Annali d'Italia, vol. 6 - 10
in due navi per tornarsene in Francia; ma per fortuna di mare quasi
tutta perì in faccia di Terracina. Quindi il novello _re Federigo_
con rara prudenza ed amorevolezza diede principio al suo governo,
studiandosi di guadagnar gli Angioini, e di pacificar tutti i
malcontenti. All'incontro, per la decadenza dei Franzesi nel regno di
Napoli, il _pontefice Alessandro_ diede fuoco al suo sdegno contra di
_Virginio_ e di _Paolo Orsini_, che aveano fin qui militato in favor
della Francia senza curarsi de' divieti del papa. Indotto il vivente
allora re _Ferdinando II_ a violare i patti della capitolazione, li
fece imprigionare; ed egli poi spedì l'esercito contra delle loro
castella nell'ottobre dell'anno presente, e molte ne occupò, meditando
già di arricchir colle loro spoglie i proprii figliuoli. Valorosamente
nondimeno resisterono gli aderenti e sudditi degli Orsini, nè finì poi
quella guerra a tenore dei desiderii del papa. Gran bollore d'azioni
militari fu eziandio per quest'anno nella Toscana. I Fiorentini, il
maggior negozio de' quali era quello di ricuperar Pisa e le altre
terre loro tolte, tempestavano con frequenti ambascerie e lettere
_Carlo VIII_ re di Francia, perchè ordinasse al _signore d'Entraghes_,
governatore della cittadella di Pisa, di rimetterla in loro mano.
Ordini pressanti spediva il re di farne la consegna, e con credenza
comune che egli sinceramente li desse; ma con provarsi dipoi che i suoi
uffiziali non doveano capire il tenore di quelle lettere. Anzi tutto il
contrario avvenne. Il governatore di Sarzana per venticinque mila scudi
d'oro vendè ai Genovesi la città di Sarzana. Sborsato immantenente
il danaro, ne presero i Genovesi con gran festa il possesso; e nella
stessa maniera tornarono ad impadronirsi di Sarzanello. Aveano essi
trattato anche col governatore di Pietrasanta; ma i Lucchesi più
diligenti l'ottennero essi, non senza aspre doglianze de' Genovesi.
Per conto di Pisa, il _signor d'Entraghes_, invece di cedere quella
cittadella ai Fiorentini, la vendè anch'egli al popolo di Pisa, il
quale non tardò a demolirla. Tante trafitture erano queste al cuor de'
Fiorentini. Perlochè cominciarono a far guerra ai Pisani, e ad espugnar
alcune loro castella. Fioccavano intanto le lettere de' Pisani al
papa, al duca di Milano, a' Veneziani, e ad altri potentati e signori,
per ottener forze da difendersi: essendo chiaro che non poteano
sostenersi contro la potenza de' Fiorentini. Entrarono in questa
contesa specialmente i Veneziani, siccome quelli ch'erano malcontenti
della repubblica fiorentina, collegata co' nemici franzesi, e molto
più perchè, mischiandosi in quella briga, non mancava loro desiderio
e fondamenti di assoggettar Pisa al loro dominio, anzi ne veniva lor
fatta l'esibizione. Adunque mandarono a Pisa de' possenti soccorsi, e
ne inviò anche _Lodovico duca_ di Milano, giacchè anche a lui davano
speranza i Pisani di sottomettersi a lui. Con questi aiuti quel popolo
andò poscia difendendo sè stesso.
Non d'altro intanto per tutta Italia si pasceva la curiosità degli
oziosi, che dei mirabili apparecchi d'armi che si diceano fatti da
_Carlo VIII re_ di Francia per tornare di qua da' monti, tenendosi
per fermo ch'egli comincerebbe il ballo contro a _Lodovico il Moro_
duca di Milano, pretendendo che questi avesse in più forme mancato ai
patti, e delusa la corte di Francia. Tre eserciti doveano calare in
Italia, uno condotto da _Gian Jacopo Trivulzio_ nobile milanese, che
nel regno di Napoli entrato al servigio d'esso re, s'era già acquistato
il credito d'uno dei più savii e valorosi capitani italiani. Il secondo
sotto il comando di _Lodovico duca_ d'Orleans, padron d'Asti; e il
terzo, maggiore degli altri, guidato dal medesimo re Carlo. In sì
fatti racconti gran parte avea la bugia. Il solo Trivulzio venne ad
Asti per sicurezza di quella città. Contuttociò Lodovico Sforza, a cui
tremava il cuore, determinò di muovere _Massimiliano re_ de' Romani,
già suo collegato, a calare in Italia[309]. E gli riuscì il maneggio.
Venuto l'ottobre, arrivò Massimiliano per la Valtellina, scese nel
territorio di Milano, accolto con gran festa e magnificenza da esso
Lodovico; e, senza toccar Milano, continuò il viaggio alla volta di
Genova, con disegno di passare a Pisa, dove ancora quel popolo con
grande istanza l'avea chiamato. Non menava seco più di cinquecento
cavalli e di otto bandiere di fanti. Nel dì 25 d'ottobre arrivò a
Genova, e da lì a due giorni imbarcatosi se n'andò a Pisa, dove,
pensando d'immortalare il suo nome, dopo aver preso alcuni castelletti,
s'accinse all'assedio di Livorno, detenuto allora da' Fiorentini. Ma
quando si fu per dare l'ultimo assalto, insorse dissensione fra lui e
i commissarii dei Veneziani, perchè questi pretesero di voler essi quel
luogo. Oltre a ciò, una fiera burrasca dissipò tutti i legni che erano
a quell'assedio. Altro perciò non si fece. Propose dipoi Massimiliano
di dare il guasto al distretto di Firenze; ma non vollero i Veneziani
uscir di Pisa, per paura di restarne poi esclusi. Insomma andò a finire
la mossa di questo gran principe in sole dicerie svantaggiose al di
lui nome. Se ne tornò egli sul finire dell'anno in Germania, portando
seco dell'amarezza contra de' Veneziani, perchè questi, oltre all'avere
sturbati i suoi disegni, aveano anche scoperta la di lui intenzione di
occupar Pisa come città dell'imperio. Erano allora in gran voga essi
Veneti, e il loro Lione stendeva le ali facilmente dovunque scorgeva
apertura di dilatar la signoria. In quest'anno ancora i Franzesi che
erano in Taranto mandarono ad offerir per danari quella città al senato
veneto. Benchè fosse contro i patti, e il re di Napoli protestasse
contro, non lasciarono per questo i Veneziani d'impossessarsi di
quell'importante luogo. Il picciolo duca di Savoia _Carlo Giovanni
Amedeo_ in quest'anno mancò di vita[310] a dì 16 d'aprile in età di
circa otto anni; e però a lui succedette _Filippo di Savoia_ suo gran
zio, figliuolo di _Lodovico duca_ di Savoia, in età avanzata, perchè
nato nell'anno 1438. Ma poco sopravvisse, siccome vedremo. Il Senarega,
scrittore di questi tempi[311], riferisce la morte di esso duca Carlo
nell'anno seguente. Altrettanto s'ha da Jacopo Filippo da Bergamo[312]
scrittor contemporaneo anche esso, laonde può restare suggetta a
qualche dubbio l'asserzion del Guichenone.
NOTE:
[303] Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Ital.
[304] Guicciardini, Ist. d'Italia. Sanuto, ed altri.
[305] Diar. di Ferrara, tom. 24 Rer. Ital.
[306] Burchardus, Diar., apud Raynaldum.
[307] Nardi, Istoria di Firenze.
[308] Summonte, Istoria di Napoli.
[309] Sanuto, Istor. di Venezia, tom. 22 Rer. Ital. Senarega, de Reb.
Genuens., tom. 24 Rer. Ital. Corio, Istor. di Milano. Guicciardini,
Istoria d'Italia. Ammirati, Istor. di Firenze, ed altri.
[310] Guichenon, Hist. de la Maison de Savoye.
[311] Senarega, de Reb. Genuens., tom. 24 Rer. Ital.
[312] Jacobus Philipp. Bergom., Histor.
Anno di CRISTO MCCCCXCVII. Indiz. XV.
ALESSANDRO VI papa 6.
MASSIMILIANO I re de' Rom. 5.
