Annali d'Italia, vol. 6 - 04
di armati giunse a Ferrara, in tempo appunto che il duca era ito alla
nobil sua villa di Belriguardo; e, siccome egli avea delle intelligenze
con alcuni suoi aderenti in quella città, non gli fu difficile
l'entrarvi per un portello. A dirittura andato alla piazza, l'occupò,
gridando i suoi: _Vela, vela_, e fece rompere tutte le carceri. A
questo impensato accidente la _duchessa Leonora_ e don _Sigismondo di
Este_ suo cognato se ne fuggirono in Castello Vecchio, dove neppur era
provvision di vivere per un giorno. Si credeva Niccolò che il popolo
s'avesse a sollevare in suo favore; ma niuno si mosse, amando tutti
il presente legittimo governo. Portato con tutta fretta sì disgustoso
avviso al _duca Ercole_, tosto montò a cavallo per venire a Ferrara;
ma per via fattogli credere che Niccolò era venuto con quattordici mila
persone, ed essere perduta la città, mutato cammino, s'inviò alla volta
d'Argenta, e andò a fortificarsi a Lugo. Intanto, accortosi Niccolò
che non batteano i conti da lui fatti sopra il popolo, e che anzi
cominciavano i cittadini a prendere l'armi contra di lui, ed era uscito
don Sigismondo con gente per venirgli addosso, uscì frettolosamente di
città, e, passato il Po con parte dei suoi, se ne fuggì pel territorio
del Bondeno. Ma que' contadini, già informati dell'affare, tanto
l'inseguirono, ammazzando quanti cadevano nelle lor mani, che fecero
prigione lui ed alcuni de' suoi capitani. Fu condotto l'infelice
Niccolò a Ferrara, dove nel giorno seguente arrivato il duca Ercole, ed
accolto con festose acclamazioni dal popolo, nel caldo del suo sdegno
fece tagliare la testa a lui, ed impiccare per la gola alcuni dei di
lui seguaci rimasti prigioni. Tale fu il fine di questa breve tragedia.
Avea il duca nel dì 21 di luglio avuta la consolazione della nascita
d'un figliuolo a lui partorito da Leonora d'Aragona sua moglie, al
quale, in memoria del _re Alfonso_ avolo suo materno, fu posto il nome
di _Alfonso_. Questi poi col tempo riuscì uno dei più prodi e celebri
principi d'Italia.
Era da molto tempo stabilito il matrimonio di _Beatrice_ figliuola di
_Ferdinando re_ di Napoli, e sorella della suddetta Leonora duchessa
di Ferrara, coll'insigne re d'Ungheria _Mattia Corvino_[118]. Se
gli diede effetto nel dì 15 di settembre dell'anno presente, in cui
questa principessa fu sposata in Napoli, e coronata regina d'Ungheria
dal cardinale _Olivieri Caraffa_. S'imbarcò ella nel dì 2 d'ottobre
a Manfredonia con quattro galee e molti altri legni, per passare in
Ungheria: pure certo è che la medesima pervenne a Ferrara nel dì 16 di
ottobre, dove con grande onore fu ricevuta dal duca suo cognato, e si
fecero molte feste, finchè nel dì 21 si rimise in viaggio. Avea fin
qui _Galeazzo Maria Sforza_ duca di Milano governati i suoi popoli,
non già secondo le saggie massime di _Francesco_ suo padre, ma con
quelle che gli dettava il suo capriccioso e tirannico genio[119].
Benchè non gli mancassero delle belle qualità, pure l'eccesso della
sua ambizione, libidine e crudeltà produsse il frutto ordinario de'
vizii, cioè l'odio quasi universal della gente. Per motivi particolari
di sdegno contra di lui congiurarono insieme _Gian-Andrea Lampugnano_,
_Girolamo Olgiato_ e _Carlo Visconte_, nobili milanesi, di levarlo di
vita; ed aspettarono a fare il colpo nel dì 26 di dicembre, in cui esso
duca soleva portarsi alla basilica di Santo Stefano[120]. Giunto colà
il duca colle sue guardie, e con una fiorita corte, i tre congiurati
in mezzo a quella gran truppa arditamente se gli avventarono addosso,
e con più ferite lo stesero morto a terra. In quel fiero miscuglio
intricatosi nel fuggire fra le gonnelle delle donne il Lampugnano,
restò anch'esso ucciso. Ebbero l'Olgiato e il Visconte la fortuna
di trapelar per la gente, e di correre a nascondersi; ma, scoperti,
furono consegnati alla giustizia, e poi squartati vivi. All'Olgiato,
giovine di gran fuoco, non vi fu maniera di far conoscere il fallo
suo, non iscusabile davanti a Dio[121], sostenendo egli sempre, anzi
pregiandosi di aver fatto un sacrifizio, di cui dovea aspettarsi
premio da Dio e dagli uomini. Così terminò sua vita quel principe, e
la morte sua fu principio di non poche calamità, che afflissero dipoi
la misera Italia, avendo egli lasciato dopo di sè Gian-Galeazzo Maria
suo primogenito di età di soli otto anni, e però incapace del governo,
che fu bensì quietamente proclamato duca, ma con pervenire la reggenza
di quegli Stati alla _duchessa Bona_ di Savoia sua madre. Trovossi
tosto quella saggia principessa attorniata e battuta da _Sforza duca_
di Bari, e _Lodovico_, _Ascanio_ ed _Ottaviano_ fratelli dell'ucciso
duca, e dianzi banditi, che non tardarono a sconvolgere tutta la lor
casa e il ducato di Milano, siccome vedremo. Andarono da tutte le parti
ambasciatori a condolersi colla duchessa dell'atroce caso, e ad esibir
soccorsi; ma cominciò nel cuore stesso della famiglia Sforza a formarsi
un tarlo, i cui perniciosi effetti compariranno in breve. Nel dì 23 di
febbraio di quest'anno[122] essendo mancato di vita _Pietro Mocenigo_
doge di Venezia, in luogo suo fu sostituito _Andrea Vendramino_.
Anno di CRISTO MCCCCLXXVII. Indiz. X.
SISTO IV papa 7.
FEDERIGO III imperadore 26.
Era restato vedovo _Ferdinando re_ di Napoli, e tuttochè avesse
figliuoli grandi, e il primogenito _Alfonso duca_ di Calabria si
trovasse arricchito anch'esso di prole, pure pensò ad accasarsi di
nuovo. Sembra che la politica il conducesse a questo. Il non aver mai
il re di Aragona e Sicilia _Giovanni_ approvato che fosse pervenuto
al bastardo _re Ferdinando_ il regno di Napoli, regno conquistato col
sangue e col danaro de' suoi popoli, cagion fu che mala corrispondenza
fin qui durasse fra loro[123]. Diede il re Giovanni nell'anno presente
al re Ferdinando _Giovanna_ sua figliuola in moglie. Per tal via fra
questi principi tornò la buona armonia. Nel settembre del presente anno
con magnifica solennità furono celebrate cotali nozze; ed essendo, per
tale occasione, stato spedito colà il cardinale _Rodrigo Borgia_ con
titolo di legato, egli fu che coronò la nuova regina. Ferdinando, per
levar di testa ad Alfonso duca di Calabria suo primogenito qualunque
gelosia che gli potesse nascere per cagion di tali nozze, nel dì 20
del suddetto settembre gli fece giurare omaggio da tutti i baroni
come ad immediato successore della corona dopo sua morte. Nel dì 10 di
dicembre di quest'anno[124] _papa Sisto_ fece la promozione d'alcuni
nuovi cardinali. Uno d'essi fu _Giovanni d'Aragona_ figliuolo del
medesimo re Ferdinando. Due altri suoi nipoti ornò Sisto della sacra
porpora. Si può ben credere che ciò non piacesse agli altri porporati,
e massimamente a chi disapprovava gli eccessi del nepotismo. In questi
tempi _Carlo da Montone_, figlio naturale di quel _Braccio_ che già
vedemmo sì famoso capitano, essendo già avvezzo all'armi, e condottiere
d'alcune squadre, concepì speranza di assoggettarsi Perugia, siccome
avea fatto il padre; e a tal fine assoldata molta gente, s'indirizzò
a quelle parti[125]. Gli andò fallito il colpo, perchè trovò sicura
quella città per una lega nuovamente fatta co' Fiorentini. Si volse
dunque addosso ai Sanesi, e, trovandoli sprovveduti, fece loro gran
danno, e più n'avrebbe fatto, se i Sanesi, ricorsi ai Fiorentini,
non avessero ottenuto il lor patrocinio, per cui fu d'uopo che Carlo
cessasse dall'offenderli.
