Annali d'Italia, vol. 5 - 85
tempo, volendo egli piuttosto esporsi ad ogni pericolo, che cedere al
concerto fatto dai Veneziani e Milanesi già uniti contra di lui, attese
ad affamar Milano, città allora mal provveduta di viveri, e trattò di
pace con _Lodovico duca_ di Savoia, cedendogli molle terre e castella
da lui occupate in quel di Pavia, Alessandria e Novara. Lo strumento
d'essa pace fu stipulato nel dì 20 di gennaio dell'anno seguente.
In questo mentre, avendo _Francesco Piccinino_ terminata sua vita in
Milano, nel dì 16 d'ottobre, _Jacopo_ suo fratello, che col tempo si
meritò il titolo di Fulmine della guerra, fu accettato da' Milanesi,
per comandare alle lor armi. Non finì l'anno presente, che nel dì 28
di dicembre lo Sforza mise in fuga il medesimo Jacopo e _Sigismondo
Malatesta_ generale de' Veneziani ne' monti di Brianza[2934], e fece
prigione non poca gente e molti loro uffiziali. Ebbe anche nel dì
13 di dicembre per danari la fortezza di Trezzo, acquisto di somma
importanza per lui. Insorse guerra nell'anno presente[2935] fra il _re
Alfonso_ e la _repubblica di Venezia_. La cagion fu che il re era in
collera co' Veneziani per la guerra da lor fatta allo Stato di Milano,
e bandì da' suoi regni la loro nazione. Perciò, formata da' Veneziani
un'armata di trenta galee e di sei navi, questa recò non pochi danni
ai legni d'Alfonso nel porto di Messina e in Siracusa. Intanto pareva
disposto esso re a venire con un'armata verso Milano. Entrò nell'anno
presente la moria in Roma[2936], e cominciò a farvi strage. Per paura
d'essa nel mese di giugno il pontefice _Niccolò V_ sen venne a Spoleti,
dove diedero fine alla lor vita molti dei suoi cortigiani. Andò poscia
a Tolentino, e quindi alla santa casa di Loreto, e finalmente a San
Severino. Nel dicembre ancora di quest'anno si sollevò il popolo di
Camerino diviso in due fazioni. Chi voleva la Chiesa, chi la casa
Varana. In fine gli ultimi prevalsero.
NOTE:
[2915] Simonetta, Vita Francisci Sfortiae, lib. 15, tom. 21 Rer. Ital.
[2916] Benvenuto da S. Giorgio, Istoria del Monferrato, tom. 23 Rer.
Ital.
[2917] Giustiniani, Istor. di Genova, lib. 5.
[2918] Raynaldus, Annal. Eccl. Labbe, Concil., tom. 13.
[2919] Guichenon, Hist. de la Maison de Savoye, tom. 1.
[2920] Bonincont., Annal., tom. 21 Rer. Ital.
[2921] Simonetta, Vita Francisci Sfortiae, lib. 15, tom. 21 Rer. Ital.
[2922] Annales Placentini, tom. 20 Rer. Ital.
[2923] Cristoforo da Soldo, Istoria Bresc., tom. 21 Rer. Ital.
[2924] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 17, tom. 21 Rer. Ital.
[2925] Cristoforo da Soldo, Istoria Bresciana, tom. 21 Rer. Ital.
[2926] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 18, tom. 21 Rer. Ital.
[2927] Ripalta, Annal. Placent., tom. 20 Rer. Ital.
[2928] Benvenuto da S. Giorgio. Istoria del Monferrato, tom. 23 Rer.
Ital.
[2929] Ripalta, Annal. Placent., tom. 20 Rer. Ital.
[2930] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, tom. 21 Rer. Ital.
[2931] Cristoforo da Soldo, Ist. Bresciana, tom. 21 Rer. Ital.
[2932] Ripalta, Histor. Placen., tom. 20 Rer. Ital.
[2933] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 21, tom. 21 Rer. Ital.
[2934] Ripalta, Annal. Placent., tom. 20 Rer. Ital.
[2935] Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCCL. Indizione XIII.
NICCOLÒ V papa 4.
FEDERIGO III re de' Romani 11.
Avea già il pontefice _Niccolò V_ invitati i fedeli al sacro giubileo,
che in quest'anno s'avea da tenere in Roma, e che fu in fatti
celebrato con insigne divozione e concorso di persone da tutti i regni
cristiani, al dispetto della pestilenza che regnava in Italia[2937].
Dopo il primo giubileo dell'anno 1300, forse non fu mai veduto sì
gran flusso e riflusso di gente in Roma, di modo che le strade maestre
d'Italia pareano tante fiere. Accadde solamente una disavventura, che
in un certo giorno (l'Infessura dice[2938] nel dì 19 di dicembre,
e seco s'accorda l'autore della Cronica di Rimini[2939]) tornando
l'innumerabil popolo dalla benedizione del papa data in San Pietro, nel
passare per ponte Santo Angelo, a cagion dello strepito fatto da una
mula, divenne sì grande la calca, che quivi perirono più di ducento
persone, parte soffocate dalla folla, e parte cadute nel Tevere: del
che sommamente si afflisse il buon pontefice, il quale canonizzò in
quest'anno _Bernardino da Siena_. Di gran tesori lasciò la pietà de'
fedeli in Roma per l'occasione di questo giubileo, e d'essi poi si
servì il saggio papa, non già a far guerre, ma bensì a ristorar le
chiese, ad aiutare i poverelli, ed abbellir sempre più la bella città
di Roma. Adoperossi egli ancora con premura degna del suo sublime
e sacro carattere, affinchè si terminasse la guerra viva tra il _re
Alfonso_ e la _repubblica fiorentina_[2940]. Nè andarono a vuoto i suoi
maneggi, essendosi conchiusa la pace fra loro nel dì 29 di giugno,
per cui fu obbligato _Rinaldo Orsino_ signor di Piombino, che poi
morì in questo anno di peste, a pagar da lì innanzi l'annuo tributo
di cinquecento fiorini d'oro ad esso Alfonso. Nel dì 2 di luglio ebbe
anche fine la discordia del medesimo re coi Veneziani[2941], essendosi,
per opera del _marchese Lionello_ signor di Ferrara, sottoscritta la
pace fra loro dai comuni ambasciatori concorsi alla medesima città
di Ferrara. Contribuirono molto a farla i cangiamenti delle cose di
Milano, de' quali parlerò fra poco. Sciolto così il re Alfonso dai
pensieri di guerra, si diede poi tutto ai piaceri, e ad una vita poco
convenevole alla sua saviezza. Fu questo l'ultimo anno della vita del
suddetto _marchese Lionello_, essendo egli stato rapito dalla morte
nel dì primo di ottobre nel suo delizioso palagio di Belriguardo;
principe d'immortale memoria, perchè, secondo la Cronica di Ferrara, fu
amatore della pace, della giustizia e della pietà, di vita onestissima,
studioso delle divine Scritture, liberale massimamente verso i poveri,
nelle avversità paziente, nelle prosperità moderato, e che con gran
sapienza governò e mantenne sempre quieti i suoi popoli, di modo che
si meritò il pregiatissimo nome di Padre della patria. A lui succedette
nel dominio di Ferrara, Modena, Reggio, Rovigo e Comacchio il _marchese
Borso_ suo fratello, che, quantunque illegittimo, fu anteposto ad
_Ercole_ e _Sigismondo_ suoi fratelli legittimi. Era generale de'
Veneziani _Sigismondo Malatesta_ signor di Rimini. Fu cassato in
quest'anno pei suoi demeriti. Fra le altre cose a lui fu attribuito
il rapimento seguito in Verona di bellissima donna nobile tedesca,
che con accompagnamento degno della sua condizione passava per quella
città andando al giubileo di Roma. Piuttostochè consentire alle voglie
libidinose di chi la rapì, si lasciò ella uccidere: caso che fece gran
rumore per tutta Italia. S'egli veramente fosse reo di tale eccesso
non saprei dirlo, perchè, per quanta inquisizione ne facessero i savii
Veneziani, non si potè scoprirne l'autore. Certo è che la voce comune
addossò ad esso Malatesta questa iniquità, e ne parlano fino i Giornali
di Napoli. In sì cattivo concetto era esso Malatesta, che se non fu,
certamente degno era d'essere creduto reo di tanta scelleraggine.