In quest'anno mandò Iddio de' buoni ricordi a _papa Alessandro_,
de' quali nondimeno egli punto non seppe profittare[313]. Era egli
vicino ad ingoiare il resto delle terre degli Orsini, per farne poi
il sospirato regalo a' proprii figliuoli; avea ancora l'esercito
suo, sotto il comando di _Guidobaldo duca_ d'Urbino e del _duca
di Gandia_ suo figlio, posto l'assedio a Bracciano. Non solamente
convenne loro ritirarsi di là, ma si venne anche a battaglia nel dì
24 di gennaio colla picciola armata di _Carlo Orsino_, che unito a
_Bartolomeo d'Alviano_, giovane di grande espettazione pel suo valore,
e con _Vitellozzo Vitelli_ da Città di Castello, capitano accorto,
s'affacciò all'esercito pontificio fra Bassano e Soriano. Per più
ore ferocemente si combattè, e restò infine sbaragliata l'oste del
papa, prigione lo stesso duca d'Urbino, ferito leggermente il duca
di Gandia. Questa percossa fece calar lo spirito guerriero al papa,
e l'indusse ad ascoltar volentieri chi parlò di pace. Seguì essa fra
poco, e gli Orsini ricuperarono le lor terre, andando a terra tutti i
castelli in aria che il pontefice avea dianzi formato. Venne dipoi per
la quaresima a Roma _Consalvo Fernandez_, ricevuto con distinti onori,
per avere ricuperato Ostia alla Chiesa, ed anche pel grado suo. Ma
perchè Alessandro gli fece alcune doglianze del _re Cattolico_[314],
Consalvo gli lavò ben bene il capo senza sapone, ricordandogli le
obbligazioni ch'avea la sua casa alla real d'Aragona, e toccando la
scandalosa vita di lui medesimo, troppo bisognava di riforma: al che
il papa non seppe che rispondere. Ma perchè gli era andato fallito il
colpo di accomodare il figliuolo suo primogenito _Giovanni duca_ di
Gandia colle terre degli Orsini, si rivolse ad un altro partito, cioè
a quello di arricchirlo col patrimonio della Chiesa[315]. Pertanto nel
dì 7 di giugno eresse la città di Benevento in ducato, e di quella e
insieme delle contee di Terracina e di Pontecorvo investì il suddetto
suo figliuolo. A riserva del _cardinal Piccolomini_, ch'ebbe il
coraggio nel concistoro di opporsi a questo scialacquamento degli Stati
pontificii, tutti gli altri cardinali consentirono ed applaudirono,
per aver poi favorevole il papa al conseguimento di nuovi benefizii,
commende e vescovati. Ma che? nel dì 14 di giugno, dopo una lauta
cena fatta da esso duca e da _Cesare cardinal_ suo fratello alla
_Vannozza_ lor madre, il _duca di Gandia_, giovine dissoluto e perduto
in amorazzi, nella notte a cavallo con un solo staffiere andò per
solazzarsi non si sa in qual casa. Fu egli in quella notte ucciso; il
corpo suo gittato nel Tevere; e ritrovato fra pochi dì, accertò ognuno
di quella tragedia. Non si seppero già gli autori dell'omicidio; ma
comunemente fu creduto che _Cesare cardinale_ per gelosia, o per altri
motivi della smoderata sua ambizione, sperando, come infatti avvenne,
di divenir egli solo arbitro del papa e del papato, arrivasse a questo
eccesso di crudeltà. Era egli infatti capace di tutto. Si afflisse
indicibilmente, farneticò ed ebbe ad impazzire il pontefice per questo
funestissimo colpo; e riconoscendola infine dalla mano di Dio, proruppe
nelle più belle promesse di emendar sè stesso, e di riformar la Chiesa
di Dio: promesse nondimeno che il vento in breve si portò via. Avvenne
finalmente, che nati in questi tempi alcuni disgusti fra _Lugrezia
Borgia_ sua figliuola e _Giovanni Sforza_ signore di Pesaro suo
consorte, essa da lui si ritirò: il papa dipoi per cagioni note a sè
solo disciolse quel matrimonio. Corse pericolo lo Sforza di perdere in
tal congiuntura Pesaro; ma, dichiaratisi per lui i Veneziani, cessò il
pericolo.
Prima della morte del fratello s'era già preparato il _cardinal
Valentino_ alla sua legazione, siccome destinato dal pontefice suo
padre, per portarsi a coronare il nuovo re di Napoli _don Federigo_.
Dappoichè fu assicurato che non più vivea suo fratello, cavalcò con
ismisurata magnificenza a Capoa, ed ivi diede la corona ad esso re
Federigo, il quale nel presente anno attese a ristorare il desolato
suo regno; a schiantare gli assassini e malandrini che dappertutto
commetteano incredibili danni ed omicidii; e a dare non meno buon
ordine agli affari pubblici, che pace ai popoli, con riceverne il
premio di mille benedizioni. Tuttavia restavano in quel regno alcuni
baroni pregni d'odio contro la casa d'Aragona, e convenne al re di
far loro la guerra, con restare specialmente abbattuto il _principe di
Salerno_. Ma intanto non cessava la discordia in Toscana per cagion di
Pisa[316]. Anche _Pietro de Medici_, saputo ch'ebbe trovarsi Firenze
involta in calamità per un'atroce carestia, ed essere entrati in
reggimento alcuni antichi amici della sua casa, tentò di ritornar nella
patria. Venne con gran copia d'armati sino alle porte di Firenze, ma
non udendo alcun movimento favorevole a lui nella città, più che di
fretta se ne ritornò indietro. In Milano[317] nel dì 2 di gennaio morì
di parto _Beatrice Estense_ moglie del _duca Lodovico_ Sforza; del
che si mostrò egli inconsolabile, e con grande sfoggio di funerali
e limosine onorò la di lei memoria. Furono novità nel Genovesato,
perchè _Giuliano dalla Rovere_ cardinale, tutto allora dei Franzesi,
e _Battistino da Campofregoso_ con molti armati andarono verso di
Savona, patria d'esso cardinale, sperando d'insignorirsene[318]. Nulla
venne lor fatto per le buone precauzioni prese dai Genovesi e dal duca
di Milano. Anche _Gian-Giacomo Trivulzio _co' Franzesi usciti d'Asti
infestò lo Stato di Milano; ma sovvenuto il duca da' Veneziani, rendè
inutili i di lui sforzi. Poco potè godere di sua fortuna _Filippo duca
_di Savoia; imperciocchè nel dì 7 di novembre terminò la carriera
del suo vivere. A lui succedette _Filiberto II_ suo primogenito in
età di diecisette anni. Così scrivo io, fidato nell'autorità del
Guichenone[319]. Ma Jacopo Filippo da Bergamo, storico che in questi
tempi fioriva, mette nel marzo dell'anno presente il principio del
governo ducale d'esso Filippo, soggiugnendo dipoi ch'egli _necdum
plene duobus annis regnavit_: lo che meriterebbe riflessione, se il
Guicciardino non sostenesse il racconto del Guichenone. Avea finquì
_Ercole duca_ di Ferrara tenuto in deposito il castelletto di Genova:
lo restituì nell'anno presente a dì 11 di novembre a _Lodovico Sforza_
duca di Milano con somma di lui consolazione. Non potè egli far di
meno: tante furono le istanze ed anche minacce de' Veneziani e di
Lodovico per disbrogliare Genova; e le ragioni del duca Ercole alla
corte di Francia furono credute legittime.
Anno di CRISTO MCCCCXCVIII. Indiz. I.
ALESSANDRO VI papa 7.
MASSIMILIANO I re de' Rom. 6.