Ciò che maggior rumore fece nell'anno presente fu la rivoluzione
di Genova[126]. Quel popolo, oltre al suo genio portato sempre alla
novità, e a mutar padrone e governo, era da gran tempo mal soddisfatto
dell'estinto duca di Milano _Galeazzo Maria_. Specialmente i Fieschi
per danni ricevuti grande odio nudrivano contro la casa Sforza. Dacchè
dunque fu morto esso duca, _Matteo del Fiesco_ fece massa di gente, e
con intelligenza di varii cittadini, nel dì 16 di marzo[127], entrò di
notte con una scalata in Genova, gridando: _Libertà_. Tutto il popolo
fu per lui in armi. Sopravvennero poscia _Obietto_ e _Gian-Luigi_
fratelli del Fiesco, che maggiormente animarono i cittadini alla
ribellione, e fecero tornare in città i Fregosi. Ma il castelletto
restava in mano del duca, e questo con grossa e fedel guarnigione, il
quale cominciò colle artiglierie a far guerra alla città. All'avviso
di tal sedizione, la _duchessa Bona_ mise tosto in ordine circa dodici
mila armati, la maggior parte fanteria, e la spedì a quella volta sotto
il comando di _Roberto da San Severino_, capitano di gran credito in
questi tempi. Seco erano _Lodovico il Moro_ ed _Ottaviano_, zii del
picciolo duca, e inoltre _Prospero Adorno_, il quale, già confinato
in Milano, con dolci parole e larghe promesse fu in questa occasione
condotto ad imprendere anch'egli l'assunto di ridurre di nuovo la
patria all'ubbidienza del duca. Mirabilmente servì la presenza ed
industria dell'Adorno per calmare gli animi sediziosi di quel popolo,
in maniera che dopo alquante calde scaramuccie si trattò di pace, e
tornò Genova, nel giorno ultimo d'aprile, a riconoscere per suo signore
il duca di Milano, con aver poi tutti nel dì 9 di maggio prestato il
giuramento di fedeltà. Restò ivi per governatore a nome del duca il
suddetto Prospero Adorno. Era allora il principal ministro di _Bona_
duchessa di Milano _Cecco Simonetta_ Calabrese, personaggio d'insigne
attività, fedeltà ed accortezza; e perchè tale, promosso ai principali
onori da _Francesco Sforza_, ottimo discernitore dell'altrui abilità.
Avea per fratello quel _Giovanni Simonetta_, che ci diede la Vita di
esso duca Francesco, scritta elegantemente in latino[128]. Ma cotanta
sua autorità gli tirò addosso l'odio di moltissimi, e massimamente dei
nobili della fazion ghibellina. Più nondimeno degli altri il miravano
con occhio bieco i principi zii del duca, cioè _Sforza duca_ di Bari,
_Lodovico_, _Ottaviano_ ed _Ascanio_, perchè da lui tenuti stretti,
non volendo egli che sì pericolosi strumenti s'ingerissero nel governo.
Perciò cominciarono a cercar le vie di abbatterlo, e tirarono nel loro
partito _Roberto da San Severino_, voglioso anch'esso di metter mano
negli affari dello Stato. Non dormiva il Simonetta; e però nel dì 25 di
maggio fece che la duchessa, chiamato nel castello _Donato del Conte_,
ch'era il principale manipolatore della congiura, il ritenne prigione,
e mandollo nelle carceri di Monza. Diedero per questo alle armi i
fratelli sforzeschi; nè le voleano deporre senza vedere rimesso in
libertà Donato. Si quetarono infine; ma non andò molto che Roberto da
San Severino, accortosi che a lui si faceva la caccia, perchè creduto
mantice di quel fuoco, prese la fuga, ed, avendo accortamente deluso
chi gli tenea dietro con armati per prenderlo, si ritirò poi ad Asti.
Non ebbe così favorevole la fortuna _Ottaviano Sforza_, che parimente
se ne fuggì, perciocchè inseguito, nel voler passare a guazzo il fiume
Adda, quivi annegato lasciò la vita. Furono appresso relegati gli altri
fratelli Sforza, cioè _Sforza_ duca di Bari al suo ducato in regno
di Napoli, _Lodovico_ a Pisa ed _Ascanio_ a Perugia: con che tornò in
Milano la quiete, ma per durarvi poco. Era stata occupata la signoria
di Faenza a _Galeotto de' Manfredi_ da _Carlo_ suo fratello[129]. Ebbe
ordine _Giovanni Bentivoglio_ dalla duchessa di Milano di prestare
aiuto a Galeotto, e infatti si trovò obbligato Carlo a dimettere la
preda. Se n'andò egli a Napoli, ma fu mal veduto dal _re Ferdinando_.
Abbiamo dal Diario di Parma che sul fine d'ottobre dell'anno
presente[130] circa trenta mila Turchi a cavallo dalla Bossina
all'improvviso comparvero nel Friuli sin presso ad Udine, i quali, dopo
avere sconfitto un corpo di gente mandato contra d'essi dai Veneziani,
saccheggiarono e misero a fuoco centocinquanta ville, uccidendo i
vecchi e le donne, e ritenendo i fanciulli. Gran paura fu in Venezia,
e gran preparamento di gente vi si fece; ma i Barbari, sopravvenuto il
verno, se ne ritornarono in Bossina.
NOTE:
[114] Corio, Ist. di Mil. Sanuto, Ist. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
Navagero, Ist. Ven., tom. 23 Rer. Ital.
[115] Jacobus Card. Papiens., Ep. 642.
[116] Infessura, Diar., P. II, tom. 3 Rer. Ital.
[117] Cronica di Ferrara, tom. 24 Rer. Ital.
[118] Giornal. Napol., tom. 21 Rer. Ital.
[119] Corio, Ist. di Milano.
[120] Cronica di Ferrara, tom. 24 Rer. Ital. Ripalta, Annal. Placent.,
tom. 20 Rer. Ital.
[121] Anton. Gallus, in Comment., tom. 23 Rer. Ital.
[122] Sanuto, Ist. Ven., tom. 22 Rer Ital.
[123] Giornal. Napolet., tom. 21 Rer. Ital.
[124] Raynaldus, Annal. Eccles. Infessura, Diar., P. II, tom. 3 Rer.
Ital.
[125] Ammirati, Ist. di Firenze, lib. 23.
[126] Corio, Istor. di Milano. Antonius Gallus, in Comment., tom. 23
Rer. Ital.
[127] Giustiniani, Storia di Genova, lib. 5.
[128] Anton. Gallus, Comment., tom. 23 Rer. Ital. Ripalta, Annal.
Placent., tom. 20 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCCLXXVIII. Indiz. XI.
SISTO IV papa 8.
FEDERIGO III imperadore 27.
