Annali d'Italia, vol. 6 - 08

o piuttosto di maggio, come vuol l'Infessura[259], accordo fra _papa
Innocenzo_ e il _re Ferdinando_. Probabilmente la paura ottenne ciò che
la ragione non aveva fin qui potuto conseguire. Sapeva il re quanto la
sua crudeltà avesse alienato da lui l'animo della sua baronia, e star
essa colle mani giunte aspettando chi venisse alla conquista di quel
regno. Non era ignoto che vi pretendea _Carlo VIII re_ di Francia per
le ragioni (non cerco se fondate o no) a lui cedute da _Renato duca_
di Lorena. Andava inoltre crescendo del rancore tra _Ferdinando_ e
_Lodovico il Moro_. Però venne il tempo di pacificare il papa, per
averlo alle occasioni non nemico, ma favorevole. Si conchiuse dunque
l'accordo, avendo il re promesso di pagar l'annuo censo, come avea
pattuito il _re Alfonso_ suo padre. _Ferdinando il Cattolico_ quegli
fu che trattò l'affare. In segno della rinnovata buona amistà entrò in
Roma nel dì 27 di maggio _Ferdinando principe_ di Capoa, primogenito
d'_Alfonso duca_ di Calabria, e nipote del predetto re Ferdinando, il
quale diede l'ultima mano a quella pace. Sfoggio di magnificenza tale
fece il cardinale _Ascanio Sforza_, accogliendo nel suo palagio questo
principe, che l'Infessura non si attentò a darne la relazione per
timore che fosse creduta un'esagerazione o fola. E i buoni Napoletani,
non contenti di sì nobil trattamento, nell'andarsene, portarono seco
per memoria anche gli apparati delle stanze, i panni lini, e tutto
quanto poterono dal palazzo d'esso cardinale.
Sul principio di luglio cadde gravemente infermo papa _Innocenzo
VIII_; e dacchè fece temer di sua vita, i cardinali misero in castello
Sant'Angelo _Zizim_ fratello del gran-signore[260]. Nella notte poi del
dì 25 d'esso mese, venendo il dì 26, terminò il pontefice le grandezze
umane con gran compunzione di cuore, per comparire al tribunale di Dio.
L'essere egli stato uomo mansueto ed amator della pace, e l'aver fatto
di belle fabbriche in Roma, cagion fu ch'egli lasciasse piuttosto dopo
di sè un buono che un cattivo nome. Pel desiderio violento, comune ad
altri papi di que' tempi, d'arricchire il figlio suo _Franceschetto
Cibò_, diede occasione di mormorare a non pochi. Tuttavia non imitò
egli alcuno de' predecessori, nè simile fu ad altri dei successori,
che si immersero in guerre, e logorarono i tesori della Chiesa, col
segreto principal motivo d'ingrandire le lor case, e di procurare Stati
principeschi ai loro nipoti. Rimase veramente ricco Franceschetto, ma
non di magnifici Stati; e que' pochi ancora ch'avea, cioè la contea
d'Anguillara, Cerveteri ed altre picciole castella, le vendè egli nel
febbraio dell'anno seguente quasi tutte a _Virginio Orsino_, restando
solamente conte di Ferentillo. Giunse dipoi la nobil casa Cibò,
ma molto dopo la morte del pontefice Innocenzo, e coll'aiuto della
casa de' Medici, ad acquistare il marchesato, oggidì ducato di Massa
e Carrara, mediante il matrimonio di Franceschetto con _Ricciarda
Malaspina_ erede di quegli Stati. Nel dì 11 d'agosto[261] fu eletto
papa _Roderigo_, ossia _Rodrigo Borgia_, cardinale, vescovo di Porto,
e vicecancelliere della Chiesa romana, nativo di Valenza in Ispagna:
i genitori suoi furono Goffredo Lenzoli ed Isabella Borgia, sorella
di _Callisto III papa_. Prese egli il nome di _Alessandro VI_, e
nel dì 26 d'agosto fu con gran solennità coronato, e concorsero le
ambascerie di tutti i principi cristiani a prestargli ubbidienza. Non