Allorchè l'Italia si trovava agitata dall'apprensione che _Carlo
VIII_ re di Francia tornasse a lacerar queste contrade con forze
superiori alle passate[320], eccoli giugnere nuova ch'egli nel castello
d'Ambosia era mancato di vita per accidente di apoplessia nel dì 7
d'aprile dell'anno presente in età di ventisette anni e nove mesi. La
taccia che a lui fu data, consistè nello smoderato amor dei piaceri
e nella sfrenata sua libidine, per gli stimoli della quale andava
frequentemente mutando pastura. Del resto egli fu uno de' più mansueti,
amorevoli e benigni principi del mondo, nè sapea far male ad alcuno,
in guisa che tanta sua bontà ridondava talvolta in suo danno, perchè
i ministri ed uffiziali faceano tutti a lor modo per la fidanza di
non esser mai gastigati. Negli ultimi mesi di sua vita, scorgendo
che appoco appoco veniva meno la sua sanità e forza, diede un calcio
ai solazzi e piaceri, e massimamente ai vietati dalla legge santa
di Dio, e con opere di pietà e carità si dispose a comparire davanti
al giudice dei vivi e de' morti. L'esser egli mancato di vita senza
lasciar successione maschile (giacchè un Delfino, nato qualche mese
prima, poco tempo visse sopra la terra) diede luogo a succedergli
a _Lodovico duca_ di Orleans suo cugino in quarto grado, e il primo
fra' principi del real sangue d'allora, che sotto i due precedenti
re avea patito di molti affanni e contraddizioni con pericolo della
vita. Fu egli coronato re di Francia a Rems nel dì 27 di maggio, e
portò il nome di _Lodovico XII_, principe di gran mente, abilità e
coraggio. Si scoprirono ben tosto le sue idee, perchè prese anche
il titolo di duca di Milano e di re delle Due Sicilie. La maggior
prima sua cura fu di far sciogliere il matrimonio da lui contratto
molti anni prima con _Giovanna_ figliuola del _re Lodovico XI_, sì
perchè da essa, assai brutta e mal sana, non avea mai potuto ricavar
successione, e sì perchè gli premeva di sposare _Anna_ vedova del
poco fa defunto re, siccome quella che portava in dote l'importante
ducato della Bretagna, e di cui dicono ch'egli anche prima era stato
innamorato. Ricorse perciò a papa _Alessandro VI_, e si trovarono in
quegli sconcertati tempi delle ragioni per dichiarar nullo il primo
matrimonio, e far valere il secondo. Di questo affare volle nondimeno
far mercato il papa, e coglierne profitto per _Cesare_ suo figliuolo.
Costui, non avendo gran genio all'abito ecclesiastico, perchè meditava
già di comandare a popoli, ottenne in quest'anno di poter deporre
la sacra porpora, e di ritornare al secolo, allegando che contro sua
volontà e per timore del padre avea dianzi preso il diaconato; nè vi
fu chi ad uomo sì dabbene negasse fede. Fu scelto Cesare per portare
in Francia le bolle dello scioglimento del matrimonio del re[321], ed
insieme il cappello cardinalizio a _Giorgio d'Ambosia_ arcivescovo di
Roano. Il fasto con cui egli andò, parea che superasse la grandezza
delle stesse corti regali. Il _re Lodovico_, che per li suoi disegni
sopra l'Italia bramava già di guadagnar in suo favore l'animo del
papa, slargò la mano verso del di lui figliuolo, dichiarandolo duca di
Valenza nel Delfinato, dandogli una compagnia di cento uomini d'armi,
ed assegnandogli l'annua pensione di venti mila lire di Francia, con
promessa ancora di qualche bel feudo nel Milanese, dacchè l'avesse
conquistato. Prese poscia il re Lodovico in moglie _Anna di Bretagna_
nel gennaio dell'anno seguente, e, siccome voglioso al maggior segno di
conquistare il ducato di Milano per le ragioni di _Valentina Visconte
_avola sua (voglia a lui accresciuta dall'essere dimorato per tanto
tempo in Asti, e dall'aver conosciuta la bellezza della Lombardia),
così cominciò di buona ora a disporsi per ottener questo fine.
Il fuoco acceso in Toscana per cagion di Pisa tuttavia durava[322].
Quanto più quella città veniva angustiata dai Fiorentini, tanto più
i Pisani si raccomandavano alla potenza de' Veneziani, e questi
maggiormente s'insperanzivano di ridurre quella città sotto il
loro dominio. Perciò, avendo il senato veneto condotti al suo soldo
_Guidubaldo duca_ d'Urbino, _Astorre Baglioni_ Perugino, _Bartolomeo
d'Alviano_, _Paolo Orsino_ ed altri condottieri d'armi, misero in
viaggio alla volta della Toscana delle grosse brigate in aiuto de'
Pisani con aver mosso anche i Medici ed altri fuorusciti ad unirsi
alle lor genti. Lo stesso marchese di Mantova _Francesco_ fu poi
spedito anche egli con titolo di generale colà. Per lo contrario, non
cessarono i Fiorentini d'accrescere le lor genti d'armi, prendendo al
soldo loro i signori d'Imola e Forlì ed altre milizie. Quel ch'è più,
trassero nel lor partito _Lodovico Sforza_ duca di Milano. Non poteva
questi senza invidia mirare, e senza grave sdegno sofferire che i
Veneziani fossero dietro ad accrescere la lor già formidabile grandezza
coll'acquisto di Pisa; e però, accordatosi co' Fiorentini, pensò sulle
prime d'aiutarli segretamente a ricuperar quella città, ma infine
apertamente inviò loro de' soccorsi. Capitan generale dell'esercito
fiorentino fu scelto _Paolo Vitello_, uomo di credito nel mestier
della guerra, a cui fu dato con gran solennità il bastone in un giorno
determinato dagli astrologi. Quanto costoro dessero nel segno, in breve
si scorgerà. Prese il Vitelli Buti, Vico-Pisano e Librafatta. Corse
la guerra pel Casentino, e per altre contrade del dominio fiorentino;
succederono varii piccioli fatti d'armi ora all'uno ora all'altra parte
favorevoli. L'anno poi fu questo, in cui Firenze mirò la tragedia di
frate _Girolamo Savonarola_ Ferrarese dell'ordine di san Domenico, uomo
per l'austerità della vita, pel suo raro sapere, e per la sua forza
e zelo nel predicare la parola di Dio, ammirato da tutti, e degno di
miglior fortuna. Reggevasi la maggior parte del popolo col consiglio
di lui anche ne' politici affari; ed egli fu che il tenne lungamente
saldo nella dipendenza dal re di Francia. Ma non mancavano a lui
nemici, e molti e potenti nella stessa città di Firenze; e specialmente
i Medici fuorusciti l'odiavano a morte, perchè direttamente opposto
alle loro intenzioni di signoreggiar nella repubblica[323]. Chi gli
volea male l'accusò alla corte di Roma, come seduttore e seminator di
falsa dottrina. Però gli fu proibito dal papa di predicare, e tanto più
perchè egli non avea saputo astenersi dal toccar nelle sue prediche
i vizii dello stesso regnante pontefice, troppo per altro palesi, e
i depravati costumi della corte romana. Disprezzò frate Girolamo i
comandamenti del pontefice, tornò sul pulpito, maggiormente inveendo
da lì innanzi contro la corruttela d'allora. Fu scomunicato dal
papa, intimate le censure a chi l'ascoltasse, il favorisse, e mandate
finalmente replicate lettere ai magistrati di Firenze, con ordine di
mettere le mani addosso al frate, minacciando scomuniche ed interdetti
se non si ubbidiva. Temeva forte _papa Alessandro_ uno scisma; e guai
a lui se persona d'autorità avesse allora alzato un dito contra di
lui. Non vi era chi non detestasse un pastore di vita sì contraria
al sublime suo grado. Ora avvenne che un frate Francesco di Puglia
dell'osservanza di san Francesco predicò pubblicamente contra del
Savonarola, impugnando specialmente queste di lui proposizioni: _La
Chiesa di Dio ha bisogno d'essere riformata e purgata. La Chiesa di Dio
sarà flagellata, e dopo i flagelli sarà riformata e rinovata, e tornerà
in prosperità. Gl'infedeli si convertiranno a Cristo. Firenze sarà
flagellata, e dopo i flagelli si rinoverà, e tornerà in prosperità_; ed
altre che tralascio.
Chi teneva e chi tien tuttavia il Savonarola per uomo di santa vita,
e che egli ispirato da Dio predicesse le cose avvenire, fra non molti
anni trovò il tutto avverato. Altre simili predizioni fatte da lui, e
nominatamente a _Carlo VIII re_ di Francia, ebbero il loro effetto.
Si esibì ancora frate Francesco di confermare alla pruova del fuoco
la falsità delle proposizioni suddette; E all'incontro fra Domenico
da Pescia domenicano accettò di sostener giuste e verificabili le
medesime, con esibirsi di entrar anch'egli nel fuoco. Perchè il frate
minore trovò maniera di sottrarsi all'impegno preso, per lui sottentrò
un frate Andrea Rondinelli. Adunque, nel dì 17 d'aprile per ordine de'
magistrati acceso un gran fuoco, vennero alla presenza d'innumerabil
popolo i due contradditori, per provare, se in quella avvampata catasta
si sentisse fresco o caldo. Ma non volendo comportare i frati minori
che fra Domenico vi entrasse vestito con gli abiti sacerdotali, nè
che egli portasse in mano il Sacramento dell'altare, in sole contese
terminò tutto quell'apparato, e nulla si fece. Scapitò molto per questo
del suo buon concetto il Savonarola, e crescendo l'ardire della fazione
a lui contraria, e massimamente degli scapestrati, nella seguente
domenica dell'Olivo si alzò contra di lui gran rumore, in guisa che
i magistrati, timorosi ancora delle tante minaccie del papa, fecero
prendere e menar nelle carceri il Savonarola. Allora fu che infierì
contra di lui chi gli volea male. Corse tosto a Firenze un commessario
del papa per accendere maggiormente il fuoco, ed accelerar la morte
dell'infelice. Si adoperarono i tormenti per fargli confessare ciò che
vero non era; e si pubblicò poi un processo contenente la confessione
di molti reati, che agevolmente ognun riconobbe per inventati e
calunniosi. Venuto dunque il dì 23 di maggio, vigilia dell'Ascensione,
alzato un palco nella piazza, quivi il Savonarola degradato insieme
con due frati suoi compagni, cioè Silvestro e Domenico, fu impiccato,
i loro corpi dipoi bruciati, e le ceneri gittate in Arno, per timore
che tanti divoti di questo religioso le tenessero per sante reliquie.