Non lieve strepito in quest'anno, massimamente in Italia, fece la
congiura dei Pazzi[131]. Potente casa era quella in Firenze, ma,
accecata dall'invidia, non sapea sofferire l'autorità superiore che
godeano in quella repubblica i due fratelli _Giuliano_ e _Lorenzo de
Medici_, personaggi di somma ricchezza, ed insieme di credito singolare
anche fuori d'Italia. Trovandosi allora _Francesco de' Pazzi_ tesoriere
del papa, quegli fu in cui cuore nacque il desiderio di atterrar la
fortuna de' Medici: cosa non creduta praticabile, se non con levar
loro la vita. Favorevole se gli scoprì all'indegna impresa il _conte
Girolamo Riario_ nipote di _papa Sisto_, il qual fu sempre un mal
arnese, e pregiudicò di molto alla fama del pontefice zio. Odiava
costui a dismisura Lorenzo de Medici perchè l'avea trovato contrario a'
suoi ingrandimenti, allorchè divenne signor d'Imola, e più paventava
di lui dopo la morte di Sisto. Per quanto si potè dedurre da ciò che
poscia avvenne, si lasciò il vecchio papa mischiare da questo mal uomo
nel nero disegno del Pazzi[132]; tanto più che non men egli che il _re
Ferdinando_ erano disgustati di Lorenzo de Medici per la lega fatta
senza di loro co' Veneziani e col duca di Milano; ed amendue speravano
che, cadendo i Medici, e prevalendo i Pazzi, Firenze s'unirebbe con
loro. Ebbe Francesco de' Pazzi dalla sua anche _Francesco Salviati_
arcivescovo di Pisa, già nemico di Lorenzo, che apposta venne a
Firenze per dar mano al fatto, senza mettersi scrupolo, se ad un par
suo convenisse un sì fatto mestiere. D'ordine eziandio del papa, da
Pisa passò alla medesima città _Rafaello Riario_ cardinale con titolo
di legato, ed ordine di far ciò che gli direbbe esso arcivescovo di
Pisa. Finalmente fu data commissione a _Gian Francesco da Tolentino_
capitano del papa di accostarsi a Firenze con due mila fanti per
sostenere, occorrendo, i congiurati. Fu scelto il giorno 26 d'aprile ad
eseguir la meditata impresa, e scelta la stessa cattedrale di Firenze,
e il tempo dello stesso santo sagrifizio, cioè quando si alzava la
sacratissima ostia, per compiere così infame opera[133]. Fu dunque da
Francesco dei Pazzi in quel tempo e luogo ucciso _Giuliano de Medici_,
che col fratello era ito ad accompagnar colà il cardinal Riario. Ma
_Lorenzo de Medici_, ricevuta una sola leggier ferita nella gola, quasi
miracolosamente scampò nella sagristia, dove, serrate le porte, restò
in sicuro, e poi si ridusse a casa. Si riempè di tumulto e di grida il
tempio tutto; il popolo a gara corse alle armi in favor de' Medici.
Era già ito l'arcivescovo di Pisa avanti il fatto con molti de' suoi
al palazzo de' signori per impadronirsene, udita che avesse la morte
dei Medici. Ma altrimenti passò la faccenda. Preso dalla gente del
gonfaloniere, così caldo caldo con un capestro alla gola fu impiccato
alle finestre del palazzo medesimo, e seco _Jacopo Salviati_ e _Jacopo_
figliuolo dello storico _Poggio_. Preso anche _Francesco de' Pazzi_,
non si tardò punto ad impiccarlo a canto dell'arcivescovo. La medesima
pena toccò a _Jacopo_ e ad altri della casa dei Pazzi, e a parecchi
loro aderenti, essendo asceso il numero dei morti a settanta[134].
Sotto buona guardia fu ritenuto il giovinetto _cardinal Riario_,
che asseriva di non essere punto stato consapevole del trattato, e
verisimilmente diceva il vero. Nondimeno scrivono altri[135] ch'egli fu
maltrattato in quel furore di popolo. Certo è che venne poi rimesso in
libertà, per non irritare maggiormente il papa.
Riferita a Roma la riuscita di questo orrido fatto[136] il pontefice,
trovandola diversa da quel che desiderava e sperava, montò forte in
collera contra dei Fiorentini; e preso il pretesto che Lorenzo dei
Medici e i magistrati di Firenze avessero commesso un troppo enorme
delitto con levar la vita ad un arcivescovo, e con ritener prigione
un cardinale legato, ed avessero dianzi prestato aiuto ai nemici
della Chiesa, fulminò contra d'essi tutte le scomuniche e maledizioni
del cielo, e l'interdetto alla lor città. Nè questo bastò[137]. Si
servirono tanto egli quanto il _re Ferdinando_ di questa occasione
per occupar tutti i danari e beni degl'innocenti Fiorentini che si
trovarono in Roma e in regno di Napoli, e per muovere guerra alla
repubblica fiorentina. Nella lor lega si lasciarono indurre ancora
i Sanesi. Scapitò di molto per tali fatti la fama del pontefice
_Sisto_, nè passò molto che si dichiararono contra di lui e in favore
di Lorenzo de Medici e de' Fiorentini _Lodovico XI_ re di Francia,
la _reggenza_ di Milano, i _Veneziani_, _Ercole duca_ di Ferrara,
_Roberto Malatesta_ signor di Rimini, ed altri. Anzi il re di Francia
parlò alto contra d'esso papa. Anche l'_imperador Federigo_ e _Mattia
Corvino_ re d'Ungheria spedirono oratori al pontefice, pregandolo di
desistere dalla guerra contra de' Fiorentini, e di volgere le sue
armi e il danaro della Chiesa in difesa della cristianità ogni dì
più oppressa da' Turchi. Parlarono ad un sordo: più potè nel cuore
del papa l'ambiziosa politica del _conte Girolamo_ suo nipote e del
_re Ferdinando_, che ogni altro riflesso conveniente al sacro suo
ministero. Per questo e per altri motivi i Veneziani[138], il meglio
che poterono, conchiusero la pace co' Turchi: il che produsse altri
maggiori disastri alle terre de' cristiani, e rendè più superbo e
potente l'imperadore ottomano. Altri sconcerti originati da questo
biasimevol impegno di papa Sisto si vedranno in breve, essendo
entrati in guerra, a cagion di ciò, tutti i principi d'Italia. Ed
ecco dove si lasciavano trasportare allora i papi per cagion di quel
nepotismo, da cui finalmente abbiam veduto esenti, ai dì nostri, alcuni
saggi pontefici, e da cui specialmente alieno rimiriamo il glorioso
pontificato del regnante papa Benedetto XIV.
Spedirono intanto sì il pontefice Sisto come il re Ferdinando le loro
milizie in Toscana addosso ai Fiorentini, che si trovavano allora
mal provveduti di genti d'armi, e senza capitan generale. Una delle
applicazioni di _Ferdinando_ e d'esso _papa_ genovese, per distorre
_Bona duchessa_ di Milano dal soccorrere Firenze, fu quella di
procurare una nuova rivoluzione in Genova[139]. _Prospero Adorno_,
posto ivi per governatore dalla duchessa, dimentico della sua fede,
prestò volentieri orecchio al trattato. Gli vennero in soccorso da
Napoli alcune navi armate[140]; ed allorchè, per ordine della duchessa,
arrivò a Genova il vescovo di Como per deporre l'Adorno, e prendere il
governo della città, cioè nel dì 25 di giugno, i Genovesi fecero una
rivolta, e costrinsero i Milanesi a ridursi nel castelletto. _Roberto
da San Severino_, gran perturbatore dell'Italia, trasse subito al
rumore, chiamato non so se dal re Ferdinando, oppur da' Genovesi[141];
ed, entrato in Genova, nel dì 16 di luglio, attese ad ammassar gente
insieme con Prospero Adorno per opporsi all'armata milanese, che
già prevedevano, oppure sapevano, si andava allestendo per portare
soccorso al castelletto e riacquistar la città. In fatti spiccò da
Milano un poderoso esercito, ma condotto da un capitano inesperto,
cioè da _Sforza Visconte_ bastardo, a cui fu dato per consigliere _Pier
Francesco Visconte_. Valicato l'Apennino, calò quest'armata alla volta
di Genova. Il San Severino, oltre all'aver fatte molte fortificazioni
fuori di Genova, finse una lettera scritta da Milano al vescovo di
Como, ed intercetta, da cui appariva promesso il sacco di Genova ai
soldati, e che si leverebbe ogni privilegio ai cittadini. Letta questa
in pubblico, fece diventar come tanti lioni i per altro bellicosi e
bravi Genovesi. Però con questo ardore usciti contra dell'esercito
duchesco nel dì 7 d'agosto, lo misero in rotta, e fecero una sterminata
copia di prigioni. Al vedere come disperato il caso di Genova, fu
presa in Milano un'altra risoluzione, cioè di spedire colà _Batistino
Fregoso_, e, cedendo a lui le fortezze, di aiutarlo a divenire doge
della sua patria. Così fu fatto. Entrato in Genova il Fregoso, vi
trovò la dissensione fra i capi: il che facilitò a lui la maniera di
cacciar fuori della città Prospero Adorno e Roberto da San Severino,
e di farsi proclamar doge. Ma quasi tutta la Riviera di Levante restò
all'ubbidienza dell'Adorno e del San Severino, il quale ultimo, dopo
aver fallito questo colpo, si diede a fabbricar altre macchine contro
al governo di Milano. Oltre a ciò il papa e il re Ferdinando mossero
un'altra tempesta addosso ai Milanesi, con fare che gli Svizzeri,
gente bellicosa e fiera, assoluti dal papa dai giuramento che aveano di
non offendere lo Stato di Milano, cominciassero contra di esso Stato
la guerra[142]. Costoro, dopo essersi impadroniti di varie castella,
posero l'assedio a Lugano nel mese di novembre. Poco vi si fermarono,
perchè spedito colà _Federigo_ novello marchese di Mantova con buon
nerbo di gente, meglio stimarono di ritirarsi. E gli affari avrebbono
in quelle parti presa miglior piega, se il grosso presidio di Belinzona
non avesse temerariamente voluto incalzare gli Svizzeri nella lor
ritirata per aspre montagne. Imperocchè i Milanesi tra per li sassi
rotolati giù dai nemici, e per la fuga di un mulo impaurito, furono
sì fattamente presi da timor panico, che più di ottocento persone o
annegate od uccise vi restarono, e gli altri perderono armi e bagaglio.
