Annali d'Italia, vol. 5 - 86
Sforza_ duca di Milano. Furono, dico, essi i primi a principiar
la danza; ma nello stesso tempo anche _Lodovico duca_ di Savoia, e
_Guglielmo_ fratello di _Giovanni marchese_ di Monferrato, dalla lor
parte mossero l'armi addosso agli Stati del medesimo duca. Similmente
il _re Alfonso_ spinse in Toscana contro i Fiorentini _Ferdinando
duca_ di Calabria suo figliuolo con otto mila cavalli e quattro mila
fanti. Per quel che riguarda i Veneziani, la guerra da lor fatta si
legge minutamente descritta da Porcello Napoletano nella Storia da
me data alla luce[2970]; autore a cui non manca l'adulazione, e che
si truova sempre coll'incensiere in mano per esaltare i fatti anche
menomi di _Jacopo Piccinino_, da lui appellato Scipione, e del conte
_Tiberto Brandolino_, capitani allora della repubblica, e valenti
senza dubbio nell'arte della guerra. Perchè niuna strepitosa impresa
fu fatta in questa guerra, dirò io in breve che l'armata veneta,
consistente in quindici mila cavalli e sei mila fanti, sotto il comando
di _Gentile da Lionessa_, passato l'Oglio, entrò in Geradadda, con
prender ivi varie castella, e fra gli altri Soncino, facendo scorrerie
dappertutto. Per levarli di là, il duca col marchese di Mantova entrò
coll'esercito suo nel Bresciano, e s'impadronì d'alcuni luoghi, il
più importante de' quali fu Pontevico. E perciocchè i Veneziani,
fatto un ponte sull'Adda, spedirono il _conte Carlo da Montone_ con
due mila cavalli per danneggiare il Lodigiano e Milanese, anche il
duca spedì colà _Alessandro Sforza_ signor di Pesaro suo fratello
con un buon corpo d'armati per difendere il paese. Ma venuto egli
alle mani con esso conte Carlo nel dì 25, oppure 20 di luglio[2971],
fu messo in rotta, e, perduti circa ottocento cavalli, se ne fuggì
a Lodi. Seguirono ancora varie scaramuccie ed incontri fra le due
nemiche armate che campeggiavano sul Bresciano[2972], ma senza
impegno o conseguenza degna di memoria. Per conto poi di Guglielmo di
Monferrato, con circa quattro mila cavalli e due mila fanti entrato
nell'Alessandrino, mosse anch'egli guerra al duca di Milano, ed occupò
la maggior parte di quel territorio. Ma nel suddetto dì 25, oppure 26
di luglio, essendo stato spedito contra di lui _Sagramoro da Parma_
con due mila cavalli, e verisimilmente anche con assai fanteria, gli
diede tal rotta con prigionia di molti e presa del bagaglio, che gran
tempo stette Guglielmo a rifar le penne. Fu anche in Toscana, siccome
dissi, guerra per la venuta di _Ferdinando duca_ di Calabria, inviato
dal _re Alfonso_ suo padre contra de' Fiorentini[2973]; ma neppure in
essa tali fatti si fecero che meritino luogo nella presente storia. Di
alcuni soli piccioli luoghi s'impadronì Ferdinando. Dall'altra parte
i Fiorentini, che aveano preso per lor generale _Sigismondo Malatesta_
signor di Rimini, e al lor soldo il signor di Cesena fratello di esso
Sigismondo, e _Taddeo de' Manfredi_ signore d'Imola, e _Michele da
Cotignola_ con altri capitani: i Fiorentini, dissi, misero insieme tale
armata, e la fecero così accortamente campeggiare, che tennero forte
contra l'armata napoletana, costringendola infine a cercar quartiere
d'inverno altrove, senza aver fatta conquista o combattimento di
qualche rilievo. Altrettanto fecero dal canto loro due nemiche armate
ch'erano sul Bresciano, giacchè i Veneziani, sfidati dal duca Francesco
sul principio di novembre ad una giornata campale, accettarono bensì
la sfida, e furono in ordinanza di battaglia; ma poi si ritirarono,
senza far altro, spargendo voce ch'esso duca non volle il giuoco.
Confessa Porcello ne' suoi Commentarli[2974], benchè parziale de'
Veneziani, che questi, e non già il duca di Milano, quei furono che
schivarono l'azzardo del fatto d'armi. Sapeano che la fortuna andava
troppo d'accordo col valore e colla militar maestria di Francesco
Sforza. In questi tempi il conte _Tiberto Brandolino_ valoroso
condottier d'armi, essendo terminata la sua condotta co' Veneziani,
passò colla sua gente, cioè con mille e ducento cavalli e cinquecento
fanti, al servigio del medesimo Sforza. Poco esatto si scorge Lorenzo
Bonincontro in iscrivendo[2975] sotto il presente anno, che venuti a
battaglia i Veneziani collo Sforza e con Lodovico marchese di Mantova,
rimasero sconfitti, ed essere restati prigioni in quel conflitto sette
mila cavalli, Giovanni de' Conti e molti altri capitani. Appartien
questo fatto all'anno seguente, e fu di gran lunga meno il danno de'
Veneziani.
NOTE:
[2959] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital. Ripalta, Annal. Placent.,
tom. 20 Rer. Ital.
[2960] Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Italic. Nauclerus, Platina,
et alii.
[2961] Cronica di Ferrara, tom. 24 Rer. Ital.
[2962] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
[2963] S. Antonin., P. III, tit. 22.
[2964] Infessur., Diar., P. II, tom. 3 Rer. Ital.
[2965] Æneas Sylvius, Hist., lib. 4.
[2966] Raynaldus, Annal. Eccles.
[2967] Cronica di Ferrara, tom. 24 Rer. Ital.
[2968] Nauclerus, Histor. Æneas Sylvius, Hist. Austr.
[2969] Sanuto, Ist. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
[2970] Porcell., Comment., tom. 20 Rer. Ital.
[2971] Cristoforo da Soldo, Istoria Bresciana, tom. 21 Rer. Ital.
Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 21, tom. eod.
[2972] Ripalta, Annal. Placent., tom. 20 Rer. Ital.
[2973] Ammirat., Istoria Fiorentina, lib. 22.
[2974] Porcelli, Comment., lib. 8, tom. 20 Rer. Italic.
[2975] Bonincontrus, Annal., tom. 21 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCCLIII. Indiz. I.
NICCOLÒ V papa 7.
FEDERIGO III imperadore 2.
Tuttochè _Francesco Sforza_ fosse quel grande eroe che convien
confessarlo, e già signoreggiasse tutto il ducato di Milano, pure si
trovava in istato da non poter competere nè durarla lungo tempo colla
superior potenza della repubblica veneta, sì perchè troppo indebolito
a lui pervenne lo Stato di Milano, e sì perchè nel medesimo tempo gli
conveniva sostener la guerra anche contra _Lodovico_ duca di Savoia, e
contra di _Guglielmo di Monferrato_. Anche i signori di Correggio dal
canto loro faceano guerra agli Stati di Parma e di Mantova. Unitamente
dunque tanto egli come i Fiorentini[2976] si rivolsero a _Carlo VII
re_ di Francia, pregandolo d'aiuto, e fecero gli occorrenti maneggi per
tirare in Italia _Renato duca di Angiò_ e di Lorena, che tuttavia usava
il titolo di re di Sicilia, facendogli credere che, sbrigati dalla
guerra co' Veneziani, l'aiuterebbono colle loro armi a conquistare il
regno, ed intanto annualmente gli pagherebbono cento venti mila fiorini
d'oro. Accettò egli il partito, obbligandosi di calare in Italia con
due mila e quattrocento cavalli. Mentre si trattava di questo affare,
sul principio di gennaio[2977], vollero i Veneziani, non ostante il
rigore del verno, fare una spedizione contro il marchese di Mantova,
per torgli Castiglione delle Stiviere. E in effetto essendo deputato
a questa impresa _Jacopo Piccinino_, dopo varii assalti che costarono
la vita a parecchie centinaia di persone, costrinsero quella terra a
rendersi, salva la roba e le persone. Ma non fu a quel misero popolo
mantenuta la fede. Andò a sacco tutta la terra; gran bottino vi fu
fatto, e niun riguardo fu avuto all'onore delle donne, con vituperio
grave di chi permise tanta infedeltà e barbarie. Venuto il marzo,
acquistarono essi Veneziani alcune castella; ma sotto Manerbe toccò
a _Gentile da Lionessa_ loro generale una ferita, per cui nel dì 15
d'aprile cessò di vivere. Fu dato il bastone del comando di quella
armata a _Jacopo Piccinino_, personaggio che dopo Francesco Sforza era
in questi tempi il più prode, attivo ed accorto condottieri d'armi.