Restò appresso involta in molte dispute la di lui fama, riguardandolo
gran copia di gente, cioè tutti i buoni, qual santo e qual martire
del Signore; ed all'incontro tutti i cattivi per uomo ambizioso e
seduttore. Dio ne sarà stato buon giudice. Certo è ch'egli mancò al
suo dovere, dispregiando gli ordini del papa, i cui perversi costumi
non estinguevano già in lui l'autorità delle chiavi. Parimente lodevole
non fu nel Savonarola il cotanto mischiarsi nel governo secolare della
repubblica fiorentina: cosa poco conveniente al sacro suo abito e
ministero. Per altro, ch'egli fosse d'illibati costumi, di singolar
pietà e zelo, tutto volto al bene spirituale del popolo, con altre
rarissime doti, indicanti un vero servo di Dio, le cui opere stampate
contengono una mirabil unzione e odore di santità, non si può già
negare. Ma di questo avendo pienamente trattato _Gian-Francesco Pico_
conte della Mirandola, dottissimo scrittore suo contemporaneo, nella
Vita ed Apologia del medesimo Savonarola, e Jacopo Nardi Fiorentino,
anch'esso allora vivente, nella sua Storia di Firenze, senza che io
osi di far qui da giudice, rimetto ai loro scritti il lettore che più
copiosamente desideri d'essere informato di quella lagrimevol tragedia.
NOTE:
[313] Guicciardini, Istoria d'Italia, lib. 1.
[314] Raynaldus, Annal. Eccles.
[315] Burchardus, in Diar.
[316] Guicciardini, Istoria d'Italia. Ammirati, Istoria di Firenze.
Nardi, Ist. di Firenze.
[317] Corio, Ist. di Milano. Diar. di Ferrara, tom. 24 Rer. Ital.
[318] Navagero, Istor. Veneta, tom. 24 Rer. Italic.
[319] Guichenon, Hist. de la Maison de Savoye.
[320] Mèmoir. de Comines lib. 7, cap. 18.
[321] Nardi, Istor. di Firenze, lib. 4.
[322] Ammirati, Istoria di Firenze. Guicciardini, Istoria d'Italia.
Nardi, Ist. di Firenze, lib. 4.
[323] Raynaldus, Annal. Eccl. Nardi, Istor. di Firenze.
Anno di CRISTO MCCCCXCIX. Indiz. II.
ALESSANDRO VI papa 8.
MASSIMILIANO I re de' Rom. 7.
Bolliva tuttavia la discordia e guerra di Pisa, quando non meno
i _Veneziani _che _Lodovico duca_ di Milano, cangiati sentimenti,
mostrarono genio che si trattasse d'accordo[324]. I Veneziani, siccome
accennerò fra poco, ad una preda di maggior loro soddisfazione aveano
già rivolto il pensiero. Il duca di Milano, oramai presentendo un fiero
temporale che contra di lui si preparava in Francia, volea pensare a
difendere sè stesso, e non già l'altrui con tante inutili spese. Quanto
poi ai Fiorentini, nulla più desideravano che la pace, perchè troppo
stanchi e smunti per così lunga e dispendiosa guerra. Fu dunque da
tutti gl'interessati fatto compromesso di questa pendenza in _Ercole I
Estense_ duca di Ferrara. Profferì egli il suo laudo nel dì 6 d'aprile;
decretando che i Fiorentini tornassero padroni di Pisa, con restare
i Pisani in possesso delle rendite pubbliche e delle fortezze; e che
dovessero i Fiorentini pagare ai Veneziani in dodici anni cento e
ottanta mila scudi. L'insaziabilità delle persone cagion fu che tulle e
tre le parti rimanessero mal contente, anzi disgustate di questo laudo.
Con tutto ciò i Veneziani, sebben ricusarono di ratificarlo, pure
l'effettuarono con ritirar da Pisa le loro milizie. V'acconsentirono
anche i Fiorentini. Ma i Pisani, protestando di non volerlo accettare,
si accinsero a sostener soli la guerra: tanta era la loro avversione
a tornar sotto il giogo de' Fiorentini. Perciò eccoli ricominciar la
guerra. _Paolo Vitelli_, generale d'essi Fiorentini, ebbe ordine di
uscire in campagna: lo che eseguì nel mese di giugno; e, dopo la presa
d'alcuni luoghi, andò nel dì primo d'agosto a mettere il campo intorno
a Pisa. Impadronitosi da lì a dieci giorni della fortezza di Stampace,
tal terrore diede a' cittadini, che fu creduta inevitabile la presa
anche della città; ma il Vitelli non si seppe servir della fortuna,
e questa, spirato quel dì, non tornò più. Fecero i Pisani dei ripari,
ma quel che più gli aiutò fu l'aria della state, madre di sì copiose
malattie nell'esercito de' Fiorentini, che quando il Vitelli determinò
di dare un assalto generale alla città, gli convenne desistere
per mancanza di gente. Vennero per questa e per altre apparenti
ragioni in sospetto della di lui fede i Fiorentini, e chiamatolo a
Firenze, ancorchè ne' fieri tormenti a lui dati nulla confessasse di
pregiudiziale al suo onore, pure nel dì primo di ottobre fu decapitato,
con lasciare esempio ai posteri dell'evidente pericolo a cui si espone
chi pretende il generalato dell'armi delle repubbliche, perchè dove son
tante teste, quivi più facilmente che altrove la poca fortuna diventa
delitto. _Vitellozzo_ suo fratello con più giudizio si salvò a tempo,
tutta perì in faccia di Terracina. Quindi il novello _re Federigo_
con rara prudenza ed amorevolezza diede principio al suo governo,
studiandosi di guadagnar gli Angioini, e di pacificar tutti i
malcontenti. All'incontro, per la decadenza dei Franzesi nel regno di
Napoli, il _pontefice Alessandro_ diede fuoco al suo sdegno contra di
_Virginio_ e di _Paolo Orsini_, che aveano fin qui militato in favor
della Francia senza curarsi de' divieti del papa. Indotto il vivente
allora re _Ferdinando II_ a violare i patti della capitolazione, li
fece imprigionare; ed egli poi spedì l'esercito contra delle loro
castella nell'ottobre dell'anno presente, e molte ne occupò, meditando
già di arricchir colle loro spoglie i proprii figliuoli. Valorosamente
nondimeno resisterono gli aderenti e sudditi degli Orsini, nè finì poi
quella guerra a tenore dei desiderii del papa. Gran bollore d'azioni
militari fu eziandio per quest'anno nella Toscana. I Fiorentini, il
maggior negozio de' quali era quello di ricuperar Pisa e le altre
terre loro tolte, tempestavano con frequenti ambascerie e lettere
_Carlo VIII_ re di Francia, perchè ordinasse al _signore d'Entraghes_,
governatore della cittadella di Pisa, di rimetterla in loro mano.
Ordini pressanti spediva il re di farne la consegna, e con credenza
comune che egli sinceramente li desse; ma con provarsi dipoi che i suoi
uffiziali non doveano capire il tenore di quelle lettere. Anzi tutto il
contrario avvenne. Il governatore di Sarzana per venticinque mila scudi
d'oro vendè ai Genovesi la città di Sarzana. Sborsato immantenente
il danaro, ne presero i Genovesi con gran festa il possesso; e nella
stessa maniera tornarono ad impadronirsi di Sarzanello. Aveano essi
trattato anche col governatore di Pietrasanta; ma i Lucchesi più
diligenti l'ottennero essi, non senza aspre doglianze de' Genovesi.
