Annali d'Italia, vol. 6 - 12
oltre, e ne avea anche avvertiti i lettori. Dopo quel tempo abbondando
in Italia le storie, e facili anche essendo a trovarsi, sembrava a me
superfluo il volere ristrignere in brevi Annali ciò che potea la gente
con tanta facilità raccogliere dagli storici moderni, essendo per lo
più da anteporre i fonti ai ruscelli. Ma d'altro parere sono stati non
pochi degli amici miei, ed altre persone che han creduta non inutile
questa mia qualsisia fatica. Si riduce a pochissimi il numero di coloro
che posseggono tutte le storie italiane. Chi ne ha alcuna; i più neppur
una ne hanno. Il presentar dunque raccolta da tante e sì varie storie
la sostanza de' principali passati avvenimenti delle italiche contrade,
può chiamarsi un benefizio che si presta a tanta gente, la quale,
per mancanza di libri, è condannata ad ignorare i fatti de' secoli
addietro, oppur dovrebbe mendicarli con fatica dalla lettura di non
poche differenti Storie. Non può se non essere grato il vedersi poste
davanti sotto un punto di vista quelle principali vicende che di mano
in mano son succedute in ciascun anno nelle diverse parti dell'Italia.
Il perchè, secondo l'avviso di tali persone, mi determinai di
continuare l'edifizio, e di condurre questi Annali sino al compimento
della pace universale, che nel presente anno 1749 ha rimessa la
concordia fra i potentati d'Europa. So che, in trattando di avventure
lontane da' nostri tempi, e di persone che, passate all'altra vita,
si ridono delle dicerie de' posteri, maggior libertà gode,
o dovrebbe godere lo storico per proferire i suoi giudizii. So altresì
che non va esente da pericoli e doglianze altrui, chi esercita questo
mestiere in parlando di cose de' nostri tempi e di persone viventi,
stante la delicatezza che in esso noi ingenera l'amor proprio. Noi
accogliam volentieri la verità in casa altrui: non così nella nostra.
Contuttociò spero io di non aver oltrepassato i limiti della libertà
che conviene ad ogni onorato scrittore: perchè non l'amore, nè l'odio,
ma un puro desiderio di porgere il vero a' miei lettori, ha, per quanto
ho potuto, regolata la mia penna. Se anche questo vero io talora non
l'avessi raggiunto, ciò sarà avvenuto per mancanza di migliori notizie,
e non già per mala volontà.
ANNALI D'ITALIA
DALL'ANNO 1501 FINO AL 1750
Anno di CRISTO MDI. Indizione IV.
ALESSANDRO VI papa 10.
MASSIMILIANO I re de' Rom. 9.
I maggiori pensieri di _papa Alessandro _in questi tempi aveano per
mira l'ingrandimento di _Cesare Borgia_, appellato il _duca Valentino_,
suo figliuolo. Gran copia di danaro, raccolta con profusioni di grazie
nel giubileo dell'anno precedente, era venuta a tempo per promuovere
e sostenere i bellicosi impegni di questo suo idolo. Nella Romagna
restava tuttavia Faenza che ricusava di sottoporsi al di lui giogo:
però esso duca aveva tentato indarno sul principio dell'anno di
prendere quella città con una scalata; andò poi a strignerla nella
primavera con poderoso esercito d'Italiani, Franzesi e Spagnuoli.
Due assalti, furiosamente dati a quelle mura, costarono la vita a
molti de' suoi. Vigorosa fu la difesa de' cittadini, per l'amore che
portavano ad _Astorre_, ossia _Astorgio de' Manfredi_, loro signore,
giovinetto di rara avvenenza, e di età di circa diciassette anni. Ma
da lì a non molto, veggendo essi crescere il pericolo, e tolta ogni
speranza di soccorso capitolarono la resa della città nel dì 26 di
aprile, salvo l'onore, la vita e l'avere delle persone, e con patto
che Astorgio restasse in libertà e possesso de' suoi allodiali[336].
Il Valentino, che misurava tutte le cose colle sole regole del proprio
interesse, conservò il popolo che dovea restar suo suddito; ma contro
la fede condusse poi a Roma l'innocente garzone Astorgio, e tanto
a lui che ad un suo fratello bastardo levò dipoi barbaricamente la
vita. Dopo sì fatto acquisto non fu difficile al Valentino di ottenere
dal papa suo padre, a cui nulla sapea negare il sacro concistoro,
l'investitura e il titolo di duca della Romagna. Quindi si rivolsero
le di lui mire e brame alla città di Bologna, con entrar minaccioso
in quel territorio, e richiedere l'ingresso in castello San Pietro.
_Giovanni de' Bentivogli_, che in questi tempi veniva considerato
come signore di Bologna, e seco il reggimento d'essa città s'erano
dianzi posti sotto la protezione di _Lodovico XII_ re di Francia; nè
alcun impegno aveano preso in soccorso di Faenza, tuttochè il giovine
Astorgio fosse nipote d'esso Bentivoglio. A questo improvviso assalto
prese l'armi tutto il popolo di Bologna, ed assoldò quella gente che
potè. E perciocchè fu creduto che il Borgia tenesse intelligenza con
Agamennone, Giasone, Lodovico e Lancilotto de' Marescotti, famiglia
potente (vero o falso che fosse), da alcuni giovani nobili partigiani
de' Bentivogli furono essi dopo qualche tempo uccisi. Fu anche scritto
che il Valentino stesso rivelasse al Bentivoglio l'intelligenza sua
con que' gentiluomini, e che da ciò procedesse la loro morte. Ossia
che esso duca avesse riguardo alla protezione accordata dal re di
Francia a' Bolognesi, oppure che conoscesse, tali essere le forze loro
da non potere eseguire i suoi disegni, e massimamente venuta meno
la speranza, come fu divulgato, di qualche tradimento nella città,
spedì Paolo Orsino a Bologna, per trattare d'accordo. Si convenne
di cedergli Castel Bolognese, di dargli passo e vettovaglia pel
territorio, e una compagnia di cento uomini d'armi pagati per tre anni
al di lui servigio, con mille o due mila fanti. Scrive il Guicciardini
che s'obbligò il Bentivoglio di pagare al Borgia nove mila ducati
ogni anno. Ma gli Annali di Bologna, che esistono manoscritti nella
biblioteca estense, e sono di autore contemporaneo, siccome ancora
il Buonaccorsi[337], nulla dicono di questo pagamento. Alessandro
Sardi nella Storia Estense manoscritta scrive che al Valentino furono
promessi da' Bolognesi trenta mila scudi in tre anni, e cento uomini
d'armi, pagati per tre mesi.
Ciò fatto, il duca, benchè abbandonato dalle milizie franzesi che erano
destinate pel regno di Napoli, pure s'inviò col resto della sua armata
verso Firenze. Mandò a chiedere il passo, e di aver di che vivere per
quel dominio; e intanto, senza aspettarne risposta, e tenendo a bada
gli ambasciatori de' Fiorentini, valicò l'Apennino, e andò a postarsi
a Barberino. Trovavasi allora Firenze in poco buono stato, sprovveduta
d'armati, con interna disunione, e con popolo dominante, pieno di
gelosia, per sospetto che i nobili fossero autori di questa mossa,
affin di mutare lo stato, e far ripatriare Pietro de Medici. Il peggio
era, che il re di Francia si dichiarava malcontento d'essi per crediti
di danari che pretendea da loro: cose tutte che animavano il Valentino
a pescare in quel torbido. Però, inoltratosi cinque miglia lungi da
Firenze, mandò a chiedere che si facesse altro governo in quella città,
e che vi fosse rimesso infatti Pier de Medici: benchè i più credono
ciò da lui proposto con secondi fini, e non con intenzione di aiutarlo
davvero. Fu dunque concordato che fosse lega tra i Fiorentini e lui;
e che niun soccorso venisse da essi a Piombino, dov'egli intendeva
di andare a mettere il campo; e che per tre anni fosse condotto da
quella repubblica con salario di trentasei mila ducati d'oro l'anno,
obbligandosi di mantenere trecento uomini d'armi al servigio d'essa,
ma senza dover egli servire colla persona. Fu questo tutto il suo
guadagno, giacchè non vide disposizione alcuna di alterar quello Stato,
nè avea gente da far paura ad una sì riguardevol città, benchè guarnita
allora quasi non d'altro che di contadini fatti venire dal Casentino
e dal Mugello. Intanto non pochi saccheggi commetteano le sue genti
nel contado, ed egli chiedea una prestanza di danaro e di artiglierie,
non trovando via per uscire di que' contorni: finchè, venutigli ordini
efficaci dal re di Francia di desistere da quella molesta danza, passò
in quel di Piombino, e, preso ivi qualche luogo, se ne andò poscia a
Roma, per ivi pigliar quelle risoluzioni che occorressero nell'impresa
di Napoli, già determinata da Lodovico re di Francia.