Per tutto il mese di gennaio e di buona parte del febbraio dell'anno
presente[2942] consisterono le diligenze dello invitto conte _Francesco
Sforza_ in sempre più angustiare la bloccata città di Milano, e in ben
disporre le cose, acciocchè l'armata veneta, da cui continuamente i
Milanesi imploravano soccorso, non giugnesse a condurvi vettovaglie.
Crebbe perciò a dismisura la fame in quella gran città, con essersi
ridotti i poveri a mangiar cavalli, cani, gatti, sorci, e in fin
l'erbe, cioè ad ingoiare per un altro verso la morte, che cercavano
dì fuggire. Se usciva gente per ricoverarsi altrove, ordine v'era ai
capitani dello Sforza di ricacciar ognuno in città. Intanto i rettori,
con belle speranze di presto aiuto, lusingavano il languente popolo,
e veramente Sigismondo, generale allora de' Veneziani, era in qualche
movimento alla volta di Milano. Ma questo soccorso dovea venire, e
mai non veniva. Però nel dì 23 di febbraio _Gasparo da Vimercato_
mosse a rumore qualche cinquecento uomini della plebe, che con alte
grida andarono al pubblico palazzo, da dove furono respinti. Tornati
colà in maggior numero, ed uscito _Leonardo Veniero_ ambasciatore
de' Veneziani, che finora avea confortati i Milanesi a star saldi,
con mettersi a sgridare e minacciare i sediziosi, immediatamente
fu dal furioso popolo tagliato a pezzi[2943]. A questo spettacolo
fuggirono tosto i reggenti; ed essendo restati padroni del palazzo
gli ammutinati, che a vista d'occhio andavano crescendo, corsero ad
impadronirsi delle porte. Nel seguente dì 26 di febbraio, raunato
in Santa Maria della Scala il popolo, fu presa la determinazione
di chiamar per loro signore il _conte Francesco Sforza_, e gliene
fu incontanente spedito l'avviso a Vimercato, da dove egli stava
in procinto di muoversi contro l'armata veneta, la quale era in
moto. _Jacopo Piccinino_ colla sua gente avea preso servigio in
quell'esercito, dacchè vide la rivolta di Milano. Volevano i primarii
cittadini che si stabilisse prima una capitolazione; ma il conte
animato da' suoi benevoli, senza perdere tempo, marciò alla volta
della città; e benchè con qualche fatica, pure v'entrò, incontrato
fuori d'essa da copiosissimo popolo, ed accolto dentro dagli altri,
tutti gridando: _Sforza, Sforza, viva il conte Francesco_. Andò prima
a ringraziar Dio nella metropolitana, prese il possesso delle fortezze
e delle porte, e, lasciato _Carlo da Gonzaga_ al governo della città
con buoni regolamenti per la quiete del popolo se ne tornò tosto a
Vicomercato per vegliare agli andamenti dell'esercito veneto. Nello
stesso tempo spedì ordini a tutte le città circonvicine, affinchè
provvedessero di viveri l'affamato popolo di Milano: il che fu sì
puntualmente eseguito, che in meno di tre dì abbondò la grascia in
Milano, come se mai non vi fosse stato assedio, _Sigismondo Malatesta_
appena ebbe intesa questa mutazion di cose, che se ne tornò di là
dall'Adda, e fece tosto rompere il ponte. Da lì a due giorni Como,
Monza e Bellinzona, terre state fin qui forti nel partito della
repubblica di Milano, mandarono a prestar ubbidienza allo Sforza.
Venuta poi la festa dell'Annunziazion della Vergine, cioè il dì
25 di marzo (che non so come vien detto dal Simonetta[2944] _sexto
kalendas aprilis_, e Cristoforo da Soldo[2945] scrive che fu nel dì 22
di marzo), fece questo gran capitano insieme colla consorte _Bianca
Visconte_, e co' figliuoli _Galeazzo Maria_ ed _Alessandro_, la sua
magnifica entrata nella città di Milano, e fu acclamato duca di Milano.
Per molti giorni durarono le giostre, le danze, i conviti e le altre
feste per la di lui assunzione; e da tutti i principi d'Italia vennero
a lui ambascerie per congratularsi, fuorchè dal _re Alfonso_ e da'
_Veneziani_. Rallegraronsi principalmente del di lui innalzamento
i Fiorentini, perchè vedeano di mal occhio il tentativo fatto dai
Veneziani per assorbire la Lombardia. Ed allora spirò ogni loro
amistà con essi Veneziani, tanto più che in Venezia furono posti nuovi
aggravii ai mercanti fiorentini, e si venne dipoi a sapere che essi
Veneziani erano entrati in lega col _re Alfonso_, il cui odio contra
de' Fiorentini non mai si estinse.
Poco indugiò Francesco duca di Milano ad ordinare che si rimettesse in
piedi il castello di porta Zobbia, già demolito dal popolo milanese,
e teneva continuamente quattro mila persone impiegate in quel lavoro.
Stava tuttavia prigione in Pavia _Guglielmo_ fratello di _Giovanni
marchese_ di Monferrato. Se volle riavere la libertà, gli convenne, nel
dì 26 di maggio, venire ad una capitolazione, rapportata da Benvenuto
da San Giorgio[2946], in cui cedette alle sue ragioni sopra la città
d'Alessandria e suo territorio, a riserva del Bosco e d'alcune altre
castella pervenute alle mani di suo fratello. Di queste poche avea
egli da essere padrone, con obbligarsi ancora lo Sforza di pagargli
annualmente due mila ducati, ossieno fiorini d'oro, in contraccambio
dell'entrate ch'egli perdeva di Alessandria. Uscito di prigione, andò a
Lodi, dove ratificò la convenzione; ma non sì tosto fu in libertà, che,
giunto in Monferrato a dì 7 di giugno, giuridicamente protestò contro
quello accordo, fatto, secondo lui, per minaccie e paura. Similmente
nel dì 15 di novembre il duca Francesco ordinò che fosse ritenuto
prigione _Carlo da Gonzaga_, altro condottier d'armi, dal quale era
stato assistito non poco nella conquista di Milano. Il Simonetta[2947],
che sa dare, secondo l'uso degli storici parziali, un bel colore a
tutte le azioni del suo eroe, scrive che per avere lo Sforza fermata
lega con _Lodovico marchese_ di Mantova, e stabilito il matrimonio del
suo primogenito _Galeazzo Maria_ con una figliuola d'esso marchese,
Carlo, siccome nemico del fratello, se l'ebbe tanto a male, che
cominciò a sollecitare i Veneziani alla guerra, con intenzione di
passare nella loro armata. Accertato di ciò il duca, lo imprigionò;
ma che fra pochi giorni, per le preghiere del marchese suo fratello,
il rilasciò, con obbligarlo nondimeno a cedere Tortona, di cui dianzi
avea avuto il dominio. Verisimilmente si dovette allora sospettare
che lo Sforza, allorchè ebbe bisogno pe' suoi affari de' suddetti due
capitani, accordasse loro tutto quel che richiesero, per toglierlo poi
loro, cessato il bisogno. Comunque sia, tace il Simonetta che Carlo, se
volle la libertà, fu, oltre alla cession di Tortona[2948], costretto a
pagare sessanta mila fiorini di oro (del che ho io addotte altrove le
pruove[2949]), e fu confinato in Lomellina. Certo è poi ch'egli ruppe
i confini, e, passato a Venezia, si acconciò con quella repubblica
contra del marchese suo fratello, di cui seguitò ad essere nemico.