Per conto di Pisa, il _signor d'Entraghes_, invece di cedere quella
cittadella ai Fiorentini, la vendè anch'egli al popolo di Pisa, il
quale non tardò a demolirla. Tante trafitture erano queste al cuor de'
Fiorentini. Perlochè cominciarono a far guerra ai Pisani, e ad espugnar
alcune loro castella. Fioccavano intanto le lettere de' Pisani al
papa, al duca di Milano, a' Veneziani, e ad altri potentati e signori,
per ottener forze da difendersi: essendo chiaro che non poteano
sostenersi contro la potenza de' Fiorentini. Entrarono in questa
contesa specialmente i Veneziani, siccome quelli ch'erano malcontenti
della repubblica fiorentina, collegata co' nemici franzesi, e molto
più perchè, mischiandosi in quella briga, non mancava loro desiderio
e fondamenti di assoggettar Pisa al loro dominio, anzi ne veniva lor
fatta l'esibizione. Adunque mandarono a Pisa de' possenti soccorsi, e
ne inviò anche _Lodovico duca_ di Milano, giacchè anche a lui davano
speranza i Pisani di sottomettersi a lui. Con questi aiuti quel popolo
andò poscia difendendo sè stesso.
Non d'altro intanto per tutta Italia si pasceva la curiosità degli
oziosi, che dei mirabili apparecchi d'armi che si diceano fatti da
_Carlo VIII re_ di Francia per tornare di qua da' monti, tenendosi
per fermo ch'egli comincerebbe il ballo contro a _Lodovico il Moro_
duca di Milano, pretendendo che questi avesse in più forme mancato ai
patti, e delusa la corte di Francia. Tre eserciti doveano calare in
Italia, uno condotto da _Gian Jacopo Trivulzio_ nobile milanese, che
nel regno di Napoli entrato al servigio d'esso re, s'era già acquistato
il credito d'uno dei più savii e valorosi capitani italiani. Il secondo
sotto il comando di _Lodovico duca_ d'Orleans, padron d'Asti; e il
terzo, maggiore degli altri, guidato dal medesimo re Carlo. In sì
fatti racconti gran parte avea la bugia. Il solo Trivulzio venne ad
Asti per sicurezza di quella città. Contuttociò Lodovico Sforza, a cui
tremava il cuore, determinò di muovere _Massimiliano re_ de' Romani,
già suo collegato, a calare in Italia[309]. E gli riuscì il maneggio.
Venuto l'ottobre, arrivò Massimiliano per la Valtellina, scese nel
territorio di Milano, accolto con gran festa e magnificenza da esso
Lodovico; e, senza toccar Milano, continuò il viaggio alla volta di
Genova, con disegno di passare a Pisa, dove ancora quel popolo con
grande istanza l'avea chiamato. Non menava seco più di cinquecento
cavalli e di otto bandiere di fanti. Nel dì 25 d'ottobre arrivò a
Genova, e da lì a due giorni imbarcatosi se n'andò a Pisa, dove,
pensando d'immortalare il suo nome, dopo aver preso alcuni castelletti,
s'accinse all'assedio di Livorno, detenuto allora da' Fiorentini. Ma
quando si fu per dare l'ultimo assalto, insorse dissensione fra lui e
i commissarii dei Veneziani, perchè questi pretesero di voler essi quel
luogo. Oltre a ciò, una fiera burrasca dissipò tutti i legni che erano
a quell'assedio. Altro perciò non si fece. Propose dipoi Massimiliano
di dare il guasto al distretto di Firenze; ma non vollero i Veneziani
uscir di Pisa, per paura di restarne poi esclusi. Insomma andò a finire
la mossa di questo gran principe in sole dicerie svantaggiose al di
lui nome. Se ne tornò egli sul finire dell'anno in Germania, portando
seco dell'amarezza contra de' Veneziani, perchè questi, oltre all'avere
sturbati i suoi disegni, aveano anche scoperta la di lui intenzione di
occupar Pisa come città dell'imperio. Erano allora in gran voga essi
Veneti, e il loro Lione stendeva le ali facilmente dovunque scorgeva
apertura di dilatar la signoria. In quest'anno ancora i Franzesi che
erano in Taranto mandarono ad offerir per danari quella città al senato
veneto. Benchè fosse contro i patti, e il re di Napoli protestasse
contro, non lasciarono per questo i Veneziani d'impossessarsi di
quell'importante luogo. Il picciolo duca di Savoia _Carlo Giovanni
Amedeo_ in quest'anno mancò di vita[310] a dì 16 d'aprile in età di
circa otto anni; e però a lui succedette _Filippo di Savoia_ suo gran
zio, figliuolo di _Lodovico duca_ di Savoia, in età avanzata, perchè
nato nell'anno 1438. Ma poco sopravvisse, siccome vedremo. Il Senarega,
scrittore di questi tempi[311], riferisce la morte di esso duca Carlo
nell'anno seguente. Altrettanto s'ha da Jacopo Filippo da Bergamo[312]
scrittor contemporaneo anche esso, laonde può restare suggetta a
qualche dubbio l'asserzion del Guichenone.
NOTE:
[303] Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Ital.
[304] Guicciardini, Ist. d'Italia. Sanuto, ed altri.
[305] Diar. di Ferrara, tom. 24 Rer. Ital.
[306] Burchardus, Diar., apud Raynaldum.
[307] Nardi, Istoria di Firenze.
[308] Summonte, Istoria di Napoli.
[309] Sanuto, Istor. di Venezia, tom. 22 Rer. Ital. Senarega, de Reb.
Genuens., tom. 24 Rer. Ital. Corio, Istor. di Milano. Guicciardini,
Istoria d'Italia. Ammirati, Istor. di Firenze, ed altri.
[310] Guichenon, Hist. de la Maison de Savoye.
[311] Senarega, de Reb. Genuens., tom. 24 Rer. Ital.
[312] Jacobus Philipp. Bergom., Histor.
Anno di CRISTO MCCCCXCVII. Indiz. XV.
ALESSANDRO VI papa 6.
MASSIMILIANO I re de' Rom. 5.
In quest'anno mandò Iddio de' buoni ricordi a _papa Alessandro_,
de' quali nondimeno egli punto non seppe profittare[313]. Era egli
vicino ad ingoiare il resto delle terre degli Orsini, per farne poi
il sospirato regalo a' proprii figliuoli; avea ancora l'esercito
suo, sotto il comando di _Guidobaldo duca_ d'Urbino e del _duca
di Gandia_ suo figlio, posto l'assedio a Bracciano. Non solamente
convenne loro ritirarsi di là, ma si venne anche a battaglia nel dì
24 di gennaio colla picciola armata di _Carlo Orsino_, che unito a
_Bartolomeo d'Alviano_, giovane di grande espettazione pel suo valore,
e con _Vitellozzo Vitelli_ da Città di Castello, capitano accorto,
s'affacciò all'esercito pontificio fra Bassano e Soriano. Per più
ore ferocemente si combattè, e restò infine sbaragliata l'oste del
papa, prigione lo stesso duca d'Urbino, ferito leggermente il duca
di Gandia. Questa percossa fece calar lo spirito guerriero al papa,
e l'indusse ad ascoltar volentieri chi parlò di pace. Seguì essa fra
poco, e gli Orsini ricuperarono le lor terre, andando a terra tutti i
castelli in aria che il pontefice avea dianzi formato. Venne dipoi per
la quaresima a Roma _Consalvo Fernandez_, ricevuto con distinti onori,
per avere ricuperato Ostia alla Chiesa, ed anche pel grado suo. Ma
perchè Alessandro gli fece alcune doglianze del _re Cattolico_[314],
Consalvo gli lavò ben bene il capo senza sapone, ricordandogli le
obbligazioni ch'avea la sua casa alla real d'Aragona, e toccando la
scandalosa vita di lui medesimo, troppo bisognava di riforma: al che
il papa non seppe che rispondere. Ma perchè gli era andato fallito il
colpo di accomodare il figliuolo suo primogenito _Giovanni duca_ di
Gandia colle terre degli Orsini, si rivolse ad un altro partito, cioè
a quello di arricchirlo col patrimonio della Chiesa[315]. Pertanto nel
dì 7 di giugno eresse la città di Benevento in ducato, e di quella e
insieme delle contee di Terracina e di Pontecorvo investì il suddetto
suo figliuolo. A riserva del _cardinal Piccolomini_, ch'ebbe il
coraggio nel concistoro di opporsi a questo scialacquamento degli Stati
pontificii, tutti gli altri cardinali consentirono ed applaudirono,
per aver poi favorevole il papa al conseguimento di nuovi benefizii,
commende e vescovati. Ma che? nel dì 14 di giugno, dopo una lauta
cena fatta da esso duca e da _Cesare cardinal_ suo fratello alla
_Vannozza_ lor madre, il _duca di Gandia_, giovine dissoluto e perduto
in amorazzi, nella notte a cavallo con un solo staffiere andò per
solazzarsi non si sa in qual casa. Fu egli in quella notte ucciso; il
corpo suo gittato nel Tevere; e ritrovato fra pochi dì, accertò ognuno
di quella tragedia. Non si seppero già gli autori dell'omicidio; ma
comunemente fu creduto che _Cesare cardinale_ per gelosia, o per altri
motivi della smoderata sua ambizione, sperando, come infatti avvenne,
di divenir egli solo arbitro del papa e del papato, arrivasse a questo
eccesso di crudeltà. Era egli infatti capace di tutto. Si afflisse
indicibilmente, farneticò ed ebbe ad impazzire il pontefice per questo
funestissimo colpo; e riconoscendola infine dalla mano di Dio, proruppe
nelle più belle promesse di emendar sè stesso, e di riformar la Chiesa
di Dio: promesse nondimeno che il vento in breve si portò via. Avvenne
finalmente, che nati in questi tempi alcuni disgusti fra _Lugrezia
Borgia_ sua figliuola e _Giovanni Sforza_ signore di Pesaro suo
consorte, essa da lui si ritirò: il papa dipoi per cagioni note a sè
solo disciolse quel matrimonio. Corse pericolo lo Sforza di perdere in
tal congiuntura Pesaro; ma, dichiaratisi per lui i Veneziani, cessò il
pericolo.
