certamente sussistere tanta brevità
di tempo, perchè convenne battere con artiglierie le mura, e secondo
il Bembo, vi fu formata e fatta giuocar una mina gravida di polve
da fuoco: cose che richieggono tempo. La verità si è, che dopo fatta
la breccia o colle palle da cannone o colla mina, fu dato l'assalto
che costò non poco sangue agli aggressori, ed obbligò il valoroso
Vestidello Pagano, comandante di quella fortezza, con que' pochi de'
suoi ch'erano restati in vita, a rendersi, salve le persone, nel dì
ultimo di dicembre del precedente anno. Scrivono alcuni, ch'egli fu
ucciso nell'ostinata difesa; ma Gasparo Sardi e l'Ariosto che meglio
sapeano i fatti di casa loro, ci assicurano, avere quei mancatori di
fede tolta a lui la vita dopo la resa, in vendetta di un loro bravo
uffiziale perito con tant'altra gente in quell'assedio. Ecco le parole
dell'Ariosto:
_Che poichè in lor man vinto si fu messo_
_Il miser Vestidel, lasso e ferito,_
_Senz'arme fu fra cento spade ucciso_
_Dal popol la più parte circonciso._
_Alfonso duca_ di Ferrara, a cui stava forte sul cuore la perdita
di quel rilevante posto, nel dì 15 di gennaio di quest'anno colà si
portò anch'egli colla gente e colle artiglierie occorrenti, e seppe
così destramente e valorosamente condurre l'impresa, che diroccato il
muro frescamente rifatto, in poche ore a forza d'armi ripigliò quella
fortezza, con esservi mandati a filo di spada tutti i difensori. Fu
colpito nell'assalto lo stesso duca nella fronte da una pietra mossa
dalle artiglierie con tal empito, che rimase tramortito più giorni.
La celata gli salvò la vita. Papa Giulio, uomo facilmente rotto ed
iracondo, scrisse per questo fatto lettere di fuoco a' suoi capitani.
Dopo vari consigli finalmente nel dì 20 di gennaio colla neve in
terra l'esercito pontificio e spagnuolo imprese l'assedio di Bologna,
postandosi verso quella città dalla parte della Romagna per la
comodità delle vettovaglie. Piantate le batterie, si diede principio
alla loro terribile sinfonia, si formarono gli approcci, e già erano
diroccate cento braccia delle mura, e vacillante la torre della
porta di santo Stefano. Dentro non mancavano ad una valorosa difesa i
_Bentivogli_ con chi era del loro partito, e _Odetto di Fois_, ed _Ivo
d'Allegre_ capitani franzesi che con due mila Tedeschi e dugento lance
rinforzavano quel presidio. Erasi per dare l'assalto alla breccia, ma
si volle aspettar l'esito di una mina, tirata sotto la cappella della
beata Vergine del Baracane nella strada Castiglione da Pietro Novarro.
Scoppiò questa, e mirabil cosa fu, che la cappella fu balzata in aria,
e tornò a ricadere nel medesimo sito di prima, con restar delusa
l'aspettazion degli Spagnuoli, quivi pronti per l'assalto. Intanto
Gastone di Fois, ridottosi al Finale di Modena, andava ammassando le
sue genti, e seco si unì il duca di Ferrara colle sue. Udito il bisogno
de' Bolognesi, spedì loro mille fanti, e poi centocinquanta lance che
felicemente entrarono nella città: cosa che fece credere ai nemici
ch'egli non pensasse a passare colà in persona; e tanto più perchè
l'armata veneta avea spedito di là dal Mincio un grosso distaccamento,
e si temeva di Brescia. Ma il prode Gastone mosso una notte l'esercito
dal Finale, ad onta della neve e dei ghiacci, con esso arrivò a
Bologna nel dì quinto di febbraio e v'entrò per la porta di san Felice,
senzachè se ne avvedessero i nemici: il che certo parrà inverisimile
a più d'uno, e pure lo veggiamo scritto come cosa fuor di dubbio.
Pensava egli di uscir tosto addosso agli assedianti; ma deferendo
ai consigli di chi conoscea la necessità di ristorar la gente troppo
stanca, intanto preso dagli Spagnuoli uno stradiotto rivelò ad essi lo
stato presente della città. Di più non vi volle, perchè l'armata dei
collegati levasse frettolosamente il campo, e si ritirasse alla volta
d'Imola. Solamente alcuni cavalli franzesi ne pizzicarono la coda con
prendere qualche bagaglio. Nella Storia del Guicciardino è messa la
ritirata loro nel dì 15 di febbraio, ma ciò avvenne nella notte del dì
sesto antecedente al giorno settimo. Per questo avvenimento si diffuse
l'allegrezza per tutta Bologna; quando eccoli arrivar corrieri con
delle disgustose nuove che turbarono tutta la festa.
Aveva il _conte Luigi Avogadro_ nobile bresciano con altri suoi
compatrioti bene affetti alla repubblica veneta, e stanchi del
governo franzese, invitati segretamente i Veneziani all'acquisto di
Brescia, promettendo d'introdurli dentro per la porta delle Pile,
giacchè poco presidio era rimasto in quella città. A questo trattato
avendo accudito il senato veneto, _Andrea Gritti_ legato della
loro armata, e personaggio di gran coraggio, con trecento uomini
d'armi, mille e trecento cavalli leggieri e mille fanti, partito da
Soave, andò a valicare il Mincio, ed unito coll'Avogadro si presentò
davanti a Brescia. Ma, essendosi scoperto il trattato, e presi alcuni
de' congiurati, niun movimento si fece nella città. Il Gritti non
iscoraggito per questo, giacchè giunsero a rinforzarlo alcune migliaia
di villani, volle tentar colla forza ciò che non s'era potuto ottener
colla frode. Fu dato nel dì 5 di febbraio da più parti l'assalto e
la scalata a Brescia; e perciocchè finalmente sollevossi il popolo
gridando ad alte voci _Marco, Marco,_ il signor di Luda comandante
franzese co' suoi e co' nobili del suo seguito si ritirò nel castello.