v'ha scrittore (e non ne eccettuo gli stessi Annalisti sacri) che non
detesti, o non deplori l'assunzione al trono pontificale di un uomo
tale, pubblicamente screditato per la sua licenziosa ed impudica vita,
e che comunemente fu creduto aver impiegate le adunate sue ricchezze
e le promesse di Stati e di dignità, per comperare le chiavi di
San Pietro. Certo è che i porporati d'allora, invece d'eleggere il
migliore, come portava il loro dovere, elessero il peggiore, a seconda
della umana cupidità; colpa de' malvagi esempli e della corruzione
allora dominante, per cui giunsero alcuni papi, fino a gloriarsi
d'aver de' figliuoli. E quattro appunto questi ne avea, notissimi a
tutta Roma, e più ancora noti da lì innanzi, cioè _Giovanni_, a cui
il padre ottenne in Ispagna il ducato di Gandia, _Cesare_, di cui
avremo troppo da parlare, _Giuffrè e Lucrezia_ a lui nati da Vannozia
cortigiana famosa. Il benignissimo Iddio ha conservato e conserverà
sempre, secondo le divine sue promesse, illibata dagli errori la Chiesa
sua santa, nè lasceran per questo di nascere in essa di tanto in tanto
degli scandali; ma guai a chi reo fu o sarà di questi sconcerti nella
casa del Signore. Creato che fu il nuovo papa, _Giuliano della Rovere_,
cardinale di San Pietro in Vincola, che fu poi papa _Giulio II_, non
fidandosi di questo, com'egli solea dire, marano, perchè avea avuto
delle gare con lui, sino a strapazzarsi villanamente l'un l'altro, sul
fine di quest'anno si ritirò ad Ostia, e quivi si fortificò. Credendo
poi di essere rimesso in grazia di Alessandro, se ne tornò a Roma; ma,
accortosi di essere in pericolo, finalmente andò in Francia, nè più
si lasciò attrappolar dalle promesse, nè da belle parole[262]. Molti
ancora de' cardinali che aveano venduti i lor voti e le loro coscienze
per far questo papa, col tempo trovarono d'avere eletto il proprio
loro carnefice. L'Italia nel presente anno somministrò alla Spagna,
cioè al cattolico _re Ferdinando_ e alla _regina Isabella_ consorti,
un mirabil uomo, cioè un sempre memorando strumento, per arricchire i
loro regni[263]. Questi fu _Cristoforo Colombo_, nato in Genova, o, per
meglio dire, in un villaggio vicino a Genova (altri il fece Savonese),
di genitori plebei, ma d'ingegno nobile, di cui tanta fu la perspicacia
e la fortuna, che arrivò a scoprir varie isole nell'Oceano occidentale,
ed aprì l'adito ad altri di scoprire la terra ferma dell'America, cioè
un nuovo mondo, creduto sconosciuto finora, ma che sembra essere stato
in qualche guisa accennato o predetto da alcuni antichi scrittori.
Rapporta il Leibnizio[264] una lettera di _Ferdinando re_ di Napoli
scritta nel 1474 a _Lodovico XI_ re di Francia, dove si duole che
sieno state prese due sue galee incamminate in Fiandra da un _Colombo_
suddito di esso re Luigi. Pensò quel valentuomo che questi fosse il
celebre _Cristoforo Colombo_: cosa, a mio credere, lontana dal vero per
varie ragioni.

NOTE:
[255] Raynaldus, Annal. Ecclesiast.
[256] Ammirati, Istor. Fiorent.
[257] Diar. Roman., P. II, tom. 3 Rer. Ital.
[258] Raynaldus, Annal. Eccles.
[259] Infessura, Diar., P. II, tom. 3 Rer. Ital.
[260] Diar. Roman., P. II, tom. 3 Rer. Ital.
[261] Infessura, Diar., tom. 3 Rer. Ital. Panvin., Mariana, et alii.
[262] Guicciardini, Istoria d'Italia.
[263] Jacob. Philippus Bergomens., Hist. Giustiniani, Istoria di
Genova. Marian., Fazell, et alii.


Anno di CRISTO MCCCCXCIII. Indiz. XI.