Prima della morte del fratello s'era già preparato il _cardinal
Valentino_ alla sua legazione, siccome destinato dal pontefice suo
padre, per portarsi a coronare il nuovo re di Napoli _don Federigo_.
Dappoichè fu assicurato che non più vivea suo fratello, cavalcò con
ismisurata magnificenza a Capoa, ed ivi diede la corona ad esso re
Federigo, il quale nel presente anno attese a ristorare il desolato
suo regno; a schiantare gli assassini e malandrini che dappertutto
commetteano incredibili danni ed omicidii; e a dare non meno buon
ordine agli affari pubblici, che pace ai popoli, con riceverne il
premio di mille benedizioni. Tuttavia restavano in quel regno alcuni
baroni pregni d'odio contro la casa d'Aragona, e convenne al re di
far loro la guerra, con restare specialmente abbattuto il _principe di
Salerno_. Ma intanto non cessava la discordia in Toscana per cagion di
Pisa[316]. Anche _Pietro de Medici_, saputo ch'ebbe trovarsi Firenze
involta in calamità per un'atroce carestia, ed essere entrati in
reggimento alcuni antichi amici della sua casa, tentò di ritornar nella
patria. Venne con gran copia d'armati sino alle porte di Firenze, ma
non udendo alcun movimento favorevole a lui nella città, più che di
fretta se ne ritornò indietro. In Milano[317] nel dì 2 di gennaio morì
di parto _Beatrice Estense_ moglie del _duca Lodovico_ Sforza; del
che si mostrò egli inconsolabile, e con grande sfoggio di funerali
e limosine onorò la di lei memoria. Furono novità nel Genovesato,
perchè _Giuliano dalla Rovere_ cardinale, tutto allora dei Franzesi,
e _Battistino da Campofregoso_ con molti armati andarono verso di
Savona, patria d'esso cardinale, sperando d'insignorirsene[318]. Nulla
venne lor fatto per le buone precauzioni prese dai Genovesi e dal duca
di Milano. Anche _Gian-Giacomo Trivulzio _co' Franzesi usciti d'Asti
infestò lo Stato di Milano; ma sovvenuto il duca da' Veneziani, rendè
inutili i di lui sforzi. Poco potè godere di sua fortuna _Filippo duca
_di Savoia; imperciocchè nel dì 7 di novembre terminò la carriera
del suo vivere. A lui succedette _Filiberto II_ suo primogenito in
età di diecisette anni. Così scrivo io, fidato nell'autorità del
Guichenone[319]. Ma Jacopo Filippo da Bergamo, storico che in questi
tempi fioriva, mette nel marzo dell'anno presente il principio del
governo ducale d'esso Filippo, soggiugnendo dipoi ch'egli _necdum
plene duobus annis regnavit_: lo che meriterebbe riflessione, se il
Guicciardino non sostenesse il racconto del Guichenone. Avea finquì
_Ercole duca_ di Ferrara tenuto in deposito il castelletto di Genova:
lo restituì nell'anno presente a dì 11 di novembre a _Lodovico Sforza_
duca di Milano con somma di lui consolazione. Non potè egli far di
meno: tante furono le istanze ed anche minacce de' Veneziani e di
Lodovico per disbrogliare Genova; e le ragioni del duca Ercole alla
corte di Francia furono credute legittime.
Anno di CRISTO MCCCCXCVIII. Indiz. I.
ALESSANDRO VI papa 7.
MASSIMILIANO I re de' Rom. 6.
Allorchè l'Italia si trovava agitata dall'apprensione che _Carlo
VIII_ re di Francia tornasse a lacerar queste contrade con forze
superiori alle passate[320], eccoli giugnere nuova ch'egli nel castello
d'Ambosia era mancato di vita per accidente di apoplessia nel dì 7
d'aprile dell'anno presente in età di ventisette anni e nove mesi. La
taccia che a lui fu data, consistè nello smoderato amor dei piaceri
e nella sfrenata sua libidine, per gli stimoli della quale andava
frequentemente mutando pastura. Del resto egli fu uno de' più mansueti,
amorevoli e benigni principi del mondo, nè sapea far male ad alcuno,
in guisa che tanta sua bontà ridondava talvolta in suo danno, perchè
i ministri ed uffiziali faceano tutti a lor modo per la fidanza di
non esser mai gastigati. Negli ultimi mesi di sua vita, scorgendo
che appoco appoco veniva meno la sua sanità e forza, diede un calcio
ai solazzi e piaceri, e massimamente ai vietati dalla legge santa
di Dio, e con opere di pietà e carità si dispose a comparire davanti
al giudice dei vivi e de' morti. L'esser egli mancato di vita senza
lasciar successione maschile (giacchè un Delfino, nato qualche mese
prima, poco tempo visse sopra la terra) diede luogo a succedergli
a _Lodovico duca_ di Orleans suo cugino in quarto grado, e il primo
fra' principi del real sangue d'allora, che sotto i due precedenti
re avea patito di molti affanni e contraddizioni con pericolo della
vita. Fu egli coronato re di Francia a Rems nel dì 27 di maggio, e
portò il nome di _Lodovico XII_, principe di gran mente, abilità e
coraggio. Si scoprirono ben tosto le sue idee, perchè prese anche
il titolo di duca di Milano e di re delle Due Sicilie. La maggior
prima sua cura fu di far sciogliere il matrimonio da lui contratto
molti anni prima con _Giovanna_ figliuola del _re Lodovico XI_, sì
perchè da essa, assai brutta e mal sana, non avea mai potuto ricavar
successione, e sì perchè gli premeva di sposare _Anna_ vedova del
poco fa defunto re, siccome quella che portava in dote l'importante
ducato della Bretagna, e di cui dicono ch'egli anche prima era stato
innamorato. Ricorse perciò a papa _Alessandro VI_, e si trovarono in
quegli sconcertati tempi delle ragioni per dichiarar nullo il primo
matrimonio, e far valere il secondo. Di questo affare volle nondimeno
far mercato il papa, e coglierne profitto per _Cesare_ suo figliuolo.
Costui, non avendo gran genio all'abito ecclesiastico, perchè meditava
già di comandare a popoli, ottenne in quest'anno di poter deporre
la sacra porpora, e di ritornare al secolo, allegando che contro sua
volontà e per timore del padre avea dianzi preso il diaconato; nè vi
fu chi ad uomo sì dabbene negasse fede. Fu scelto Cesare per portare
in Francia le bolle dello scioglimento del matrimonio del re[321], ed
insieme il cappello cardinalizio a _Giorgio d'Ambosia_ arcivescovo di
Roano. Il fasto con cui egli andò, parea che superasse la grandezza
delle stesse corti regali. Il _re Lodovico_, che per li suoi disegni
sopra l'Italia bramava già di guadagnar in suo favore l'animo del
papa, slargò la mano verso del di lui figliuolo, dichiarandolo duca di
Valenza nel Delfinato, dandogli una compagnia di cento uomini d'armi,
ed assegnandogli l'annua pensione di venti mila lire di Francia, con
promessa ancora di qualche bel feudo nel Milanese, dacchè l'avesse
conquistato. Prese poscia il re Lodovico in moglie _Anna di Bretagna_
nel gennaio dell'anno seguente, e, siccome voglioso al maggior segno di
conquistare il ducato di Milano per le ragioni di _Valentina Visconte
_avola sua (voglia a lui accresciuta dall'essere dimorato per tanto
tempo in Asti, e dall'aver conosciuta la bellezza della Lombardia),
così cominciò di buona ora a disporsi per ottener questo fine.