S'impadronirono le armi venete di alcune altre castella, con ricuperar
anche Pontevico. Per l'uscita in campagna del duca di Milano, che
tornò sul Bresciano, cessarono le lor conquiste. Intanto i Veneziani,
per aderire alle brame di _Carlo da Gonzaga_, voglioso di ricuperar
alcune sue castella toltegli dal marchese di Mantova suo fratello,
gli diedero tre mila cavalli con cinquecento fanti. Dalla parte del
Veronese entrò egli nel Mantovano, e faceva già dei progressi, quando
nel dì 15 di giugno il marchese, assistito da _Tiberto Brandolino_,
il venne a trovare, e fu con lui alle mani. L'aspra e dura battaglia
durò cinque ore, e finì colla sconfitta di Carlo e de' Veneziani, che
vi lasciarono più di mille cavalli ed alcuni capi di squadre. Andò
in questo mentre il duca di Milano all'assedio di Gedo ossia Gaido,
e tanto vi stette sotto, che se ne impadronì. Diedero anche le sue
genti sotto Castiglione una buona percossa a quattro mila nemici nel
dì 15 d'agosto. Avea ne' medesimi tempi Ferdinando duca di Calabria,
per ordine del re Alfonso suo padre, riaccesa la guerra in Toscana, ma
con far pochi fatti[2978]. I Fiorentini colle loro genti il teneano
corto, e ripigliarono alcuni lor luoghi ancora. Perchè il duca di
Milano abbisognava forte di danaro, avea mandato in loro aiuto il conte
Alessandro suo fratello con due mila persone, e da loro avea ricavato
ottanta mila fiorini d'oro.
Ma eccoti la dolorosa nuova che Maometto II imperador de' Turchi,
il quale nell'anno precedente avea messo l'assedio all'imperiale
città di Costantinopoli, nel presente con un furioso assalto dato
nel dì 29 di maggio[2979] se ne era impadronito, con tagliare a pezzi
_Costantino Paleologo_ ultimo imperadore dei Greci, e più di quaranta
mila cristiani, con profanar tutte le chiese, e commettere i più
orridi eccessi che si usano in tali congiunture, e massimamente dai
Barbari. Tutto con perpetua infamia del nome cristiano e de' principi
del cristianesimo d'allora, solamente applicati a scannarsi l'un
l'altro: del qual fatto parvero nella opinione del mondo spezialmente
rei il re Alfonso e i Veneziani, che, più degli altri a portata di
soccorrere i miseri Greci, amarono piuttosto di far guerra in Italia
a chi desiderava la pace. Ed ebbero bene a pentirsene gli stessi
Veneziani, perchè molti lor nobili e mercatanti rimasero involti in
quella sì deplorabil rovina, e peggio dipoi loro avvenne. Ora trafisse
il cuore d'ognuno, e principalmente di papa _Niccolò V_, questa al
maggior segno funesta e lagrimevole nuova, sì per la perdita di così
nobile e importante città, come ancora per le sue pessime conseguenze,
le quali poco si stette a provarle; perchè i Turchi tolsero Pera a'
Genovesi, e cominciarono a stendere le lor conquiste pel mare Egeo con
danno gravissimo ed incredibil terrore degli altri popoli cristiani.
Allora fu che il pontefice[2980] piucchè mai accese il suo zelo per
ismorzare in Italia, Germania ed Ungheria l'incendio delle guerre;
e spedì a Venezia, a Milano, a Genova e a Firenze, acciocchè ognuno
inviasse ambasciatori a Roma per trattar della pace, minacciando
la scomunica a chiunque ripugnasse ad opera di tanto bisogno per la
cristianità. Allo stesso fine scrisse caldissime lettere agli altri re
e principi cristiani, sollecitando tutti a prestar aiuti per ricuperar
Costantinopoli (cosa per altro oramai disperata), o per impedire
gl'imminenti progressi de' Maomettani.
Spedirono bensì i principi d'Italia i lor ministri alla corte
pontifizia; ma intanto si continuò a guerreggiare fra loro. S'era
provato il _re Renato_ di passar le Alpi con circa tre mila e
cinquecento cavalli; gli si oppose _Lodovico duca_ di Savoia[2981].
Costretto a passar egli per mare a Ventimiglia, e poscia ad Asti, tanto
fece, che _Lodovico delfino_ di Francia prese l'armi in suo favore, ed
obbligò il duca di Savoia, benchè suocero suo, a lasciar passare la di
lui gente nel mese di settembre. Giunto il re Renato in Monferrato, la
prima impresa che fece, fu quella di pacificare _Guglielmo_, fratello
di quel marchese, col _duca Francesco_: nel qual tempo _Bartolomeo
Coleone_ spedito dal duca occupò il borgo e la rocca di San Martino nel
cuore del Monferrato. S'interpose dunque Renato, ed operò che _Giovanni
marchese_ e _Guglielmo_ suo fratello compromettessero in lui tutte le
differenze fra loro e Francesco duca di Milano. Il compromesso del
dì 15 di settembre è rapportato da Benvenuto da San Giorgio[2982].
Così cessò in quelle parti la guerra, e lo Sforza richiamò di là
quattro mila combattenti, che vennero a rinforzar la sua armata
sul Bresciano. Giunse colà dipoi anche lo stesso Renato co' suoi; e
ingagliardito colla giunta di tante brigate l'esercito sforzesco, nel
dì 16 d'ottobre andò all'assedio di Pontevico[2983]. Per forza fu presa
quella terra nel dì 19 dagl'Italiani, che le diedero tosto il sacco.
V'entrarono susseguentemente anche le genti del re Renato, e vedendo
già sparecchiata la tavola, cominciarono ad infierir contra di que'
poveri abitanti, ammazzando uomini, donne e fanciulli. Erano i Franzesi
d'allora gli stessi che quei d'oggidì per quel che riguarda l'amore
dei piaceri, divertimenti e gozzoviglie; e però, giunte a Milano le
squadre di Renato, dove trovarono delizie, non sapeano più partirsene.
Ma diversi per altro conto da quei d'oggidì erano i Franzesi d'allora,
perchè crudeli oltre modo e di maniere turchesche nel far la guerra,
non volendo dar quartiere ai vinti che lo chiedevano, e commettendo
altre simili barbarie: laddove gl'Italiani di questi tempi non
solamente davano quartiere, ma, spogliati che aveano i prigionieri,
siccome altrove ho detto, li lasciavano andar con Dio. Della cristiana
moderazion de' Franzesi d'oggidì l'Italia e la Germania ha veduto
frequenti gli esempli anche a' dì nostri. Ma così orrida crudeltà usata
dai Franzesi suddetti, la maggior parte Piccardi, sparse un tal terrore
per le terre ubbidienti ai Veneziani[2984], che mandavano innanzi
le chiavi senza voler aspettare l'arrivo dell'esercito sforzesco.