Non mancano mai ragioni o pretesti a chi ha sete di nuovi acquisti,
e forze per effettuare i suoi disegni. Nel re Lodovico si faceano
trasferiti tutti gli antichi diritti della casa d'Angiò; e i recenti
di _Carlo VIII_ suo predecessore, già padrone di Napoli; il perchè
siccome principe magnanimo, e già grande in Italia per l'acquisto
del ducato di Milano e della signoria di Genova, si accinse in questo
anno alla conquista ancora di Napoli. A tale effetto avea prese le sue
misure, cioè guadagnato papa Alessandro coll'assistenza data al duca
Valentino, e con altri mezzi. Addormentò parimente _Massimiliano I_
re de' Romani, con fargli sperare _Claudia_, unica sua figliuola per
isposa di _Carlo duca_ di Lucemburgo di lui nipote, che fu poi Carlo
V; amendue di tenera età, e collo sborso di non so quale quantità
di danaro: con che ottenne una tregua di molti mesi. Era _Federigo
re_ di Napoli ben consapevole della voglia dei Franzesi d'invadere
il regno suo, e però avea fatto ricorso per protezione al medesimo
re de' Romani, con pagargli quaranta mila ducati, e prometterne
quindici mila il mese, acciocchè, occorrendo, movesse guerra allo
Stato di Milano, e ne riportò anche la promessa di non venir mai ad
accordo alcuno, senza inchiudervi ancor lui. Ma il buon Massimiliano,
lasciatosi abbagliare da' Franzesi, tutto dimenticò, senza neppur
avvertire che crollo potesse avvenire alle ragioni dell'impero dal
lasciare cotanto ingrandire in Italia un re di Francia. Le maggiori
speranze adunque d'esso re Ferdinando erano intanto riposte nell'aiuto
di _Ferdinando il Cattolico re_ d'Aragona, il quale, per esser padrone
della Sicilia, facilmente potea, e come stretto parente si credea che
volesse prestargli soccorso in così brutto frangente. Ma le parentele
fra i principi son tele di ragno, e cedono troppo facilmente al proprio
interesse, che è il primo e potente lor consigliere. Di belle parole
dunque e di promesse ne ebbe quante ne volle il re Federigo: diversi
poi furono i fatti. Imperocchè il re di Francia, conoscendo quale
ostacolo potesse venire dall'Aragonese alle sue idee, segretamente
entrò seco in un trattato, e fu conchiuso che amendue facessero
l'impresa di Napoli; e al re di Francia toccasse Napoli con Terra di
Lavoro e coll'Abbruzzo; e al re cattolico le provincie di Puglia e di
Calabria. Il Summonte ed altri prendono qui a giustificar l'azione del
re Ferdinando, allegando come giusta la di lui pretensione sul regno di
Napoli, acquistato colle forze dell'Aragona dal re Alfonso, quasichè
non fosse stato lecito ad esso Alfonso di lasciarlo a Ferdinando
suo figliuolo, benchè bastardo. Altri, all'incontro, il condannarono
d'insaziabilità, di tradimento e d'ingiustizia, perchè i discendenti
dal re Alfonso godeano quel regno coll'investitura della santa Sede,
e il re cattolico dava ad intendere di fare armamento in Sicilia,
tutto in difesa del re Federigo; quando unicamente tendeva alla di lui
rovina, e ad appagare la propria cupidità.
Pertanto si mossero i Franzesi dalla Lombardia, condotti parte dal
duca di Nemours e dal signore d'Aubigny per terra alla volta della
Toscana, mentre un'altra armata per mare si mosse da Genova. Fece
allora Federigo re di Napoli istanza a Consalvo, generale del re
cattolico in Sicilia, di unir seco le sue forze, e di venir a Gaeta,
con andar egli stesso intanto a San Germano per contrastare il passo
ai Franzesi. Mostrossi Consalvo simulatamente pronto; e richiesto
ed ottenuto il possesso di alcune terre in Calabria col pretesto
di difenderle, cominciò in essa ad esercitare la signoria di parte
della division fatta co' Franzesi. Giunti in questo mentre a Roma i
Franzesi, si svelò il loro trattato col re cattolico, e ne fu chiesta
l'approvazione al papa, palliando la loro lega e dimanda per essere più
vicine queste due potenze a soccorrere la cristianità contro al Turco,
anzi vantando di voler portare nella Asia la guerra. Impetrarono quanto
vollero; anzi lo stesso papa con loro si collegò. A tali avvisi il
re Federigo, tuttavia deluso da Consalvo, che mostrava di non credere
l'accordo del suo sovrano coi Franzesi, mandò il nerbo maggiore delle
sue genti alla difesa di Capoa, a cui da lì a non molto i Franzesi
misero l'assedio, e diedero anche un fiero assalto, ma con loro danno.
Dentro v'era Fabrizio Colonna, Ugo di Cardona con altri capitani, i
quali, conoscendo di poter poco lungamente resistere, massimamente
perchè il popolo s'era mosso a sedizione, cominciarono a trattar
d'accordo. Ma, ossia che intanto si rallentasse la guardia della città,
o che qualche traditore, giudicando di farsi benevoli gli assedianti,
gl'invitasse a salir per le mura[338], certo è che nel dì 24 di luglio
entrarono i Franzesi furibondi per un bastione nella misera città, e
le diedero il sacco, colla strage, chi dice fin di otto mila persone,
e chi di sole tre mila. Il Buonaccorsi, forse più veritiero degli
altri, parla solo di due mila. Non si può leggere senza orrore la
crudeltà usata dai vincitori, che non contenti, in tal congiuntura,
dell'avere de' cittadini e de' sacri arredi delle chiese, sfogarono la
lor libidine sopra le donne d'ogni condizione, senza neppur risparmiare
le consecrate a Dio, con essersi trovate alcune che, per non soggiacere
alla lor violenza, si precipitarono nel fiume e ne' pozzi. Non poche
d'esse furono condotte prigioni, e vendute poscia in Roma. Il duca
Valentino, che coi Franzesi si trovava a quella impresa, fattane una
scelta di quaranta delle più belle, le ritenne per sè, per non essere
da meno de' Turchi.