ALESSANDRO VI papa 2.
MASSIMILIANO I re de' Rom. 1.

Dopo aver l'imperador _Federigo III_ per più di quarant'anni posseduta
l'imperial corona, senza ch'egli giovasse o nocesse all'Italia[265],
avendo unicamente atteso a guerreggiare in Ungheria, Boemia ed in altri
luoghi oltramontani, disse l'ultimo addio alla vita presente nel dì 19
venendo il dì 20 d'agosto, in età di ottant'anni: cosa in que' tempi
rara fra i principi. Suo figlio _Massimiliano I_, già re de' Romani,
succedette a lui nell'amministrazion dell'imperio. Fu egli il primo
ad intitolarsi _imperadore eletto de' Romani_, con essere poi andato
anche in disuso l'aggiunto di _eletto_ ne' tempi susseguenti. Cominciò
in quest'anno ad intorbidarsi il sereno dell'Italia. Gli ambiziosi
disegni di _Lodovico Sforza_, detto il Moro, quei furono che diedero
moto alle discordie, e poscia ad atrocissime guerre, che per anni
moltissimi lacerarono il seno di queste provincie. Era già pervenuto
ad età capace di governare i suoi popoli _Gian-Galeazzo Sforza_ duca
di Milano; pure continuava esso Lodovico suo zio paterno a fare il
reggente, e con apparente disposizione di non voler più deporre questa
autorità[266], dappoichè avea occupato i tesori della casa Sforza,
e in mano sua, cioè d'uffiziali suoi confidenti, stavano tutte le
fortezze del ducato di Milano. Non potè contenersi _Isabella_ moglie
di esso duca di portar delle querele di un tal trattamento ad _Alfonso
duca_ di Calabria suo padre[267], che se ne sdegnò forte, ed operò in
maniera che il re _Ferdinando_ suo padre spedì nell'anno precedente
una ambasciata a Lodovico per consigliarlo dolcemente a rilasciare il
governo al duca nipote. Lodovico, che non se ne sentiva voglia, ed era
per altro un finissimo dissimulatore, rimandò con risposte cortesi
l'ambasciatore; quindi, pieno di livore e di vendetta, si diede a
ruminar le maniere di abbattere il re Ferdinando, considerandolo per
signore possente ad ottener colla forza ciò che non si volea concedere
per amore. Il bel ripiego ch'egli prese fu quello d'invitar all'impresa
del regno di Napoli il giovine _Carlo VIII_ re di Francia, offerendosi
pronto a sovvenirlo con gente e danaro. La lettera scrittagli a questo
effetto da esso Lodovico vien rapportata dal Corio; e il conte _Carlo
di Belgioioso_, oratore di Lodovico in Francia, fu incaricato di
promuovere questa incumbenza. Opera eziandio fu del medesimo Sforza
che _papa Alessandro_ cominciasse di buon'ora ad attaccar liti col re
Ferdinando, con fargli credere che il re fomentasse _Virginio Orsino_,
contra del quale era in collera Alessandro, per aver egli senza
licenza pontificia comperato, siccome di sopra accennai, le castella di
_Franceschetto Cibò_.
In Roma il cardinale _Ascanio Sforza_, fratello di esso Lodovico,
siccome quegli che più degli altri avea procurato l'innalzamento del
papa, e n'avea avuto in ricompensa il grado di vicecancelliere, potea
molto in quella corte; e quegli era che attizzava il fuoco contra del
re Ferdinando. Condusse anche il papa a fare una lega particolare
col duca di Milano e co' Veneziani nel dì 21 d'aprile, la qual fu
poi solennemente pubblicata nella festa di san Marco[268], senza
che se ne facesse parola col suddetto Ferdinando e co' Fiorentini,
i quali si allarmarono non poco per questa diffidenza, quando essi
erano in lega collo stesso duca di Milano. Ma il solito di _Lodovico
Sforza_ era sempre di camminar con doppiezze. Cominciò egli inoltre
in questo medesimo anno a maneggiarsi con _Massimiliano Augusto_[269]
per ottenere il titolo e l'autorità di duca di Milano ad esclusion
del nipote. Eppure insieme trattò, anzi conchiuse il matrimonio di
_Bianca Maria Sforza_, sorella del vivente allora _Gian-Galeazzo
Maria_ duca di Milano, collo stesso _Massimiliano_; e lo sposalizio
fu poi solennemente celebrato in Milano nel dì primo di dicembre.