Erano già, siccome dissi, entrate in Toscana nel mese di luglio l'armi
del papa e del re Ferdinando, comandate da _Alfonso duca_ di Calabria e
da _Federigo duca_ d'Urbino. Fu loro facile l'impossessarsi di alcune
castella, perchè i Fiorentini andavano raunando gente, facendone
venir di Lombardia, ma non ne aveano tante da poter contrastare in
campagna col nemico esercito. Si applicò Alfonso duca all'assedio della
Castellina, e nel dì 14 d'agosto l'ebbe a patti, con seguitar poscia
a prendere altre terre. Volendo intanto i Fiorentini e la duchessa di
Milano provvedersi d'un capitan generale, parve loro più a proposito
d'ogni altro _Ercole duca_ di Ferrara; e il condussero, ancorchè fosse
genero del re Ferdinando[143]. Giunse questo principe a Firenze nel
dì 8 di settembre, ed, uscito in campagna, raffrenò i nemici, e portò
gran danno ai Sanesi collegati con loro. Così passò l'anno presente;
restando nondimeno i Fiorentini in male stato, perchè v'era discordia
nel campo loro, e pochi erano i sussidii mandati dal re di Francia,
dalla duchessa di Milano e da' Veneziani. Presero eglino inoltre
al loro soldo _Roberto Malatesta_ signor di Pesaro. Anche _Giovanni
Bentivoglio_, arbitro allora del governo di Bologna, fu in loro aiuto.
In Venezia nell'anno presente a dì 6 di maggio[144] terminò sua vita
_Andrea Vendramino_ doge di quella repubblica, a cui succedette in
essa dignità _Giovanni Mocenigo_ nel dì 18 d'esso mese; e poco stette
ad entrare in quella città la peste, che portò al sepolcro alcune
migliaia di persone e molti nobili, con essere durata sino al novembre.
Parimente in quest'anno nel mese di giugno[145] passò all'altra vita
_Lodovico Gonzaga_ marchese di Mantova: con che pervenne il dominio di
quello Stato a _Federigo_ suo primogenito, il quale fu condotto al suo
soldo dalla duchessa di Milano. Nel Mantovano giunsero in questi tempi
nuvoli di locuste, che occuparono circa trenta miglia di lunghezza
verso il Bresciano, e quattro miglia di larghezza. Distrussero tutte
l'erbe e foglie di quella contrada; e fattane, per ordine del marchese,
con poco garbo strage senza seppellirle, infettarono poi l'aria,
cagionando una micidiale epidemia ne' corpi umani. In quest'anno
parimente la peste infierì non solamente nelle armate nemiche
guerreggianti in Toscana, ma anche in Roma, Bologna, Mantova, Modena,
Brescia, Bergamo e nella Romagna.
NOTE:
[129] Diar. Parmens., tom. 22 Rer. Ital.
[130] Cronica MS. di Bologna.
[131] Ammirat., Istor. di Firenze, lib. 24. Angelus Politianus, et alii.
[132] Infessura, Diar., P. II, tom. 3 Rer. Ital.
[133] Raphael. Volaterran. Geogr., lib. 5. Diar. Parmig., tom. 22 Rer.
Ital.
[134] Giustiniani, Istoria di Genova, lib. 5.
[135] Anton. Gall., Comment., tom. 23 Rer. Italic.
[136] Raynaldus, Annal. Eccles.
[137] Diar. Parmens., tom. 22 Rer. Ital.
[138] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
[139] Anton. Gallus, Comment., tom. 23 Rer. Ital.
[140] Corio, Istor. di Milano.
[141] Ripalta, Annal. Placent., tom. 20 Rer. Ital.
[142] Diar. Parm., tom. 22 Rer. Ital.
[143] Ammirati, Istor. di Firenze, lib. 24.
[144] Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Ital.
[145] Diar. Parmens., tom eod.
Anno di CRISTO MCCCCLXXIX. Indiz. XII.
SISTO IV papa 9.
FEDERIGO III imperadore 28.
Per quanto si adoperassero i Fiorentini e gli ambasciatori spediti
dal re di Francia e da altri potentati, per indurre il _pontefice
Sisto_ a dare la pace ai Fiorentini in tempo che la cristianità veniva
conculcata dal comune nemico; nulla si potè ottenere[146]. Persisteva
egli in pretendere che i Fiorentini non solamente scacciassero
_Lorenzo de Medici_, ma che gliel dessero nelle mani: cosa che non mai
si volle accordare, perchè egli era stato l'offeso, nè per colpa od
ordine suo l'arcivescovo di Pisa avea perduta la vita. Più strana cosa
sembrava che intanto il pontefice andava inviando legati in Germania,
Ungheria, Boemia e Polonia, per sollecitare i principi a far guerra
al Turco, quand'egli poi si perdeva in farla contra de' cristiani,
e vibrava scomuniche a furia contra di _Ercole duca_ di Ferrara, e
contra di Rimini, Pesaro e Faenza, perchè non lasciavano divorar vivi
da lui i Fiorentini. Seguitò dunque la guerra in Toscana, e vi si
frammischiarono tanti altri imbrogli per li maneggi di _Roberto da
San Severino_, che fu in grave pericolo quella repubblica. Dirò io
in breve ciò che altri diffusamente lasciò scritto[147]. Essendo in
Toscana _Ercole duca_ di Ferrara, e _Federigo_ marchese di Mantova,
non male s'incamminavano le militari azioni contra dell'esercito
pontificio e napoletano. Riuscì ancora a _Roberto Malatesta_ lor
condottiero di dare una rotta a _Matteo da Capoa_, allorchè conduceva
un grosso corpo di gente al campo del duca di Calabria. Ma ecco che
Roberto San Severino[148], accordatosi con _Lodovico il Moro_ e con
_Sforza duca_ di Bari, zii paterni del picciolo duca di Milano, e
formato un esercito, dalla Lunigiana passò anch'egli alla volta di Pisa
unito con _Obietto_ e _Gian-Luigi_ del Fiesco: sicchè da due parti si
videro assaliti i Fiorentini. Contra del San Severino marciò il duca
di Ferrara, e il fece ritirare fin di là dalla Magra; ma il fuoco da
quella parte estinto, andò da lì a qualche tempo a sboccare sopra una
più lontana e pericolosa parte. Cioè si venne a sapere ch'esso San
Severino con Lodovico Sforza soprannominato il Moro (giacchè in questi
dì sul Genovesato morì _Sforza duca_ di Bari suo fratello, siccome
fu creduto, di veleno) per aspre montagne era nel dì 10 d'agosto[149]
calato sul Tortonese, e che l'infedele governator di Tortona gli avea
data quella città. Diffusamente narrati si leggono questi avvenimenti
nei Diario di Parma[150]. Avea Lodovico intelligenza col castellano
del castello di Milano; e però, lasciato l'esercito alla cura del
nobil sua villa di Belriguardo; e, siccome egli avea delle intelligenze
con alcuni suoi aderenti in quella città, non gli fu difficile
l'entrarvi per un portello. A dirittura andato alla piazza, l'occupò,
gridando i suoi: _Vela, vela_, e fece rompere tutte le carceri. A
questo impensato accidente la _duchessa Leonora_ e don _Sigismondo di
Este_ suo cognato se ne fuggirono in Castello Vecchio, dove neppur era
provvision di vivere per un giorno. Si credeva Niccolò che il popolo
s'avesse a sollevare in suo favore; ma niuno si mosse, amando tutti
il presente legittimo governo. Portato con tutta fretta sì disgustoso
avviso al _duca Ercole_, tosto montò a cavallo per venire a Ferrara;
ma per via fattogli credere che Niccolò era venuto con quattordici mila
persone, ed essere perduta la città, mutato cammino, s'inviò alla volta
d'Argenta, e andò a fortificarsi a Lugo. Intanto, accortosi Niccolò
che non batteano i conti da lui fatti sopra il popolo, e che anzi
cominciavano i cittadini a prendere l'armi contra di lui, ed era uscito
don Sigismondo con gente per venirgli addosso, uscì frettolosamente di
città, e, passato il Po con parte dei suoi, se ne fuggì pel territorio
del Bondeno. Ma que' contadini, già informati dell'affare, tanto
l'inseguirono, ammazzando quanti cadevano nelle lor mani, che fecero
prigione lui ed alcuni de' suoi capitani. Fu condotto l'infelice
Niccolò a Ferrara, dove nel giorno seguente arrivato il duca Ercole, ed
accolto con festose acclamazioni dal popolo, nel caldo del suo sdegno
fece tagliare la testa a lui, ed impiccare per la gola alcuni dei di
lui seguaci rimasti prigioni. Tale fu il fine di questa breve tragedia.