Forse anche lo Sforza e il marchese andaron d'accordo in abbatterlo e
ridurlo alla disperazione. Alla fame poi patita dal popolo di Milano,
secondo il solito, tenne dietro la pestilenza in quest'anno; e questa
gravissima, perchè, se crediamo al Sanuto[2950], nella sola città di
Milano perirono sessanta mila persone. In Piacenza pochi restarono
in vita. Si stese ancora questo malore per quasi tutta la Italia:
cosa troppo facile, dacchè tanta gente era in moto per cagion del
giubileo. Fu anche in Roma; laonde il pontefice, per isfuggirne la
rabbia, fu di nuovo forzato a ritirarsi, nel dì 18 di giugno[2951], e
venne a Spoleti, poscia a Foligno e Fabriano. Colà nel dì 26 d'agosto
ito a trovarlo _Sigismondo Malatesta_ signore di Rimini[2952], fu
onorato e regalato dal papa, ed ottenne che fossero legittimati i
due suoi figliuoli bastardi _Roberto_ e _Malatesta_. Tante volte s'è
parlato dell'instabilità di Genova, città allora troppo amante di
mutar padrone. In quest'anno ancora, correndo il mese di luglio, fu
deposto dal governo il doge _Lodovico da Campofregoso_[2953]. Spedì
il popolo a Sarzana a richiamare _Tommaso da Campofregoso_, già stato
doge; ma, scusatosi egli per la troppa avanzata età, consigliò che
eleggessero doge _Pietro_ suo nipote: lo che fu eseguito nel dì 8
di dicembre. Del resto non fu in quest'anno nè pace nè guerra fra la
repubblica di Venezia e Francesco duca di Milano. Ognuno d'essi avea
paura dell'altro. Temeva il duca la potenza e ricchezza maggiore de'
Veneziani; e i Veneziani stavano in riguardo pel singolar credito dello
Sforza nel mestier della guerra. Tuttavia, giacchè il duca non era ben
assodato nel nuovo dominio, i Veneziani andavano disponendo le cose per
fargli guerra.
NOTE:
[2936] Cronica di Rimini, tom. 15 Rer. Ital.
[2937] Raynaldus, Annal. Eccles. S. Anton., Vita Nicolai V, P. II, tom.
3 Rer. Ital.
[2938] Cristoforo da Soldo, Istor. Bresc., tom. 21 Rer. Ital.
[2939] Infessura, Diar., P. II, tom. 3 Rer. Ital.
[2940] Cronica di Rimini, tom. 15 Rer. Ital.
[2941] Ammirati, Istor. Fiorent., lib. 22. Giornal. Napolet., tom.
21 Rer. Ital. Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Ital. Cronica di
Ferrara, tom. 24 Rer. Italic.
[2942] Cristof. da Soldo, Istor. di Brescia, tom. 21 Rer. Ital.
Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 21, tom. 21 Rer. Ital.
[2943] Bonincontrus, Annal., tom. 21 Rer. Italic.
[2944] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 21, tom. 21 Rer. Ital.
[2945] Cristoforo da Soldo, Istor. di Brescia, tom. eod.
[2946] Benvenuto da San Giorgio, Istoria del Monferrato, tom. 23 Rer.
Ital.
[2947] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 22, tom. 21 Rer. Ital.
[2948] Cristoforo da Soldo, Istor. Bresc., tom. 21 Rer. Ital.
[2949] Antichità Estensi, P. II.
[2950] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
[2951] Manett., Vita Nicolai V, P. II, tom. 3 Rer. Ital.
[2952] Cronica di Rimini, tom. 15 Rer. Ital.
[2953] Giustiniani, Istor. di Genova, tom. 15.
Anno di CRISTO MCCCCLI. Indizione XIV.
NICCOLÒ V papa 5.
FEDERIGO III re de' Romani 12.
Abbiamo veduto per tanti anni lacerata l'Italia, ora in una, ora in
altra parte, dalla guerra. Parve miracoloso l'anno presente, perchè
dappertutto fu, se non concordia d'animi, almeno pace. Di tempi così
sereni si prevalse il pontefice _Niccolò V_, siccome dotato di gran
mente e d'un animo regale, per lasciar di belle memorie alla città
di Roma[2954]. Sua cura fu di rimettere maggiormente in fiore le
buone lettere, che già erano cominciate a risorgere in Italia, sì con
richiamar a sè e premiar le persone dotte, sì ancora col radunare da
tutta l'Europa e dall'Oriente manuscritti di tutte le arti e scienze,
perchè la stampa de' libri non era peranche nata, o, se nata, era
segreta. Formò con questo tesoro un'insigne biblioteca. Ordinò che si
cominciassero a tradurre dal greco i santi Padri, ed anche gli storici
e poeti di quella lingua. Fabbriche parimente insigni intraprese in
Roma, tanto di sacri templi, come di ornamenti o fortificazioni alle
rare memorie di quella e d'altre città, con avere specialmente stese
queste sue grandiose idee alla Basilica Lateranense, e all'altra di
Santa Maria Maggiore, e de' Santi Paolo, Lorenzo e Stefano. Tutte
queste ed altre sue magnanime imprese si veggono diligentemente
descritte nella di lui Vita da me data alla luce, e composta da
Gianozzo Manetti Fiorentino, letterato insigne, perito delle lingue
ebraica, greca e latina. Stefano Infessura anch'egli attesta[2955],
avere questo pontefice nell'anno presente ristorate le mura, le torri
e le porte di Roma, acconciato il Campidoglio, accresciuto il torrione
di castello Santo Angelo con altre fortificazioni, fatto un palazzo
a Santa Maria maggiore, e la canonica di San Pietro e la chiesa di
S. Teodoro, con altre fabbriche, ch'io tralascio. Di questo passo
camminava il buon Niccolò papa, non cercando la dubbiosa gloria de'
papi che profusero tanti tesori in guerre, ma bensì procurando di
mantenere i suoi popoli in pace, e di far loro goder quelle rugiade,
che Dio gli avea mandato in congiuntura del giubileo.
Non fu, siccome dissi, in quest'anno guerra in Lombardia; nondimeno
la repubblica veneta mirava con occhio bieco il nuovo duca di
Milano[2956], e macchinava pensieri di guerra, essendosi collegata per
questo con _Alfonso re_ d'Aragona e delle Due Sicilie, con _Lodovico
duca_ di Savoia, con _Giovanni marchese_ di Monferrato e co' _Sanesi_.
La maggior loro speranza era che, trovandosi lo Sforza non peranche
ben assodato sul trono, difficile non fosse il rovesciarlo. Per lo
contrario non desiderava guerra il duca, siccome bisognoso di quiete
per rimettere in buono stato il conquistato paese, troppo smunto e
maltrattato dalle passate rivoluzioni. Oltre di che, egli non godeva
quelle fontane di danari, delle quali abbondava allora Venezia,
sì per l'estensione degli Stati a lei spettanti non meno in Italia
che in Dalmazia e in altre contrade del Levante, come ancora perchè
Venezia si riputava allora il più ricco emporio dell'Italia, anzi
dell'Occidente. Il Sanuto[2957] ci fa vedere una parte di que' tesori
che il traffico portava in questi secoli alla piazza di Venezia. Ora
il duca attendeva a premunirsi, e fece lega co' Fiorentini disgustati
forte de' Veneziani; siccome ancora co' Genovesi e con _Lodovico
marchese_ di Mantova. Condussero i Veneziani al loro soldo _Carlo da
Gonzaga_, e nell'anno seguente anche _Guglielmo di Monferrato_, cioè
due capitani divenuti amendue per le ragioni sopraddette nemici del
duca di Milano. Nel mese d'aprile dell'anno presente crearono capitan
generale delle lor armi _Gentile da Lionessa_, uomo saggio e prode. Ma
perchè _Bartolomeo Coleone_, che militava al loro servigio con mille e
cinquecento cavalli e quattrocento fanti, pretendeva come dovuta a sè
quella dignità, se ne adirò non poco, ed oltre al chiedere licenza col
pretesto delle paghe che non correano, mostrò assai la sua disposizione
di passare all'armata duchesca: fu presa la risoluzione di mettergli
le mani addosso, e di tagliargli il capo. Data questa commessione
a _Jacopo Piccinino_, egli con una marcia sforzata di notte arrivò
addosso al Coleone, sorprese tutte le di lui genti, e poco mancò che
non restasse prigione anche esso Bartolomeo. Ebbe egli la fortuna di
salvarsi a Mantova, e restò in potere e al soldo dei Veneziani tutto
il corpo de' suoi cavalli e fanti. Prese egli poi soldo nell'esercito
duchesco, con aver promesso di grandi vantaggi allo Sforza. Lo spoglio
fatto a lui e alle sue truppe si fa ascendere dal Sanuto ad ottanta in
cento mila fiorini di oro. Fu anche pubblicamente decretato in Venezia,
nel dì primo di giugno, che tutti i Fiorentini non privilegiati
uscissero dagli Stati della repubblica[2958], ed altrettanto fece anche
il _re Alfonso_ in tutte le sue terre: il che maggiormente irritò i
Fiorentini, e li confermò nell'unione col duca di Milano. Premeva non
poco ai Veneziani di tirar nella loro lega anche i Bolognesi, e molte
furono le loro istanze, e caldi i loro maneggi[2959], ma senza trovare
in quel popolo voglia d'impacciarsi nelle brighe altrui. Tentarono
dunque per altra via d'ottenere l'intento con dar braccio alle fazioni
de' Canedoli fuorusciti. Assistiti questi dalle brigate dei signori di
Carpi e di Coreggio, nel dì 8 di giugno venuti a Bologna, presero la
porta di Galiera, e una parte d'essi giunse fino alla piazza. _Sante
de' Bentivogli_, che i Bolognesi, benchè fosse creduto bastardo,
aveano fatto venire per l'amore che portavano alla casa de' Bentivogli,
giacchè _Giovanni de Bentivogli_ figliuolo dello ucciso _Ercole_ era in
età non sufficiente a sostenere la sua fazione, allora fu in armi coi
Malvezzi, Marescotti ed altri suoi aderenti. Seguì un combattimento,
in cui furono costretti alla fuga i Canedoli, con lasciar ivi molti del
loro seguito morti o prigioni.