Ma intanto _papa Alessandro_ andava allestendo e ingrossando le sue
soldatesche con gelosia non poca del _re Ferdinando_. E perciocchè
una delle primarie applicazioni di esso pontefice sempre fu quella
dell'ingrandimento de' suoi figliuoli, in quest'anno gli riuscì di
maritar _Lucrezia_ sua figliuola con _Giovanni Sforza_ (e non già con
Alessandro, come ha l'Infessura) signore di Pesaro. Le nozze con gran
solennità, ma con poca onestà, furono celebrate nel pontificio palazzo
nel dì 12 di giugno del presente anno. Intanto il re Ferdinando,
vedendo quai nuvoli si alzassero contra del regno suo, a tutto potere
si studiò di placare, anzi di guadagnare papa Alessandro e Lodovico
il Moro. Fu adoperato _Ercole duca_ di Ferrara per rimuovere Lodovico
dalla pazza sua risoluzione di tirar l'armi franzesi in Italia, nè
egli ommise uffizio alcuno per ottener l'intento. Ma Lodovico, pien
di presunzione, mostrò ben nelle apparenze di cedere, ma diffatti si
ostinò nel proposito suo, e tanto più perchè nel dì 11 di ottobre,
col passare all'altra vita _Leonora duchessa_ di Ferrara, figliuola
del re Ferdinando, venne a mancare una principessa che avea non poca
autorità nel cuore di Lodovico, siccome suocera sua. Per conto del
papa, la maniera di fargli deporre l'avversion sua al re Ferdinando,
quella fu di promuovere gli avanzamenti di _Giuffrè_ figliuolo d'esso
pontefice. L'ambizioso papa, che desiderava di veder la sua prole
imparentata colla real casa d'Aragona, dimandò ed ottenne che una
figliuola bastarda di _Alfonso duca_ di Calabria, primogenito di
Ferdinando, fosse data in moglie ad esso Giuffrè[270]. Può essere che
questo trattato si conchiudesse solamente nell'anno seguente[271].
Oltre a ciò papa Alessandro, in una promozione che egli fece di
cardinali nel dì 20 di settembre, ornò della sacra porpora _Cesare_
suo figliuolo, che fu poi conosciuto sotto nome di _duca Valentino_,
il qual era o poi divenne un mostro d'iniquità: pure Alessandro gli
volle dar luogo nell'insigne ordine de' cardinali, quantunque molti di
loro il dissuadessero dal farlo, ed altri apertamente ripugnassero.
Furono in essa promozione compresi _Ippolito Estense_, figliuolo
del duca di Ferrara, ed _Alessandro Farnese_, che fu poi papa _Paolo
III_, a requisizione di Giulia la Bella, sorella oppur parente di esso
Alessandro, che in questi tempi era molto considerata in Roma.

NOTE:
[264] Leibnit., Prodrom. ad Cod. Jur. Gent.
[265] Trithem., Cuspinian., et alii.
[266] Corio, Istor. di Milano.
[267] Ammirati, Istor. Fiorentina.
[268] Infessura, Diar., P. II, tom. 3 Rer. Ital.
[269] Corio, Istor. di Milano.


Anno di CRISTO MCCCCXCIV. Indiz. XII.
ALESSANDRO VI papa 3.
MASSIMILIANO I re de' Rom. 2.