Il fuoco acceso in Toscana per cagion di Pisa tuttavia durava[322].
Quanto più quella città veniva angustiata dai Fiorentini, tanto più
i Pisani si raccomandavano alla potenza de' Veneziani, e questi
maggiormente s'insperanzivano di ridurre quella città sotto il
loro dominio. Perciò, avendo il senato veneto condotti al suo soldo
_Guidubaldo duca_ d'Urbino, _Astorre Baglioni_ Perugino, _Bartolomeo
d'Alviano_, _Paolo Orsino_ ed altri condottieri d'armi, misero in
viaggio alla volta della Toscana delle grosse brigate in aiuto de'
Pisani con aver mosso anche i Medici ed altri fuorusciti ad unirsi
alle lor genti. Lo stesso marchese di Mantova _Francesco_ fu poi
spedito anche egli con titolo di generale colà. Per lo contrario, non
cessarono i Fiorentini d'accrescere le lor genti d'armi, prendendo al
soldo loro i signori d'Imola e Forlì ed altre milizie. Quel ch'è più,
trassero nel lor partito _Lodovico Sforza_ duca di Milano. Non poteva
questi senza invidia mirare, e senza grave sdegno sofferire che i
Veneziani fossero dietro ad accrescere la lor già formidabile grandezza
coll'acquisto di Pisa; e però, accordatosi co' Fiorentini, pensò sulle
prime d'aiutarli segretamente a ricuperar quella città, ma infine
apertamente inviò loro de' soccorsi. Capitan generale dell'esercito
fiorentino fu scelto _Paolo Vitello_, uomo di credito nel mestier
della guerra, a cui fu dato con gran solennità il bastone in un giorno
determinato dagli astrologi. Quanto costoro dessero nel segno, in breve
si scorgerà. Prese il Vitelli Buti, Vico-Pisano e Librafatta. Corse
la guerra pel Casentino, e per altre contrade del dominio fiorentino;
succederono varii piccioli fatti d'armi ora all'uno ora all'altra parte
favorevoli. L'anno poi fu questo, in cui Firenze mirò la tragedia di
frate _Girolamo Savonarola_ Ferrarese dell'ordine di san Domenico, uomo
per l'austerità della vita, pel suo raro sapere, e per la sua forza
e zelo nel predicare la parola di Dio, ammirato da tutti, e degno di
miglior fortuna. Reggevasi la maggior parte del popolo col consiglio
di lui anche ne' politici affari; ed egli fu che il tenne lungamente
saldo nella dipendenza dal re di Francia. Ma non mancavano a lui
nemici, e molti e potenti nella stessa città di Firenze; e specialmente
i Medici fuorusciti l'odiavano a morte, perchè direttamente opposto
alle loro intenzioni di signoreggiar nella repubblica[323]. Chi gli
volea male l'accusò alla corte di Roma, come seduttore e seminator di
falsa dottrina. Però gli fu proibito dal papa di predicare, e tanto più
perchè egli non avea saputo astenersi dal toccar nelle sue prediche
i vizii dello stesso regnante pontefice, troppo per altro palesi, e
i depravati costumi della corte romana. Disprezzò frate Girolamo i
comandamenti del pontefice, tornò sul pulpito, maggiormente inveendo
da lì innanzi contro la corruttela d'allora. Fu scomunicato dal
papa, intimate le censure a chi l'ascoltasse, il favorisse, e mandate
finalmente replicate lettere ai magistrati di Firenze, con ordine di
mettere le mani addosso al frate, minacciando scomuniche ed interdetti
se non si ubbidiva. Temeva forte _papa Alessandro_ uno scisma; e guai
a lui se persona d'autorità avesse allora alzato un dito contra di
lui. Non vi era chi non detestasse un pastore di vita sì contraria
al sublime suo grado. Ora avvenne che un frate Francesco di Puglia
dell'osservanza di san Francesco predicò pubblicamente contra del
Savonarola, impugnando specialmente queste di lui proposizioni: _La
Chiesa di Dio ha bisogno d'essere riformata e purgata. La Chiesa di Dio
sarà flagellata, e dopo i flagelli sarà riformata e rinovata, e tornerà
in prosperità. Gl'infedeli si convertiranno a Cristo. Firenze sarà
flagellata, e dopo i flagelli si rinoverà, e tornerà in prosperità_; ed
altre che tralascio.
Chi teneva e chi tien tuttavia il Savonarola per uomo di santa vita,
e che egli ispirato da Dio predicesse le cose avvenire, fra non molti
anni trovò il tutto avverato. Altre simili predizioni fatte da lui, e
nominatamente a _Carlo VIII re_ di Francia, ebbero il loro effetto.
Si esibì ancora frate Francesco di confermare alla pruova del fuoco
la falsità delle proposizioni suddette; E all'incontro fra Domenico
da Pescia domenicano accettò di sostener giuste e verificabili le
medesime, con esibirsi di entrar anch'egli nel fuoco. Perchè il frate
minore trovò maniera di sottrarsi all'impegno preso, per lui sottentrò
un frate Andrea Rondinelli. Adunque, nel dì 17 d'aprile per ordine de'
magistrati acceso un gran fuoco, vennero alla presenza d'innumerabil
popolo i due contradditori, per provare, se in quella avvampata catasta
si sentisse fresco o caldo. Ma non volendo comportare i frati minori
che fra Domenico vi entrasse vestito con gli abiti sacerdotali, nè
che egli portasse in mano il Sacramento dell'altare, in sole contese
terminò tutto quell'apparato, e nulla si fece. Scapitò molto per questo
del suo buon concetto il Savonarola, e crescendo l'ardire della fazione
a lui contraria, e massimamente degli scapestrati, nella seguente
domenica dell'Olivo si alzò contra di lui gran rumore, in guisa che
i magistrati, timorosi ancora delle tante minaccie del papa, fecero
prendere e menar nelle carceri il Savonarola. Allora fu che infierì
contra di lui chi gli volea male. Corse tosto a Firenze un commessario
del papa per accendere maggiormente il fuoco, ed accelerar la morte
dell'infelice. Si adoperarono i tormenti per fargli confessare ciò che
vero non era; e si pubblicò poi un processo contenente la confessione
di molti reati, che agevolmente ognun riconobbe per inventati e
calunniosi. Venuto dunque il dì 23 di maggio, vigilia dell'Ascensione,
alzato un palco nella piazza, quivi il Savonarola degradato insieme
con due frati suoi compagni, cioè Silvestro e Domenico, fu impiccato,
i loro corpi dipoi bruciati, e le ceneri gittate in Arno, per timore
che tanti divoti di questo religioso le tenessero per sante reliquie.
Restò appresso involta in molte dispute la di lui fama, riguardandolo
gran copia di gente, cioè tutti i buoni, qual santo e qual martire
del Signore; ed all'incontro tutti i cattivi per uomo ambizioso e
seduttore. Dio ne sarà stato buon giudice. Certo è ch'egli mancò al
suo dovere, dispregiando gli ordini del papa, i cui perversi costumi
non estinguevano già in lui l'autorità delle chiavi. Parimente lodevole
non fu nel Savonarola il cotanto mischiarsi nel governo secolare della
repubblica fiorentina: cosa poco conveniente al sacro suo abito e
ministero. Per altro, ch'egli fosse d'illibati costumi, di singolar
pietà e zelo, tutto volto al bene spirituale del popolo, con altre
rarissime doti, indicanti un vero servo di Dio, le cui opere stampate
contengono una mirabil unzione e odore di santità, non si può già
negare. Ma di questo avendo pienamente trattato _Gian-Francesco Pico_
conte della Mirandola, dottissimo scrittore suo contemporaneo, nella
Vita ed Apologia del medesimo Savonarola, e Jacopo Nardi Fiorentino,
anch'esso allora vivente, nella sua Storia di Firenze, senza che io
osi di far qui da giudice, rimetto ai loro scritti il lettore che più
copiosamente desideri d'essere informato di quella lagrimevol tragedia.