NOTE:
[2954] Manett., Vita Nicolai V, P. II, tom. 3 Rer. Ital.
[2955] Infessur., Diar., tom. 3 Rer. Ital.
[2956] Cristoforo da Soldo, Istor. Bresc., tom. 21 Rer. Ital.
[2957] Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Ital., pag. 963.
[2958] Ammirati, Ist. di Firenze, lib. 22. Poggius, lib. 8. Sanuto ed
altri.
Anno di CRISTO MCCCCLII. Indizione XV.
NICCOLÒ V papa 6.
FEDERIGO III imperadore 1.
Avendo nell'anno precedente _Federigo III_ re de' Romani risoluto di
calare in Italia per prendere la corona imperiale in Roma, e mandati
innanzi i suoi ambasciatori per disporre il _pontefice Niccolò_ e i
principi italiani al suo ricevimento[2960], sul principio di gennaio
dell'anno presente entrò in Italia, conducendo seco _Ladislao_ suo
nipote, eletto re d'Ungheria e di Boemia, che allora era in età di
dodici anni, ventidue vescovi, molt'altra baronia, e circa due mila
cavalli, tutti ben montati, ma mal vestiti. Passando pel Friuli e per
altri Stati della repubblica veneta, ricevè distinti onori. Allorchè
entrò nel Polesine di Rovigo[2961], fu incontrato da _Borso d'Este_
signor di Ferrara con accompagnamento magnifico, e con lui, nel dì
17 del mese di gennaio, entrò in essa Ferrara. Quivi si riposò otto
giorni in nobili solazzi e divertimenti; e regalato di quaranta
corsieri e di cinquanta falconi ben ammaestrati alla caccia, continuò
poscia il suo viaggio alla volta di Bologna[2962], dove arrivò nel dì
25 con gran festa e solennità di quel popolo. Non fu meno magnifico
l'accoglimento a lui fatto nel dì 30 del suddetto mese[2963] dalla
repubblica di Firenze, allorchè entrò in quella città, da dove poi
passò a Siena, e quivi si fermò per qualche tempo. Seco era _Enea
Silvio_ de' Piccolomini Sanese, vescovo di quella città, e segretario
suo, uomo di mirabil ingegno e di gran letteratura, che fu poi papa Pio
II. Nel dì 9 di marzo con incredibil magnificenza fece la sua solenne
entrata in Roma[2964], dove il saggio _pontefice Niccolò_ per ogni
buona precauzione avea rannate tutte le sue milizie, e ben munite le
fortezze. Ossia perchè Federigo non avea voluto riconoscere per duca
di Milano _Francesco Sforza_, oppure perchè in Milano durava tuttavia
la peste, certo è ch'egli non andò a Milano, per prender ivi la corona
ferrea. Inviò bensì lo Sforza il suo primogenito _Galeazzo Maria_
a Ferrara con gran comitiva ad attestargli il suo ossequio e la sua
ubbidienza, ma punto non si cangiò per questo l'animo d'esso Augusto
verso di lui. Ora, giunto a Roma Federigo, fece istanza al pontefice
di ricevere dalle mani di lui la corona del regno longobardico. Per
testimonianza di Enea Silvio[2965], fu questo punto messo in consulta,
e tuttochè reclamassero non poco gli ambasciatori di Milano, il papa
procedè oltre, e nel dì 15 di marzo in San Pietro il coronò come re
di Lombardia, dichiarando nulla di meno essere sua intenzione che tal
atto non pregiudicasse al diritto dell'arcivescovo di Milano[2966].
Nello stesso giorno avea egli prima congiunta in matrimonio con esso
Augusto Federigo _Leonora_ figliuola del re di Portogallo, ed anche
essa fu per conseguente coronata. Poscia nel dì 18 del medesimo mese
riceverono amendue dalle mani di esso pontefice la corona imperiale
coi soliti riti e con incredibil festa del popolo romano, essendo
passata tutta la gran funzione e permanenza dell'imperatore in Roma
senza disturbo e con somma pace. Voglioso poscia l'Augusto Federigo di
vedere il _re Alfonso_, principe celebratissimo di questi tempi, e zio
dell'imperadrice, se n'andò con lei a Napoli. Gli onori quivi a lui
compartiti dal re, splendidissimo signore, non ebbero fine. Di colà se
ne tornò egli per mare nel dì 23 di aprile, ed alloggiò in San Paolo
fuori di Roma, laddove poi partito nel dì 26, arrivò nel dì 8 di maggio
a Bologna.
Nel giorno seguente pervenne a Ferrara[2967], ed, accolto con ogni
maggior onore dal _marchese Borso_, prese ivi riposo. Comparvero
colà gli ambasciatori de' Veneziani, di Francesco duca di Milano
e de' Fiorentini, per pregare esso marchese d'interporsi appresso
l'imperadore, acciocchè trattasse di pace fra loro, giacchè
era imminente la guerra. Ne dovette, come è credibile, trattar
l'imperadore, ma con poca fortuna. Ebbe, specialmente in questi
viaggi, occasione Federigo di meglio conoscere i meriti singolari
d'esso Borso Estense signor di Ferrara[2968], e volendo lasciargli una
perenne memoria della generosa sua gratitudine, determinò di crearlo
duca di Modena e Reggio, e conte di Rovigo e Comacchio, città che
gli Estensi riconoscevano dal sacro romano imperio. Questa insigne
funzione fu fatta nella festa dell'Ascensione, giorno 18 d'aprile, con
incredibil concorso di popolo, ed incessante plauso de' Ferraresi e
degli altri sudditi della casa d'Este. Era l'aquila bianca l'antica
arme della casa estense. _Carlo VII_ re di Francia le avea dati i
tre gigli d'oro. Borso cominciò allora per privilegio dell'Augusto
Federigo ad inquartare essi gigli coll'aquila nera imperiale da due
teste. Nel giorno seguente Federigo, superbamente regalato e servito
dal novello duca, si rimise in viaggio, e andossene a Venezia[2969],
dove quell'inclita repubblica fece mirabili sfoggi per onorarlo. Di
là poi passò in Germania. Lo stesso giorno che Federigo si mosse da
Ferrara fu quello in cui la repubblica di Venezia fece dar fiato alle
trombe, con intimare e ricominciar la guerra contra di _Francesco
concerto fatto dai Veneziani e Milanesi già uniti contra di lui, attese
ad affamar Milano, città allora mal provveduta di viveri, e trattò di
pace con _Lodovico duca_ di Savoia, cedendogli molle terre e castella
da lui occupate in quel di Pavia, Alessandria e Novara. Lo strumento
d'essa pace fu stipulato nel dì 20 di gennaio dell'anno seguente.