Cominciarono in quest'anno i guai dell'Italia, guai di lunga durata,
benchè tramezzati da qualche tregua, e guai superiori a quei degli
anni addietro; perchè laddove tra di loro, ne' tempi passati, aveano
guerreggiato i principi italiani, ora si scatenarono tutte, per così
dire, le armi oltramontane, per venire a far qui una funestissima
danza. Primieramente essendo giunto _Ferdinando re_ di Napoli all'età
di settant'anni[272], se gli caricarono addosso dei gravissimi
affanni per la tempesta che contra di lui si preparava in Francia,
e non minori fatiche per mettersi in difesa; laonde, infermatosi,
finì in pochi giorni di vivere, lodato per varie sue belle doti dal
Summonte[273], ma certamente poco amato, anzi odiato da ognuno per
le sue crudeltà. Il Sanuto[274], storico veneziano, s'empie la bocca
delle iniquità non meno del padre che del figliuolo. Cadde la morte
sua nel dì 25 di gennaio dell'anno presente, e a lui succedette nel
regno _Alfonso duca_ di Calabria, primogenito suo, la cui prima cura fu
quella di dar l'ultima mano ai trattati di pace col papa, per ottener
l'investitura ed insieme aiuti da lui ne' bisogni. Infatti nel seguente
aprile tutto ammansato il _pontefice Alessandro_ spedì il cardinale
di Monreale, cioè _Giovanni Borgia_ suo nipote, a Napoli colle bolle
dell'investitura, e colla facoltà di coronare _Alfonso_ re di Napoli.
Nel dì 7 di maggio, essendo già pervenuto colà esso cardinale legato,
si celebrarono le nozze di _Sancia_ figliuola naturale del re Alfonso
con _Giuffrè_ figliuolo del papa, di età di tredici anni, e furono
fatte giostre, tornei ed altre feste. Se fosse caro al pontefice
questo parentado, si può raccogliere dall'aver egli esentato Alfonso
dall'annuo censo del regno, sua vita natural durante[275]. Il regalo
fatto alla alla sposa da Giuffrè in gioie, drapperie ed altre robe,
fu creduto che ascendesse al valore di ducento mila ducati d'oro.
All'incontro, il re assegnò per dote alla figliuola il principato di
Squillace. Nel Diario di Burcardo, citato dal Rinaldi, è scritto,
avere il _re Alfonso II_ creato Giuffrè principe di Tricarico, e
conte di Chiaramonte, Lauria e Carniola. Ciò fatto, papa Alessandro,
che dianzi, entrato nelle sconsigliate massime di _Lodovico il
Moro_, avea invitato in Italia _Carlo VIII_, cangiò sentimenti e
linguaggio. Scrisse pertanto a quel re, dissuadendolo dal venire,
con rappresentargli la carestia e peste onde Roma era afflitta[276],
ed esserci pericolo che il _re Alfonso_, mosso dalla disperazione,
chiamasse in sua difesa i Turchi: il che sarebbe la rovina dell'Italia.
Ma il giovane re di Francia, che dopo essere mancato il _re Ferdinando_
(principe, il qual solo pel suo gran senno avrebbe potuto difficoltare
i suoi disegni) s'era maggiormente animato all'impresa del regno di
Napoli, nulla badò a queste ciancie, e seguitò a fare il fatto suo.
Per mezzo di _Guglielmo Brissonetto_ primo ministro procurò il papa
di ritardare i movimenti del re Carlo; ma in Francia il cardinal
_Giuliano della Rovere_, sdegnato forte contra papa Alessandro, seppe
così ben perorare presso il re, al quale ancora continui impulsi
dava Lodovico il Moro, che si affrettò più che mai al preparamento
dell'armi. Spedì il re in Italia alcuni suoi uffiziali, fra' quali
_Filippo di Comines_ signore di Argentone (quel medesimo che ci lasciò
una veramente savia e bella storia di questi tempi) per iscandagliare
gli animi dei principi d'Italia. Con breve, ma saggia risposta, che
nulla concludeva, si sbrigarono da tale ambasciata i _Veneziani_ e i
_Sanesi_. I _Fiorentini_ e il _papa_ si mostrarono contrarii. _Ercole
duca_ di Ferrara e _Giovanni Bentivoglio_ esibirono buon trattamento
alle milizie del re, ma nulla di più. Il solo _Lodovico il Moro_ quegli
parea che con calore assistesse ai Franzesi.