La disavventura di Capoa tal terrore mise nelle altre città del regno,
che quasi niuna si attentò di far da lì innanzi resistenza, ed ognuna
mandò le chiavi incontro all'esercito vittorioso. Il re Federigo,
scorgendo già il popolo di Napoli tumultuante e disposto a ricevere un
nuovo principe, si ritirò in Castel Nuovo. Laonde la città inviò subito
a trattare la resa, che fu accettata a mani baciate, con obbligar
nondimeno i Napoletani allo sborso di sessanta mila ducati d'oro. Non
mantenne dipoi l'Aubigny questi patti, perchè da lì a qualche tempo
impose una taglia di altri cento mila ducati in pena della ribellion
fatta a Carlo VIII, che questa bagattella gli dovette scappar di mente
quando fece la convenzion suddetta. Non passarono molti giorni che
l'infelice re Federigo capitolò coll'Aubigny di consegnargli tutte
le fortezze che si teneano per lui, con riserbarsi solamente per sei
mesi l'isola e rocca d'Ischia, e di poter non solo portar seco ogni
suo avere, a riserva delle artiglierie, ma anche andarsene liberamente
ovunque a lui fosse in grado. Tanto era l'odio ch'egli avea conceputo
contra del re Cattolico pel tradimento e per l'oppressione a lui
fatta, che elesse piuttosto di passare in Francia e di rimettersi alla
conosciuta generosità di quel re, che di fidarsi mai più di chi egli
avea sperimentato troppo infedele. Impetrato dunque un salvocondotto, e
lasciati andare al servigio di Consalvo, Prospero e Fabrizio Colonnesi,
che egli avea riscattati, con cinque galee sottili fu condotto
in Francia, dove sulle prime freddamente accollo dal re Lodovico,
poscia fu provveduto della ducea d'Angiò con rendita di trenta mila
ducati, dove poi nel dì 9 di settembre 1504 diede fine al suo vivere.
Non istette in questo mentre punto in ozio _Consalvo Fernandez_,
chiamato il _gran capitano_, perciocchè si impadronì di tutte quante
le terre destinate al re Cattolico suo signore in Puglia e Calabria.
La sola città di Taranto fece una gagliardia difesa. Colà, sul primo
avvicinamento delle armi nemiche, avea il re Federigo inviato, come in
un luogo di ricovero, _don Ferrante_ suo primogenito, duca di Calabria,
appellato da alcuni con errore don Alfonso, fidandolo a don Giovanni
di Ghevara conte di Potenza; e fattogli poi sapere che, in caso di
disgrazie, andasse a trovarlo in Francia. Perduta infine la speranza di
soccorso, convennero i rettori di Taranto di dar quella forte città a
Consalvo, facendolo prima giurare sull'ostia consacrata di lasciare in
libertà il giovinetto duca di Calabria. Ma Consalvo, in cui prevaleva
più l'interesse del re Ferdinando che il timor di Dio, ritenne il
duca, non senza grande infamia del nome suo, e col tempo lo inviò in
Ispagna, dove, come in una libera ed onorata prigione, dopo aver avuto
due mogli (che, perchè sterili gli furono date, niuna prole lasciarono
di sè), diede fine al suo vivere nel 1550. _Alfonso_ secondogenito
del re Federigo, passato col padre in Francia, terminò i suoi giorni
in Grenoble nel 1545 con sospetto di veleno. E _Cesare_ terzogenito,
ritiratosi a Ferrara, quivi anche egli in età d'anni diciotto cessò di
vivere.
Di tempo sì favorevole si servì ancora il _pontefice Alessandro_
per abbattere le nobili case de' Colonnesi e Savelli, che s'erano
dichiarati in favore di Federigo re di Napoli. Fulminate prima contra
di essi tutte le pene spirituali e temporali, mosse guerra alle lor
terre, e, portatosi in persona all'assedio di Sermoneta, commise, come
ha Giovanni Burcardo nel suo Diario[339], _tutta la camera sua e tutto
il palagio e i negozi occorrenti a donna Lucrezia Borgia sua figliuola,
la quale, nel tempo di tale assenza abitò le camere del papa. E diedele
autorità d'aprire le lettere sue; e se occorresse alcuna cosa ardua,
avesse il consiglio dei cardinali di Lisbona e d'altri, ch'ella potesse
perciò chiamare a sè._ Questa maniera di governo se facesse onore al
papa, poco ci vuole per conoscerlo. Vennero all'ubbidienza sua tutte
le terre di que' baroni; per le quali vane vittorie insuperbito, e
insieme dimentico dell'ufficio apostolico, e delle minaccie di morte
a lui fatte dal cielo nell'anno precedente, lasciò la briglia ad ogni
sfrenata licenza. Continuò parimente il duca Valentino la guerra contro
di Piombino, ed avendo spedito colà Vitellozzo e Gian-Paolo Baglione
con nuove genti, questo bastò ad intimidire sì fattamente _Jacopo
d'Appiano_, signore di quella terra, che, lasciato ivi buon presidio,
se ne ritirò, per andare in Francia ad implorare gli effetti della
protezione di quel re, già a lui accordata. Ma andò indarno, perchè
al re maggiormente premeva di soddisfare alle premure del papa, da cui
molto potea sperare, e molto ancora temere. In questo mezzo, per opera
di Pandolfo Petrucci da Siena, si arrendè quella terra, e poscia la
fortezza al suddetto duca. Diede fine al corso di sua vita nell'anno
presente _Agostino Barbarigo _doge di Venezia, e a lui succedette,
a dì 5 d'ottobre, _Leonardo Loredano_. Trovavasi allora la veneta
repubblica in non pochi affanni per la guerra col Turco, il quale
ogni dì più insolentiva, e non meno in Grecia che in Ungheria sempre
più s'ingrandiva alle spese de' cristiani. Erasi ben fatta lega fra
essa repubblica, il papa, i re di Francia, Aragona ed Inghilterra,
e con altri sovrani contro quel comune nemico; ma, attendendo ognun
d'essi a' proprii comodi e vantaggi, e nulla avendo operato una bella
flotta di Portoghesi che venne apposta nei mari di Levante, convenne
a' Veneziani di sostener soli tutto il peso della difesa delle lor
terre e dell'Italia. Nè si dee tacere, che trovandosi in Pavia la
nobile biblioteca dei duchi di Milano, ricca di antichi e preziosi
manoscritti, circa questi tempi, per ordine del re Lodovico, fu
trasportata a Bles in Francia. Di questo spoglio, e d'altri di antiche
scritture, indarno si lagnò la povera Lombardia.
NOTE:
[329] Cronica di Bologna MS. nella Libreria Estense. Diar. di Ferrara,
tom. 24 Rer. Ital.
[330] Guicciardini, Istoria d'Italia. Cronica MS. di Bologna.
Raynaldus, Annal. Eccles. Cronica Veneta, tom. 24 Rer. Ital.
[331] Raynaldus, Annal. Eccles.
[332] Diar. di Ferrara, tom. 24 Rer. Ital. Senarega, de Reb. Genuens.
Guicciardini, Istoria d'Italia. Nardi, Istoria di Firenze. Bembo, ed
altri.
[333] Cronica di Venezia, tom. 21 Rer. Ital.
[334] Raynaldus, Annal. Eccles.
[335] Diar. di Ferrara, tom. 24 Rer. Ital. Cronica MS. di Bologna.
Guicciardini, Istor. d'Italia, ed altri.
[336] Alessandro Sardi, Storia MS. Annali MSS. di Bologna.
Guicciardini, Storia.
[337] Buonaccorsi, Dario.
[338] Buonaccorsi, Giovio, Guicciardini, Sardi.
[339] Raynaldus, Annal. Eccl.
Anno di CRISTO MDII. Indizione V.
ALESSANDRO VI papa 11.
MASSIMILIANO I re de' Romani 10.