In questo mentre, avendo _Francesco Piccinino_ terminata sua vita in
Milano, nel dì 16 d'ottobre, _Jacopo_ suo fratello, che col tempo si
meritò il titolo di Fulmine della guerra, fu accettato da' Milanesi,
per comandare alle lor armi. Non finì l'anno presente, che nel dì 28
di dicembre lo Sforza mise in fuga il medesimo Jacopo e _Sigismondo
Malatesta_ generale de' Veneziani ne' monti di Brianza[2934], e fece
prigione non poca gente e molti loro uffiziali. Ebbe anche nel dì
13 di dicembre per danari la fortezza di Trezzo, acquisto di somma
importanza per lui. Insorse guerra nell'anno presente[2935] fra il _re
Alfonso_ e la _repubblica di Venezia_. La cagion fu che il re era in
collera co' Veneziani per la guerra da lor fatta allo Stato di Milano,
e bandì da' suoi regni la loro nazione. Perciò, formata da' Veneziani
un'armata di trenta galee e di sei navi, questa recò non pochi danni
ai legni d'Alfonso nel porto di Messina e in Siracusa. Intanto pareva
disposto esso re a venire con un'armata verso Milano. Entrò nell'anno
presente la moria in Roma[2936], e cominciò a farvi strage. Per paura
d'essa nel mese di giugno il pontefice _Niccolò V_ sen venne a Spoleti,
dove diedero fine alla lor vita molti dei suoi cortigiani. Andò poscia
a Tolentino, e quindi alla santa casa di Loreto, e finalmente a San
Severino. Nel dicembre ancora di quest'anno si sollevò il popolo di
Camerino diviso in due fazioni. Chi voleva la Chiesa, chi la casa
Varana. In fine gli ultimi prevalsero.
NOTE:
[2915] Simonetta, Vita Francisci Sfortiae, lib. 15, tom. 21 Rer. Ital.
[2916] Benvenuto da S. Giorgio, Istoria del Monferrato, tom. 23 Rer.
Ital.
[2917] Giustiniani, Istor. di Genova, lib. 5.
[2918] Raynaldus, Annal. Eccl. Labbe, Concil., tom. 13.
[2919] Guichenon, Hist. de la Maison de Savoye, tom. 1.
[2920] Bonincont., Annal., tom. 21 Rer. Ital.
[2921] Simonetta, Vita Francisci Sfortiae, lib. 15, tom. 21 Rer. Ital.
[2922] Annales Placentini, tom. 20 Rer. Ital.
[2923] Cristoforo da Soldo, Istoria Bresc., tom. 21 Rer. Ital.
[2924] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 17, tom. 21 Rer. Ital.
[2925] Cristoforo da Soldo, Istoria Bresciana, tom. 21 Rer. Ital.
[2926] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 18, tom. 21 Rer. Ital.
[2927] Ripalta, Annal. Placent., tom. 20 Rer. Ital.
[2928] Benvenuto da S. Giorgio. Istoria del Monferrato, tom. 23 Rer.
Ital.
[2929] Ripalta, Annal. Placent., tom. 20 Rer. Ital.
[2930] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, tom. 21 Rer. Ital.
[2931] Cristoforo da Soldo, Ist. Bresciana, tom. 21 Rer. Ital.
[2932] Ripalta, Histor. Placen., tom. 20 Rer. Ital.
[2933] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 21, tom. 21 Rer. Ital.
[2934] Ripalta, Annal. Placent., tom. 20 Rer. Ital.
[2935] Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCCL. Indizione XIII.
NICCOLÒ V papa 4.
FEDERIGO III re de' Romani 11.
Avea già il pontefice _Niccolò V_ invitati i fedeli al sacro giubileo,
che in quest'anno s'avea da tenere in Roma, e che fu in fatti
celebrato con insigne divozione e concorso di persone da tutti i regni
cristiani, al dispetto della pestilenza che regnava in Italia[2937].
Dopo il primo giubileo dell'anno 1300, forse non fu mai veduto sì
gran flusso e riflusso di gente in Roma, di modo che le strade maestre
d'Italia pareano tante fiere. Accadde solamente una disavventura, che
in un certo giorno (l'Infessura dice[2938] nel dì 19 di dicembre,
e seco s'accorda l'autore della Cronica di Rimini[2939]) tornando
l'innumerabil popolo dalla benedizione del papa data in San Pietro, nel
passare per ponte Santo Angelo, a cagion dello strepito fatto da una
mula, divenne sì grande la calca, che quivi perirono più di ducento
persone, parte soffocate dalla folla, e parte cadute nel Tevere: del
che sommamente si afflisse il buon pontefice, il quale canonizzò in
quest'anno _Bernardino da Siena_. Di gran tesori lasciò la pietà de'
fedeli in Roma per l'occasione di questo giubileo, e d'essi poi si
servì il saggio papa, non già a far guerre, ma bensì a ristorar le
chiese, ad aiutare i poverelli, ed abbellir sempre più la bella città
di Roma. Adoperossi egli ancora con premura degna del suo sublime
e sacro carattere, affinchè si terminasse la guerra viva tra il _re
Alfonso_ e la _repubblica fiorentina_[2940]. Nè andarono a vuoto i suoi
maneggi, essendosi conchiusa la pace fra loro nel dì 29 di giugno,
per cui fu obbligato _Rinaldo Orsino_ signor di Piombino, che poi
morì in questo anno di peste, a pagar da lì innanzi l'annuo tributo
di cinquecento fiorini d'oro ad esso Alfonso. Nel dì 2 di luglio ebbe
anche fine la discordia del medesimo re coi Veneziani[2941], essendosi,
per opera del _marchese Lionello_ signor di Ferrara, sottoscritta la
pace fra loro dai comuni ambasciatori concorsi alla medesima città
di Ferrara. Contribuirono molto a farla i cangiamenti delle cose di
Milano, de' quali parlerò fra poco. Sciolto così il re Alfonso dai
pensieri di guerra, si diede poi tutto ai piaceri, e ad una vita poco
convenevole alla sua saviezza. Fu questo l'ultimo anno della vita del
suddetto _marchese Lionello_, essendo egli stato rapito dalla morte
nel dì primo di ottobre nel suo delizioso palagio di Belriguardo;
principe d'immortale memoria, perchè, secondo la Cronica di Ferrara, fu
amatore della pace, della giustizia e della pietà, di vita onestissima,
studioso delle divine Scritture, liberale massimamente verso i poveri,
nelle avversità paziente, nelle prosperità moderato, e che con gran
sapienza governò e mantenne sempre quieti i suoi popoli, di modo che
si meritò il pregiatissimo nome di Padre della patria. A lui succedette
nel dominio di Ferrara, Modena, Reggio, Rovigo e Comacchio il _marchese
Borso_ suo fratello, che, quantunque illegittimo, fu anteposto ad
_Ercole_ e _Sigismondo_ suoi fratelli legittimi. Era generale de'
Veneziani _Sigismondo Malatesta_ signor di Rimini. Fu cassato in
quest'anno pei suoi demeriti. Fra le altre cose a lui fu attribuito
il rapimento seguito in Verona di bellissima donna nobile tedesca,
che con accompagnamento degno della sua condizione passava per quella
città andando al giubileo di Roma. Piuttostochè consentire alle voglie
libidinose di chi la rapì, si lasciò ella uccidere: caso che fece gran
rumore per tutta Italia. S'egli veramente fosse reo di tale eccesso
non saprei dirlo, perchè, per quanta inquisizione ne facessero i savii
Veneziani, non si potè scoprirne l'autore. Certo è che la voce comune
addossò ad esso Malatesta questa iniquità, e ne parlano fino i Giornali
di Napoli. In sì cattivo concetto era esso Malatesta, che se non fu,
certamente degno era d'essere creduto reo di tanta scelleraggine.