Ora il _re Alfonso_, non tanto per vendicarsi di questo principe, la
cui malignità chiaramente tendeva alla di lui rovina, quanto ancora
per tener lungi da sè la guerra con farla nel paese altrui, inviò per
terra nella Romagna _don Ferdinando_ suo primogenito duca di Calabria,
acciocchè la rompesse con _Lodovico_. Parimente nel mese di giugno
mandò una flotta di trentacinque galee, dieciotto navi ed altri legni
minori, comandata da _don Federigo_ suo fratello, per far qualche
tentativo contra di Genova[277], secondato da _Obietto del Fiesco_,
che si ribellò al duca di Milano. Ma, essendo già calato _Lodovico
duca_ d'Orleans e signore di Asti in Italia, ed imbarcatosi nella
flotta regale spedita dal _re Carlo_, nel dì 8 di settembre sbarcò a
Rapallo, castello preso dai Napoletani, e, con loro venuto alle mani,
li sconfisse in maniera, che la flotta nemica fu obbligata a tornarsene
vergognosamente a Napoli. Maggior felicità non incontrò dipoi l'armata
terrestre del re Alfonso in Romagna. Nel dì 9 oppure 11 di settembre
giunto ad Asti _Carlo VIII_ re di Francia colla sua armata[278], fu
quivi sorpreso dal vaiuolo. Risanato, arrivò a Pavia, dove godè delle
magnifiche accoglienze fattegli da _Lodovico il Moro_, ma con volere
per ostaggio della di lui fede in suo potere quel castello, ed ottenere
da lui in prestito ducento mila ducati d'oro. Era nel castello medesimo
gravemente infermo, e di malattia creduto incurabile, il giovane
_Gian-Galeazzo Maria Sforza_ duca di Milano, con opinione universale
che un veleno datogli da Lodovico suo zio appoco appoco il menasse
a morte. Fu a visitarlo e consolarlo il re Carlo, ed _Isabella_ sua
moglie gli raccomandò i suoi piccioli figliuoli. Ma appena fu passato
il re a Piacenza, ovvero a Parma, che ricevette l'avviso della morte
dell'infelice duca, accaduta nel dì 22 d'ottobre, in età dì 25 anni.
Fu egli compianto da tutti, non meno per l'innocenza sua, che per
essere stato vittima dell'ambizion di suo zio. Nè qui finì la tragedia.
Dovea succedere nel ducato il di lui primogenito _Francesco Sforza_.
Lodovico il Moro già avea cominciato, o procurato da _Massimiliano
re_ de' Romani, ossia imperadore eletto, d'esser egli creato duca di
Milano per quella strana ragione di dover egli essere anteposto al duca
_Galeazzo Maria_, già suo fratello defunto, e a' di lui figliuoli,
perchè Galeazzo Maria era nato da _Francesco Sforza_, non peranche
duca di Milano, laddove esso Lodovico nacque dal padre già creato
duca. Non mancarono mai, nè mancheranno pretesti all'ambizione umana e
all'interesse per usurpare l'altrui, se con loro il poter si congiugne.
Leggesi il diploma spedito da Massimiliano in Aversa nel dì 5 di
settembre di questo anno presso il Corio[279]. Il sig. Du-Mont ci dà
questo diploma al dì 20 di novembre dell'anno seguente. Comunque sia,
certo è che, senza aspettare il beneplacito cesareo[280], _Lodovico
il Moro_, venuto a Milano non ancora terminato il funeral del nipote,
convocò i primati della città per la creazione d'un nuovo duca; ed,
avendo ben istruiti i suoi partigiani, costoro mostrarono richiedere il
pubblico bene che in tempi sì pericolosi non un fanciullo, ma un uomo
assennato prendesse le redini del governo e fosse duca. Però, senza
che alcuno osasse di contraddire, Lodovico proclamato duca prese lo
scettro, e fra le grida allegre dello sconsigliato popolo cavalcò per
Milano. La vedova _duchessa Isabella_ co' suoi figliuolini, lagrimevol
esempio dell'incostanza delle cose umane, fu rinserrata nel castello di
Pavia.