Avea il duca nel dì 21 di luglio avuta la consolazione della nascita
d'un figliuolo a lui partorito da Leonora d'Aragona sua moglie, al
quale, in memoria del _re Alfonso_ avolo suo materno, fu posto il nome
di _Alfonso_. Questi poi col tempo riuscì uno dei più prodi e celebri
principi d'Italia.
Era da molto tempo stabilito il matrimonio di _Beatrice_ figliuola di
_Ferdinando re_ di Napoli, e sorella della suddetta Leonora duchessa
di Ferrara, coll'insigne re d'Ungheria _Mattia Corvino_[118]. Se
gli diede effetto nel dì 15 di settembre dell'anno presente, in cui
questa principessa fu sposata in Napoli, e coronata regina d'Ungheria
dal cardinale _Olivieri Caraffa_. S'imbarcò ella nel dì 2 d'ottobre
a Manfredonia con quattro galee e molti altri legni, per passare in
Ungheria: pure certo è che la medesima pervenne a Ferrara nel dì 16 di
ottobre, dove con grande onore fu ricevuta dal duca suo cognato, e si
fecero molte feste, finchè nel dì 21 si rimise in viaggio. Avea fin
qui _Galeazzo Maria Sforza_ duca di Milano governati i suoi popoli,
non già secondo le saggie massime di _Francesco_ suo padre, ma con
quelle che gli dettava il suo capriccioso e tirannico genio[119].
Benchè non gli mancassero delle belle qualità, pure l'eccesso della
sua ambizione, libidine e crudeltà produsse il frutto ordinario de'
vizii, cioè l'odio quasi universal della gente. Per motivi particolari
di sdegno contra di lui congiurarono insieme _Gian-Andrea Lampugnano_,
_Girolamo Olgiato_ e _Carlo Visconte_, nobili milanesi, di levarlo di
vita; ed aspettarono a fare il colpo nel dì 26 di dicembre, in cui esso
duca soleva portarsi alla basilica di Santo Stefano[120]. Giunto colà
il duca colle sue guardie, e con una fiorita corte, i tre congiurati
in mezzo a quella gran truppa arditamente se gli avventarono addosso,
e con più ferite lo stesero morto a terra. In quel fiero miscuglio
intricatosi nel fuggire fra le gonnelle delle donne il Lampugnano,
restò anch'esso ucciso. Ebbero l'Olgiato e il Visconte la fortuna
di trapelar per la gente, e di correre a nascondersi; ma, scoperti,
furono consegnati alla giustizia, e poi squartati vivi. All'Olgiato,
giovine di gran fuoco, non vi fu maniera di far conoscere il fallo
suo, non iscusabile davanti a Dio[121], sostenendo egli sempre, anzi
pregiandosi di aver fatto un sacrifizio, di cui dovea aspettarsi
premio da Dio e dagli uomini. Così terminò sua vita quel principe, e
la morte sua fu principio di non poche calamità, che afflissero dipoi
la misera Italia, avendo egli lasciato dopo di sè Gian-Galeazzo Maria
suo primogenito di età di soli otto anni, e però incapace del governo,
che fu bensì quietamente proclamato duca, ma con pervenire la reggenza
di quegli Stati alla _duchessa Bona_ di Savoia sua madre. Trovossi
tosto quella saggia principessa attorniata e battuta da _Sforza duca_
di Bari, e _Lodovico_, _Ascanio_ ed _Ottaviano_ fratelli dell'ucciso
duca, e dianzi banditi, che non tardarono a sconvolgere tutta la lor
casa e il ducato di Milano, siccome vedremo. Andarono da tutte le parti
ambasciatori a condolersi colla duchessa dell'atroce caso, e ad esibir
soccorsi; ma cominciò nel cuore stesso della famiglia Sforza a formarsi
un tarlo, i cui perniciosi effetti compariranno in breve. Nel dì 23 di
febbraio di quest'anno[122] essendo mancato di vita _Pietro Mocenigo_
doge di Venezia, in luogo suo fu sostituito _Andrea Vendramino_.
Anno di CRISTO MCCCCLXXVII. Indiz. X.
SISTO IV papa 7.
FEDERIGO III imperadore 26.
Era restato vedovo _Ferdinando re_ di Napoli, e tuttochè avesse
figliuoli grandi, e il primogenito _Alfonso duca_ di Calabria si
trovasse arricchito anch'esso di prole, pure pensò ad accasarsi di
nuovo. Sembra che la politica il conducesse a questo. Il non aver mai
il re di Aragona e Sicilia _Giovanni_ approvato che fosse pervenuto
al bastardo _re Ferdinando_ il regno di Napoli, regno conquistato col
sangue e col danaro de' suoi popoli, cagion fu che mala corrispondenza
fin qui durasse fra loro[123]. Diede il re Giovanni nell'anno presente
al re Ferdinando _Giovanna_ sua figliuola in moglie. Per tal via fra
questi principi tornò la buona armonia. Nel settembre del presente anno
con magnifica solennità furono celebrate cotali nozze; ed essendo, per
tale occasione, stato spedito colà il cardinale _Rodrigo Borgia_ con
titolo di legato, egli fu che coronò la nuova regina. Ferdinando, per
levar di testa ad Alfonso duca di Calabria suo primogenito qualunque
gelosia che gli potesse nascere per cagion di tali nozze, nel dì 20
del suddetto settembre gli fece giurare omaggio da tutti i baroni
come ad immediato successore della corona dopo sua morte. Nel dì 10 di
dicembre di quest'anno[124] _papa Sisto_ fece la promozione d'alcuni
nuovi cardinali. Uno d'essi fu _Giovanni d'Aragona_ figliuolo del
medesimo re Ferdinando. Due altri suoi nipoti ornò Sisto della sacra
porpora. Si può ben credere che ciò non piacesse agli altri porporati,
e massimamente a chi disapprovava gli eccessi del nepotismo. In questi
tempi _Carlo da Montone_, figlio naturale di quel _Braccio_ che già
vedemmo sì famoso capitano, essendo già avvezzo all'armi, e condottiere
d'alcune squadre, concepì speranza di assoggettarsi Perugia, siccome
avea fatto il padre; e a tal fine assoldata molta gente, s'indirizzò
a quelle parti[125]. Gli andò fallito il colpo, perchè trovò sicura
quella città per una lega nuovamente fatta co' Fiorentini. Si volse
dunque addosso ai Sanesi, e, trovandoli sprovveduti, fece loro gran
danno, e più n'avrebbe fatto, se i Sanesi, ricorsi ai Fiorentini,
non avessero ottenuto il lor patrocinio, per cui fu d'uopo che Carlo
cessasse dall'offenderli.