Caravaggio, Triviglio e tutta la Geradadda, a riserva di Soncino e
Romanengo, tornarono in potere dello Sforza. Così in poco tempo quasi
tutta la pianura del Bresciano si sottomise alle di lui armi. Roado,
Palazzuolo, Chiari, Pontoglio, Martinengo, Manerbe, ed assaissime altre
terre e molta parte della pianura di Bergamo vennero alla divozion
del duca di Milano. Posto poi l'assedio agli Orci Nuovi, nel dì 12
di novembre, lo sforzò egli nel dì 22 alla resa, e Soncino anch'esso
tornò alle sue mani. A tanti progressi contribuì non poco l'essersi
precipitosamente ritirata a Brescia l'armata veneta per trovarsi troppo
inferiore di forze alla nemica. Così terminò la campagna dell'anno
presente, e le soldatesche furono distribuite a' quartieri d'inverno.
Avea il pontefice Niccolò mandato a' confini in Bologna _Stefano
Porcaro_ nobile romano per sospetti del suo umor torbido[2985]. Tramò
costui una congiura con alcuni Romani contro la vita e lo Stato dello
stesso papa; e nella festa di santo Stefano dell'anno precedente si
partì all'improvviso da Bologna senza licenza del _cardinal Bessarione_
legato di quella città. Con tutta fretta ne spedì il cardinale per un
corriere l'avviso al papa, il quale, avendo tosto messe buone spie in
campo[2986], fece, nella vigilia dell'Epifania, prendere esso Porcaro
in casa sua con alquanti de' suoi partigiani che già erano in armi.
Formato il suo processo, fu, nel dì 9 di gennaio, impiccato per la
gola. Soggiacquero alla medesima pena altri de' suoi congiurati,
ed altri furono banditi. Intenzion di costoro era di ridurre Roma
all'antica sua libertà. Ma per un papa che facea tanto di bene a Roma,
fa tanto più orrore un così nero attentato.
NOTE:
[2976] Ammirati, Istor. di Firenze, lib. 22. Simonetta, Vita Francisci
Sfortiae, lib. 21, tom. 21 Rer. Ital. Poggius, et alii.
[2977] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital. Cristoforo da Soldo,
Istor. Bresc., tom. 21 Rer. Ital. Porcell., Comment., tom. 20 Rer.
Ital.
[2978] Ammirati, Istor. Fiorent., lib. 22.
[2979] Naucler. Chalcondyla, Phrantz. Æneas Sylvius et alii.
[2980] Raynaldus, Annal. Eccles.
[2981] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 23, tom. 21 Rer. Ital.
[2982] Benvenuto da San Giorgio, Istoria del Monferrato, tom. 23 Rer.
Ital.
[2983] Cristoforo da Soldo, Istor. Bresc., tom. 21 Rer. Ital.
[2984] Sanuto, Istor. Ven., tom. 21 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCCLIV. Indiz. II.
NICCOLÒ V papa 8.
FEDERIGO III imperadore 3.
Sul principio di quest'anno il vecchio _re Renato_, impazientatosi
(non ne sappiamo bene la vera cagione) della sua dimora in Italia,
si congedò dal duca di Milano[2987], e senza che si trovasse maniera
di ritenerlo, volle tornarsene colle sue genti in Francia, datogli
il passo da _Lodovico duca_ di Savoia. Lasciò in Italia _Giovanni_
suo figliuolo, che portava il titolo vano di duca di Calabria,
giacchè i Fiorentini il voleano per loro capitano, affin di opporre
questo principe angioino ad _Alfonso re_ di Napoli. Con tutti poi
gli uffizii premurosi adoperati dal papa per intavolar la pace fra
le potenze guerreggianti in Italia, niun buon successo fin qui avea
avuto il suo zelo per colpa d'esso re Alfonso, il quale guastava
tutto e si opponeva ad ogni onesta proposizione. Ma Iddio dispose
che un semplice frate divenisse lo strumento di sì bella impresa,
e la conducesse a fine[2988]. Fu questi fra Simonetto da Camerino
dell'ordine di Sant'Agostino, religioso dabbene, abitante allora e
ben voluto in Venezia, che, mosso dal suo buon genio, o piuttosto
da segreta insinuazione dei saggi Veneziani, andò più d'una volta a
Milano, proponendo la pace a quel duca, e riferendo a Venezia quel che
occorreva. Erano stanchi di quella guerra i Veneziani, e maggiormente
poi per la perdita di tanto paese nel Bresciano e Bergamasco: nel
qual tempo ancora, per attestato di Cristoforo da Soldo, il conte
_Jacopo Piccinino_ lor generale, alloggiato con grosso corpo di gente
in Salò, lasciò divorar dalle sue soldatesche tutta quella Riviera e
Lonado, e commettere ruberie e disonestà senza numero. Si aggiugneva
la paura della potenza turchesca, accresciuta a dismisura dopo la
presa di Costantinopoli e d'altri paesi cristiani. Dall'altro canto
_Francesco Sforza_ duca di Milano si sentiva troppo smunto per la
guerra suddetta, penuriando spezialmente di pecunia, cioè dall'alimento
più necessario a chi vuol mantener armate. Gli pungeva anche il cuore
l'essere sul principio di marzo passato dal suo servigio a quel de'
Veneziani _Bartolomeo Coleone_, insigne capitano di questi tempi,
colle sue squadre. Però, trovata questa buona disposizione in amendue
le parti, il religioso predetto con segretezza e prudenza dispose
un buon concerto per la concordia. Il duca di Milano onoratamente
confidò ai Fiorentini suoi collegati ogni progetto, i quali, inviato
colà Diotisalvi Neroni, accudirono anch'essi al trattato. Ma i
Veneziani, irritati contra del _re Alfonso_, per aver egli colle sue
ripugnanze ad ogni accordo ridotti gli ambasciatori a partirsi di
Roma senza conchiusione, non gli vollero far confidenza alcuna de'
loro particolari maneggi. Perchè non pareva allo Sforza fra Simonetto
bastante a sì grande affare (forse non doveva egli avere per sì grande
opera mandato autentico), la repubblica veneta spedì con esso lui
_Paolo Barbo_ cavaliere[2989], che, travestito da frate minore, si
portò a Lodi a trattarne colle facoltà occorrenti. Fu dunque nel dì 9
d'aprile in essa città di Lodi sottoscritta la pace fra i Veneziani e
il duca di Milano, con lasciar luogo ad entrarvi al re, a' Genovesi, al
marchese di Mantova e ad altri collegati[2990]. Ritenne in questa pace
il duca la Geradadda, e restituì a' Veneziani tutto quanto avea preso
nel Bresciano e Bergamasco. Il marchese rendè a _Carlo Gonzaga_ suo
fratello le castella che gli avea tolto. Per un articolo segreto restò
in libertà il duca di ricuperar per amore o per forza le castella a lui
occupate durante la suddetta guerra da _Lodovico duca_ di Savoia, da
_Giovanni marchese_ di Monferrato e da _Guglielmo_ suo fratello, e le
tolte dai Correggeschi al marchese di Mantova.