Intanto al _re Carlo_ nacquero sospetti contra dello stesso Lodovico,
al sapere che il papa e i Veneziani faceano dei maneggi per istaccarlo
da lui, e poco mancò che non desistesse dall'impegno preso contra del
regno di Napoli. Ma Lodovico, a cui non mancavano mai in bocca le belle
parole, ed alcuni avvisi segreti pervenuti ad esso re da Firenze, dove
il chiamavano i nemici ed emoli di _Pietro de Medici_, l'accesero
a continuare il viaggio. Parte dell'esercito suo sotto il comando
del _Mompensieri_ andò in Romagna[281], e fece che l'armata di _don
Ferdinando duca_ di Calabria si ritirasse a Cesena. Da questa gente
fu preso a forza d'armi il castello di Mordano con altre del distretto
d'Imola, commettendo ivi crudeltà infinite, sino ad uccidere i bambini:
lo che fece correre l'orrore e il terrore per tutta l'Italia, e indusse
Faenza e Forlì ad accordarsi coi Franzesi. Nell'ultimo ricusando don
Ferdinando di azzardarsi ad una battaglia, e sentendo la mala piega
che prendeano le cose della Toscana, si avviò alla volta di Napoli,
e cessarono i rumori in Romagna. Passato il re Carlo per la strada di
Pontremoli verso la Toscana, pose lo assedio alla rocca di Sarzanello
presso a Sarzana, commettendo le sue genti crudeltà dappertutto
ancora con gli amici. In grande agitazione e spavento si trovò per
questo avvicinamento la città di Firenze[282], siccome quella che, a
suggestion di _Pietro de Medici_, s'era fin qui mostrata contraria ai
disegni de' Franzesi; e però esso Pietro, giacchè si conobbe decaduto
dal favore del popolo fiorentino, affin di placare il re, si portò a
visitarlo vicino a Sarzana, e quivi, di sua testa e senza commissione
alcuna della repubblica, stabilì un accordo col re, dandogli per
ostaggio della fede dei Fiorentini le fortezze di Sarzana, Sarzanello
e Pietrasanta. Non molto dipoi volle il re Pisa e Livorno, e Pietro
gliele diede, promettendo il re con un pezzo di carta di restituire
tutto, dappoichè avesse conquistato il regno di Napoli. Andato esso
re a Lucca, oltre all'aver voluto in sua mano alcune fortezze, volle
ancora gran somma di danaro da quel popolo, che nulla osò di negargli.
Era in questo mentre, cioè nel dì 8 di novembre, ritornato a Firenze
_Pietro de Medici_, per rendere conto dell'imprudente suo negoziato;
ma nel dì seguente si trovò chiuso l'adito al palazzo del pubblico,
essendo sommamente irritati contra di lui i magistrati per l'accordo
suddetto[283]. Poco stette a sollevarsi il popolo stesso: laonde
Pietro, montato a cavallo col _cardinal Giovanni_ e _Giuliano_ suoi
fratelli, si fuggì con gran fretta fuori della città, nè si fermò,
finchè giunse a Bologna. Nel medesimo giorno fu egli dichiarato co'
fratelli ribello, posta taglia contro le loro persone, e poscia messo
a sacco il ricchissimo loro palagio. Intanto fece il re di Francia
l'entrata sua in Pisa, dove, nel dì 9 di novembre attruppatasi quella
nobiltà e popolo, ad alte voci dimandarono al re la libertà; e parendo
loro che le buone parole del re fossero un chiaro consentimento alle
loro dimande, subitamente corsero la terra, scacciando i commissarii
e disfacendo le insegne della repubblica fiorentina; avvenimento che
trafisse il cuore de' Fiorentini. Contuttociò, spediti ambasciatori a
Pisa, cercarono d'intavolare col re qualche accordo. Convien credere
che fosse in buono stato il maneggio[284], perchè il _re Carlo_, nel
dì 17 di novembre venuto alla volta di Firenze, fu ricevuto in quella
città non solo pacificamente coll'esercito suo, ma ancora con tutta
magnificenza. Allora si scoprì meglio dove possa giugnere la non mai
sazia ambizion de' potenti. Dure ed indiscrete condizioni cominciò
