Annali d'Italia, vol. 5 - 80

di Ten; ma eccoti nel dì 9 di novembre si veggono assaliti in quei
passi stretti dal conte, e sono astretti alla fuga. Vi restarono
prigionieri _Carlo_ figliuolo del marchese di Mantova, _Cesare da
Martinengo_, ed altri condottieri con cento uomini d'armi, e molti
fanti e cernide. Ebbe fatica lo stesso Piccinino a salvarsi, e sulle
spalle d'uomini si fece portare (fu detto in un sacco) a riva di Lago.
Ma non mai comparve l'arditezza di esso Piccinino, come questa volta.
Dopo la rotta suddetta non si sapea dove egli fosse. Da lì a pochi
giorni giugne avviso al conte Francesco, come egli col marchese di
Mantova avea data la scalata a Verona; ed, entratovi, se n'era quasi
interamente impadronito, non restando più in mano de' Veneziani se non
il Castel Vecchio e quello di San Felice, ed una delle porte. Parve
cosa da non credere un sì inaspettato colpo. Era il conte all'assedio
del soprannominato castello di Ten, e, ricevuta questa così stravagante
nuova, non tardò nel dì 17 del predetto mese di novembre a mettersi
frettolosamente colla sua armata in viaggio alla volta di Verona.
Nella notte precedente al dì 20 essendo passato per le vie scabrose
della montagna, entrò egli nel castello di San Felice, contra di
cui già s'erano alzate le batterie, e che poco potea durare, perchè
sprovveduto di gente e di viveri[2767]. Fatto dì, piombò il conte colle
sue valorose squadre addosso agli assedianti, e, trovandoli in parte
attenti a bottinare, gli sbaragliò. Tal fu la calca de' fuggitivi sul
ponte dell'Adige, che questo si ruppe, laonde moltissimi si annegarono,
e da due mila persone rimasero prigioniere. Con sì fatta velocità
liberò il conte la città di Verona. Venne poscia il Piccinino sul
Bresciano, dove diede gran sacco e danno, e maggiormente affamò quella
città. Andò il conte Francesco all'assedio d'Arco, ma nol potè avere;
e però, tornato sul Veronese, mise quivi a quartiere pel verno le sue
affaticate schiere. Con tali prodezze terminò la campagna di quest'anno
in Lombardia, avendo il conte Francesco lasciata a' Veneziani una
perenne memoria del suo valore e della sua fedeltà. E di qui potè
conoscere _Filippo Maria duca_ di Milano il bel frutto delle sregolate
sue risoluzioni. S'egli avesse avuto dalla sua, e non già nemico, lo
Sforza, correa manifesto pericolo la repubblica veneta di perdere tutta
la terra ferma, giacchè al solo Sforza si potè attribuire l'averla
conservata, e con tanto decoro. In quest'anno[2768] il _patriarca
Vitellesco_ capitano del papa mise il campo a Foligno, ed entratovi
per tradimento sul fine dell'anno, fece prigione _Corrado de' Trinci_
signore di quella città con due suoi figliuoli; e condottolo a Soriano,
da quell'uomo crudele che era, gli fece mozzare il capo: con che la
famiglia dei Trinci, che per più d'un secolo avea tenuta la signoria di
Foligno, ne restò priva, e se n'andò dispersa. Nè si dee tacere che il
duca di Milano, per tirare nel suo partito _Guidantonio de' Manfredi_
signore di Faenza[2769], gli donò, nell'aprile dell'anno presente,
Imola, Bagnacavallo e la Massa de' Lombardi.
NOTE:
[2757] Raynald., Annal. Eccles. Labbe, Concilior., tom. 12.
[2758] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
[2759] Æneas Sylvius, de Gest. Concil. Basil.
[2760] Duhravius, Nauclerus. Cuspinian., Æneas Sylv., et alii.
[2761] Giornal. Napol., tom. 21 Rer. Ital.
[2762] Cristoforo da Soldo, Istoria Bresciana, tom. 21 Rer. Ital.
[2763] Ammirati, Istor. Fiorent., lib. 21.
[2764] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
[2765] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 5, tom. 21 Rer. Ital.