Quanto più andava crescendo in potenza il _duca Valentino_, tanto più
s'aumentava in lui la brama di nuovi acquisti, secondato in ciò dal
papa suo padre, che nulla più meditava e sospirava che di formare in
lui un gran principe in Italia. Non avea esso pontefice meno amore e
premura per l'ingrandimento di _Lucrezia_ sua figlia; e però con forti
maneggi fatti alla corte del re Cristianissimo fin l'anno precedente,
e col mezzo specialmente del _cardinal di Roano_, che era, per
concessione d'esso Alessandro, come un secondo papa in Francia, avea
indotto quel re a proporre e a far seguire l'accasamento della stessa
Lucrezia con don _Alfonso d'Este_, primogenito di _Ercole I_ duca di
Ferrara. Tante batterie furono adoperate per questo affare, con far
soprattutto i mediatori conoscere che questo parentado portava seco
l'assicurarsi dall'ambizione e dalle armi del duca Valentino (seppure,
come dice il Guicciardino, contro tanta perfidia era bastante sicurtà
alcuna), che gli Estensi condiscesero a tali nozze. Portò ella in dote
cento mila ducati d'oro contanti, immense gioie e suppellettili, colla
giunta ancora delle terre di Cento e della Pieve, cedute al duca di
Ferrara, oltre ad altri vantaggi della casa d'Este. Gran solennità
si fecero per questo in Roma e Ferrara, nella qual città entrò essa
principessa nel dì 2 di febbraio. Quanto al duca Valentino, amoreggiava
egli forte il ducato d'Urbino; ma essendo il _duca Guidubaldo_
ubbidientissimo in tutto al papa, e per le sue belle doti quasi adorato
da' suoi popoli, nè pretesto si trovava, nè facilità appariva di
poterlo spogliare di quegli Stati. Si rivolse dunque l'iniquo Borgia ai
tradimenti[340]. Portatosi a Nocera con poderoso esercito, e fingendo
di voler assalire lo Stato di Camerino, fece richiesta di artiglierie
e di genti d'armi al duca d'Urbino. Tutto gli fu dato, perchè troppo
pericoloso si considerò il negarlo. Ciò fatto, con tutta celerità
s'impadronì di Cagli, e continuò la marcia alla volta di Urbino, dove
il disarmato duca Guidubaldo, con _Francesco Maria della Rovere_, suo
nipote, ad altro non pensò che a salvare la vita, abbandonato tutto.
Se ne fuggì egli travestito; e, benchè inseguito, ebbe la fortuna
di potersi infine ritirare a Mantova, dove poco prima era giunta la
_duchessa Isabella_ sua moglie, sorella di _Francesco II marchese_
d'essa Mantova, la quale, dopo avere accompagnato a Ferrara _Lucrezia
Borgia_, colà s'era portata per visitare il fratello. Con queste arti
fece acquisto il duca Valentino di quattro città e di trecento castella
componenti quel ducato.
Gran rumore per tutta Italia fece un'azione sì proditoria, niuno
tenendosi più sicuro dalle insidie di costui, il quale, ito poscia
contra di Camerino, mentre andava trattando d'accordo con _Giulio da
Varano_ signore di quella città, ebbe con inganni maniera d'entrare
in essa città. Imprigionato Giulio con due suoi figliuoli, da lì a
non molto lo spietato Valentino, con farli strozzare, se ne sbrigò. Fu
ancora da' Fiorentini creduto che lo stesso Borgia e il papa avessero
mano nelle rivoluzioni che accaddero nel presente anno in Toscana;
dappoichè il re di Francia non avea acconsentito che lo stesso Borgia
divenisse signor di Pisa. Vogliosi sempre essi Fiorentini di ricuperar
quella città, altro mezzo più non conosceano che di vincerla colla
fame. Però, venuta la primavera, andarono a dare il guasto alle
biade del territorio di quella città, e quindi posero il campo a Vico
Pisano, tolto loro poco innanzi per tradimento di alcuni soldati. Ma
eccoti muoversi a ribellione il popolo di Arezzo, che tenea segreta
corrispondenza con _Vitellozzo Vitelli_, signore di Città di Castello,
il quale non tardò ad accorrere colà, e ad imprendere l'assedio della
cittadella. Ed ancor questa, perchè non venne mai sufficiente aiuto da'
Fiorentini, costretta fu ad arrendersi, dopo di che fu smantellata.
Con Vitellozzo erano congiunti _Gian-Paolo Baglione_, principal
direttore della città di Perugia, _Fabio Orsino_, il _cardinale_ e
_Pietro de Medici _fuorusciti di Firenze, e _Pandolfo Petrucci_, che
era come signor di Siena. Impadronironsi costoro dopo Arezzo anche
di Castiglione Aretino, della città di Cortona, d'Anghiari, di Borgo
San Sepolcro e di altri luoghi. Sarebbe andata più innanzi questa
tempesta, se i Fiorentini non avessero fatto ricorso al re di Francia,
rappresentandogli come procedenti dall'avidità del papa e di suo figlio
sì fatte novità, e facendogli costare il pericolo che soprastava
anche agli Stati del medesimo re in Italia, se si lasciava andar
troppo innanzi l'ingrandimento del Borgia. Per questo, e insieme pel
danaro, la cui virtù suole aver tanta efficacia, il re Lodovico XII
non solamente fece comandare al Valentino e agli altri suoi aderenti
che desistessero dalle offese dei Fiorentini, ma anche spedì alcune
compagnie di genti d'armi in Toscana, lo aspetto delle quali fece
ritornar in breve Arezzo e le altre terre perdute all'ubbidienza di
Firenze.
Furono cagione questi movimenti, e gl'imbrogli del regno di Napoli,
de' quali parleremo fra poco, che il re Lodovico tornasse in Italia,
portando seco non lieve sdegno contra del papa e del duca Valentino.
Concorsero ad Asti e a Milano varii principi e signori d'Italia; e
siccome tutti erano in sospetto di ulteriori disegni di esso Borgia,
così aggiunsero legna al fuoco. Già s'aspettava ognuno di mirar
l'armi del re volte alla depression del Valentino. Ma così ben seppe
maneggiarsi il papa, che, mitigato l'animo del re, questi ad altro non
attese dipoi che a far guerra in regno di Napoli, restando deluse le
speranze di tutti i potentati. Era questa guerra insorta fin l'anno
precedente; perchè, appena furono entrati in possesso Franzesi e
Spagnuoli della porzione lor destinata, che si venne a contesa fra
loro per li confini. _Consalvo_ tacque, finchè si fu impadronito di
Taranto; ma poi, sfoderate le pretensioni del re Cattolico, cacciò
improvvisamente dalla Tripalda e da altri luoghi i presidii franzesi,
e si appropriò la Basilicata. Perchè s'era per le malattie estenuata
di molto l'armata franzese, il _duca di Nemours_ vicerè giudicò
meglio di trattar colle buone, e di stabilire una tregua col gran
capitano sino all'agosto dell'anno presente, contentandosi che pro
interim si dividesse fra loro la dogana di Foggia e il Capitanato,
e si ritirassero i Franzesi dal principato. Ma, cresciute dipoi le
forze del vicerè per le genti inviategli dal re Lodovico, nel mese
di giugno diede l'Aubigny principio alle ostilità manifeste contro
gli Spagnuoli. E, dopo avere occupato tutto il Capitanato, si accampò
a Canosa, e l'ebbe infine a patti. Inferiore in possanza trovandosi
allora Consalvo, si ritirò a Barletta, restando ivi sprovveduto di
vettovaglie e danari. Se avessero saputo i Franzesi profittar di questa
sua debolezza, forse sbrigavano le lor faccende in quel regno. Attesero
essi a insignorirsi della Puglia e Calabria; presero Cosenza, e le
diedero il sacco; venuto colà soccorso dalla Sicilia, lo misero in
rotta. Tale prosperità dell'armi rendè poi negligente il re di Francia
a sostener con vigore la sua fortuna nel regno di Napoli, e ad altro
non pensò se non a tornarsene di là dai monti.