imperiosamente a pretendere il re da' Fiorentini, cioè somme immense
di danaro, la restituzione di Pietro de Medici, e infine il dominio
della città: cose tutte che moveano a rabbia chi trattava di tali
affari per parte de' Fiorentini. S'era per venire a qualche brutto
spettacolo, se non fosse stato _Pietro Capponi_, uno de' deputati, il
quale, montato in collera al vedere che da' ministri del re si dava
carta di accordo, come loro piaceva, senza volere far conto alcuno
delle ragioni de' Fiorentini, arditamente in faccia dello stesso re
stracciò quella carta[285], e ai regi ministri, che aveano accompagnato
con alte minaccie lo scritto, animosamente rispose: _Voi darete nelle
vostre trombe, e noi soneremo le nostre campane_: il che detto, uscì
tosto della camera. Questo parlare, che potea facilmente partorir
gravissimi sconcerti, Dio volle che terminasse in bene. Si ridussero
i regi ministri a condizioni più discrete, e nel dì 26 di novembre
seguì l'accordo, in cui i Fiorentini promisero al re centoventi mila
scudi, cioè cinquanta mila in termine di quindici dì, e in altre rate
il resto. Per lo contrario, il re promise la restituzion delle terre in
tempi determinati. _Pietro de Medici_ restò in bando. Partitosi poi di
Firenze il re nel dì 28 del mese suddetto, s'incamminò verso Roma[286],
e nel dì 2 di dicembre entrò in Siena, dove ancora, seguendo il re,
arrivò nel dì seguente il cardinale di San Pietro in Vincola, cioè
_Giuliano della Rovere_. V'ha più d'uno scrittore affermante che _papa
Alessandro_ e il _re Alfonso_, dacchè si avvidero di non aver forze
bastanti ad impedire il progresso dell'armata franzese, la quale, unita
coll'altra di Romagna, alcuni faceano ascendere sino a sessanta mila
persone, ma verisimilmente sarà stata molto meno, ricorsero per aiuto
al Turco, acciocchè spedisse un possente corpo di sua gente alla difesa
del regno di Napoli; ed aver infatti _Baiazette_ preparate alla Vallona
alcune migliaia di combattenti; ma intesi dipoi i prosperosi successi
dei Franzesi nel regno, meglio credette di non inimicarsi un re sì
potente, affinchè la voce ch'esso re Carlo avea fatta correre presso
i buoni cristianelli d'essere venuto in Italia per andar contro ai
Turchi, non gli venisse voglia un dì di renderla vera. Dicerie di belli
o maligni ingegni verisimilmente furono queste. Nel giorno stesso,
in cui _Carlo VIII_ entrò in Firenze, mancò di vita in quella stessa
città _Giovanni Pico_ signore della Mirandola in età di soli trentatrè
anni[287]; eppur giunto in sì poco tempo di vita a meritarsi il titolo
di Fenice degl'ingegni: sì grande era il suo sapere, sì maravigliosa
la sua perizia nelle lingue orientali, accompagnata eziandio da una
rara pietà ed illibatezza di costumi. Parimente nel settembre di
quest'anno[288] finì i suoi giorni in Firenze _Angelo Poliziano_ in età
di quarant'anni, anch'esso uno de' più felici ingegni che si avesse
allora l'Italia. Nè è men degno di memoria _Ermolao_ (chiamato nel
dialetto veneziano _Almorò_) _Barbaro_ nobile veneto, che pochi pari
in sapere ebbe in questi tempi, come attestano i suoi libri. Anch'egli
nell'anno presente in Roma terminò di vivere in età di quarantuno anni,
e in tempo che era preparata la sacra porpora al merito di lui.

NOTE:
[270] Infessura, Diar., P. II, tom. 3 Rer. Ital.
[271] Allegretti, Istor. di Siena, tom. 23 Rer. Italic.
[272] Infessura, Diar., Par. II, tom. 3 Rer. Ital. Ammirati, Istor. di
Firenze. Raynal., Annal. Ecclesiast.
[273] Summonte, Istoria di Napoli.
[274] Sanuto, Istoria di Venezia, tom. 22 Rer. Italic.
[275] Summonte, Istor. di Napoli.
[276] Infessura, Diar., P. II, tom. 3 Rer. Italic. Corio, Istor. di
Milano.