Sdegnato il _re Alfonso_ contro de' Veneziani, perchè, senza curar di
lui, si fossero accordati collo Sforza, ricusò per un pezzo d'accettar
quella pace. Vi si accomodò, come la necessità portava, il marchese di
Mantova. Ma perchè era succeduto ai Correggeschi, al Monferrino e al
Savoiardo quello ch'è intervenuto in altri tempi; cioè che i Veneziani
aveano pensato più ai proprii che agli altrui interessi[2991]; lo
Sforza, poco dopo la pace, spedì Tiberto Brandolino colle sue armi
contra di loro, e gli obbligò a rendere il mal tolto: cioè passò
Tiberio contra de' Monferrini, e si fece rendere varie terre pervenute
alle lor mani. La concordia stabilita fra loro nel dì 17 di luglio
si legge nel Corpo Diplomatico del signore Du Mont. Contro al duca di
Savoia furono medesimamente inviati da una parte esso Brandolino, e da
un'altra _Roberto da San Severino_, i quali cominciarono a stendere
le loro scorrerie sino a Vercelli. Nel termine di tre giorni fece sì
buon effetto il terrore delle lor armi, che tornarono alla divozion
del duca Bassignana, Biandrate, Valenza, Bremide e tutti gli altri
luoghi occupati nel Pavese e Novarese. Borgo di Sesia fu assediato, e
costretto alla resa. Pertanto si sollecitò _Lodovico duca_ di Savoia
ad inviar ambasciatori per chiedere accordo. Questo fu stabilito,
e il fiume Sesia fu da lì innanzi il confine dei loro Stati. Il
Guichenone[2992] (io non so come) non ha avuta difficoltà a negare,
che Francesco Sforza facesse per questo guerra al duca di Savoia,
e giugne a chiamare adulazione del Corio il dirsi da lui[2993] che
colla forza furono ricuperate quelle terre, adducendone per ragione
l'essere stato compreso il duca di Savoia nella pace di Lodi, come
collegato de' Veneziani e del re Alfonso. Però, secondo lui, il duca
Francesco riebbe le terre suddette solamente per un trattato amichevole
di accomodamento, sottoscritto nel dì 30 d'agosto di quest'anno, e
pubblicato dal suddetto signore Du Mont. Ma il Corio altro non fa
ne' racconti di questi tempi se non copiare il Simonetta, il quale
ne sapeva ben più del Guichenone, e scriveva ciò che accadeva a' suoi
giorni, e chiaramente parla della guerra suddetta: il che viene ancora
confermato, da Cristoforo da Soldo[2994], autore non parziale e vivente
in questi tempi. E però non è da dubitar d'essa guerra, a cui fu posto
fine coll'accordo sopraccennato. Intanto perciocchè il _re Alfonso_
stava renitente ad accettar la pace di Lodi, i Fiorentini e il duca di
Milano trattarono e conchiusero lega co' Veneziani nel dì 30 d'agosto
dell'anno presente, come apparisce dallo strumento riferito dal
suddetto signore Du Mont[2995]. Alla qual lega aderirono dipoi _Borso
d'Este_ duca di Modena e Reggio e signor di Ferrara, e i Bolognesi.
Fecero anche pace i Veneziani nell'aprile di quest'anno con _Maometto_
imperadore dei Turchi. Fu poi spedita la suddetta lega de' Veneziani e
principi menzionati, e portata dai respettivi ambasciatori alla corte
romana, acciocchè il pontefice Niccolò si adoperasse per ridurre alla
pace anche il re Alfonso, e farlo entrare nella lega medesima[2996].
Nè egli mancò dì inviare a Napoli con essi ambasciatori il cardinal
_Domenico Capranica_, uomo di gran destrezza ed abilità per somiglianti
affari.
NOTE:
[2985] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital. Manett., Vit. Nicolai V,
P. II, tom. 3 Rer. Ital.
[2986] Infessura, Diar., tom. eod. Raynaldus, Annal. Eccl.
[2987] Simonetta, Vita Francisci Sfortiae, lib. 23, tom. 21 Rer. Ital.
[2988] S. Antonin., Simonetta, Poggius, Cristoforo da Soldo ed altri.
[2989] Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Ital. Cristoforo da Soldo,
Istoria Bresciana, tom. 21 Rer. Italic.
[2990] Du Mont, Corp. Diplomat., tom. 3.
[2991] Simonetta, Vita Francisci Sfortiae, lib. 23, tom. 21 Rer. Ital.
[2992] Guichenon, Hist. de la Maison de Savoye.
[2993] Corio, Istor. di Milano.
[2994] Cristoforo da Soldo, Istor. Bresc., tom. 21 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCCLV. Indiz. III.
CALLISTO III papa 1.
FEDERIGO III imperadore 4.
Era già da gran tempo malconcio per la podagra e chiragra il buon
pontefice _Niccolò V_, e da qualche tempo ancora s'era familiarizzata
con questi malori la febbre[2997]. Non la durò egli in mezzo a tanti
nemici. Prima nondimeno di passare alla vera patria de' giusti, ebbe
la consolazione d'intendere ch'era riuscito al _cardinal Capranica_
d'indurre il _re Alfonso_ nel dì 26 di gennaio dell'anno presente a
ratificar la pace fatta in Lodi fra i Veneziani e il duca di Milano:
cosa tanto bramata e procurata da esso pontefice. Motivo di maggiore
allegrezza fu appresso l'avviso che lo stesso re era entrato nella
lega de' Veneziani, Fiorentini e duca di Milano: per la quale si potea
sperare unione di volontà e di forze per opporsi al torrente delle armi
turchesche, minaccianti oramai l'Italia. In essa lega ebbe luogo il
medesimo pontefice, ma dalla stessa Alfonso volle esclusi i Genovesi,
_Sigismondo de' Malatesti_ e _Astorre dei Manfredi_. Di questi suoi
maneggi non potè poi cogliere alcun frutto il pontefice[2998], perchè
nel dì 24 di marzo la morte il rapì, mentre egli facea dei preparamenti
di gente e di navi per inviarle in soccorso de' cristiani contra del
Turco. Sarà sempre in benedizione la memoria di questo insigne sommo
pastore della Chiesa di Dio, per averla egli governata con prudenza,
per essere stato pontefice disinteressato, lontano dal nepotismo,
limosiniere, amatore e promotor della pace e delle buone lettere, e per
le sue magnanime idee in tanti ornamenti accresciuti alle chiese e alla
città di Roma, de' quali così il Manetti che il Platina[2999] ci han
lasciata onorevol memoria; siccome ancora ultimamente l'abbate Giorgi
nella di lui Vita. Molto di più era egli per fare, e soprattutto avea
già disegnata la magnifica fabbrica della basilica vaticana; ma venne
la morte ad interrompere il filo de' suoi giorni e de' suoi pensieri.
Entrati i cardinali nel conclave, nel dì 8 d'aprile elessero papa
Alfonso Borgia Valenziano, vescovo della sua patria, uomo attempato, e
dottissimo nelle leggi civili e canoniche, il quale prese il nome di_
Callisto III_[3000]; nè tardò a mostrare un ardente zelo per far guerra
al Turco, con ispedire legati a tutti i regni della cristianità, sì per
movere i monarchi e principi a cotanto necessaria impresa, come ancora
per raccogliere danari e predicar dappertutto la crociata. Ma a così
bel mattino del novello pontefice vedremo che non corrispose la sera.
Dopo la pace e lega di sopra accennate s'avea oramai da godere
un'invidiabil quiete; nè questa sarebbe mancata, se _Jacopo Piccinino_
non l'avesse in qualche parte turbata[3001]. Era egli generale de'
Veneziani, che gli pagavano cento mila ducati l'anno. Non abbisognando
più il senato veneto di tanta spesa, ed essendo terminata la sua
condotta nel fine di febbraio, il cassarono, e ben volentieri,
per le innumerabili ribalderie de' suoi soldati, che ugualmente
trattavano nemici ed amici[3002]. In suo luogo fu creato generale
de' Veneziani _Bartolomeo Coleone_. Abbiamo scrittori, e massimamente
Porcello Napoletano[3003], che esaltano alle stelle questo Piccinino,
chiamandolo specialmente Fulmine della guerra. Nè può già mettersi
in dubbio che egli fosse uno dei più prodi guerrieri e condottieri
d'armi che s'avesse allora l'Italia; ma vero è altresì ch'egli fu poco
diverso dai capitani delle compagnie de' masnadieri, da noi veduti
nel precedente secolo. Viveva egli alle spese di chi non era suddito,
e si guadagnava l'amore de' soldati suoi con dare l'impunità a tutte
le ruberie e furfanterie, e a qualsivoglia altro loro eccesso. Ora il
Piccinino, licenziato dai Veneziani, si partì dai loro Stati, ed avendo
preso in sua compagnia _Matteo da Capoa_, formato un corpo di più di
tre mila cavalli e di mille fanti[3004], venne a Ferrara, dove grande
onore gli fu fatto dal _duca Borso_, perchè la politica insegnava di
non disgustare, anzi di aver per amici personaggi di tal fatta, che
andavano in traccia della buona ventura con forze da non isprezzare.