Era ito travestito e con pochi cavalli per la posta il duca Valentino
ad inchinare esso re a Milano; e siccome gli stava bene la lingua in
bocca, tanto seppe dir per dar buon colore alle malvagie sue azioni
passate, e tanto commendò la svisceratezza del papa verso la corona di
Francia, che riguadagnò l'affetto e la protezione del re: il che recò
non poco spavento a Vitellozzo, al Baglione, a Giovanni Bentivoglio,
a Pandolfo Petrucci, ad _Oliverotto da Fermo_, che s'era, con uccidere
in Italia le storie, e facili anche essendo a trovarsi, sembrava a me
superfluo il volere ristrignere in brevi Annali ciò che potea la gente
con tanta facilità raccogliere dagli storici moderni, essendo per lo
più da anteporre i fonti ai ruscelli. Ma d'altro parere sono stati non
pochi degli amici miei, ed altre persone che han creduta non inutile
questa mia qualsisia fatica. Si riduce a pochissimi il numero di coloro
che posseggono tutte le storie italiane. Chi ne ha alcuna; i più neppur
una ne hanno. Il presentar dunque raccolta da tante e sì varie storie
la sostanza de' principali passati avvenimenti delle italiche contrade,
può chiamarsi un benefizio che si presta a tanta gente, la quale,
per mancanza di libri, è condannata ad ignorare i fatti de' secoli
addietro, oppur dovrebbe mendicarli con fatica dalla lettura di non
poche differenti Storie. Non può se non essere grato il vedersi poste
davanti sotto un punto di vista quelle principali vicende che di mano
in mano son succedute in ciascun anno nelle diverse parti dell'Italia.
Il perchè, secondo l'avviso di tali persone, mi determinai di
continuare l'edifizio, e di condurre questi Annali sino al compimento
della pace universale, che nel presente anno 1749 ha rimessa la
concordia fra i potentati d'Europa. So che, in trattando di avventure
lontane da' nostri tempi, e di persone che, passate all'altra vita,
si ridono delle dicerie de' posteri, maggior libertà gode,
o dovrebbe godere lo storico per proferire i suoi giudizii. So altresì
che non va esente da pericoli e doglianze altrui, chi esercita questo
mestiere in parlando di cose de' nostri tempi e di persone viventi,
stante la delicatezza che in esso noi ingenera l'amor proprio. Noi
accogliam volentieri la verità in casa altrui: non così nella nostra.
Contuttociò spero io di non aver oltrepassato i limiti della libertà
che conviene ad ogni onorato scrittore: perchè non l'amore, nè l'odio,
ma un puro desiderio di porgere il vero a' miei lettori, ha, per quanto
ho potuto, regolata la mia penna. Se anche questo vero io talora non
l'avessi raggiunto, ciò sarà avvenuto per mancanza di migliori notizie,
e non già per mala volontà.
ANNALI D'ITALIA
DALL'ANNO 1501 FINO AL 1750
Anno di CRISTO MDI. Indizione IV.
ALESSANDRO VI papa 10.
MASSIMILIANO I re de' Rom. 9.
I maggiori pensieri di _papa Alessandro _in questi tempi aveano per
mira l'ingrandimento di _Cesare Borgia_, appellato il _duca Valentino_,
suo figliuolo. Gran copia di danaro, raccolta con profusioni di grazie
nel giubileo dell'anno precedente, era venuta a tempo per promuovere
e sostenere i bellicosi impegni di questo suo idolo. Nella Romagna
restava tuttavia Faenza che ricusava di sottoporsi al di lui giogo:
però esso duca aveva tentato indarno sul principio dell'anno di
prendere quella città con una scalata; andò poi a strignerla nella
primavera con poderoso esercito d'Italiani, Franzesi e Spagnuoli.
Due assalti, furiosamente dati a quelle mura, costarono la vita a
molti de' suoi. Vigorosa fu la difesa de' cittadini, per l'amore che
portavano ad _Astorre_, ossia _Astorgio de' Manfredi_, loro signore,
giovinetto di rara avvenenza, e di età di circa diciassette anni. Ma
da lì a non molto, veggendo essi crescere il pericolo, e tolta ogni
speranza di soccorso capitolarono la resa della città nel dì 26 di
aprile, salvo l'onore, la vita e l'avere delle persone, e con patto
che Astorgio restasse in libertà e possesso de' suoi allodiali[336].
Il Valentino, che misurava tutte le cose colle sole regole del proprio
interesse, conservò il popolo che dovea restar suo suddito; ma contro
la fede condusse poi a Roma l'innocente garzone Astorgio, e tanto
a lui che ad un suo fratello bastardo levò dipoi barbaricamente la
vita. Dopo sì fatto acquisto non fu difficile al Valentino di ottenere
dal papa suo padre, a cui nulla sapea negare il sacro concistoro,
l'investitura e il titolo di duca della Romagna. Quindi si rivolsero
le di lui mire e brame alla città di Bologna, con entrar minaccioso
in quel territorio, e richiedere l'ingresso in castello San Pietro.
_Giovanni de' Bentivogli_, che in questi tempi veniva considerato
come signore di Bologna, e seco il reggimento d'essa città s'erano
dianzi posti sotto la protezione di _Lodovico XII_ re di Francia; nè
alcun impegno aveano preso in soccorso di Faenza, tuttochè il giovine
Astorgio fosse nipote d'esso Bentivoglio. A questo improvviso assalto
prese l'armi tutto il popolo di Bologna, ed assoldò quella gente che
potè. E perciocchè fu creduto che il Borgia tenesse intelligenza con
Agamennone, Giasone, Lodovico e Lancilotto de' Marescotti, famiglia
potente (vero o falso che fosse), da alcuni giovani nobili partigiani
de' Bentivogli furono essi dopo qualche tempo uccisi. Fu anche scritto
che il Valentino stesso rivelasse al Bentivoglio l'intelligenza sua
con que' gentiluomini, e che da ciò procedesse la loro morte. Ossia
che esso duca avesse riguardo alla protezione accordata dal re di
Francia a' Bolognesi, oppure che conoscesse, tali essere le forze loro
da non potere eseguire i suoi disegni, e massimamente venuta meno
la speranza, come fu divulgato, di qualche tradimento nella città,
spedì Paolo Orsino a Bologna, per trattare d'accordo. Si convenne
di cedergli Castel Bolognese, di dargli passo e vettovaglia pel
territorio, e una compagnia di cento uomini d'armi pagati per tre anni
al di lui servigio, con mille o due mila fanti. Scrive il Guicciardini
che s'obbligò il Bentivoglio di pagare al Borgia nove mila ducati
ogni anno. Ma gli Annali di Bologna, che esistono manoscritti nella
biblioteca estense, e sono di autore contemporaneo, siccome ancora
il Buonaccorsi[337], nulla dicono di questo pagamento. Alessandro
Sardi nella Storia Estense manoscritta scrive che al Valentino furono
promessi da' Bolognesi trenta mila scudi in tre anni, e cento uomini
d'armi, pagati per tre mesi.
Ciò fatto, il duca, benchè abbandonato dalle milizie franzesi che erano
destinate pel regno di Napoli, pure s'inviò col resto della sua armata
verso Firenze. Mandò a chiedere il passo, e di aver di che vivere per
quel dominio; e intanto, senza aspettarne risposta, e tenendo a bada
gli ambasciatori de' Fiorentini, valicò l'Apennino, e andò a postarsi
a Barberino. Trovavasi allora Firenze in poco buono stato, sprovveduta
d'armati, con interna disunione, e con popolo dominante, pieno di
gelosia, per sospetto che i nobili fossero autori di questa mossa,
affin di mutare lo stato, e far ripatriare Pietro de Medici. Il peggio
era, che il re di Francia si dichiarava malcontento d'essi per crediti
di danari che pretendea da loro: cose tutte che animavano il Valentino
a pescare in quel torbido. Però, inoltratosi cinque miglia lungi da
Firenze, mandò a chiedere che si facesse altro governo in quella città,
e che vi fosse rimesso infatti Pier de Medici: benchè i più credono
ciò da lui proposto con secondi fini, e non con intenzione di aiutarlo
davvero. Fu dunque concordato che fosse lega tra i Fiorentini e lui;
e che niun soccorso venisse da essi a Piombino, dov'egli intendeva
di andare a mettere il campo; e che per tre anni fosse condotto da
quella repubblica con salario di trentasei mila ducati d'oro l'anno,
obbligandosi di mantenere trecento uomini d'armi al servigio d'essa,
ma senza dover egli servire colla persona. Fu questo tutto il suo
guadagno, giacchè non vide disposizione alcuna di alterar quello Stato,
nè avea gente da far paura ad una sì riguardevol città, benchè guarnita
allora quasi non d'altro che di contadini fatti venire dal Casentino
e dal Mugello. Intanto non pochi saccheggi commetteano le sue genti
nel contado, ed egli chiedea una prestanza di danaro e di artiglierie,
non trovando via per uscire di que' contorni: finchè, venutigli ordini
efficaci dal re di Francia di desistere da quella molesta danza, passò
in quel di Piombino, e, preso ivi qualche luogo, se ne andò poscia a
Roma, per ivi pigliar quelle risoluzioni che occorressero nell'impresa
di Napoli, già determinata da Lodovico re di Francia.