[2766] Cristoforo da Soldo, Istor. Bresc., tom. 21 Rer. Ital. Sanuto,
Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
[2767] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 5, tom. 21 Rer. Ital.
[2768] S. Antonin., Par. III, tit. 22. Bonincontrus, Annal., tom. 21
Rer. Ital.
[2769] Cronica di Ferrara, tom. 24 Rer. Ital. Cronica di Bologna, tom.
18 Rer. Ital.


Anno di CRISTO MCCCCXL. Indizione III.
EUGENIO IV papa 10.
FEDERIGO III re de' Romani 1.

Dopo la morte di _Alberto II duca_ di Austria e re de' Romani,
_Federigo Austriaco_, figliuolo _duca Ernesto_ e conte del
Tirolo[2770], prese il governo del ducato dell'Austria e degli altri
Stati della sua potente casa, e poscia nella festa della Purificazione
della beata Vergine fu eletto in Francoforte re de' Romani di comune
consenso degli elettori: principe piissimo, mansueto ed amator della
pace. Il resto delle sue azioni lo lascio alla storia germanica.
Fu sul principio disapprovato il suo contegno, perchè nello scisma
cominciato dai pochi prelati di Basilea, egli insinuò alla nazione
germanica la neutralità ed indifferenza, quando quasi tutti gli altri
monarchi e principi[2771] tenevano, come ragion voleva, la parte del
vero e legittimo _papa Eugenio IV_. Fin qui _Giovanni Vitellesco_ da
Corneto, patriarca d'Alessandria e cardinale, s'era acquistato credito
di gran capitano di guerra presso gli uomini, ma non già presso a Dio,
siccome uomo più di mondo che di Chiesa. Più saggi avea egli dato
della sua smoderata ambizione, crudeltà e lussuria nel corso delle
sue bravure, ed ultimamente avea ricuperata la rocca di Spoleti, con
far prigione l'abbate di Monte Casino[2772]. Da sì fatto uomo volle
Dio liberare gli stati della Chiesa, e permise che papa Eugenio (non
ben sappiamo se con veri o falsi fondamenti) prendesse gagliardo
sospetto di lui, quasichè egli macchinasse d'impadronirsi delle città
pontificie, e tenesse segreta intelligenza col duca di Milano e con
_Niccolò Piccinino_, dicendosi che furono intercette alcune sue lettere
scritte in cifra[2773]. Andò dunque ordine del papa ad _Antonio Redo_,
castellano di castello Sant'Angelo, di farlo prigione, per poscia
formare il suo processo. Ma diversamente passò la faccenda, perchè,
volendo esso cardinale nel dì 18 di marzo partirsi da Roma, nel passare
in vicinanza del suddetto castello, allorchè vide chi volea fermarlo,
si mise alla difesa, e guadagnate alcune mortali ferite, fu portato là
entro[2774], dove nel dì 2 di aprile finì i suoi giorni o per veleno
o in altra guisa, e vilmente venne dipoi seppellito. Ostia, Soriano,
Cività Vecchia ed altri luoghi ch'egli teneva, tornarono senza gran
fatica in potere del papa.