Nudriva Jacopo Piccinino speranza di far rivoltar Bologna[3005], città
già signoreggiata da Niccolò suo padre. Ma, preveduti per tempo i di
lui movimenti, il pontefice _Niccolò_, allora vivente, avea pregato
la danza; ma nello stesso tempo anche _Lodovico duca_ di Savoia, e
_Guglielmo_ fratello di _Giovanni marchese_ di Monferrato, dalla lor
parte mossero l'armi addosso agli Stati del medesimo duca. Similmente
il _re Alfonso_ spinse in Toscana contro i Fiorentini _Ferdinando
duca_ di Calabria suo figliuolo con otto mila cavalli e quattro mila
fanti. Per quel che riguarda i Veneziani, la guerra da lor fatta si
legge minutamente descritta da Porcello Napoletano nella Storia da
me data alla luce[2970]; autore a cui non manca l'adulazione, e che
si truova sempre coll'incensiere in mano per esaltare i fatti anche
menomi di _Jacopo Piccinino_, da lui appellato Scipione, e del conte
_Tiberto Brandolino_, capitani allora della repubblica, e valenti
senza dubbio nell'arte della guerra. Perchè niuna strepitosa impresa
fu fatta in questa guerra, dirò io in breve che l'armata veneta,
consistente in quindici mila cavalli e sei mila fanti, sotto il comando
di _Gentile da Lionessa_, passato l'Oglio, entrò in Geradadda, con
prender ivi varie castella, e fra gli altri Soncino, facendo scorrerie
dappertutto. Per levarli di là, il duca col marchese di Mantova entrò
coll'esercito suo nel Bresciano, e s'impadronì d'alcuni luoghi, il
più importante de' quali fu Pontevico. E perciocchè i Veneziani,
fatto un ponte sull'Adda, spedirono il _conte Carlo da Montone_ con
due mila cavalli per danneggiare il Lodigiano e Milanese, anche il
duca spedì colà _Alessandro Sforza_ signor di Pesaro suo fratello
con un buon corpo d'armati per difendere il paese. Ma venuto egli
alle mani con esso conte Carlo nel dì 25, oppure 20 di luglio[2971],
fu messo in rotta, e, perduti circa ottocento cavalli, se ne fuggì
a Lodi. Seguirono ancora varie scaramuccie ed incontri fra le due
nemiche armate che campeggiavano sul Bresciano[2972], ma senza
impegno o conseguenza degna di memoria. Per conto poi di Guglielmo di
Monferrato, con circa quattro mila cavalli e due mila fanti entrato
nell'Alessandrino, mosse anch'egli guerra al duca di Milano, ed occupò
la maggior parte di quel territorio. Ma nel suddetto dì 25, oppure 26
di luglio, essendo stato spedito contra di lui _Sagramoro da Parma_
con due mila cavalli, e verisimilmente anche con assai fanteria, gli
diede tal rotta con prigionia di molti e presa del bagaglio, che gran
tempo stette Guglielmo a rifar le penne. Fu anche in Toscana, siccome
dissi, guerra per la venuta di _Ferdinando duca_ di Calabria, inviato
dal _re Alfonso_ suo padre contra de' Fiorentini[2973]; ma neppure in
essa tali fatti si fecero che meritino luogo nella presente storia. Di
alcuni soli piccioli luoghi s'impadronì Ferdinando. Dall'altra parte
i Fiorentini, che aveano preso per lor generale _Sigismondo Malatesta_
signor di Rimini, e al lor soldo il signor di Cesena fratello di esso
Sigismondo, e _Taddeo de' Manfredi_ signore d'Imola, e _Michele da
Cotignola_ con altri capitani: i Fiorentini, dissi, misero insieme tale
armata, e la fecero così accortamente campeggiare, che tennero forte
contra l'armata napoletana, costringendola infine a cercar quartiere
d'inverno altrove, senza aver fatta conquista o combattimento di
qualche rilievo. Altrettanto fecero dal canto loro due nemiche armate
ch'erano sul Bresciano, giacchè i Veneziani, sfidati dal duca Francesco
sul principio di novembre ad una giornata campale, accettarono bensì
la sfida, e furono in ordinanza di battaglia; ma poi si ritirarono,
senza far altro, spargendo voce ch'esso duca non volle il giuoco.
Confessa Porcello ne' suoi Commentarli[2974], benchè parziale de'
Veneziani, che questi, e non già il duca di Milano, quei furono che
schivarono l'azzardo del fatto d'armi. Sapeano che la fortuna andava
troppo d'accordo col valore e colla militar maestria di Francesco
Sforza. In questi tempi il conte _Tiberto Brandolino_ valoroso
condottier d'armi, essendo terminata la sua condotta co' Veneziani,
passò colla sua gente, cioè con mille e ducento cavalli e cinquecento
fanti, al servigio del medesimo Sforza. Poco esatto si scorge Lorenzo
Bonincontro in iscrivendo[2975] sotto il presente anno, che venuti a
battaglia i Veneziani collo Sforza e con Lodovico marchese di Mantova,
rimasero sconfitti, ed essere restati prigioni in quel conflitto sette
mila cavalli, Giovanni de' Conti e molti altri capitani. Appartien
questo fatto all'anno seguente, e fu di gran lunga meno il danno de'
Veneziani.
NOTE:
[2959] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital. Ripalta, Annal. Placent.,
tom. 20 Rer. Ital.
[2960] Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Italic. Nauclerus, Platina,
et alii.
[2961] Cronica di Ferrara, tom. 24 Rer. Ital.
[2962] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
[2963] S. Antonin., P. III, tit. 22.
[2964] Infessur., Diar., P. II, tom. 3 Rer. Ital.
[2965] Æneas Sylvius, Hist., lib. 4.
[2966] Raynaldus, Annal. Eccles.
[2967] Cronica di Ferrara, tom. 24 Rer. Ital.
[2968] Nauclerus, Histor. Æneas Sylvius, Hist. Austr.
[2969] Sanuto, Ist. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
[2970] Porcell., Comment., tom. 20 Rer. Ital.
[2971] Cristoforo da Soldo, Istoria Bresciana, tom. 21 Rer. Ital.
Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 21, tom. eod.
[2972] Ripalta, Annal. Placent., tom. 20 Rer. Ital.
[2973] Ammirat., Istoria Fiorentina, lib. 22.
[2974] Porcelli, Comment., lib. 8, tom. 20 Rer. Italic.
[2975] Bonincontrus, Annal., tom. 21 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCCLIII. Indiz. I.
NICCOLÒ V papa 7.
FEDERIGO III imperadore 2.
Tuttochè _Francesco Sforza_ fosse quel grande eroe che convien
confessarlo, e già signoreggiasse tutto il ducato di Milano, pure si
trovava in istato da non poter competere nè durarla lungo tempo colla
superior potenza della repubblica veneta, sì perchè troppo indebolito
a lui pervenne lo Stato di Milano, e sì perchè nel medesimo tempo gli
conveniva sostener la guerra anche contra _Lodovico_ duca di Savoia, e
contra di _Guglielmo di Monferrato_. Anche i signori di Correggio dal
canto loro faceano guerra agli Stati di Parma e di Mantova. Unitamente
dunque tanto egli come i Fiorentini[2976] si rivolsero a _Carlo VII
re_ di Francia, pregandolo d'aiuto, e fecero gli occorrenti maneggi per
tirare in Italia _Renato duca di Angiò_ e di Lorena, che tuttavia usava
il titolo di re di Sicilia, facendogli credere che, sbrigati dalla
guerra co' Veneziani, l'aiuterebbono colle loro armi a conquistare il
regno, ed intanto annualmente gli pagherebbono cento venti mila fiorini
d'oro. Accettò egli il partito, obbligandosi di calare in Italia con
due mila e quattrocento cavalli. Mentre si trattava di questo affare,
sul principio di gennaio[2977], vollero i Veneziani, non ostante il
rigore del verno, fare una spedizione contro il marchese di Mantova,
per torgli Castiglione delle Stiviere. E in effetto essendo deputato
a questa impresa _Jacopo Piccinino_, dopo varii assalti che costarono
la vita a parecchie centinaia di persone, costrinsero quella terra a
rendersi, salva la roba e le persone. Ma non fu a quel misero popolo
mantenuta la fede. Andò a sacco tutta la terra; gran bottino vi fu
fatto, e niun riguardo fu avuto all'onore delle donne, con vituperio
grave di chi permise tanta infedeltà e barbarie. Venuto il marzo,
acquistarono essi Veneziani alcune castella; ma sotto Manerbe toccò
a _Gentile da Lionessa_ loro generale una ferita, per cui nel dì 15
d'aprile cessò di vivere. Fu dato il bastone del comando di quella
armata a _Jacopo Piccinino_, personaggio che dopo Francesco Sforza era
in questi tempi il più prode, attivo ed accorto condottieri d'armi.