Non mancano mai ragioni o pretesti a chi ha sete di nuovi acquisti,
e forze per effettuare i suoi disegni. Nel re Lodovico si faceano
trasferiti tutti gli antichi diritti della casa d'Angiò; e i recenti
di _Carlo VIII_ suo predecessore, già padrone di Napoli; il perchè
siccome principe magnanimo, e già grande in Italia per l'acquisto
del ducato di Milano e della signoria di Genova, si accinse in questo
anno alla conquista ancora di Napoli. A tale effetto avea prese le sue
misure, cioè guadagnato papa Alessandro coll'assistenza data al duca
Valentino, e con altri mezzi. Addormentò parimente _Massimiliano I_
re de' Romani, con fargli sperare _Claudia_, unica sua figliuola per
isposa di _Carlo duca_ di Lucemburgo di lui nipote, che fu poi Carlo
V; amendue di tenera età, e collo sborso di non so quale quantità
di danaro: con che ottenne una tregua di molti mesi. Era _Federigo
re_ di Napoli ben consapevole della voglia dei Franzesi d'invadere
il regno suo, e però avea fatto ricorso per protezione al medesimo
re de' Romani, con pagargli quaranta mila ducati, e prometterne
quindici mila il mese, acciocchè, occorrendo, movesse guerra allo
Stato di Milano, e ne riportò anche la promessa di non venir mai ad
accordo alcuno, senza inchiudervi ancor lui. Ma il buon Massimiliano,
lasciatosi abbagliare da' Franzesi, tutto dimenticò, senza neppur
avvertire che crollo potesse avvenire alle ragioni dell'impero dal
lasciare cotanto ingrandire in Italia un re di Francia. Le maggiori
speranze adunque d'esso re Ferdinando erano intanto riposte nell'aiuto
di _Ferdinando il Cattolico re_ d'Aragona, il quale, per esser padrone
della Sicilia, facilmente potea, e come stretto parente si credea che
volesse prestargli soccorso in così brutto frangente. Ma le parentele
fra i principi son tele di ragno, e cedono troppo facilmente al proprio
interesse, che è il primo e potente lor consigliere. Di belle parole
dunque e di promesse ne ebbe quante ne volle il re Federigo: diversi
poi furono i fatti. Imperocchè il re di Francia, conoscendo quale
ostacolo potesse venire dall'Aragonese alle sue idee, segretamente
entrò seco in un trattato, e fu conchiuso che amendue facessero
l'impresa di Napoli; e al re di Francia toccasse Napoli con Terra di
Lavoro e coll'Abbruzzo; e al re cattolico le provincie di Puglia e di
Calabria. Il Summonte ed altri prendono qui a giustificar l'azione del
re Ferdinando, allegando come giusta la di lui pretensione sul regno di
Napoli, acquistato colle forze dell'Aragona dal re Alfonso, quasichè
non fosse stato lecito ad esso Alfonso di lasciarlo a Ferdinando
suo figliuolo, benchè bastardo. Altri, all'incontro, il condannarono
d'insaziabilità, di tradimento e d'ingiustizia, perchè i discendenti
dal re Alfonso godeano quel regno coll'investitura della santa Sede,
e il re cattolico dava ad intendere di fare armamento in Sicilia,
tutto in difesa del re Federigo; quando unicamente tendeva alla di lui
rovina, e ad appagare la propria cupidità.
Pertanto si mossero i Franzesi dalla Lombardia, condotti parte dal
duca di Nemours e dal signore d'Aubigny per terra alla volta della
Toscana, mentre un'altra armata per mare si mosse da Genova. Fece
allora Federigo re di Napoli istanza a Consalvo, generale del re
cattolico in Sicilia, di unir seco le sue forze, e di venir a Gaeta,
con andar egli stesso intanto a San Germano per contrastare il passo
ai Franzesi. Mostrossi Consalvo simulatamente pronto; e richiesto
ed ottenuto il possesso di alcune terre in Calabria col pretesto
di difenderle, cominciò in essa ad esercitare la signoria di parte
della division fatta co' Franzesi. Giunti in questo mentre a Roma i
Franzesi, si svelò il loro trattato col re cattolico, e ne fu chiesta
l'approvazione al papa, palliando la loro lega e dimanda per essere più
vicine queste due potenze a soccorrere la cristianità contro al Turco,
anzi vantando di voler portare nella Asia la guerra. Impetrarono quanto
vollero; anzi lo stesso papa con loro si collegò. A tali avvisi il
re Federigo, tuttavia deluso da Consalvo, che mostrava di non credere
l'accordo del suo sovrano coi Franzesi, mandò il nerbo maggiore delle
sue genti alla difesa di Capoa, a cui da lì a non molto i Franzesi
misero l'assedio, e diedero anche un fiero assalto, ma con loro danno.
Dentro v'era Fabrizio Colonna, Ugo di Cardona con altri capitani, i
quali, conoscendo di poter poco lungamente resistere, massimamente
perchè il popolo s'era mosso a sedizione, cominciarono a trattar
d'accordo. Ma, ossia che intanto si rallentasse la guardia della città,
o che qualche traditore, giudicando di farsi benevoli gli assedianti,
gl'invitasse a salir per le mura[338], certo è che nel dì 24 di luglio
entrarono i Franzesi furibondi per un bastione nella misera città, e
le diedero il sacco, colla strage, chi dice fin di otto mila persone,
e chi di sole tre mila. Il Buonaccorsi, forse più veritiero degli
altri, parla solo di due mila. Non si può leggere senza orrore la
crudeltà usata dai vincitori, che non contenti, in tal congiuntura,
dell'avere de' cittadini e de' sacri arredi delle chiese, sfogarono la
lor libidine sopra le donne d'ogni condizione, senza neppur risparmiare
le consecrate a Dio, con essersi trovate alcune che, per non soggiacere
alla lor violenza, si precipitarono nel fiume e ne' pozzi. Non poche
d'esse furono condotte prigioni, e vendute poscia in Roma. Il duca
Valentino, che coi Franzesi si trovava a quella impresa, fattane una
scelta di quaranta delle più belle, le ritenne per sè, per non essere
da meno de' Turchi.