Per tutto il mese di gennaio e di buona parte del febbraio dell'anno
presente[2942] consisterono le diligenze dello invitto conte _Francesco
Sforza_ in sempre più angustiare la bloccata città di Milano, e in ben
disporre le cose, acciocchè l'armata veneta, da cui continuamente i
Milanesi imploravano soccorso, non giugnesse a condurvi vettovaglie.
Crebbe perciò a dismisura la fame in quella gran città, con essersi
ridotti i poveri a mangiar cavalli, cani, gatti, sorci, e in fin
l'erbe, cioè ad ingoiare per un altro verso la morte, che cercavano
dì fuggire. Se usciva gente per ricoverarsi altrove, ordine v'era ai
capitani dello Sforza di ricacciar ognuno in città. Intanto i rettori,
con belle speranze di presto aiuto, lusingavano il languente popolo,
e veramente Sigismondo, generale allora de' Veneziani, era in qualche
movimento alla volta di Milano. Ma questo soccorso dovea venire, e
mai non veniva. Però nel dì 23 di febbraio _Gasparo da Vimercato_
mosse a rumore qualche cinquecento uomini della plebe, che con alte
grida andarono al pubblico palazzo, da dove furono respinti. Tornati
colà in maggior numero, ed uscito _Leonardo Veniero_ ambasciatore
de' Veneziani, che finora avea confortati i Milanesi a star saldi,
con mettersi a sgridare e minacciare i sediziosi, immediatamente
fu dal furioso popolo tagliato a pezzi[2943]. A questo spettacolo
fuggirono tosto i reggenti; ed essendo restati padroni del palazzo
gli ammutinati, che a vista d'occhio andavano crescendo, corsero ad
impadronirsi delle porte. Nel seguente dì 26 di febbraio, raunato
in Santa Maria della Scala il popolo, fu presa la determinazione
di chiamar per loro signore il _conte Francesco Sforza_, e gliene
fu incontanente spedito l'avviso a Vimercato, da dove egli stava
in procinto di muoversi contro l'armata veneta, la quale era in
moto. _Jacopo Piccinino_ colla sua gente avea preso servigio in
quell'esercito, dacchè vide la rivolta di Milano. Volevano i primarii
cittadini che si stabilisse prima una capitolazione; ma il conte
animato da' suoi benevoli, senza perdere tempo, marciò alla volta
della città; e benchè con qualche fatica, pure v'entrò, incontrato
fuori d'essa da copiosissimo popolo, ed accolto dentro dagli altri,
tutti gridando: _Sforza, Sforza, viva il conte Francesco_. Andò prima
a ringraziar Dio nella metropolitana, prese il possesso delle fortezze
e delle porte, e, lasciato _Carlo da Gonzaga_ al governo della città
con buoni regolamenti per la quiete del popolo se ne tornò tosto a
Vicomercato per vegliare agli andamenti dell'esercito veneto. Nello
stesso tempo spedì ordini a tutte le città circonvicine, affinchè
provvedessero di viveri l'affamato popolo di Milano: il che fu sì
puntualmente eseguito, che in meno di tre dì abbondò la grascia in
Milano, come se mai non vi fosse stato assedio, _Sigismondo Malatesta_
appena ebbe intesa questa mutazion di cose, che se ne tornò di là
dall'Adda, e fece tosto rompere il ponte. Da lì a due giorni Como,
Monza e Bellinzona, terre state fin qui forti nel partito della
repubblica di Milano, mandarono a prestar ubbidienza allo Sforza.
Venuta poi la festa dell'Annunziazion della Vergine, cioè il dì
25 di marzo (che non so come vien detto dal Simonetta[2944] _sexto
kalendas aprilis_, e Cristoforo da Soldo[2945] scrive che fu nel dì 22
di marzo), fece questo gran capitano insieme colla consorte _Bianca
Visconte_, e co' figliuoli _Galeazzo Maria_ ed _Alessandro_, la sua
magnifica entrata nella città di Milano, e fu acclamato duca di Milano.
Per molti giorni durarono le giostre, le danze, i conviti e le altre
feste per la di lui assunzione; e da tutti i principi d'Italia vennero
a lui ambascerie per congratularsi, fuorchè dal _re Alfonso_ e da'
_Veneziani_. Rallegraronsi principalmente del di lui innalzamento
i Fiorentini, perchè vedeano di mal occhio il tentativo fatto dai
Veneziani per assorbire la Lombardia. Ed allora spirò ogni loro
amistà con essi Veneziani, tanto più che in Venezia furono posti nuovi
aggravii ai mercanti fiorentini, e si venne dipoi a sapere che essi
Veneziani erano entrati in lega col _re Alfonso_, il cui odio contra
de' Fiorentini non mai si estinse.
Poco indugiò Francesco duca di Milano ad ordinare che si rimettesse in
piedi il castello di porta Zobbia, già demolito dal popolo milanese,
e teneva continuamente quattro mila persone impiegate in quel lavoro.
Stava tuttavia prigione in Pavia _Guglielmo_ fratello di _Giovanni
marchese_ di Monferrato. Se volle riavere la libertà, gli convenne, nel
dì 26 di maggio, venire ad una capitolazione, rapportata da Benvenuto
da San Giorgio[2946], in cui cedette alle sue ragioni sopra la città
d'Alessandria e suo territorio, a riserva del Bosco e d'alcune altre
castella pervenute alle mani di suo fratello. Di queste poche avea
egli da essere padrone, con obbligarsi ancora lo Sforza di pagargli
annualmente due mila ducati, ossieno fiorini d'oro, in contraccambio
dell'entrate ch'egli perdeva di Alessandria. Uscito di prigione, andò a
Lodi, dove ratificò la convenzione; ma non sì tosto fu in libertà, che,
giunto in Monferrato a dì 7 di giugno, giuridicamente protestò contro
quello accordo, fatto, secondo lui, per minaccie e paura. Similmente
nel dì 15 di novembre il duca Francesco ordinò che fosse ritenuto
prigione _Carlo da Gonzaga_, altro condottier d'armi, dal quale era
stato assistito non poco nella conquista di Milano. Il Simonetta[2947],
che sa dare, secondo l'uso degli storici parziali, un bel colore a
tutte le azioni del suo eroe, scrive che per avere lo Sforza fermata
lega con _Lodovico marchese_ di Mantova, e stabilito il matrimonio del
suo primogenito _Galeazzo Maria_ con una figliuola d'esso marchese,
Carlo, siccome nemico del fratello, se l'ebbe tanto a male, che
cominciò a sollecitare i Veneziani alla guerra, con intenzione di
passare nella loro armata. Accertato di ciò il duca, lo imprigionò;
ma che fra pochi giorni, per le preghiere del marchese suo fratello,
il rilasciò, con obbligarlo nondimeno a cedere Tortona, di cui dianzi
avea avuto il dominio. Verisimilmente si dovette allora sospettare
che lo Sforza, allorchè ebbe bisogno pe' suoi affari de' suddetti due
capitani, accordasse loro tutto quel che richiesero, per toglierlo poi
loro, cessato il bisogno. Comunque sia, tace il Simonetta che Carlo, se
volle la libertà, fu, oltre alla cession di Tortona[2948], costretto a
pagare sessanta mila fiorini di oro (del che ho io addotte altrove le
pruove[2949]), e fu confinato in Lomellina. Certo è poi ch'egli ruppe
i confini, e, passato a Venezia, si acconciò con quella repubblica
contra del marchese suo fratello, di cui seguitò ad essere nemico.