Dato fu il sacco alle case de' nobili fuggiti, e a quanto v'era de'
Franzesi; e stentò assaissimo il Gritti a trattenere gl'ingordi soldati
e villani dal far peggio. Stesasi questa nuova a Bergamo, anche quella
città, a riserva del castello, alzò le bandiere di San Marco: segno
che i Franzesi non sapeano acquistarsi l'amore de' popoli. Corse bene
il Trivulzio a Bergamo, ma ritrovò serrate ivi le porte per lui; però
si ridusse a Crema, e quella città preservò dalla ribellione. In
Venezia per tali acquisti si fecero per tre dì immense allegrezze.
Intanto a Gastone di Fois giunsero l'uno dietro l'altro corrieri
coll'avviso della perdita di Brescia e di Bergamo. Per sì dolorosa
nuova non punto sbigottito il generoso principe, dopo aver lasciato in
Bologna il signor della Foglietta con quattrocento lancie e secento
arcieri, e _Federigo da Bozzolo_ con quattro mila fanti, nel lunedì
8 di febbraio col resto della sua gente s'avviò a Cento. Fu nel dì
seguente al Bondeno e alla Stellata. Nel mercordì passò il Po, e si
fermò ad Ostia. L'altro dì passò il Tartaro a Nogara; dove saputo che
_Gian-Paolo Baglione_ governatore dell'armata veneta era pervenuto
all'isola della Scala con trecento lancie e mille fanti, scortando
dodici cannoni da batteria e gran copia di munizioni per l'espugnazione
del castello di Brescia, subito spinse circa mille e ducento cavalli
a quella volta. Il Baglione, avvertito da' contadini, spronò coi suoi
il più che potè. Giunsero i Franzesi alla torre del Magnano addosso al
_conte Guido Rangone_, che marciava con altre fanterie e con trecento
cavalli. Fatta egli testa, cominciò valorosamente a difendersi; ma
sopraffatto dalla gente che di mano in mano arrivava, e cadutogli sotto
il cavallo, rimase egli con altri non pochi prigione. Si contarono più
di trecento fanti sul campo estinti, oltre ai prigionieri. Il resto si
salvò col Baglione. Questa pugna seguì circa le quattro ore della notte
al chiaro della neve, e al lume delle stelle. Vennero poi i vincitori
ad alloggiare in varie ville, _dove si trovò aver eglino fatto quel
giorno, senza mai trarre la briglia ai cavalli, miglia cinquanta: cosa
che so non sarà creduta; ma io, che fui presente sul fatto, ne faccio
vera testimonianza_. Queste son parole dell'Anonimo Padovano, la cui
Storia manuscritta è in mio potere.
Somma in questo mentre fu la sollecitudine e lo sforzo di _Andrea
Gritti_, per veder pure se poteva espugnare il castello di Brescia;
unì schiere assaissime di villani armati; dappertutto accrebbe le
fortificazioni e le guardie, animando specialmente con bella orazione
il popolo alla difesa, e con ricavarne per risposta, che tutti erano
pronti a mettere la vita loro e de' proprii figliuoli, e quanto aveano,
piuttosto che tornare sotto il crudel dominio oltramontano. Nel martedì
della seguente settimana giunse Gastone in vicinanza di Brescia, e
la notte introdusse nel castello quattrocento lancie (con rimandare
indietro i lor cavalli) e tre mila fanti. Fece nel dì seguente intimare
al popolo, che se non si rendevano in quel dì, darebbe la città a
sacco; e che, rendendosi, otterrebbe il perdono dal re. Altra risposta
non riportò, se non che si voleano difendere sino alla morte. Attese
quella notte chi avea giudizio a mettere in monistero le lor mogli e
figliuole, e a seppellir ori, argenti e gioie, dove più pensavano che
fossero sicuri. La mattina seguente, all'apparir del giorno, che fu il
dì 19 di febbraio, cioè il giovedì grasso dell'anno presente, giorno
sempre memorando, scesero dal castello i Franzesi. Si leggeva nei lor
volti l'impazienza e il furore per la voglia e speranza del vagheggiato
bottino. Battaglia fiera seguì ai primi ripari de' Veneziani. Superati
questi colla morte di circa due mila Veneti, entrarono i Franzesi con
grande schiamazzo nella città, e ferocemente assalita la gente d'armi
che era alla difesa della piazza, dopo un sanguinoso combattimento,
la mise in rotta. Intanto il resto dell'armata franzese che era fuori
della città, aspettando che si aprisse qualche porta, vide spalancarsi
quella di San Nazaro, per cui fuggiva con ducento cavalli il conte
Luigi Avogadro, promotore di quella congiura. Restò egli prigione, ed
entrate quelle milizie, finirono d'uccidere, dissipare e far prigioni
i Veneti e Bresciani armati, con tante grida e rumore, che parea che
rovinasse il mondo. Mirabili cose vi foce Gastone di Fois, non solo
come capitano, ma come ottimo soldato. Si fece conto che vi morissero
più di sei mila fra cittadini e Veneziani, o fra gli altri _Federigo
Contarino_ capitano di tutti i cavalli leggeri della repubblica.
Rimasero prigioni _Andrea Gritti legato, Antonio Giustiniano_ podestà,
_Gian-Paolo Manfrone_, ed altri assaissimi uffiziali. Dei Franzesi vi
morirono più di mille persone. Terminata la battaglia, si scatenarono
gli arrabbiati vincitori per dare il sacco a quell'opulenta ed infelice
città. Durò questo quasi per due giorni, ne' quali non si può dire
quanta fosse la crudeltà di que' cani, giacchè in sì fatte occasioni
gli armati non san più d'essere, non dirò cristiani, ma neppur uomini,
e peggiori si scuoprono delle fiere stesse. Non contenti de' mobili
di qualche prezzo, fecero prigioni tutti i benestanti cittadini,
obbligandoli con tormenti inuditi a rivelar le robe e danari ascosi,
o a pagare delle esorbitanti taglie; e molti, per non poterle pagare,
furono trucidati. Entrarono anche in ogni monistero di religiosi, e
tutto il bene ivi ricoverato restò in loro preda. Sul principio ancora
del sacco non pochi scellerati soldati, senza far conto del divieto
fatto dal generale Gastone, forzarono le porte di alcuni conventi
di sacre vergini, commettendovi cose da non dire. Ma avendone esso
generale fatti impiccare non so quanti, provvide alla sicurezza di que'
sacri luoghi, dove s'erano rifugiate quasi tutte le donne bresciane.