La disavventura di Capoa tal terrore mise nelle altre città del regno,
che quasi niuna si attentò di far da lì innanzi resistenza, ed ognuna
mandò le chiavi incontro all'esercito vittorioso. Il re Federigo,
scorgendo già il popolo di Napoli tumultuante e disposto a ricevere un
nuovo principe, si ritirò in Castel Nuovo. Laonde la città inviò subito
a trattare la resa, che fu accettata a mani baciate, con obbligar
nondimeno i Napoletani allo sborso di sessanta mila ducati d'oro. Non
mantenne dipoi l'Aubigny questi patti, perchè da lì a qualche tempo
impose una taglia di altri cento mila ducati in pena della ribellion
fatta a Carlo VIII, che questa bagattella gli dovette scappar di mente
quando fece la convenzion suddetta. Non passarono molti giorni che
l'infelice re Federigo capitolò coll'Aubigny di consegnargli tutte
le fortezze che si teneano per lui, con riserbarsi solamente per sei
mesi l'isola e rocca d'Ischia, e di poter non solo portar seco ogni
suo avere, a riserva delle artiglierie, ma anche andarsene liberamente
ovunque a lui fosse in grado. Tanto era l'odio ch'egli avea conceputo
contra del re Cattolico pel tradimento e per l'oppressione a lui
fatta, che elesse piuttosto di passare in Francia e di rimettersi alla
conosciuta generosità di quel re, che di fidarsi mai più di chi egli
avea sperimentato troppo infedele. Impetrato dunque un salvocondotto, e
lasciati andare al servigio di Consalvo, Prospero e Fabrizio Colonnesi,
che egli avea riscattati, con cinque galee sottili fu condotto
in Francia, dove sulle prime freddamente accollo dal re Lodovico,
poscia fu provveduto della ducea d'Angiò con rendita di trenta mila
ducati, dove poi nel dì 9 di settembre 1504 diede fine al suo vivere.
Non istette in questo mentre punto in ozio _Consalvo Fernandez_,
chiamato il _gran capitano_, perciocchè si impadronì di tutte quante
le terre destinate al re Cattolico suo signore in Puglia e Calabria.
La sola città di Taranto fece una gagliardia difesa. Colà, sul primo
avvicinamento delle armi nemiche, avea il re Federigo inviato, come in
un luogo di ricovero, _don Ferrante_ suo primogenito, duca di Calabria,
appellato da alcuni con errore don Alfonso, fidandolo a don Giovanni
di Ghevara conte di Potenza; e fattogli poi sapere che, in caso di
disgrazie, andasse a trovarlo in Francia. Perduta infine la speranza di
soccorso, convennero i rettori di Taranto di dar quella forte città a
Consalvo, facendolo prima giurare sull'ostia consacrata di lasciare in
libertà il giovinetto duca di Calabria. Ma Consalvo, in cui prevaleva
più l'interesse del re Ferdinando che il timor di Dio, ritenne il
duca, non senza grande infamia del nome suo, e col tempo lo inviò in
Ispagna, dove, come in una libera ed onorata prigione, dopo aver avuto
due mogli (che, perchè sterili gli furono date, niuna prole lasciarono
di sè), diede fine al suo vivere nel 1550. _Alfonso_ secondogenito
del re Federigo, passato col padre in Francia, terminò i suoi giorni
in Grenoble nel 1545 con sospetto di veleno. E _Cesare_ terzogenito,
ritiratosi a Ferrara, quivi anche egli in età d'anni diciotto cessò di
vivere.
Di tempo sì favorevole si servì ancora il _pontefice Alessandro_
per abbattere le nobili case de' Colonnesi e Savelli, che s'erano
dichiarati in favore di Federigo re di Napoli. Fulminate prima contra
di essi tutte le pene spirituali e temporali, mosse guerra alle lor
terre, e, portatosi in persona all'assedio di Sermoneta, commise, come
ha Giovanni Burcardo nel suo Diario[339], _tutta la camera sua e tutto
il palagio e i negozi occorrenti a donna Lucrezia Borgia sua figliuola,
la quale, nel tempo di tale assenza abitò le camere del papa. E diedele
autorità d'aprire le lettere sue; e se occorresse alcuna cosa ardua,
avesse il consiglio dei cardinali di Lisbona e d'altri, ch'ella potesse
perciò chiamare a sè._ Questa maniera di governo se facesse onore al
papa, poco ci vuole per conoscerlo. Vennero all'ubbidienza sua tutte
le terre di que' baroni; per le quali vane vittorie insuperbito, e
insieme dimentico dell'ufficio apostolico, e delle minaccie di morte
a lui fatte dal cielo nell'anno precedente, lasciò la briglia ad ogni
sfrenata licenza. Continuò parimente il duca Valentino la guerra contro
di Piombino, ed avendo spedito colà Vitellozzo e Gian-Paolo Baglione
con nuove genti, questo bastò ad intimidire sì fattamente _Jacopo
d'Appiano_, signore di quella terra, che, lasciato ivi buon presidio,
se ne ritirò, per andare in Francia ad implorare gli effetti della
protezione di quel re, già a lui accordata. Ma andò indarno, perchè
al re maggiormente premeva di soddisfare alle premure del papa, da cui
molto potea sperare, e molto ancora temere. In questo mezzo, per opera
di Pandolfo Petrucci da Siena, si arrendè quella terra, e poscia la
fortezza al suddetto duca. Diede fine al corso di sua vita nell'anno
presente _Agostino Barbarigo _doge di Venezia, e a lui succedette,
a dì 5 d'ottobre, _Leonardo Loredano_. Trovavasi allora la veneta
repubblica in non pochi affanni per la guerra col Turco, il quale
ogni dì più insolentiva, e non meno in Grecia che in Ungheria sempre
più s'ingrandiva alle spese de' cristiani. Erasi ben fatta lega fra
essa repubblica, il papa, i re di Francia, Aragona ed Inghilterra,
e con altri sovrani contro quel comune nemico; ma, attendendo ognun
d'essi a' proprii comodi e vantaggi, e nulla avendo operato una bella
flotta di Portoghesi che venne apposta nei mari di Levante, convenne
a' Veneziani di sostener soli tutto il peso della difesa delle lor
terre e dell'Italia. Nè si dee tacere, che trovandosi in Pavia la
nobile biblioteca dei duchi di Milano, ricca di antichi e preziosi
manoscritti, circa questi tempi, per ordine del re Lodovico, fu
trasportata a Bles in Francia. Di questo spoglio, e d'altri di antiche
scritture, indarno si lagnò la povera Lombardia.
NOTE:
[329] Cronica di Bologna MS. nella Libreria Estense. Diar. di Ferrara,
tom. 24 Rer. Ital.
[330] Guicciardini, Istoria d'Italia. Cronica MS. di Bologna.
Raynaldus, Annal. Eccles. Cronica Veneta, tom. 24 Rer. Ital.
[331] Raynaldus, Annal. Eccles.
[332] Diar. di Ferrara, tom. 24 Rer. Ital. Senarega, de Reb. Genuens.
Guicciardini, Istoria d'Italia. Nardi, Istoria di Firenze. Bembo, ed
altri.
[333] Cronica di Venezia, tom. 21 Rer. Ital.
[334] Raynaldus, Annal. Eccles.
[335] Diar. di Ferrara, tom. 24 Rer. Ital. Cronica MS. di Bologna.
Guicciardini, Istor. d'Italia, ed altri.
[336] Alessandro Sardi, Storia MS. Annali MSS. di Bologna.
Guicciardini, Storia.
[337] Buonaccorsi, Dario.
[338] Buonaccorsi, Giovio, Guicciardini, Sardi.
[339] Raynaldus, Annal. Eccl.
Anno di CRISTO MDII. Indizione V.
ALESSANDRO VI papa 11.
MASSIMILIANO I re de' Romani 10.