Forse anche lo Sforza e il marchese andaron d'accordo in abbatterlo e
ridurlo alla disperazione. Alla fame poi patita dal popolo di Milano,
secondo il solito, tenne dietro la pestilenza in quest'anno; e questa
gravissima, perchè, se crediamo al Sanuto[2950], nella sola città di
Milano perirono sessanta mila persone. In Piacenza pochi restarono
in vita. Si stese ancora questo malore per quasi tutta la Italia:
cosa troppo facile, dacchè tanta gente era in moto per cagion del
giubileo. Fu anche in Roma; laonde il pontefice, per isfuggirne la
rabbia, fu di nuovo forzato a ritirarsi, nel dì 18 di giugno[2951], e
venne a Spoleti, poscia a Foligno e Fabriano. Colà nel dì 26 d'agosto
ito a trovarlo _Sigismondo Malatesta_ signore di Rimini[2952], fu
onorato e regalato dal papa, ed ottenne che fossero legittimati i
due suoi figliuoli bastardi _Roberto_ e _Malatesta_. Tante volte s'è
parlato dell'instabilità di Genova, città allora troppo amante di
mutar padrone. In quest'anno ancora, correndo il mese di luglio, fu
deposto dal governo il doge _Lodovico da Campofregoso_[2953]. Spedì
il popolo a Sarzana a richiamare _Tommaso da Campofregoso_, già stato
doge; ma, scusatosi egli per la troppa avanzata età, consigliò che
eleggessero doge _Pietro_ suo nipote: lo che fu eseguito nel dì 8
di dicembre. Del resto non fu in quest'anno nè pace nè guerra fra la
repubblica di Venezia e Francesco duca di Milano. Ognuno d'essi avea
paura dell'altro. Temeva il duca la potenza e ricchezza maggiore de'
Veneziani; e i Veneziani stavano in riguardo pel singolar credito dello
Sforza nel mestier della guerra. Tuttavia, giacchè il duca non era ben
assodato nel nuovo dominio, i Veneziani andavano disponendo le cose per
fargli guerra.
NOTE:
[2936] Cronica di Rimini, tom. 15 Rer. Ital.
[2937] Raynaldus, Annal. Eccles. S. Anton., Vita Nicolai V, P. II, tom.
3 Rer. Ital.
[2938] Cristoforo da Soldo, Istor. Bresc., tom. 21 Rer. Ital.
[2939] Infessura, Diar., P. II, tom. 3 Rer. Ital.
[2940] Cronica di Rimini, tom. 15 Rer. Ital.
[2941] Ammirati, Istor. Fiorent., lib. 22. Giornal. Napolet., tom.
21 Rer. Ital. Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Ital. Cronica di
Ferrara, tom. 24 Rer. Italic.
[2942] Cristof. da Soldo, Istor. di Brescia, tom. 21 Rer. Ital.
Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 21, tom. 21 Rer. Ital.
[2943] Bonincontrus, Annal., tom. 21 Rer. Italic.
[2944] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 21, tom. 21 Rer. Ital.
[2945] Cristoforo da Soldo, Istor. di Brescia, tom. eod.
[2946] Benvenuto da San Giorgio, Istoria del Monferrato, tom. 23 Rer.
Ital.
[2947] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 22, tom. 21 Rer. Ital.
[2948] Cristoforo da Soldo, Istor. Bresc., tom. 21 Rer. Ital.
[2949] Antichità Estensi, P. II.
[2950] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
[2951] Manett., Vita Nicolai V, P. II, tom. 3 Rer. Ital.
[2952] Cronica di Rimini, tom. 15 Rer. Ital.
[2953] Giustiniani, Istor. di Genova, tom. 15.
Anno di CRISTO MCCCCLI. Indizione XIV.
NICCOLÒ V papa 5.
FEDERIGO III re de' Romani 12.
Abbiamo veduto per tanti anni lacerata l'Italia, ora in una, ora in
altra parte, dalla guerra. Parve miracoloso l'anno presente, perchè
dappertutto fu, se non concordia d'animi, almeno pace. Di tempi così
sereni si prevalse il pontefice _Niccolò V_, siccome dotato di gran
mente e d'un animo regale, per lasciar di belle memorie alla città
di Roma[2954]. Sua cura fu di rimettere maggiormente in fiore le
buone lettere, che già erano cominciate a risorgere in Italia, sì con
richiamar a sè e premiar le persone dotte, sì ancora col radunare da
tutta l'Europa e dall'Oriente manuscritti di tutte le arti e scienze,
perchè la stampa de' libri non era peranche nata, o, se nata, era
segreta. Formò con questo tesoro un'insigne biblioteca. Ordinò che si
cominciassero a tradurre dal greco i santi Padri, ed anche gli storici
e poeti di quella lingua. Fabbriche parimente insigni intraprese in
Roma, tanto di sacri templi, come di ornamenti o fortificazioni alle
rare memorie di quella e d'altre città, con avere specialmente stese
queste sue grandiose idee alla Basilica Lateranense, e all'altra di
Santa Maria Maggiore, e de' Santi Paolo, Lorenzo e Stefano. Tutte
queste ed altre sue magnanime imprese si veggono diligentemente
descritte nella di lui Vita da me data alla luce, e composta da
Gianozzo Manetti Fiorentino, letterato insigne, perito delle lingue
ebraica, greca e latina. Stefano Infessura anch'egli attesta[2955],
avere questo pontefice nell'anno presente ristorate le mura, le torri
e le porte di Roma, acconciato il Campidoglio, accresciuto il torrione
di castello Santo Angelo con altre fortificazioni, fatto un palazzo
a Santa Maria maggiore, e la canonica di San Pietro e la chiesa di
S. Teodoro, con altre fabbriche, ch'io tralascio. Di questo passo
camminava il buon Niccolò papa, non cercando la dubbiosa gloria de'
papi che profusero tanti tesori in guerre, ma bensì procurando di
mantenere i suoi popoli in pace, e di far loro goder quelle rugiade,
che Dio gli avea mandato in congiuntura del giubileo.
Non fu, siccome dissi, in quest'anno guerra in Lombardia; nondimeno
la repubblica veneta mirava con occhio bieco il nuovo duca di
Milano[2956], e macchinava pensieri di guerra, essendosi collegata per
questo con _Alfonso re_ d'Aragona e delle Due Sicilie, con _Lodovico
duca_ di Savoia, con _Giovanni marchese_ di Monferrato e co' _Sanesi_.
La maggior loro speranza era che, trovandosi lo Sforza non peranche
ben assodato sul trono, difficile non fosse il rovesciarlo. Per lo
contrario non desiderava guerra il duca, siccome bisognoso di quiete
per rimettere in buono stato il conquistato paese, troppo smunto e
maltrattato dalle passate rivoluzioni. Oltre di che, egli non godeva
quelle fontane di danari, delle quali abbondava allora Venezia,
sì per l'estensione degli Stati a lei spettanti non meno in Italia
che in Dalmazia e in altre contrade del Levante, come ancora perchè
Venezia si riputava allora il più ricco emporio dell'Italia, anzi
dell'Occidente. Il Sanuto[2957] ci fa vedere una parte di que' tesori
che il traffico portava in questi secoli alla piazza di Venezia. Ora
il duca attendeva a premunirsi, e fece lega co' Fiorentini disgustati
forte de' Veneziani; siccome ancora co' Genovesi e con _Lodovico
marchese_ di Mantova. Condussero i Veneziani al loro soldo _Carlo da
Gonzaga_, e nell'anno seguente anche _Guglielmo di Monferrato_, cioè
due capitani divenuti amendue per le ragioni sopraddette nemici del
duca di Milano. Nel mese d'aprile dell'anno presente crearono capitan
generale delle lor armi _Gentile da Lionessa_, uomo saggio e prode. Ma
perchè _Bartolomeo Coleone_, che militava al loro servigio con mille e
cinquecento cavalli e quattrocento fanti, pretendeva come dovuta a sè
quella dignità, se ne adirò non poco, ed oltre al chiedere licenza col
pretesto delle paghe che non correano, mostrò assai la sua disposizione
di passare all'armata duchesca: fu presa la risoluzione di mettergli
le mani addosso, e di tagliargli il capo. Data questa commessione
a _Jacopo Piccinino_, egli con una marcia sforzata di notte arrivò
addosso al Coleone, sorprese tutte le di lui genti, e poco mancò che
non restasse prigione anche esso Bartolomeo. Ebbe egli la fortuna di
salvarsi a Mantova, e restò in potere e al soldo dei Veneziani tutto
il corpo de' suoi cavalli e fanti. Prese egli poi soldo nell'esercito
duchesco, con aver promesso di grandi vantaggi allo Sforza. Lo spoglio
fatto a lui e alle sue truppe si fa ascendere dal Sanuto ad ottanta in
cento mila fiorini di oro. Fu anche pubblicamente decretato in Venezia,
nel dì primo di giugno, che tutti i Fiorentini non privilegiati
uscissero dagli Stati della repubblica[2958], ed altrettanto fece anche
il _re Alfonso_ in tutte le sue terre: il che maggiormente irritò i
Fiorentini, e li confermò nell'unione col duca di Milano. Premeva non
poco ai Veneziani di tirar nella loro lega anche i Bolognesi, e molte
furono le loro istanze, e caldi i loro maneggi[2959], ma senza trovare
in quel popolo voglia d'impacciarsi nelle brighe altrui. Tentarono
dunque per altra via d'ottenere l'intento con dar braccio alle fazioni
de' Canedoli fuorusciti. Assistiti questi dalle brigate dei signori di
Carpi e di Coreggio, nel dì 8 di giugno venuti a Bologna, presero la
porta di Galiera, e una parte d'essi giunse fino alla piazza. _Sante
de' Bentivogli_, che i Bolognesi, benchè fosse creduto bastardo,
aveano fatto venire per l'amore che portavano alla casa de' Bentivogli,
giacchè _Giovanni de Bentivogli_ figliuolo dello ucciso _Ercole_ era in
età non sufficiente a sostenere la sua fazione, allora fu in armi coi
Malvezzi, Marescotti ed altri suoi aderenti. Seguì un combattimento,
in cui furono costretti alla fuga i Canedoli, con lasciar ivi molti del
loro seguito morti o prigioni.