La sera finalmente del venerdì uscì bando, sotto pena della vita, che
cessasse il saccheggio, e che nel dì seguente tutti i soldati uscissero
di città. Appena udirono sì grande scempio i Bergamaschi, che nella
seguente domenica tornarono all'ubbidienza de' Franzesi, e collo sborso
di venti mila scudi impetrarono il perdono. L'Avogadro ed altri autori
di tanto male alla loro patria, nel dì appresso furono decapitati e
squartati; e due figli del primo da lì ad un anno anch'essi ebbero
reciso il capo in Milano. Tal fine ebbe questa lagrimevol tragedia, che
fece incredibile strepito per tutta l'Europa.
Intanto _papa Giulio_ più che mai inviperito contra del re di Francia,
e risoluto, come egli sempre andava dicendo, di voler cacciare i
Barbari d'Italia, senza pensare se questo fosse un mestiere da sommo
pastor della Chiesa e vicario di Cristo, movea cielo e terra per
levare gli amici ad esso re Cristianissimo, e per tirargli addosso dei
nemici. Gli riuscì di condurre _Massimiliano Cesare_ ad una tregua
di dieci mesi co' _Veneziani_, mediante lo sborso di cinquanta mila
fiorini renani, e in fine di staccarlo affatto dai Franzesi. Seppe
far tanto, che _Arrigo re_ d'Inghilterra si diede a fare un potente
preparamento d'armi per muovere guerra alla Francia. _Ferdinando il
Cattolico_, oltre a quella che faceva in Italia, fu incitato ancora
a cominciarne un'altra ne' Pirenei. Nuovi e gagliardi maneggi fece
parimente il pontefice col denaro e con altri regali, per tirar
di nuovo gli Svizzeri contra dello Stato di Milano. Vedeva il _re
Lodovico_ tutti questi nuvoli in aria, ed intanto avea sulle spalle
gli eserciti pontificio, veneto e spagnuolo, che maggior apprensione
gli recavano per gli Stati d'Italia. Perciò inviò ordine a _Gastone
di Fois_ di tentar la fortuna con una battaglia. Gastone, sentendosi
invitato al suo giuoco, e sapendo da altra parte che Bologna si trovava
continuamente infestata e come bloccata dalle armi del papa e del
vicerè Cardona, passò a Ferrara per concertare col _duca Alfonso_
quanto era da fare. E dacchè ebbe ricevuto un rinforzo di trecento
lancie e di quattro mila fanti guasconi e piccardi, e cinque mila
fanti tedeschi, condotti da Jacob e Filippo capitani di gran nome in
Germania; fece la rassegna dell'armata sua, che si trovò ascendere a
lancie ossia uomini d'arme mille e ottocento, a quattro mila arcieri
e a sedici mila fanti. Nel dì 26 di marzo mosse dal Finale di Modena
l'armata sua verso la Romagna, e al luogo del Bentivoglio seco
si unì Alfonso duca di Ferrara colle sue truppe, e con gran copia
d'artiglierie e munizioni. A questo avviso, il _cardinal de' Medici_
legato e il _Cardona_ si ritirarono verso la montagna di Faenza col
loro esercito, consistente in mille e cinquecento lancie, in tre
mila cavalli leggieri e in diciotto mila fanti. Non aveano voglia di
venire alle mani, perchè speravano che, tirando in lungo la faccenda,
calerebbono gli Svizzeri nello Stato di Milano, ed unicamente pensavano
a difficultar le vettovaglie al campo franzese. Giunto Gastone a
Cotignola, arrivarono oratori di _Massimiliano Cesare_ ad intimar gravi
pene ai Tedeschi militanti al soldo del re Cristianissimo; ma senza
frutto, avendo que' capitani risposto di non voler mancare alla lor
fede. Fu dunque presa la risoluzione nel campo franzese di marciare
alla volta di Ravenna. Per non lasciarsi alle spalle il forte e ricco
castello di Russi, giacchè arrogantemente fu risposto dagli abitanti
all'intimazione di rendersi, convenne adoperar le artiglierie, e con
un fiero e sanguinoso assalto impadronirsene. Vi furono tagliate
a pezzi (se vogliam prestar fede all'Anonimo Padovano, che sembra
essere intervenuto a quel macello) circa mille persone tra soldati e
terrazzani, e dato un orrido sacco all'infelice luogo. Il Guicciardino
molto men dice de' morti. Indi passò l'esercito sotto Ravenna, alla cui
possesso. Ricuperò ancora il Polesine di Rovigo, ed avrebbe anche
potuto riaver Modena; ma di più non osò per riverenza a _Massimiliano
Cesare_ che comandava in questa città, e al _re Cristianissimo_,
a cui non piaceva di dar maggiore molestia al pontefice. Quanto al
_Trivulzio_, dacchè egli ebbe intesa la mente del re, lasciato qualche
rinforzo di gente ai Bentivogli, s'inviò coll'esercito franzese alla
Concordia; e, se vogliam credere all'Anonimo Padovano, più che al
Guicciardino, fu in questo tempo, e non già prima, che l'espugnò.
Fu presa a forza d'armi quella terra, e data a sacco, colla morte di
quasi tutto il presidio di trecento fanti, che ivi si trovarono sotto
il comando del suddetto Alberto Pio. Locchè fatto, si spinse sotto la
Mirandola. _Gian-Francesco Pico_, non vedendo speranza di soccorso,
e sapendo anche d'essere odiato da quel popolo, giudicò meglio di
capitolarne la resa, e di ritirarsi dolente colla sua famiglia ed avere
in Toscana; con che rientrò nella Mirandola la _contessa Francesca_,
figlia d'esso maresciallo Trivulzio, con Galeotto suo figlio. Attesero
da lì innanzi i Franzesi alla guerra contro la signoria di Venezia,
uniti con gl'imperiali in Verona. Nel mese di giugno dall'armata
veneta che era a Soave e a San Bonifazio, e continuamente infestava
il Veronese, fu spedito un grosso corpo di gente per dare il guasto
alle biade già mature. Trecento lance franzesi, uscite di Verona,
ne lasciarono tornar pochi al loro campo. Un altro giorno imperiali,
Franzesi ed Italiani, in numero di sedici mila persone sotto il comando
del _signor della Palissa_ e del signor di Rossa Borgognone, marciarono
verso Soave. _Lucio Malvezzo_ e _Andrea Gritti_, messo in armi
l'esercito veneto, animosamente s'affrontarono con loro a Villanova.