Ciò che maggior rumore fece nell'anno presente fu la rivoluzione
di Genova[126]. Quel popolo, oltre al suo genio portato sempre alla
novità, e a mutar padrone e governo, era da gran tempo mal soddisfatto
dell'estinto duca di Milano _Galeazzo Maria_. Specialmente i Fieschi
per danni ricevuti grande odio nudrivano contro la casa Sforza. Dacchè
dunque fu morto esso duca, _Matteo del Fiesco_ fece massa di gente, e
con intelligenza di varii cittadini, nel dì 16 di marzo[127], entrò di
notte con una scalata in Genova, gridando: _Libertà_. Tutto il popolo
fu per lui in armi. Sopravvennero poscia _Obietto_ e _Gian-Luigi_
fratelli del Fiesco, che maggiormente animarono i cittadini alla
ribellione, e fecero tornare in città i Fregosi. Ma il castelletto
restava in mano del duca, e questo con grossa e fedel guarnigione, il
quale cominciò colle artiglierie a far guerra alla città. All'avviso
di tal sedizione, la _duchessa Bona_ mise tosto in ordine circa dodici
mila armati, la maggior parte fanteria, e la spedì a quella volta sotto
il comando di _Roberto da San Severino_, capitano di gran credito in
questi tempi. Seco erano _Lodovico il Moro_ ed _Ottaviano_, zii del
picciolo duca, e inoltre _Prospero Adorno_, il quale, già confinato
in Milano, con dolci parole e larghe promesse fu in questa occasione
condotto ad imprendere anch'egli l'assunto di ridurre di nuovo la
patria all'ubbidienza del duca. Mirabilmente servì la presenza ed
industria dell'Adorno per calmare gli animi sediziosi di quel popolo,
in maniera che dopo alquante calde scaramuccie si trattò di pace, e
tornò Genova, nel giorno ultimo d'aprile, a riconoscere per suo signore
il duca di Milano, con aver poi tutti nel dì 9 di maggio prestato il
giuramento di fedeltà. Restò ivi per governatore a nome del duca il
suddetto Prospero Adorno. Era allora il principal ministro di _Bona_
duchessa di Milano _Cecco Simonetta_ Calabrese, personaggio d'insigne
attività, fedeltà ed accortezza; e perchè tale, promosso ai principali
onori da _Francesco Sforza_, ottimo discernitore dell'altrui abilità.
Avea per fratello quel _Giovanni Simonetta_, che ci diede la Vita di
esso duca Francesco, scritta elegantemente in latino[128]. Ma cotanta
sua autorità gli tirò addosso l'odio di moltissimi, e massimamente dei
nobili della fazion ghibellina. Più nondimeno degli altri il miravano
con occhio bieco i principi zii del duca, cioè _Sforza duca_ di Bari,
_Lodovico_, _Ottaviano_ ed _Ascanio_, perchè da lui tenuti stretti,
non volendo egli che sì pericolosi strumenti s'ingerissero nel governo.
Perciò cominciarono a cercar le vie di abbatterlo, e tirarono nel loro
partito _Roberto da San Severino_, voglioso anch'esso di metter mano
negli affari dello Stato. Non dormiva il Simonetta; e però nel dì 25 di
maggio fece che la duchessa, chiamato nel castello _Donato del Conte_,
ch'era il principale manipolatore della congiura, il ritenne prigione,
e mandollo nelle carceri di Monza. Diedero per questo alle armi i
fratelli sforzeschi; nè le voleano deporre senza vedere rimesso in
libertà Donato. Si quetarono infine; ma non andò molto che Roberto da
San Severino, accortosi che a lui si faceva la caccia, perchè creduto
mantice di quel fuoco, prese la fuga, ed, avendo accortamente deluso
chi gli tenea dietro con armati per prenderlo, si ritirò poi ad Asti.
Non ebbe così favorevole la fortuna _Ottaviano Sforza_, che parimente
se ne fuggì, perciocchè inseguito, nel voler passare a guazzo il fiume
Adda, quivi annegato lasciò la vita. Furono appresso relegati gli altri
fratelli Sforza, cioè _Sforza_ duca di Bari al suo ducato in regno
di Napoli, _Lodovico_ a Pisa ed _Ascanio_ a Perugia: con che tornò in
Milano la quiete, ma per durarvi poco. Era stata occupata la signoria
di Faenza a _Galeotto de' Manfredi_ da _Carlo_ suo fratello[129]. Ebbe
ordine _Giovanni Bentivoglio_ dalla duchessa di Milano di prestare
aiuto a Galeotto, e infatti si trovò obbligato Carlo a dimettere la
preda. Se n'andò egli a Napoli, ma fu mal veduto dal _re Ferdinando_.
Abbiamo dal Diario di Parma che sul fine d'ottobre dell'anno
presente[130] circa trenta mila Turchi a cavallo dalla Bossina
all'improvviso comparvero nel Friuli sin presso ad Udine, i quali, dopo
avere sconfitto un corpo di gente mandato contra d'essi dai Veneziani,
saccheggiarono e misero a fuoco centocinquanta ville, uccidendo i
vecchi e le donne, e ritenendo i fanciulli. Gran paura fu in Venezia,
e gran preparamento di gente vi si fece; ma i Barbari, sopravvenuto il
verno, se ne ritornarono in Bossina.
NOTE:
[114] Corio, Ist. di Mil. Sanuto, Ist. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
Navagero, Ist. Ven., tom. 23 Rer. Ital.
[115] Jacobus Card. Papiens., Ep. 642.
[116] Infessura, Diar., P. II, tom. 3 Rer. Ital.
[117] Cronica di Ferrara, tom. 24 Rer. Ital.
[118] Giornal. Napol., tom. 21 Rer. Ital.
[119] Corio, Ist. di Milano.
[120] Cronica di Ferrara, tom. 24 Rer. Ital. Ripalta, Annal. Placent.,
tom. 20 Rer. Ital.
[121] Anton. Gallus, in Comment., tom. 23 Rer. Ital.
[122] Sanuto, Ist. Ven., tom. 22 Rer Ital.
[123] Giornal. Napolet., tom. 21 Rer. Ital.
[124] Raynaldus, Annal. Eccles. Infessura, Diar., P. II, tom. 3 Rer.
Ital.
[125] Ammirati, Ist. di Firenze, lib. 23.
[126] Corio, Istor. di Milano. Antonius Gallus, in Comment., tom. 23
Rer. Ital.
[127] Giustiniani, Storia di Genova, lib. 5.
[128] Anton. Gallus, Comment., tom. 23 Rer. Ital. Ripalta, Annal.
Placent., tom. 20 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCCLXXVIII. Indiz. XI.
SISTO IV papa 8.
FEDERIGO III imperadore 27.