NOTE:
[2954] Manett., Vita Nicolai V, P. II, tom. 3 Rer. Ital.
[2955] Infessur., Diar., tom. 3 Rer. Ital.
[2956] Cristoforo da Soldo, Istor. Bresc., tom. 21 Rer. Ital.
[2957] Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Ital., pag. 963.
[2958] Ammirati, Ist. di Firenze, lib. 22. Poggius, lib. 8. Sanuto ed
altri.
Anno di CRISTO MCCCCLII. Indizione XV.
NICCOLÒ V papa 6.
FEDERIGO III imperadore 1.
Avendo nell'anno precedente _Federigo III_ re de' Romani risoluto di
calare in Italia per prendere la corona imperiale in Roma, e mandati
innanzi i suoi ambasciatori per disporre il _pontefice Niccolò_ e i
principi italiani al suo ricevimento[2960], sul principio di gennaio
dell'anno presente entrò in Italia, conducendo seco _Ladislao_ suo
nipote, eletto re d'Ungheria e di Boemia, che allora era in età di
dodici anni, ventidue vescovi, molt'altra baronia, e circa due mila
cavalli, tutti ben montati, ma mal vestiti. Passando pel Friuli e per
altri Stati della repubblica veneta, ricevè distinti onori. Allorchè
entrò nel Polesine di Rovigo[2961], fu incontrato da _Borso d'Este_
signor di Ferrara con accompagnamento magnifico, e con lui, nel dì
17 del mese di gennaio, entrò in essa Ferrara. Quivi si riposò otto
giorni in nobili solazzi e divertimenti; e regalato di quaranta
corsieri e di cinquanta falconi ben ammaestrati alla caccia, continuò
poscia il suo viaggio alla volta di Bologna[2962], dove arrivò nel dì
25 con gran festa e solennità di quel popolo. Non fu meno magnifico
l'accoglimento a lui fatto nel dì 30 del suddetto mese[2963] dalla
repubblica di Firenze, allorchè entrò in quella città, da dove poi
passò a Siena, e quivi si fermò per qualche tempo. Seco era _Enea
Silvio_ de' Piccolomini Sanese, vescovo di quella città, e segretario
suo, uomo di mirabil ingegno e di gran letteratura, che fu poi papa Pio
II. Nel dì 9 di marzo con incredibil magnificenza fece la sua solenne
entrata in Roma[2964], dove il saggio _pontefice Niccolò_ per ogni
buona precauzione avea rannate tutte le sue milizie, e ben munite le
fortezze. Ossia perchè Federigo non avea voluto riconoscere per duca
di Milano _Francesco Sforza_, oppure perchè in Milano durava tuttavia
la peste, certo è ch'egli non andò a Milano, per prender ivi la corona
ferrea. Inviò bensì lo Sforza il suo primogenito _Galeazzo Maria_
a Ferrara con gran comitiva ad attestargli il suo ossequio e la sua
ubbidienza, ma punto non si cangiò per questo l'animo d'esso Augusto
verso di lui. Ora, giunto a Roma Federigo, fece istanza al pontefice
di ricevere dalle mani di lui la corona del regno longobardico. Per
testimonianza di Enea Silvio[2965], fu questo punto messo in consulta,
e tuttochè reclamassero non poco gli ambasciatori di Milano, il papa
procedè oltre, e nel dì 15 di marzo in San Pietro il coronò come re
di Lombardia, dichiarando nulla di meno essere sua intenzione che tal
atto non pregiudicasse al diritto dell'arcivescovo di Milano[2966].
Nello stesso giorno avea egli prima congiunta in matrimonio con esso
Augusto Federigo _Leonora_ figliuola del re di Portogallo, ed anche
essa fu per conseguente coronata. Poscia nel dì 18 del medesimo mese
riceverono amendue dalle mani di esso pontefice la corona imperiale
coi soliti riti e con incredibil festa del popolo romano, essendo
passata tutta la gran funzione e permanenza dell'imperatore in Roma
senza disturbo e con somma pace. Voglioso poscia l'Augusto Federigo di
vedere il _re Alfonso_, principe celebratissimo di questi tempi, e zio
dell'imperadrice, se n'andò con lei a Napoli. Gli onori quivi a lui
compartiti dal re, splendidissimo signore, non ebbero fine. Di colà se
ne tornò egli per mare nel dì 23 di aprile, ed alloggiò in San Paolo
fuori di Roma, laddove poi partito nel dì 26, arrivò nel dì 8 di maggio
a Bologna.
Nel giorno seguente pervenne a Ferrara[2967], ed, accolto con ogni
maggior onore dal _marchese Borso_, prese ivi riposo. Comparvero
colà gli ambasciatori de' Veneziani, di Francesco duca di Milano
e de' Fiorentini, per pregare esso marchese d'interporsi appresso
l'imperadore, acciocchè trattasse di pace fra loro, giacchè
era imminente la guerra. Ne dovette, come è credibile, trattar
l'imperadore, ma con poca fortuna. Ebbe, specialmente in questi
viaggi, occasione Federigo di meglio conoscere i meriti singolari
d'esso Borso Estense signor di Ferrara[2968], e volendo lasciargli una
perenne memoria della generosa sua gratitudine, determinò di crearlo
duca di Modena e Reggio, e conte di Rovigo e Comacchio, città che
gli Estensi riconoscevano dal sacro romano imperio. Questa insigne
funzione fu fatta nella festa dell'Ascensione, giorno 18 d'aprile, con
incredibil concorso di popolo, ed incessante plauso de' Ferraresi e
degli altri sudditi della casa d'Este. Era l'aquila bianca l'antica
arme della casa estense. _Carlo VII_ re di Francia le avea dati i
tre gigli d'oro. Borso cominciò allora per privilegio dell'Augusto
Federigo ad inquartare essi gigli coll'aquila nera imperiale da due
teste. Nel giorno seguente Federigo, superbamente regalato e servito
dal novello duca, si rimise in viaggio, e andossene a Venezia[2969],
dove quell'inclita repubblica fece mirabili sfoggi per onorarlo. Di
là poi passò in Germania. Lo stesso giorno che Federigo si mosse da
Ferrara fu quello in cui la repubblica di Venezia fece dar fiato alle
trombe, con intimare e ricominciar la guerra contra di _Francesco
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