La peggio toccò ai Veneti, i quali poi si ritirarono a Lunigo, e di là
a Padova, lasciando aperta la strada a' nemici di venire a postarsi a
Vicenza. Passò dipoi l'armata de' collegati sotto Trivigi, ma lo trovò
ben guardato. Nel tempo stesso calò un esercito tedesco, comandato
dal _duca di Brunsvich_, nel Friuli, stato finora campo di battaglia e
di miserie. Si impadronì di Castel Nuovo, Conegliano, Sacile, Udine;
in una parola di tutto il Friuli. Quindi passò sotto Gradisca, una
delle migliori fortezze d'Italia; e, piantate le batterie, per viltà
de' soldati che erano alla difesa, furono obbligati gli uffiziali
veneti a capitolar la resa con oneste condizioni. Ma che? non andò
molto che si vide cangiar faccia la fortuna. Era mancato di vita
_Lucio Malvezzo_ governator dell'armata veneta, e in suo luogo eletto
_Gian-Paolo Buglione_ Perugino, persona di gran credito nella milizia.
Questi, sapendo essere Verona restata assai smilza di presidio,
e con soli fanti, spedì cinquecento stradiotti a cavallo, che si
diedero ad infestar tutti i contorni di Verona; cosicchè quella città
pareva assediata, nè potea ricevere vettovaglie. Venendo ancora il
conte di Prosnich Tedesco da Marostica, per andare a Trivigi con
trecento cavalli, il Baglione spedì contra d'essi _Giano Fregoso
_e il _conte Guido Rangone_ con secento cavalli. La battaglia ne'
contorni di Bassano fu svantaggiosa ai Veneti sul principio, con
restarvi prigioniere il Rangone, che, senza volere o potere aspettar
il compagno, avea attaccata la zuffa. Sopraggiunto poscia il Fregoso,
non solo ricuperò i prigioni, ma ruppe affatto i Tedeschi, che parte
dai vincitori, parte dai villani furono uccisi. Quel che è più,
venute le pioggie, rotte le strade, non potendo gli eserciti ricevere
vettovaglie, si ritirarono i collegati di sotto Trivigi, e andarono a
Verona. Anche il duca di Brunsvich se ne tornò in Germania. La loro
ritirata servì di facilità a' Veneziani per ricuperar l'infelice
Vicenza e tutto il Friuli, a riserva di Gradisca, non so se con più
loro onore o più vergogna di Massimiliano Cesare.
Gravemente s'infermò in Roma _papa Giulio_ verso la metà d'agosto, e
fece sperare a molti e temere ad altri il fine di sua vita. Neppur
questo ricordo dell'umana bastò ad introdurre in quel feroce animo
veri desiderii di pace, benchè tanto v'inclinasse il re di Francia
con altri potentati. Appena si riebbe egli, che tornò ai soliti
maneggi di leghe e ai preparamenti di guerra. S'era dato principio
in Pisa all'immaginato conciliabolo contra di lui. Per opporsegli,
intimò anch'egli un concilio generale da tenersi nell'anno prossimo
nel Laterano. Tanto poi seppe fare l'indefesso pontefice, che trasse
affatto ai suoi voleri in quest'anno _Ferdinando il Cattolico_ re
d'Aragona e delle due Sicilie, ed _Arrigo VIII_ re d'Inghilterra.
Veramente il primo avea mirato sempre di mal occhio le nuove
conquiste dei Franzesi in Italia, e dacchè ebbe ricuperato ciò che a
lui apparteneva nel regno di Napoli, sospirava ogni dì una ragione
o pretesto per levarsi dalla Lega di Cambrai, e romperla col re di
Francia. Siccome principe di mirabil accortezza, sapeva per lo più
coprir la sua fina politica col mantello della religione. Così fu nella
presente occasione. Col motivo di far guerra ai Mori in Africa, ottenne
dal papa le decime del clero, e con far predicare questa santa impresa,
ricavò lauto danaro dalla pietà de' suoi popoli, che mise insieme una
buona annata, la quale avea poi da servire contro i Cristiani, come
ne' tre secoli precedenti si era tante altre volte praticato non senza
disonore della religion cristiana. Ossia ch'egli fosse prima d'accordo
col papa per questo armamento, o che il papa il tirasse nel suo
partito in quest'anno, certo è che fecero lega insieme, comprendendo
in essa i Veneziani; e questa fu solennemente pubblicata in Roma nel
dì quinto d'ottobre. Indotto a ciò si mostrava il re Cattolico dal suo
particolare zelo di religione per difendere il papa, oppresso dall'armi
franzesi coll'occupazion di Bologna, e con lo scismatico concilio di
Pisa. Trasse il papa, siccome poco fa dissi, in questa lega anche il re
d'Inghilterra; e si legge presso in Rymer[384] e presso il Du-Mont[385]
lo strumento d'unione fra esso re e il Cattolico, stipulato a dì 20 di
dicembre dell'anno presente _pro suscipienda sanctae romanae Ecclesiae
Matris nostrae defensione pernecessaria_. Pertanto avendo Ferdinando
inviato nel regno di Napoli mille e ducento lance, o vogliano dire
uomini d'armi, mille cavalli leggeri e dieci mila fanti, tutta gente
di singolar bravura e fedeltà, pel cui mantenimento s'erano obbligati
il pontefice e il senato veneto di pagare ogni mese quaranta mila
ducati d'oro, la metà per cadauno: ordinò che questo esercito, sotto
il comando di _don Raimondo di Cardona_ vicerè di Napoli, venisse
ad unirsi in Romagna col pontificio e veneto, il che fu eseguito. Ma
qui non finì la tela. Furono di nuovo mossi dal danaro del papa gli
Svizzeri contro lo Stato di Milano; e in fatti molte migliaia d'essi
sul principio di novembre calarono a Varese, col concerto che le armi
venete e del papa avrebbono fatta una gagliarda diversione. Portavano
lo stendardo, sotto il quale nel precedente secolo aveano date le
memorabili rotte al duca di Borgogna. A questo formidabil segno dovea
tremar chicchessia. Lo Storico Padovano scrive, che nel loro generale
stendardo a lettere d'oro era scritto: DOMATORES PRINCIPVM. AMATORES
JUSTITIAE. DEFENSORES SANCTAE ROMANAE ECCLESIAE.