NOTE:
[313] Guicciardini, Istoria d'Italia, lib. 1.
[314] Raynaldus, Annal. Eccles.
[315] Burchardus, in Diar.
[316] Guicciardini, Istoria d'Italia. Ammirati, Istoria di Firenze.
Nardi, Ist. di Firenze.
[317] Corio, Ist. di Milano. Diar. di Ferrara, tom. 24 Rer. Ital.
[318] Navagero, Istor. Veneta, tom. 24 Rer. Italic.
[319] Guichenon, Hist. de la Maison de Savoye.
[320] Mèmoir. de Comines lib. 7, cap. 18.
[321] Nardi, Istor. di Firenze, lib. 4.
[322] Ammirati, Istoria di Firenze. Guicciardini, Istoria d'Italia.
Nardi, Ist. di Firenze, lib. 4.
[323] Raynaldus, Annal. Eccl. Nardi, Istor. di Firenze.
Anno di CRISTO MCCCCXCIX. Indiz. II.
ALESSANDRO VI papa 8.
MASSIMILIANO I re de' Rom. 7.
Bolliva tuttavia la discordia e guerra di Pisa, quando non meno
i _Veneziani _che _Lodovico duca_ di Milano, cangiati sentimenti,
mostrarono genio che si trattasse d'accordo[324]. I Veneziani, siccome
accennerò fra poco, ad una preda di maggior loro soddisfazione aveano
già rivolto il pensiero. Il duca di Milano, oramai presentendo un fiero
temporale che contra di lui si preparava in Francia, volea pensare a
difendere sè stesso, e non già l'altrui con tante inutili spese. Quanto
poi ai Fiorentini, nulla più desideravano che la pace, perchè troppo
stanchi e smunti per così lunga e dispendiosa guerra. Fu dunque da
tutti gl'interessati fatto compromesso di questa pendenza in _Ercole I
Estense_ duca di Ferrara. Profferì egli il suo laudo nel dì 6 d'aprile;
decretando che i Fiorentini tornassero padroni di Pisa, con restare
i Pisani in possesso delle rendite pubbliche e delle fortezze; e che
dovessero i Fiorentini pagare ai Veneziani in dodici anni cento e
ottanta mila scudi. L'insaziabilità delle persone cagion fu che tulle e
tre le parti rimanessero mal contente, anzi disgustate di questo laudo.
Con tutto ciò i Veneziani, sebben ricusarono di ratificarlo, pure
l'effettuarono con ritirar da Pisa le loro milizie. V'acconsentirono
anche i Fiorentini. Ma i Pisani, protestando di non volerlo accettare,
si accinsero a sostener soli la guerra: tanta era la loro avversione
a tornar sotto il giogo de' Fiorentini. Perciò eccoli ricominciar la
guerra. _Paolo Vitelli_, generale d'essi Fiorentini, ebbe ordine di
uscire in campagna: lo che eseguì nel mese di giugno; e, dopo la presa
d'alcuni luoghi, andò nel dì primo d'agosto a mettere il campo intorno
a Pisa. Impadronitosi da lì a dieci giorni della fortezza di Stampace,
tal terrore diede a' cittadini, che fu creduta inevitabile la presa
anche della città; ma il Vitelli non si seppe servir della fortuna,
e questa, spirato quel dì, non tornò più. Fecero i Pisani dei ripari,
ma quel che più gli aiutò fu l'aria della state, madre di sì copiose
malattie nell'esercito de' Fiorentini, che quando il Vitelli determinò
di dare un assalto generale alla città, gli convenne desistere
per mancanza di gente. Vennero per questa e per altre apparenti
ragioni in sospetto della di lui fede i Fiorentini, e chiamatolo a
Firenze, ancorchè ne' fieri tormenti a lui dati nulla confessasse di
pregiudiziale al suo onore, pure nel dì primo di ottobre fu decapitato,
con lasciare esempio ai posteri dell'evidente pericolo a cui si espone
chi pretende il generalato dell'armi delle repubbliche, perchè dove son
tante teste, quivi più facilmente che altrove la poca fortuna diventa
delitto. _Vitellozzo_ suo fratello con più giudizio si salvò a tempo,
- Parts
- Annali d'Italia, vol. 6 - 01
- Annali d'Italia, vol. 6 - 02
- Annali d'Italia, vol. 6 - 03
- Annali d'Italia, vol. 6 - 04
- Annali d'Italia, vol. 6 - 05
- Annali d'Italia, vol. 6 - 06
- Annali d'Italia, vol. 6 - 07
- Annali d'Italia, vol. 6 - 08
- Annali d'Italia, vol. 6 - 09
- Annali d'Italia, vol. 6 - 10
- Annali d'Italia, vol. 6 - 11
- Annali d'Italia, vol. 6 - 12
- Annali d'Italia, vol. 6 - 13
- Annali d'Italia, vol. 6 - 14
- Annali d'Italia, vol. 6 - 15
- Annali d'Italia, vol. 6 - 16
- Annali d'Italia, vol. 6 - 17
- Annali d'Italia, vol. 6 - 18
- Annali d'Italia, vol. 6 - 19
- Annali d'Italia, vol. 6 - 20
- Annali d'Italia, vol. 6 - 21
- Annali d'Italia, vol. 6 - 22
- Annali d'Italia, vol. 6 - 23
- Annali d'Italia, vol. 6 - 24
- Annali d'Italia, vol. 6 - 25
- Annali d'Italia, vol. 6 - 26
- Annali d'Italia, vol. 6 - 27
- Annali d'Italia, vol. 6 - 28
- Annali d'Italia, vol. 6 - 29
- Annali d'Italia, vol. 6 - 30
- Annali d'Italia, vol. 6 - 31
- Annali d'Italia, vol. 6 - 32
- Annali d'Italia, vol. 6 - 33
- Annali d'Italia, vol. 6 - 34
- Annali d'Italia, vol. 6 - 35
- Annali d'Italia, vol. 6 - 36
- Annali d'Italia, vol. 6 - 37
- Annali d'Italia, vol. 6 - 38
- Annali d'Italia, vol. 6 - 39
- Annali d'Italia, vol. 6 - 40
- Annali d'Italia, vol. 6 - 41
- Annali d'Italia, vol. 6 - 42
- Annali d'Italia, vol. 6 - 43
- Annali d'Italia, vol. 6 - 44
- Annali d'Italia, vol. 6 - 45
- Annali d'Italia, vol. 6 - 46
- Annali d'Italia, vol. 6 - 47
- Annali d'Italia, vol. 6 - 48
- Annali d'Italia, vol. 6 - 49
- Annali d'Italia, vol. 6 - 50
- Annali d'Italia, vol. 6 - 51
- Annali d'Italia, vol. 6 - 52
- Annali d'Italia, vol. 6 - 53
- Annali d'Italia, vol. 6 - 54
- Annali d'Italia, vol. 6 - 55
- Annali d'Italia, vol. 6 - 56
- Annali d'Italia, vol. 6 - 57
- Annali d'Italia, vol. 6 - 58
- Annali d'Italia, vol. 6 - 59
- Annali d'Italia, vol. 6 - 60
- Annali d'Italia, vol. 6 - 61
- Annali d'Italia, vol. 6 - 62
- Annali d'Italia, vol. 6 - 63
- Annali d'Italia, vol. 6 - 64
- Annali d'Italia, vol. 6 - 65
- Annali d'Italia, vol. 6 - 66
- Annali d'Italia, vol. 6 - 67
- Annali d'Italia, vol. 6 - 68
- Annali d'Italia, vol. 6 - 69
- Annali d'Italia, vol. 6 - 70
- Annali d'Italia, vol. 6 - 71
- Annali d'Italia, vol. 6 - 72
- Annali d'Italia, vol. 6 - 73
- Annali d'Italia, vol. 6 - 74
- Annali d'Italia, vol. 6 - 75
- Annali d'Italia, vol. 6 - 76
- Annali d'Italia, vol. 6 - 77
- Annali d'Italia, vol. 6 - 78
- Annali d'Italia, vol. 6 - 79
- Annali d'Italia, vol. 6 - 80
- Annali d'Italia, vol. 6 - 81
- Annali d'Italia, vol. 6 - 82
- Annali d'Italia, vol. 6 - 83
- Annali d'Italia, vol. 6 - 84
- Annali d'Italia, vol. 6 - 85
- Annali d'Italia, vol. 6 - 86
- Annali d'Italia, vol. 6 - 87