Quanto più andava crescendo in potenza il _duca Valentino_, tanto più
s'aumentava in lui la brama di nuovi acquisti, secondato in ciò dal
papa suo padre, che nulla più meditava e sospirava che di formare in
lui un gran principe in Italia. Non avea esso pontefice meno amore e
premura per l'ingrandimento di _Lucrezia_ sua figlia; e però con forti
maneggi fatti alla corte del re Cristianissimo fin l'anno precedente,
e col mezzo specialmente del _cardinal di Roano_, che era, per
concessione d'esso Alessandro, come un secondo papa in Francia, avea
indotto quel re a proporre e a far seguire l'accasamento della stessa
Lucrezia con don _Alfonso d'Este_, primogenito di _Ercole I_ duca di
Ferrara. Tante batterie furono adoperate per questo affare, con far
soprattutto i mediatori conoscere che questo parentado portava seco
l'assicurarsi dall'ambizione e dalle armi del duca Valentino (seppure,
come dice il Guicciardino, contro tanta perfidia era bastante sicurtà
alcuna), che gli Estensi condiscesero a tali nozze. Portò ella in dote
cento mila ducati d'oro contanti, immense gioie e suppellettili, colla
giunta ancora delle terre di Cento e della Pieve, cedute al duca di
Ferrara, oltre ad altri vantaggi della casa d'Este. Gran solennità
si fecero per questo in Roma e Ferrara, nella qual città entrò essa
principessa nel dì 2 di febbraio. Quanto al duca Valentino, amoreggiava
egli forte il ducato d'Urbino; ma essendo il _duca Guidubaldo_
ubbidientissimo in tutto al papa, e per le sue belle doti quasi adorato
da' suoi popoli, nè pretesto si trovava, nè facilità appariva di
poterlo spogliare di quegli Stati. Si rivolse dunque l'iniquo Borgia ai
tradimenti[340]. Portatosi a Nocera con poderoso esercito, e fingendo
di voler assalire lo Stato di Camerino, fece richiesta di artiglierie
e di genti d'armi al duca d'Urbino. Tutto gli fu dato, perchè troppo
pericoloso si considerò il negarlo. Ciò fatto, con tutta celerità
s'impadronì di Cagli, e continuò la marcia alla volta di Urbino, dove
il disarmato duca Guidubaldo, con _Francesco Maria della Rovere_, suo
nipote, ad altro non pensò che a salvare la vita, abbandonato tutto.
Se ne fuggì egli travestito; e, benchè inseguito, ebbe la fortuna
di potersi infine ritirare a Mantova, dove poco prima era giunta la
_duchessa Isabella_ sua moglie, sorella di _Francesco II marchese_
d'essa Mantova, la quale, dopo avere accompagnato a Ferrara _Lucrezia
Borgia_, colà s'era portata per visitare il fratello. Con queste arti
fece acquisto il duca Valentino di quattro città e di trecento castella
componenti quel ducato.
Gran rumore per tutta Italia fece un'azione sì proditoria, niuno
tenendosi più sicuro dalle insidie di costui, il quale, ito poscia
contra di Camerino, mentre andava trattando d'accordo con _Giulio da
Varano_ signore di quella città, ebbe con inganni maniera d'entrare
in essa città. Imprigionato Giulio con due suoi figliuoli, da lì a
non molto lo spietato Valentino, con farli strozzare, se ne sbrigò. Fu
ancora da' Fiorentini creduto che lo stesso Borgia e il papa avessero
mano nelle rivoluzioni che accaddero nel presente anno in Toscana;
dappoichè il re di Francia non avea acconsentito che lo stesso Borgia
divenisse signor di Pisa. Vogliosi sempre essi Fiorentini di ricuperar
quella città, altro mezzo più non conosceano che di vincerla colla
fame. Però, venuta la primavera, andarono a dare il guasto alle
biade del territorio di quella città, e quindi posero il campo a Vico
Pisano, tolto loro poco innanzi per tradimento di alcuni soldati. Ma
eccoti muoversi a ribellione il popolo di Arezzo, che tenea segreta
corrispondenza con _Vitellozzo Vitelli_, signore di Città di Castello,
il quale non tardò ad accorrere colà, e ad imprendere l'assedio della
cittadella. Ed ancor questa, perchè non venne mai sufficiente aiuto da'
Fiorentini, costretta fu ad arrendersi, dopo di che fu smantellata.
Con Vitellozzo erano congiunti _Gian-Paolo Baglione_, principal
direttore della città di Perugia, _Fabio Orsino_, il _cardinale_ e
_Pietro de Medici _fuorusciti di Firenze, e _Pandolfo Petrucci_, che
era come signor di Siena. Impadronironsi costoro dopo Arezzo anche
di Castiglione Aretino, della città di Cortona, d'Anghiari, di Borgo
San Sepolcro e di altri luoghi. Sarebbe andata più innanzi questa
tempesta, se i Fiorentini non avessero fatto ricorso al re di Francia,
rappresentandogli come procedenti dall'avidità del papa e di suo figlio
sì fatte novità, e facendogli costare il pericolo che soprastava
anche agli Stati del medesimo re in Italia, se si lasciava andar
troppo innanzi l'ingrandimento del Borgia. Per questo, e insieme pel
danaro, la cui virtù suole aver tanta efficacia, il re Lodovico XII
non solamente fece comandare al Valentino e agli altri suoi aderenti
che desistessero dalle offese dei Fiorentini, ma anche spedì alcune
compagnie di genti d'armi in Toscana, lo aspetto delle quali fece
ritornar in breve Arezzo e le altre terre perdute all'ubbidienza di
Firenze.
Furono cagione questi movimenti, e gl'imbrogli del regno di Napoli,
de' quali parleremo fra poco, che il re Lodovico tornasse in Italia,
portando seco non lieve sdegno contra del papa e del duca Valentino.
Concorsero ad Asti e a Milano varii principi e signori d'Italia; e
siccome tutti erano in sospetto di ulteriori disegni di esso Borgia,
così aggiunsero legna al fuoco. Già s'aspettava ognuno di mirar
l'armi del re volte alla depression del Valentino. Ma così ben seppe
maneggiarsi il papa, che, mitigato l'animo del re, questi ad altro non
attese dipoi che a far guerra in regno di Napoli, restando deluse le
speranze di tutti i potentati. Era questa guerra insorta fin l'anno
precedente; perchè, appena furono entrati in possesso Franzesi e
Spagnuoli della porzione lor destinata, che si venne a contesa fra
loro per li confini. _Consalvo_ tacque, finchè si fu impadronito di
Taranto; ma poi, sfoderate le pretensioni del re Cattolico, cacciò
improvvisamente dalla Tripalda e da altri luoghi i presidii franzesi,
e si appropriò la Basilicata. Perchè s'era per le malattie estenuata
di molto l'armata franzese, il _duca di Nemours_ vicerè giudicò
meglio di trattar colle buone, e di stabilire una tregua col gran
capitano sino all'agosto dell'anno presente, contentandosi che pro
interim si dividesse fra loro la dogana di Foggia e il Capitanato,
e si ritirassero i Franzesi dal principato. Ma, cresciute dipoi le
forze del vicerè per le genti inviategli dal re Lodovico, nel mese
di giugno diede l'Aubigny principio alle ostilità manifeste contro
gli Spagnuoli. E, dopo avere occupato tutto il Capitanato, si accampò
a Canosa, e l'ebbe infine a patti. Inferiore in possanza trovandosi
allora Consalvo, si ritirò a Barletta, restando ivi sprovveduto di
vettovaglie e danari. Se avessero saputo i Franzesi profittar di questa
sua debolezza, forse sbrigavano le lor faccende in quel regno. Attesero
essi a insignorirsi della Puglia e Calabria; presero Cosenza, e le
diedero il sacco; venuto colà soccorso dalla Sicilia, lo misero in
rotta. Tale prosperità dell'armi rendè poi negligente il re di Francia
a sostener con vigore la sua fortuna nel regno di Napoli, e ad altro
non pensò se non a tornarsene di là dai monti.
Era ito travestito e con pochi cavalli per la posta il duca Valentino
ad inchinare esso re a Milano; e siccome gli stava bene la lingua in
bocca, tanto seppe dir per dar buon colore alle malvagie sue azioni
passate, e tanto commendò la svisceratezza del papa verso la corona di
Francia, che riguadagnò l'affetto e la protezione del re: il che recò
non poco spavento a Vitellozzo, al Baglione, a Giovanni Bentivoglio,
a Pandolfo Petrucci, ad _Oliverotto da Fermo_, che s'era, con uccidere
- Parts
- Annali d'Italia, vol. 6 - 01
- Annali d'Italia, vol. 6 - 02
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