Era intanto dichiarato per governator di Milano e suo luogotenente
generale dal re Cristianissimo, _Gastone di Fois_ suo nipote, giovane
che nell'età di soli ventidue anni uguagliava, se non superava,
in senno e valore i più vecchi e sperimentati capitani. Poca gente
d'armi, poca fanteria avea egli; e in Milano era non lieve il terrore
e la costernazione. Andò Gastone per consiglio del _Trivulzio_ a
postarsi a Saronno con quelle forze che potè raunare. Ed essendosi
inoltrati gli Svizzeri a Galerate, con saccheggiare e bruciare ogni
cosa, seguitarono il viaggio verso Milano, dove si andò ritirando
Gastone, oppure Trivulzio, come s'ha dall'Anonimo Padovano. Il
quale aggiugne che seguirono varii combattimenti colla peggio ora
degli uni, ora degli altri. Ma non osando gli Svizzeri di fare alcun
tentativo contra di quella gran città, piegarono verso Cassano, con
apparenza di voler passare l'Adda. Quand'eccoti a tutto un tempo,
spedito un loro uffiziale a Gastone, si offerirono di tornarsene alle
loro montagne, se si volea dar loro un mese di paga. Essendo intanto
arrivati quattro mila fanti italiani a Milano, Gastone allora parlò
alto, e poco esibì. Da lì a poco andarono a finir le minaccie di que'
barbari in ritirarsi al loro paese, lasciando per la seconda volta
delusi i commissarii del papa e de' Veneziani, che erano con loro,
ed allegando per iscusa che non correvano le paghe, ed aver mancato i
generali del papa e de' Veneziani al concerto della lor venuta. Così
è raccontato questo fatto dal Guicciardino e dall'autore franzese
della Lega di Cambrai. Ma l'Anonimo Padovano, forse meglio informato
di questi affari, scrive che Gastone col danaro corruppe il capitano
Altosasso, ed alcuni altri condottieri svizzeri, i quali, mosso tumulto
nell'armata, fecero svanire ogni altro disegno. Usciti di questo
pericoloso imbroglio i Franzesi, vennero dipoi a prendere il quartiere
a Carpi, alla Mirandola, a San Felice e al Finale; e questo perchè
gli Spagnuoli erano già pervenuti a Forlì, ed uniti coll'esercito
pontificio minacciavano l'assedio di Bologna. Riuscì in quest'anno a
di tre di settembre ai Fiorentini dopo lungo tratto e molte minaccie,
di cavar di mano de' Senesi la terra di Montepulciano. Di grandi
istanze fece loro il _re Lodovico_, perchè uscissero di neutralità,
ed entrassero in lega con lui; e le dimande sue erano avvalorate dal
Soderini perpetuo gonfaloniere di quella repubblica. Tuttavia prevalse
il parere dei più di non mischiarsi in sì arrabbiata guerra. Nè si dee
tralasciare che fu dato principio in Pisa al conciliabolo dei Franzesi;
ma principio ridicolo, sì poco era il numero de' concorrenti, nè si
vedea comparire alcuno dalla parte di _Massimiliano Cesare_. Avea
_papa Giulio_ colle buone tentato più volte, ma sempre inutilmente,
di far ravvedere quei pochi sconsigliati cardinali; ma allorchè si
vide forte in sella per le leghe, delle quali, s'è parlato disopra,
nel dì 24 d'ottobre fulminò le censure contra di loro, privandoli del
cappello e d'ogni altro benefizio. Non sapea digerire il popolo di
Pisa di tenere in sua casa un sì fatto scandalo, e brontolava forte,
e facea temer qualche sollevazione. Perciò que' prelati impetrarono da
Firenze di poter tenere una guardia di Franzesi, ma mediocre, per lor
sicurezza. I Franzesi di quel tempo, per confession d'ognuno, erano
senza disciplina; e gravosi anche agli amici per la loro arroganza ed
insolenza, massimamente verso le donne; locchè produsse delle risse
fra loro e i Pisani, ed una specialmente, in cui restarono feriti
i _signori di Lautres_ e di _Sciattiglione_, che comandavano quella
guardia. Il perchè quei cardinali, paventando di peggio, giudicarono
meglio di ritirarsi a Milano, anche ivi mal veduti da quel popolo, ma
sostenuti da chi potea farsi rispettare. Un grande tremuoto nel mese
di marzo del presente anno recò non lieve danno a Venezia, a Padova, al
Friuli e a molti di que' contorni.
NOTE:
[383] Bembo. Guicciardino. Storia Ven. MS.
[384] Rymer, Act. Public.
[385] Du-Mont, Corp. Diplomat.
Anno di CRISTO MDXII. Indizione XV.
GIULIO II papa 10.
MASSIMILIANO I re de' Romani 20.