Non lieve strepito in quest'anno, massimamente in Italia, fece la
congiura dei Pazzi[131]. Potente casa era quella in Firenze, ma,
accecata dall'invidia, non sapea sofferire l'autorità superiore che
godeano in quella repubblica i due fratelli _Giuliano_ e _Lorenzo de
Medici_, personaggi di somma ricchezza, ed insieme di credito singolare
anche fuori d'Italia. Trovandosi allora _Francesco de' Pazzi_ tesoriere
del papa, quegli fu in cui cuore nacque il desiderio di atterrar la
fortuna de' Medici: cosa non creduta praticabile, se non con levar
loro la vita. Favorevole se gli scoprì all'indegna impresa il _conte
Girolamo Riario_ nipote di _papa Sisto_, il qual fu sempre un mal
arnese, e pregiudicò di molto alla fama del pontefice zio. Odiava
costui a dismisura Lorenzo de Medici perchè l'avea trovato contrario a'
suoi ingrandimenti, allorchè divenne signor d'Imola, e più paventava
di lui dopo la morte di Sisto. Per quanto si potè dedurre da ciò che
poscia avvenne, si lasciò il vecchio papa mischiare da questo mal uomo
nel nero disegno del Pazzi[132]; tanto più che non men egli che il _re
Ferdinando_ erano disgustati di Lorenzo de Medici per la lega fatta
senza di loro co' Veneziani e col duca di Milano; ed amendue speravano
che, cadendo i Medici, e prevalendo i Pazzi, Firenze s'unirebbe con
loro. Ebbe Francesco de' Pazzi dalla sua anche _Francesco Salviati_
arcivescovo di Pisa, già nemico di Lorenzo, che apposta venne a
Firenze per dar mano al fatto, senza mettersi scrupolo, se ad un par
suo convenisse un sì fatto mestiere. D'ordine eziandio del papa, da
Pisa passò alla medesima città _Rafaello Riario_ cardinale con titolo
di legato, ed ordine di far ciò che gli direbbe esso arcivescovo di
Pisa. Finalmente fu data commissione a _Gian Francesco da Tolentino_
capitano del papa di accostarsi a Firenze con due mila fanti per
sostenere, occorrendo, i congiurati. Fu scelto il giorno 26 d'aprile ad
eseguir la meditata impresa, e scelta la stessa cattedrale di Firenze,
e il tempo dello stesso santo sagrifizio, cioè quando si alzava la
sacratissima ostia, per compiere così infame opera[133]. Fu dunque da
Francesco dei Pazzi in quel tempo e luogo ucciso _Giuliano de Medici_,
che col fratello era ito ad accompagnar colà il cardinal Riario. Ma
_Lorenzo de Medici_, ricevuta una sola leggier ferita nella gola, quasi
miracolosamente scampò nella sagristia, dove, serrate le porte, restò
in sicuro, e poi si ridusse a casa. Si riempè di tumulto e di grida il
tempio tutto; il popolo a gara corse alle armi in favor de' Medici.
Era già ito l'arcivescovo di Pisa avanti il fatto con molti de' suoi
al palazzo de' signori per impadronirsene, udita che avesse la morte
dei Medici. Ma altrimenti passò la faccenda. Preso dalla gente del
gonfaloniere, così caldo caldo con un capestro alla gola fu impiccato
alle finestre del palazzo medesimo, e seco _Jacopo Salviati_ e _Jacopo_
figliuolo dello storico _Poggio_. Preso anche _Francesco de' Pazzi_,
non si tardò punto ad impiccarlo a canto dell'arcivescovo. La medesima
pena toccò a _Jacopo_ e ad altri della casa dei Pazzi, e a parecchi
loro aderenti, essendo asceso il numero dei morti a settanta[134].
Sotto buona guardia fu ritenuto il giovinetto _cardinal Riario_,
che asseriva di non essere punto stato consapevole del trattato, e
verisimilmente diceva il vero. Nondimeno scrivono altri[135] ch'egli fu
maltrattato in quel furore di popolo. Certo è che venne poi rimesso in
libertà, per non irritare maggiormente il papa.
Riferita a Roma la riuscita di questo orrido fatto[136] il pontefice,
trovandola diversa da quel che desiderava e sperava, montò forte in
collera contra dei Fiorentini; e preso il pretesto che Lorenzo dei
Medici e i magistrati di Firenze avessero commesso un troppo enorme
delitto con levar la vita ad un arcivescovo, e con ritener prigione
un cardinale legato, ed avessero dianzi prestato aiuto ai nemici
della Chiesa, fulminò contra d'essi tutte le scomuniche e maledizioni
del cielo, e l'interdetto alla lor città. Nè questo bastò[137]. Si
servirono tanto egli quanto il _re Ferdinando_ di questa occasione
per occupar tutti i danari e beni degl'innocenti Fiorentini che si
trovarono in Roma e in regno di Napoli, e per muovere guerra alla
repubblica fiorentina. Nella lor lega si lasciarono indurre ancora
i Sanesi. Scapitò di molto per tali fatti la fama del pontefice
_Sisto_, nè passò molto che si dichiararono contra di lui e in favore
di Lorenzo de Medici e de' Fiorentini _Lodovico XI_ re di Francia,
la _reggenza_ di Milano, i _Veneziani_, _Ercole duca_ di Ferrara,
_Roberto Malatesta_ signor di Rimini, ed altri. Anzi il re di Francia
parlò alto contra d'esso papa. Anche l'_imperador Federigo_ e _Mattia
Corvino_ re d'Ungheria spedirono oratori al pontefice, pregandolo di
desistere dalla guerra contra de' Fiorentini, e di volgere le sue
armi e il danaro della Chiesa in difesa della cristianità ogni dì
più oppressa da' Turchi. Parlarono ad un sordo: più potè nel cuore
del papa l'ambiziosa politica del _conte Girolamo_ suo nipote e del
_re Ferdinando_, che ogni altro riflesso conveniente al sacro suo
ministero. Per questo e per altri motivi i Veneziani[138], il meglio
che poterono, conchiusero la pace co' Turchi: il che produsse altri
maggiori disastri alle terre de' cristiani, e rendè più superbo e
potente l'imperadore ottomano. Altri sconcerti originati da questo
biasimevol impegno di papa Sisto si vedranno in breve, essendo
entrati in guerra, a cagion di ciò, tutti i principi d'Italia. Ed
ecco dove si lasciavano trasportare allora i papi per cagion di quel
nepotismo, da cui finalmente abbiam veduto esenti, ai dì nostri, alcuni
saggi pontefici, e da cui specialmente alieno rimiriamo il glorioso
pontificato del regnante papa Benedetto XIV.
Spedirono intanto sì il pontefice Sisto come il re Ferdinando le loro
milizie in Toscana addosso ai Fiorentini, che si trovavano allora
mal provveduti di genti d'armi, e senza capitan generale. Una delle
applicazioni di _Ferdinando_ e d'esso _papa_ genovese, per distorre
_Bona duchessa_ di Milano dal soccorrere Firenze, fu quella di
procurare una nuova rivoluzione in Genova[139]. _Prospero Adorno_,
posto ivi per governatore dalla duchessa, dimentico della sua fede,
prestò volentieri orecchio al trattato. Gli vennero in soccorso da
Napoli alcune navi armate[140]; ed allorchè, per ordine della duchessa,
arrivò a Genova il vescovo di Como per deporre l'Adorno, e prendere il
governo della città, cioè nel dì 25 di giugno, i Genovesi fecero una
rivolta, e costrinsero i Milanesi a ridursi nel castelletto. _Roberto
da San Severino_, gran perturbatore dell'Italia, trasse subito al
rumore, chiamato non so se dal re Ferdinando, oppur da' Genovesi[141];
ed, entrato in Genova, nel dì 16 di luglio, attese ad ammassar gente
insieme con Prospero Adorno per opporsi all'armata milanese, che
già prevedevano, oppure sapevano, si andava allestendo per portare
soccorso al castelletto e riacquistar la città. In fatti spiccò da
Milano un poderoso esercito, ma condotto da un capitano inesperto,
cioè da _Sforza Visconte_ bastardo, a cui fu dato per consigliere _Pier
Francesco Visconte_. Valicato l'Apennino, calò quest'armata alla volta
di Genova. Il San Severino, oltre all'aver fatte molte fortificazioni
fuori di Genova, finse una lettera scritta da Milano al vescovo di
Como, ed intercetta, da cui appariva promesso il sacco di Genova ai
soldati, e che si leverebbe ogni privilegio ai cittadini. Letta questa
in pubblico, fece diventar come tanti lioni i per altro bellicosi e
bravi Genovesi. Però con questo ardore usciti contra dell'esercito
duchesco nel dì 7 d'agosto, lo misero in rotta, e fecero una sterminata
copia di prigioni. Al vedere come disperato il caso di Genova, fu
presa in Milano un'altra risoluzione, cioè di spedire colà _Batistino
Fregoso_, e, cedendo a lui le fortezze, di aiutarlo a divenire doge
della sua patria. Così fu fatto. Entrato in Genova il Fregoso, vi
trovò la dissensione fra i capi: il che facilitò a lui la maniera di
cacciar fuori della città Prospero Adorno e Roberto da San Severino,
e di farsi proclamar doge. Ma quasi tutta la Riviera di Levante restò
all'ubbidienza dell'Adorno e del San Severino, il quale ultimo, dopo
aver fallito questo colpo, si diede a fabbricar altre macchine contro
al governo di Milano. Oltre a ciò il papa e il re Ferdinando mossero
un'altra tempesta addosso ai Milanesi, con fare che gli Svizzeri,
gente bellicosa e fiera, assoluti dal papa dai giuramento che aveano di
non offendere lo Stato di Milano, cominciassero contra di esso Stato
la guerra[142]. Costoro, dopo essersi impadroniti di varie castella,
posero l'assedio a Lugano nel mese di novembre. Poco vi si fermarono,
perchè spedito colà _Federigo_ novello marchese di Mantova con buon
nerbo di gente, meglio stimarono di ritirarsi. E gli affari avrebbono
in quelle parti presa miglior piega, se il grosso presidio di Belinzona
non avesse temerariamente voluto incalzare gli Svizzeri nella lor
ritirata per aspre montagne. Imperocchè i Milanesi tra per li sassi
rotolati giù dai nemici, e per la fuga di un mulo impaurito, furono
sì fattamente presi da timor panico, che più di ottocento persone o
annegate od uccise vi restarono, e gli altri perderono armi e bagaglio.