S'impadronirono le armi venete di alcune altre castella, con ricuperar
anche Pontevico. Per l'uscita in campagna del duca di Milano, che
tornò sul Bresciano, cessarono le lor conquiste. Intanto i Veneziani,
per aderire alle brame di _Carlo da Gonzaga_, voglioso di ricuperar
alcune sue castella toltegli dal marchese di Mantova suo fratello,
gli diedero tre mila cavalli con cinquecento fanti. Dalla parte del
Veronese entrò egli nel Mantovano, e faceva già dei progressi, quando
nel dì 15 di giugno il marchese, assistito da _Tiberto Brandolino_,
il venne a trovare, e fu con lui alle mani. L'aspra e dura battaglia
durò cinque ore, e finì colla sconfitta di Carlo e de' Veneziani, che
vi lasciarono più di mille cavalli ed alcuni capi di squadre. Andò
in questo mentre il duca di Milano all'assedio di Gedo ossia Gaido,
e tanto vi stette sotto, che se ne impadronì. Diedero anche le sue
genti sotto Castiglione una buona percossa a quattro mila nemici nel
dì 15 d'agosto. Avea ne' medesimi tempi Ferdinando duca di Calabria,
per ordine del re Alfonso suo padre, riaccesa la guerra in Toscana, ma
con far pochi fatti[2978]. I Fiorentini colle loro genti il teneano
corto, e ripigliarono alcuni lor luoghi ancora. Perchè il duca di
Milano abbisognava forte di danaro, avea mandato in loro aiuto il conte
Alessandro suo fratello con due mila persone, e da loro avea ricavato
ottanta mila fiorini d'oro.
Ma eccoti la dolorosa nuova che Maometto II imperador de' Turchi,
il quale nell'anno precedente avea messo l'assedio all'imperiale
città di Costantinopoli, nel presente con un furioso assalto dato
nel dì 29 di maggio[2979] se ne era impadronito, con tagliare a pezzi
_Costantino Paleologo_ ultimo imperadore dei Greci, e più di quaranta
mila cristiani, con profanar tutte le chiese, e commettere i più
orridi eccessi che si usano in tali congiunture, e massimamente dai
Barbari. Tutto con perpetua infamia del nome cristiano e de' principi
del cristianesimo d'allora, solamente applicati a scannarsi l'un
l'altro: del qual fatto parvero nella opinione del mondo spezialmente
rei il re Alfonso e i Veneziani, che, più degli altri a portata di
soccorrere i miseri Greci, amarono piuttosto di far guerra in Italia
a chi desiderava la pace. Ed ebbero bene a pentirsene gli stessi
Veneziani, perchè molti lor nobili e mercatanti rimasero involti in
quella sì deplorabil rovina, e peggio dipoi loro avvenne. Ora trafisse
il cuore d'ognuno, e principalmente di papa _Niccolò V_, questa al
maggior segno funesta e lagrimevole nuova, sì per la perdita di così
nobile e importante città, come ancora per le sue pessime conseguenze,
le quali poco si stette a provarle; perchè i Turchi tolsero Pera a'
Genovesi, e cominciarono a stendere le lor conquiste pel mare Egeo con
danno gravissimo ed incredibil terrore degli altri popoli cristiani.
Allora fu che il pontefice[2980] piucchè mai accese il suo zelo per
ismorzare in Italia, Germania ed Ungheria l'incendio delle guerre;
e spedì a Venezia, a Milano, a Genova e a Firenze, acciocchè ognuno
inviasse ambasciatori a Roma per trattar della pace, minacciando
la scomunica a chiunque ripugnasse ad opera di tanto bisogno per la
cristianità. Allo stesso fine scrisse caldissime lettere agli altri re
e principi cristiani, sollecitando tutti a prestar aiuti per ricuperar
Costantinopoli (cosa per altro oramai disperata), o per impedire
gl'imminenti progressi de' Maomettani.
Spedirono bensì i principi d'Italia i lor ministri alla corte
pontifizia; ma intanto si continuò a guerreggiare fra loro. S'era
provato il _re Renato_ di passar le Alpi con circa tre mila e
cinquecento cavalli; gli si oppose _Lodovico duca_ di Savoia[2981].
Costretto a passar egli per mare a Ventimiglia, e poscia ad Asti, tanto
fece, che _Lodovico delfino_ di Francia prese l'armi in suo favore, ed
obbligò il duca di Savoia, benchè suocero suo, a lasciar passare la di
lui gente nel mese di settembre. Giunto il re Renato in Monferrato, la
prima impresa che fece, fu quella di pacificare _Guglielmo_, fratello
di quel marchese, col _duca Francesco_: nel qual tempo _Bartolomeo
Coleone_ spedito dal duca occupò il borgo e la rocca di San Martino nel
cuore del Monferrato. S'interpose dunque Renato, ed operò che _Giovanni
marchese_ e _Guglielmo_ suo fratello compromettessero in lui tutte le
differenze fra loro e Francesco duca di Milano. Il compromesso del
dì 15 di settembre è rapportato da Benvenuto da San Giorgio[2982].
Così cessò in quelle parti la guerra, e lo Sforza richiamò di là
quattro mila combattenti, che vennero a rinforzar la sua armata
sul Bresciano. Giunse colà dipoi anche lo stesso Renato co' suoi; e
ingagliardito colla giunta di tante brigate l'esercito sforzesco, nel
dì 16 d'ottobre andò all'assedio di Pontevico[2983]. Per forza fu presa
quella terra nel dì 19 dagl'Italiani, che le diedero tosto il sacco.
V'entrarono susseguentemente anche le genti del re Renato, e vedendo
già sparecchiata la tavola, cominciarono ad infierir contra di que'
poveri abitanti, ammazzando uomini, donne e fanciulli. Erano i Franzesi
d'allora gli stessi che quei d'oggidì per quel che riguarda l'amore
dei piaceri, divertimenti e gozzoviglie; e però, giunte a Milano le
squadre di Renato, dove trovarono delizie, non sapeano più partirsene.
Ma diversi per altro conto da quei d'oggidì erano i Franzesi d'allora,
perchè crudeli oltre modo e di maniere turchesche nel far la guerra,
non volendo dar quartiere ai vinti che lo chiedevano, e commettendo
altre simili barbarie: laddove gl'Italiani di questi tempi non
solamente davano quartiere, ma, spogliati che aveano i prigionieri,
siccome altrove ho detto, li lasciavano andar con Dio. Della cristiana
moderazion de' Franzesi d'oggidì l'Italia e la Germania ha veduto
frequenti gli esempli anche a' dì nostri. Ma così orrida crudeltà usata
dai Franzesi suddetti, la maggior parte Piccardi, sparse un tal terrore
per le terre ubbidienti ai Veneziani[2984], che mandavano innanzi
le chiavi senza voler aspettare l'arrivo dell'esercito sforzesco.
Caravaggio, Triviglio e tutta la Geradadda, a riserva di Soncino e
Romanengo, tornarono in potere dello Sforza. Così in poco tempo quasi
tutta la pianura del Bresciano si sottomise alle di lui armi. Roado,
Palazzuolo, Chiari, Pontoglio, Martinengo, Manerbe, ed assaissime altre
terre e molta parte della pianura di Bergamo vennero alla divozion
del duca di Milano. Posto poi l'assedio agli Orci Nuovi, nel dì 12
di novembre, lo sforzò egli nel dì 22 alla resa, e Soncino anch'esso
tornò alle sue mani. A tanti progressi contribuì non poco l'essersi
precipitosamente ritirata a Brescia l'armata veneta per trovarsi troppo
inferiore di forze alla nemica. Così terminò la campagna dell'anno
presente, e le soldatesche furono distribuite a' quartieri d'inverno.