Si meravigliano talvolta alcuni al vedere al di nostri le armate
campeggiare in tempo di verno, e fare assedii e battaglie, quasi
prodezze ignote agli antichi. Ma noi abbiam veduto ciò che avvenne
nel precedente verno; ora vedremo ciò che nel presente. Dappoichè
si fu congiunto l'esercito spagnuolo sotto il comando del vicerè
_Raimondo di Cardona_ col pontificio, in cui era legato _Giovanni
cardinale dei Medici_, e sotto di lui _Marcantonio Colonna_, messo
in consulta l'andare addosso a Ferrara, oppure a Bologna, si trovò
troppo difficile il primo disegno per le strade rotte e pel rigore
della stagione, e però fu presa la risoluzione di mettere il campo a
Bologna, dove si potea meglio campeggiare; e che intanto si procurasse
l'acquisto della bastia, ossia fortezza che il duca di Ferrara
teneva alla Fossa Zaniola, siccome posto di grande importanza per
andar a Ferrara. Colà fu inviato verso il fine di dicembre dell'anno
precedente _Pietro Navarro_, mastro di campo, generale della fanteria
spagnuola, uomo di gran credito nelle armi. V'andò egli con due mila
fanti (il Bembo scrive nove mila) e con un buon treno di artiglieria.
l'Anonimo Padovano: mette per capitano di questa impresa il signor
_Franzotto Orsino_. Aggiugne ancora che in poche ore, tolte le difese
agli assediati, se ne impadronirono gli Spagnuoli a forza d'armi. Del
medesimo tenore parla anche lo scrittore della Lega di Cambrai. Ma il
Guicciardino e il Bembo dicono, che dopo tre dì di resistenza, Gasparo
Sardi ferrarese dopo cinque giorni, e fra Paolo carmelitano dopo dieci
dì, ebbero quella piazza. Non può certamente sussistere tanta brevità
di tempo, perchè convenne battere con artiglierie le mura, e secondo
il Bembo, vi fu formata e fatta giuocar una mina gravida di polve
da fuoco: cose che richieggono tempo. La verità si è, che dopo fatta
la breccia o colle palle da cannone o colla mina, fu dato l'assalto
che costò non poco sangue agli aggressori, ed obbligò il valoroso
Vestidello Pagano, comandante di quella fortezza, con que' pochi de'
suoi ch'erano restati in vita, a rendersi, salve le persone, nel dì
ultimo di dicembre del precedente anno. Scrivono alcuni, ch'egli fu
ucciso nell'ostinata difesa; ma Gasparo Sardi e l'Ariosto che meglio
sapeano i fatti di casa loro, ci assicurano, avere quei mancatori di
fede tolta a lui la vita dopo la resa, in vendetta di un loro bravo
uffiziale perito con tant'altra gente in quell'assedio. Ecco le parole
dell'Ariosto:
_Che poichè in lor man vinto si fu messo_
_Il miser Vestidel, lasso e ferito,_
_Senz'arme fu fra cento spade ucciso_
_Dal popol la più parte circonciso._
_Alfonso duca_ di Ferrara, a cui stava forte sul cuore la perdita
di quel rilevante posto, nel dì 15 di gennaio di quest'anno colà si
portò anch'egli colla gente e colle artiglierie occorrenti, e seppe
così destramente e valorosamente condurre l'impresa, che diroccato il
muro frescamente rifatto, in poche ore a forza d'armi ripigliò quella
fortezza, con esservi mandati a filo di spada tutti i difensori. Fu
colpito nell'assalto lo stesso duca nella fronte da una pietra mossa
dalle artiglierie con tal empito, che rimase tramortito più giorni.
La celata gli salvò la vita. Papa Giulio, uomo facilmente rotto ed
iracondo, scrisse per questo fatto lettere di fuoco a' suoi capitani.
Dopo vari consigli finalmente nel dì 20 di gennaio colla neve in
terra l'esercito pontificio e spagnuolo imprese l'assedio di Bologna,
postandosi verso quella città dalla parte della Romagna per la
comodità delle vettovaglie. Piantate le batterie, si diede principio
alla loro terribile sinfonia, si formarono gli approcci, e già erano
diroccate cento braccia delle mura, e vacillante la torre della
porta di santo Stefano. Dentro non mancavano ad una valorosa difesa i
_Bentivogli_ con chi era del loro partito, e _Odetto di Fois_, ed _Ivo
d'Allegre_ capitani franzesi che con due mila Tedeschi e dugento lance
rinforzavano quel presidio. Erasi per dare l'assalto alla breccia, ma
si volle aspettar l'esito di una mina, tirata sotto la cappella della
beata Vergine del Baracane nella strada Castiglione da Pietro Novarro.
Scoppiò questa, e mirabil cosa fu, che la cappella fu balzata in aria,
e tornò a ricadere nel medesimo sito di prima, con restar delusa
l'aspettazion degli Spagnuoli, quivi pronti per l'assalto. Intanto
Gastone di Fois, ridottosi al Finale di Modena, andava ammassando le
sue genti, e seco si unì il duca di Ferrara colle sue. Udito il bisogno
de' Bolognesi, spedì loro mille fanti, e poi centocinquanta lance che
felicemente entrarono nella città: cosa che fece credere ai nemici
ch'egli non pensasse a passare colà in persona; e tanto più perchè
l'armata veneta avea spedito di là dal Mincio un grosso distaccamento,
e si temeva di Brescia. Ma il prode Gastone mosso una notte l'esercito
dal Finale, ad onta della neve e dei ghiacci, con esso arrivò a
Bologna nel dì quinto di febbraio e v'entrò per la porta di san Felice,
senzachè se ne avvedessero i nemici: il che certo parrà inverisimile
a più d'uno, e pure lo veggiamo scritto come cosa fuor di dubbio.
Pensava egli di uscir tosto addosso agli assedianti; ma deferendo
ai consigli di chi conoscea la necessità di ristorar la gente troppo
stanca, intanto preso dagli Spagnuoli uno stradiotto rivelò ad essi lo
stato presente della città. Di più non vi volle, perchè l'armata dei
collegati levasse frettolosamente il campo, e si ritirasse alla volta
d'Imola. Solamente alcuni cavalli franzesi ne pizzicarono la coda con
prendere qualche bagaglio. Nella Storia del Guicciardino è messa la
ritirata loro nel dì 15 di febbraio, ma ciò avvenne nella notte del dì
sesto antecedente al giorno settimo. Per questo avvenimento si diffuse
l'allegrezza per tutta Bologna; quando eccoli arrivar corrieri con
delle disgustose nuove che turbarono tutta la festa.