Erano già, siccome dissi, entrate in Toscana nel mese di luglio l'armi
del papa e del re Ferdinando, comandate da _Alfonso duca_ di Calabria e
da _Federigo duca_ d'Urbino. Fu loro facile l'impossessarsi di alcune
castella, perchè i Fiorentini andavano raunando gente, facendone
venir di Lombardia, ma non ne aveano tante da poter contrastare in
campagna col nemico esercito. Si applicò Alfonso duca all'assedio della
Castellina, e nel dì 14 d'agosto l'ebbe a patti, con seguitar poscia
a prendere altre terre. Volendo intanto i Fiorentini e la duchessa di
Milano provvedersi d'un capitan generale, parve loro più a proposito
d'ogni altro _Ercole duca_ di Ferrara; e il condussero, ancorchè fosse
genero del re Ferdinando[143]. Giunse questo principe a Firenze nel
dì 8 di settembre, ed, uscito in campagna, raffrenò i nemici, e portò
gran danno ai Sanesi collegati con loro. Così passò l'anno presente;
restando nondimeno i Fiorentini in male stato, perchè v'era discordia
nel campo loro, e pochi erano i sussidii mandati dal re di Francia,
dalla duchessa di Milano e da' Veneziani. Presero eglino inoltre
al loro soldo _Roberto Malatesta_ signor di Pesaro. Anche _Giovanni
Bentivoglio_, arbitro allora del governo di Bologna, fu in loro aiuto.
In Venezia nell'anno presente a dì 6 di maggio[144] terminò sua vita
_Andrea Vendramino_ doge di quella repubblica, a cui succedette in
essa dignità _Giovanni Mocenigo_ nel dì 18 d'esso mese; e poco stette
ad entrare in quella città la peste, che portò al sepolcro alcune
migliaia di persone e molti nobili, con essere durata sino al novembre.
Parimente in quest'anno nel mese di giugno[145] passò all'altra vita
_Lodovico Gonzaga_ marchese di Mantova: con che pervenne il dominio di
quello Stato a _Federigo_ suo primogenito, il quale fu condotto al suo
soldo dalla duchessa di Milano. Nel Mantovano giunsero in questi tempi
nuvoli di locuste, che occuparono circa trenta miglia di lunghezza
verso il Bresciano, e quattro miglia di larghezza. Distrussero tutte
l'erbe e foglie di quella contrada; e fattane, per ordine del marchese,
con poco garbo strage senza seppellirle, infettarono poi l'aria,
cagionando una micidiale epidemia ne' corpi umani. In quest'anno
parimente la peste infierì non solamente nelle armate nemiche
guerreggianti in Toscana, ma anche in Roma, Bologna, Mantova, Modena,
Brescia, Bergamo e nella Romagna.
NOTE:
[129] Diar. Parmens., tom. 22 Rer. Ital.
[130] Cronica MS. di Bologna.
[131] Ammirat., Istor. di Firenze, lib. 24. Angelus Politianus, et alii.
[132] Infessura, Diar., P. II, tom. 3 Rer. Ital.
[133] Raphael. Volaterran. Geogr., lib. 5. Diar. Parmig., tom. 22 Rer.
Ital.
[134] Giustiniani, Istoria di Genova, lib. 5.
[135] Anton. Gall., Comment., tom. 23 Rer. Italic.
[136] Raynaldus, Annal. Eccles.
[137] Diar. Parmens., tom. 22 Rer. Ital.
[138] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
[139] Anton. Gallus, Comment., tom. 23 Rer. Ital.
[140] Corio, Istor. di Milano.
[141] Ripalta, Annal. Placent., tom. 20 Rer. Ital.
[142] Diar. Parm., tom. 22 Rer. Ital.
[143] Ammirati, Istor. di Firenze, lib. 24.
[144] Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Ital.
[145] Diar. Parmens., tom eod.
Anno di CRISTO MCCCCLXXIX. Indiz. XII.
SISTO IV papa 9.
FEDERIGO III imperadore 28.
Per quanto si adoperassero i Fiorentini e gli ambasciatori spediti
dal re di Francia e da altri potentati, per indurre il _pontefice
Sisto_ a dare la pace ai Fiorentini in tempo che la cristianità veniva
conculcata dal comune nemico; nulla si potè ottenere[146]. Persisteva
egli in pretendere che i Fiorentini non solamente scacciassero
_Lorenzo de Medici_, ma che gliel dessero nelle mani: cosa che non mai
si volle accordare, perchè egli era stato l'offeso, nè per colpa od
ordine suo l'arcivescovo di Pisa avea perduta la vita. Più strana cosa
sembrava che intanto il pontefice andava inviando legati in Germania,
Ungheria, Boemia e Polonia, per sollecitare i principi a far guerra
al Turco, quand'egli poi si perdeva in farla contra de' cristiani,
e vibrava scomuniche a furia contra di _Ercole duca_ di Ferrara, e
contra di Rimini, Pesaro e Faenza, perchè non lasciavano divorar vivi
da lui i Fiorentini. Seguitò dunque la guerra in Toscana, e vi si
frammischiarono tanti altri imbrogli per li maneggi di _Roberto da
San Severino_, che fu in grave pericolo quella repubblica. Dirò io
in breve ciò che altri diffusamente lasciò scritto[147]. Essendo in
Toscana _Ercole duca_ di Ferrara, e _Federigo_ marchese di Mantova,
non male s'incamminavano le militari azioni contra dell'esercito
pontificio e napoletano. Riuscì ancora a _Roberto Malatesta_ lor
condottiero di dare una rotta a _Matteo da Capoa_, allorchè conduceva
un grosso corpo di gente al campo del duca di Calabria. Ma ecco che
Roberto San Severino[148], accordatosi con _Lodovico il Moro_ e con
_Sforza duca_ di Bari, zii paterni del picciolo duca di Milano, e
formato un esercito, dalla Lunigiana passò anch'egli alla volta di Pisa
unito con _Obietto_ e _Gian-Luigi_ del Fiesco: sicchè da due parti si
videro assaliti i Fiorentini. Contra del San Severino marciò il duca
di Ferrara, e il fece ritirare fin di là dalla Magra; ma il fuoco da
quella parte estinto, andò da lì a qualche tempo a sboccare sopra una
più lontana e pericolosa parte. Cioè si venne a sapere ch'esso San
Severino con Lodovico Sforza soprannominato il Moro (giacchè in questi
dì sul Genovesato morì _Sforza duca_ di Bari suo fratello, siccome
fu creduto, di veleno) per aspre montagne era nel dì 10 d'agosto[149]
calato sul Tortonese, e che l'infedele governator di Tortona gli avea
data quella città. Diffusamente narrati si leggono questi avvenimenti
nei Diario di Parma[150]. Avea Lodovico intelligenza col castellano
del castello di Milano; e però, lasciato l'esercito alla cura del
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