Avea il pontefice Niccolò mandato a' confini in Bologna _Stefano
Porcaro_ nobile romano per sospetti del suo umor torbido[2985]. Tramò
costui una congiura con alcuni Romani contro la vita e lo Stato dello
stesso papa; e nella festa di santo Stefano dell'anno precedente si
partì all'improvviso da Bologna senza licenza del _cardinal Bessarione_
legato di quella città. Con tutta fretta ne spedì il cardinale per un
corriere l'avviso al papa, il quale, avendo tosto messe buone spie in
campo[2986], fece, nella vigilia dell'Epifania, prendere esso Porcaro
in casa sua con alquanti de' suoi partigiani che già erano in armi.
Formato il suo processo, fu, nel dì 9 di gennaio, impiccato per la
gola. Soggiacquero alla medesima pena altri de' suoi congiurati,
ed altri furono banditi. Intenzion di costoro era di ridurre Roma
all'antica sua libertà. Ma per un papa che facea tanto di bene a Roma,
fa tanto più orrore un così nero attentato.
NOTE:
[2976] Ammirati, Istor. di Firenze, lib. 22. Simonetta, Vita Francisci
Sfortiae, lib. 21, tom. 21 Rer. Ital. Poggius, et alii.
[2977] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital. Cristoforo da Soldo,
Istor. Bresc., tom. 21 Rer. Ital. Porcell., Comment., tom. 20 Rer.
Ital.
[2978] Ammirati, Istor. Fiorent., lib. 22.
[2979] Naucler. Chalcondyla, Phrantz. Æneas Sylvius et alii.
[2980] Raynaldus, Annal. Eccles.
[2981] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 23, tom. 21 Rer. Ital.
[2982] Benvenuto da San Giorgio, Istoria del Monferrato, tom. 23 Rer.
Ital.
[2983] Cristoforo da Soldo, Istor. Bresc., tom. 21 Rer. Ital.
[2984] Sanuto, Istor. Ven., tom. 21 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCCLIV. Indiz. II.
NICCOLÒ V papa 8.
FEDERIGO III imperadore 3.
Sul principio di quest'anno il vecchio _re Renato_, impazientatosi
(non ne sappiamo bene la vera cagione) della sua dimora in Italia,
si congedò dal duca di Milano[2987], e senza che si trovasse maniera
di ritenerlo, volle tornarsene colle sue genti in Francia, datogli
il passo da _Lodovico duca_ di Savoia. Lasciò in Italia _Giovanni_
suo figliuolo, che portava il titolo vano di duca di Calabria,
giacchè i Fiorentini il voleano per loro capitano, affin di opporre
questo principe angioino ad _Alfonso re_ di Napoli. Con tutti poi
gli uffizii premurosi adoperati dal papa per intavolar la pace fra
le potenze guerreggianti in Italia, niun buon successo fin qui avea
avuto il suo zelo per colpa d'esso re Alfonso, il quale guastava
tutto e si opponeva ad ogni onesta proposizione. Ma Iddio dispose
che un semplice frate divenisse lo strumento di sì bella impresa,
e la conducesse a fine[2988]. Fu questi fra Simonetto da Camerino
dell'ordine di Sant'Agostino, religioso dabbene, abitante allora e
ben voluto in Venezia, che, mosso dal suo buon genio, o piuttosto
da segreta insinuazione dei saggi Veneziani, andò più d'una volta a
Milano, proponendo la pace a quel duca, e riferendo a Venezia quel che
occorreva. Erano stanchi di quella guerra i Veneziani, e maggiormente
poi per la perdita di tanto paese nel Bresciano e Bergamasco: nel
qual tempo ancora, per attestato di Cristoforo da Soldo, il conte
_Jacopo Piccinino_ lor generale, alloggiato con grosso corpo di gente
in Salò, lasciò divorar dalle sue soldatesche tutta quella Riviera e
Lonado, e commettere ruberie e disonestà senza numero. Si aggiugneva
la paura della potenza turchesca, accresciuta a dismisura dopo la
presa di Costantinopoli e d'altri paesi cristiani. Dall'altro canto
_Francesco Sforza_ duca di Milano si sentiva troppo smunto per la
guerra suddetta, penuriando spezialmente di pecunia, cioè dall'alimento
più necessario a chi vuol mantener armate. Gli pungeva anche il cuore
l'essere sul principio di marzo passato dal suo servigio a quel de'
Veneziani _Bartolomeo Coleone_, insigne capitano di questi tempi,
colle sue squadre. Però, trovata questa buona disposizione in amendue
le parti, il religioso predetto con segretezza e prudenza dispose
un buon concerto per la concordia. Il duca di Milano onoratamente
confidò ai Fiorentini suoi collegati ogni progetto, i quali, inviato
colà Diotisalvi Neroni, accudirono anch'essi al trattato. Ma i
Veneziani, irritati contra del _re Alfonso_, per aver egli colle sue
ripugnanze ad ogni accordo ridotti gli ambasciatori a partirsi di
Roma senza conchiusione, non gli vollero far confidenza alcuna de'
loro particolari maneggi. Perchè non pareva allo Sforza fra Simonetto
bastante a sì grande affare (forse non doveva egli avere per sì grande
opera mandato autentico), la repubblica veneta spedì con esso lui
_Paolo Barbo_ cavaliere[2989], che, travestito da frate minore, si
portò a Lodi a trattarne colle facoltà occorrenti. Fu dunque nel dì 9
d'aprile in essa città di Lodi sottoscritta la pace fra i Veneziani e
il duca di Milano, con lasciar luogo ad entrarvi al re, a' Genovesi, al
marchese di Mantova e ad altri collegati[2990]. Ritenne in questa pace
il duca la Geradadda, e restituì a' Veneziani tutto quanto avea preso
nel Bresciano e Bergamasco. Il marchese rendè a _Carlo Gonzaga_ suo
fratello le castella che gli avea tolto. Per un articolo segreto restò
in libertà il duca di ricuperar per amore o per forza le castella a lui
occupate durante la suddetta guerra da _Lodovico duca_ di Savoia, da
_Giovanni marchese_ di Monferrato e da _Guglielmo_ suo fratello, e le
tolte dai Correggeschi al marchese di Mantova.