Aveva il _conte Luigi Avogadro_ nobile bresciano con altri suoi
compatrioti bene affetti alla repubblica veneta, e stanchi del
governo franzese, invitati segretamente i Veneziani all'acquisto di
Brescia, promettendo d'introdurli dentro per la porta delle Pile,
giacchè poco presidio era rimasto in quella città. A questo trattato
avendo accudito il senato veneto, _Andrea Gritti_ legato della
loro armata, e personaggio di gran coraggio, con trecento uomini
d'armi, mille e trecento cavalli leggieri e mille fanti, partito da
Soave, andò a valicare il Mincio, ed unito coll'Avogadro si presentò
davanti a Brescia. Ma, essendosi scoperto il trattato, e presi alcuni
de' congiurati, niun movimento si fece nella città. Il Gritti non
iscoraggito per questo, giacchè giunsero a rinforzarlo alcune migliaia
di villani, volle tentar colla forza ciò che non s'era potuto ottener
colla frode. Fu dato nel dì 5 di febbraio da più parti l'assalto e
la scalata a Brescia; e perciocchè finalmente sollevossi il popolo
gridando ad alte voci _Marco, Marco,_ il signor di Luda comandante
franzese co' suoi e co' nobili del suo seguito si ritirò nel castello.
Dato fu il sacco alle case de' nobili fuggiti, e a quanto v'era de'
Franzesi; e stentò assaissimo il Gritti a trattenere gl'ingordi soldati
e villani dal far peggio. Stesasi questa nuova a Bergamo, anche quella
città, a riserva del castello, alzò le bandiere di San Marco: segno
che i Franzesi non sapeano acquistarsi l'amore de' popoli. Corse bene
il Trivulzio a Bergamo, ma ritrovò serrate ivi le porte per lui; però
si ridusse a Crema, e quella città preservò dalla ribellione. In
Venezia per tali acquisti si fecero per tre dì immense allegrezze.
Intanto a Gastone di Fois giunsero l'uno dietro l'altro corrieri
coll'avviso della perdita di Brescia e di Bergamo. Per sì dolorosa
nuova non punto sbigottito il generoso principe, dopo aver lasciato in
Bologna il signor della Foglietta con quattrocento lancie e secento
arcieri, e _Federigo da Bozzolo_ con quattro mila fanti, nel lunedì
8 di febbraio col resto della sua gente s'avviò a Cento. Fu nel dì
seguente al Bondeno e alla Stellata. Nel mercordì passò il Po, e si
fermò ad Ostia. L'altro dì passò il Tartaro a Nogara; dove saputo che
_Gian-Paolo Baglione_ governatore dell'armata veneta era pervenuto
all'isola della Scala con trecento lancie e mille fanti, scortando
dodici cannoni da batteria e gran copia di munizioni per l'espugnazione
del castello di Brescia, subito spinse circa mille e ducento cavalli
a quella volta. Il Baglione, avvertito da' contadini, spronò coi suoi
il più che potè. Giunsero i Franzesi alla torre del Magnano addosso al
_conte Guido Rangone_, che marciava con altre fanterie e con trecento
cavalli. Fatta egli testa, cominciò valorosamente a difendersi; ma
sopraffatto dalla gente che di mano in mano arrivava, e cadutogli sotto
il cavallo, rimase egli con altri non pochi prigione. Si contarono più
di trecento fanti sul campo estinti, oltre ai prigionieri. Il resto si
salvò col Baglione. Questa pugna seguì circa le quattro ore della notte
al chiaro della neve, e al lume delle stelle. Vennero poi i vincitori
ad alloggiare in varie ville, _dove si trovò aver eglino fatto quel
giorno, senza mai trarre la briglia ai cavalli, miglia cinquanta: cosa
che so non sarà creduta; ma io, che fui presente sul fatto, ne faccio
vera testimonianza_. Queste son parole dell'Anonimo Padovano, la cui
Storia manuscritta è in mio potere.
Somma in questo mentre fu la sollecitudine e lo sforzo di _Andrea
Gritti_, per veder pure se poteva espugnare il castello di Brescia;
unì schiere assaissime di villani armati; dappertutto accrebbe le
fortificazioni e le guardie, animando specialmente con bella orazione
il popolo alla difesa, e con ricavarne per risposta, che tutti erano
pronti a mettere la vita loro e de' proprii figliuoli, e quanto aveano,
piuttosto che tornare sotto il crudel dominio oltramontano. Nel martedì
della seguente settimana giunse Gastone in vicinanza di Brescia, e
la notte introdusse nel castello quattrocento lancie (con rimandare
indietro i lor cavalli) e tre mila fanti. Fece nel dì seguente intimare
al popolo, che se non si rendevano in quel dì, darebbe la città a
sacco; e che, rendendosi, otterrebbe il perdono dal re. Altra risposta
non riportò, se non che si voleano difendere sino alla morte. Attese
quella notte chi avea giudizio a mettere in monistero le lor mogli e
figliuole, e a seppellir ori, argenti e gioie, dove più pensavano che
fossero sicuri. La mattina seguente, all'apparir del giorno, che fu il
dì 19 di febbraio, cioè il giovedì grasso dell'anno presente, giorno
sempre memorando, scesero dal castello i Franzesi. Si leggeva nei lor
volti l'impazienza e il furore per la voglia e speranza del vagheggiato
bottino. Battaglia fiera seguì ai primi ripari de' Veneziani. Superati
questi colla morte di circa due mila Veneti, entrarono i Franzesi con
grande schiamazzo nella città, e ferocemente assalita la gente d'armi
che era alla difesa della piazza, dopo un sanguinoso combattimento,
la mise in rotta. Intanto il resto dell'armata franzese che era fuori
della città, aspettando che si aprisse qualche porta, vide spalancarsi
quella di San Nazaro, per cui fuggiva con ducento cavalli il conte
Luigi Avogadro, promotore di quella congiura. Restò egli prigione, ed
entrate quelle milizie, finirono d'uccidere, dissipare e far prigioni
i Veneti e Bresciani armati, con tante grida e rumore, che parea che
rovinasse il mondo. Mirabili cose vi foce Gastone di Fois, non solo
come capitano, ma come ottimo soldato. Si fece conto che vi morissero
più di sei mila fra cittadini e Veneziani, o fra gli altri _Federigo
Contarino_ capitano di tutti i cavalli leggeri della repubblica.