Sdegnato il _re Alfonso_ contro de' Veneziani, perchè, senza curar di
lui, si fossero accordati collo Sforza, ricusò per un pezzo d'accettar
quella pace. Vi si accomodò, come la necessità portava, il marchese di
Mantova. Ma perchè era succeduto ai Correggeschi, al Monferrino e al
Savoiardo quello ch'è intervenuto in altri tempi; cioè che i Veneziani
aveano pensato più ai proprii che agli altrui interessi[2991]; lo
Sforza, poco dopo la pace, spedì Tiberto Brandolino colle sue armi
contra di loro, e gli obbligò a rendere il mal tolto: cioè passò
Tiberio contra de' Monferrini, e si fece rendere varie terre pervenute
alle lor mani. La concordia stabilita fra loro nel dì 17 di luglio
si legge nel Corpo Diplomatico del signore Du Mont. Contro al duca di
Savoia furono medesimamente inviati da una parte esso Brandolino, e da
un'altra _Roberto da San Severino_, i quali cominciarono a stendere
le loro scorrerie sino a Vercelli. Nel termine di tre giorni fece sì
buon effetto il terrore delle lor armi, che tornarono alla divozion
del duca Bassignana, Biandrate, Valenza, Bremide e tutti gli altri
luoghi occupati nel Pavese e Novarese. Borgo di Sesia fu assediato, e
costretto alla resa. Pertanto si sollecitò _Lodovico duca_ di Savoia
ad inviar ambasciatori per chiedere accordo. Questo fu stabilito,
e il fiume Sesia fu da lì innanzi il confine dei loro Stati. Il
Guichenone[2992] (io non so come) non ha avuta difficoltà a negare,
che Francesco Sforza facesse per questo guerra al duca di Savoia,
e giugne a chiamare adulazione del Corio il dirsi da lui[2993] che
colla forza furono ricuperate quelle terre, adducendone per ragione
l'essere stato compreso il duca di Savoia nella pace di Lodi, come
collegato de' Veneziani e del re Alfonso. Però, secondo lui, il duca
Francesco riebbe le terre suddette solamente per un trattato amichevole
di accomodamento, sottoscritto nel dì 30 d'agosto di quest'anno, e
pubblicato dal suddetto signore Du Mont. Ma il Corio altro non fa
ne' racconti di questi tempi se non copiare il Simonetta, il quale
ne sapeva ben più del Guichenone, e scriveva ciò che accadeva a' suoi
giorni, e chiaramente parla della guerra suddetta: il che viene ancora
confermato, da Cristoforo da Soldo[2994], autore non parziale e vivente
in questi tempi. E però non è da dubitar d'essa guerra, a cui fu posto
fine coll'accordo sopraccennato. Intanto perciocchè il _re Alfonso_
stava renitente ad accettar la pace di Lodi, i Fiorentini e il duca di
Milano trattarono e conchiusero lega co' Veneziani nel dì 30 d'agosto
dell'anno presente, come apparisce dallo strumento riferito dal
suddetto signore Du Mont[2995]. Alla qual lega aderirono dipoi _Borso
d'Este_ duca di Modena e Reggio e signor di Ferrara, e i Bolognesi.
Fecero anche pace i Veneziani nell'aprile di quest'anno con _Maometto_
imperadore dei Turchi. Fu poi spedita la suddetta lega de' Veneziani e
principi menzionati, e portata dai respettivi ambasciatori alla corte
romana, acciocchè il pontefice Niccolò si adoperasse per ridurre alla
pace anche il re Alfonso, e farlo entrare nella lega medesima[2996].
Nè egli mancò dì inviare a Napoli con essi ambasciatori il cardinal
_Domenico Capranica_, uomo di gran destrezza ed abilità per somiglianti
affari.
NOTE:
[2985] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital. Manett., Vit. Nicolai V,
P. II, tom. 3 Rer. Ital.
[2986] Infessura, Diar., tom. eod. Raynaldus, Annal. Eccl.
[2987] Simonetta, Vita Francisci Sfortiae, lib. 23, tom. 21 Rer. Ital.
[2988] S. Antonin., Simonetta, Poggius, Cristoforo da Soldo ed altri.
[2989] Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Ital. Cristoforo da Soldo,
Istoria Bresciana, tom. 21 Rer. Italic.
[2990] Du Mont, Corp. Diplomat., tom. 3.
[2991] Simonetta, Vita Francisci Sfortiae, lib. 23, tom. 21 Rer. Ital.
[2992] Guichenon, Hist. de la Maison de Savoye.
[2993] Corio, Istor. di Milano.
[2994] Cristoforo da Soldo, Istor. Bresc., tom. 21 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCCLV. Indiz. III.
CALLISTO III papa 1.
FEDERIGO III imperadore 4.
Era già da gran tempo malconcio per la podagra e chiragra il buon
pontefice _Niccolò V_, e da qualche tempo ancora s'era familiarizzata
con questi malori la febbre[2997]. Non la durò egli in mezzo a tanti
nemici. Prima nondimeno di passare alla vera patria de' giusti, ebbe
la consolazione d'intendere ch'era riuscito al _cardinal Capranica_
d'indurre il _re Alfonso_ nel dì 26 di gennaio dell'anno presente a
ratificar la pace fatta in Lodi fra i Veneziani e il duca di Milano:
cosa tanto bramata e procurata da esso pontefice. Motivo di maggiore
allegrezza fu appresso l'avviso che lo stesso re era entrato nella
lega de' Veneziani, Fiorentini e duca di Milano: per la quale si potea
sperare unione di volontà e di forze per opporsi al torrente delle armi
turchesche, minaccianti oramai l'Italia. In essa lega ebbe luogo il
medesimo pontefice, ma dalla stessa Alfonso volle esclusi i Genovesi,
_Sigismondo de' Malatesti_ e _Astorre dei Manfredi_. Di questi suoi
maneggi non potè poi cogliere alcun frutto il pontefice[2998], perchè
nel dì 24 di marzo la morte il rapì, mentre egli facea dei preparamenti
di gente e di navi per inviarle in soccorso de' cristiani contra del
Turco. Sarà sempre in benedizione la memoria di questo insigne sommo
pastore della Chiesa di Dio, per averla egli governata con prudenza,
per essere stato pontefice disinteressato, lontano dal nepotismo,
limosiniere, amatore e promotor della pace e delle buone lettere, e per
le sue magnanime idee in tanti ornamenti accresciuti alle chiese e alla
città di Roma, de' quali così il Manetti che il Platina[2999] ci han
lasciata onorevol memoria; siccome ancora ultimamente l'abbate Giorgi
nella di lui Vita. Molto di più era egli per fare, e soprattutto avea
già disegnata la magnifica fabbrica della basilica vaticana; ma venne
la morte ad interrompere il filo de' suoi giorni e de' suoi pensieri.
Entrati i cardinali nel conclave, nel dì 8 d'aprile elessero papa
Alfonso Borgia Valenziano, vescovo della sua patria, uomo attempato, e
dottissimo nelle leggi civili e canoniche, il quale prese il nome di_
Callisto III_[3000]; nè tardò a mostrare un ardente zelo per far guerra
al Turco, con ispedire legati a tutti i regni della cristianità, sì per
movere i monarchi e principi a cotanto necessaria impresa, come ancora
per raccogliere danari e predicar dappertutto la crociata. Ma a così
bel mattino del novello pontefice vedremo che non corrispose la sera.
Dopo la pace e lega di sopra accennate s'avea oramai da godere
un'invidiabil quiete; nè questa sarebbe mancata, se _Jacopo Piccinino_
non l'avesse in qualche parte turbata[3001]. Era egli generale de'
Veneziani, che gli pagavano cento mila ducati l'anno. Non abbisognando
più il senato veneto di tanta spesa, ed essendo terminata la sua
condotta nel fine di febbraio, il cassarono, e ben volentieri,
per le innumerabili ribalderie de' suoi soldati, che ugualmente
trattavano nemici ed amici[3002]. In suo luogo fu creato generale
de' Veneziani _Bartolomeo Coleone_. Abbiamo scrittori, e massimamente
Porcello Napoletano[3003], che esaltano alle stelle questo Piccinino,
chiamandolo specialmente Fulmine della guerra. Nè può già mettersi
in dubbio che egli fosse uno dei più prodi guerrieri e condottieri
d'armi che s'avesse allora l'Italia; ma vero è altresì ch'egli fu poco
diverso dai capitani delle compagnie de' masnadieri, da noi veduti
nel precedente secolo. Viveva egli alle spese di chi non era suddito,
e si guadagnava l'amore de' soldati suoi con dare l'impunità a tutte
le ruberie e furfanterie, e a qualsivoglia altro loro eccesso. Ora il
Piccinino, licenziato dai Veneziani, si partì dai loro Stati, ed avendo
preso in sua compagnia _Matteo da Capoa_, formato un corpo di più di
tre mila cavalli e di mille fanti[3004], venne a Ferrara, dove grande
onore gli fu fatto dal _duca Borso_, perchè la politica insegnava di
non disgustare, anzi di aver per amici personaggi di tal fatta, che
andavano in traccia della buona ventura con forze da non isprezzare.
Nudriva Jacopo Piccinino speranza di far rivoltar Bologna[3005], città
già signoreggiata da Niccolò suo padre. Ma, preveduti per tempo i di
lui movimenti, il pontefice _Niccolò_, allora vivente, avea pregato
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