Rimasero prigioni _Andrea Gritti legato, Antonio Giustiniano_ podestà,
_Gian-Paolo Manfrone_, ed altri assaissimi uffiziali. Dei Franzesi vi
morirono più di mille persone. Terminata la battaglia, si scatenarono
gli arrabbiati vincitori per dare il sacco a quell'opulenta ed infelice
città. Durò questo quasi per due giorni, ne' quali non si può dire
quanta fosse la crudeltà di que' cani, giacchè in sì fatte occasioni
gli armati non san più d'essere, non dirò cristiani, ma neppur uomini,
e peggiori si scuoprono delle fiere stesse. Non contenti de' mobili
di qualche prezzo, fecero prigioni tutti i benestanti cittadini,
obbligandoli con tormenti inuditi a rivelar le robe e danari ascosi,
o a pagare delle esorbitanti taglie; e molti, per non poterle pagare,
furono trucidati. Entrarono anche in ogni monistero di religiosi, e
tutto il bene ivi ricoverato restò in loro preda. Sul principio ancora
del sacco non pochi scellerati soldati, senza far conto del divieto
fatto dal generale Gastone, forzarono le porte di alcuni conventi
di sacre vergini, commettendovi cose da non dire. Ma avendone esso
generale fatti impiccare non so quanti, provvide alla sicurezza di que'
sacri luoghi, dove s'erano rifugiate quasi tutte le donne bresciane.
La sera finalmente del venerdì uscì bando, sotto pena della vita, che
cessasse il saccheggio, e che nel dì seguente tutti i soldati uscissero
di città. Appena udirono sì grande scempio i Bergamaschi, che nella
seguente domenica tornarono all'ubbidienza de' Franzesi, e collo sborso
di venti mila scudi impetrarono il perdono. L'Avogadro ed altri autori
di tanto male alla loro patria, nel dì appresso furono decapitati e
squartati; e due figli del primo da lì ad un anno anch'essi ebbero
reciso il capo in Milano. Tal fine ebbe questa lagrimevol tragedia, che
fece incredibile strepito per tutta l'Europa.
Intanto _papa Giulio_ più che mai inviperito contra del re di Francia,
e risoluto, come egli sempre andava dicendo, di voler cacciare i
Barbari d'Italia, senza pensare se questo fosse un mestiere da sommo
pastor della Chiesa e vicario di Cristo, movea cielo e terra per
levare gli amici ad esso re Cristianissimo, e per tirargli addosso dei
nemici. Gli riuscì di condurre _Massimiliano Cesare_ ad una tregua
di dieci mesi co' _Veneziani_, mediante lo sborso di cinquanta mila
fiorini renani, e in fine di staccarlo affatto dai Franzesi. Seppe
far tanto, che _Arrigo re_ d'Inghilterra si diede a fare un potente
preparamento d'armi per muovere guerra alla Francia. _Ferdinando il
Cattolico_, oltre a quella che faceva in Italia, fu incitato ancora
a cominciarne un'altra ne' Pirenei. Nuovi e gagliardi maneggi fece
parimente il pontefice col denaro e con altri regali, per tirar
di nuovo gli Svizzeri contra dello Stato di Milano. Vedeva il _re
Lodovico_ tutti questi nuvoli in aria, ed intanto avea sulle spalle
gli eserciti pontificio, veneto e spagnuolo, che maggior apprensione
gli recavano per gli Stati d'Italia. Perciò inviò ordine a _Gastone
di Fois_ di tentar la fortuna con una battaglia. Gastone, sentendosi
invitato al suo giuoco, e sapendo da altra parte che Bologna si trovava
continuamente infestata e come bloccata dalle armi del papa e del
vicerè Cardona, passò a Ferrara per concertare col _duca Alfonso_
quanto era da fare. E dacchè ebbe ricevuto un rinforzo di trecento
lancie e di quattro mila fanti guasconi e piccardi, e cinque mila
fanti tedeschi, condotti da Jacob e Filippo capitani di gran nome in
Germania; fece la rassegna dell'armata sua, che si trovò ascendere a
lancie ossia uomini d'arme mille e ottocento, a quattro mila arcieri
e a sedici mila fanti. Nel dì 26 di marzo mosse dal Finale di Modena
l'armata sua verso la Romagna, e al luogo del Bentivoglio seco
si unì Alfonso duca di Ferrara colle sue truppe, e con gran copia
d'artiglierie e munizioni. A questo avviso, il _cardinal de' Medici_
legato e il _Cardona_ si ritirarono verso la montagna di Faenza col
loro esercito, consistente in mille e cinquecento lancie, in tre
mila cavalli leggieri e in diciotto mila fanti. Non aveano voglia di
venire alle mani, perchè speravano che, tirando in lungo la faccenda,
calerebbono gli Svizzeri nello Stato di Milano, ed unicamente pensavano
a difficultar le vettovaglie al campo franzese. Giunto Gastone a
Cotignola, arrivarono oratori di _Massimiliano Cesare_ ad intimar gravi
pene ai Tedeschi militanti al soldo del re Cristianissimo; ma senza
frutto, avendo que' capitani risposto di non voler mancare alla lor
fede. Fu dunque presa la risoluzione nel campo franzese di marciare
alla volta di Ravenna. Per non lasciarsi alle spalle il forte e ricco
castello di Russi, giacchè arrogantemente fu risposto dagli abitanti
all'intimazione di rendersi, convenne adoperar le artiglierie, e con
un fiero e sanguinoso assalto impadronirsene. Vi furono tagliate
a pezzi (se vogliam prestar fede all'Anonimo Padovano, che sembra
essere intervenuto a quel macello) circa mille persone tra soldati e
terrazzani, e dato un orrido sacco all'infelice luogo. Il Guicciardino
molto men dice de' morti. Indi passò l'esercito sotto Ravenna, alla cui
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