Pensava seriamente _Filippo Maria duca_ di Milano a levarsi di dosso
il suo gran flagello, cioè il conte _Francesco Sforza_; e perchè sapea
che i Fiorentini si trovavano allora mal provveduti per la guerra,
determinò di portarla colà, immaginandosi che essi richiamerebbono
incontanente in Toscana il conte alla loro difesa[2775]. Gli andarono
per la maggior parte falliti i suoi disegni. Spedì egli adunque nel
febbraio _Niccolò Piccinino_ in Romagna con sei mila cavalli, che,
giunto a Bologna nel dì 4 di marzo[2776], continuò poi il suo viaggio,
e fece tal paura a _Sigismondo Malatesta_ signor di Rimini, e agli
altri suoi consorti, già stipendiati da' Veneziani, che presero
accordo con lui. Impadronitosi poscia di Oriolo e di Modigliana, per
la via di Maradi passò in Toscana, e penetrò nel Casentino, dove ebbe
Romena e Bibbiena. Con tutta diligenza fecero i Fiorentini quella
massa di gente d'armi che poterono, e soprattutto ebbero _Micheletto
Attendolo_ lor generale, e _Pietro Giampaolo Orsino_ con altri
condottieri d'armi. Ordinò anche il papa che marciassero in loro aiuto
tre mila e cinquecento fanti di sua gente. Ma, per quanto i Fiorentini
desiderassero e pregassero, non poterono impetrar da' Veneziani il
conte Francesco Sforza, perchè troppo ne abbisognava quel senato per
dar soccorso a Brescia. Andossene dipoi il Piccinino fino a Perugia sua
patria con soli quattrocento cavalli, con pensiero di farsi signore
di quella città. Avea, oltre a ciò, de' trattati in Cortona; ma si
sciolsero in fumo tutti i suoi disegni. Ritornato perciò indietro,
venne colla sua armata al già da lui occupato Borgo di Santo Sepolcro,
mettendosi a fronte dell'esercito fiorentino, il quale s'era posto ad
Anghiari[2777]. Poca stima faceva egli delle soldatesche nemiche, molta
delle sue; e, venendo a battaglia, si tenea la vittoria in pugno. Volle
farne la pruova nel dì 29 di giugno, festa solenne de' principi degli
Apostoli, con attaccar la zuffa. Valorosamente si combattè da ambe le
parti per quattro ore, e finalmente toccò al prode Piccinino d'andare
in rotta, perchè i suoi vennero stanchi alla pugna, e si perderono
anche a bottinare. Poco umano sangue vi si sparse; contuttociò gli
scrittori fiorentini fanno ascendere a circa tre mila i cavalli
presi, e si contarono fra i prigioni _Astorre de' Manfredi, Sagramoro
Visconte_ ed altri capitani del Piccinino. Di questa vittoria nondimeno
poco seppero profittare i Fiorentini; il papa solo ricuperò in tal
congiuntura Borgo Santo Sepolcro, ch'egli vendè poscia a' Fiorentini
per bisogno di danaro. Andato intanto il Piccinino verso Perugia,
sen venne poi pel paese d'Urbino alla volta della Lombardia, e però
anche buona parte dell'armata Fiorentina calò di qua dall'Apennino in
Romagna. Nel dì 15 di settembre tentò con breve assedio e con alcuni
assalti la città di Forlì, nè potè averla. Prese bensì Bagnacavallo
e Massa de' Lombardi, terre che per bisogno di pecunia il papa poco
appresso vendè a _Niccolò Estense marchese_ di Ferrara.
Non si stette colle mani alla cintola neppure la Lombardia. Per la
somma carestia si trovava tuttavia in pericolo la città di Brescia,
nè cessavano le premure ed istanze de' Veneziani per portarle
soccorso[2778]. Perchè il passaggio del Mincio era guardato dal nemico
marchese di Mantova, pativa molte difficoltà. Il solo lago di Garda
parea piuttosto il varco per cui potesse passare un grosso convoglio di
genti e di vettovaglie. A questo fine avea il senato veneto preparata
una flotta di varie navi a Torbole, con far condurre colà per terra
infin le galere: il che costò immense spese[2779]. In fatti nel dì
10 di aprile riuscì ad essa flotta di sconfiggere quella del duca
di Milano, comandata da _Taliano Furlano_, e poscia di assediare e
prendere Riva di Trento. Allora, senza badare a difficoltà, nel dì
3 di giugno[2780] passò il _conte Francesco_ animosamente colle sue
genti il Mincio, ricuperò Rivoltella, Lonato, Salò, Calcinato ed
assaissimi altri luoghi. Più non militava con esso lui il _Gattamelata_
da Narni, perchè, colpito da un accidente apopletico, diede poi fine
alla sua vita nell'anno 1445 in Padova, dove tuttavia sulla piazza
del Santo si mira la di lui statua equestre di bronzo alzatagli dalla
repubblica veneta. Quanto più poi s'inoltrava l'armata veneta, tanto
più si ritirava indietro la duchesca, siccome inferiore di forze,
talchè le convenne ridursi al fiume Oglio. Ma anche lo Sforza comparve
colà nel dì 14 di giugno[2781], e, venuto alle mani coll'esercito del
duca tra gli Orci e Soncino, ne riportò vittoria con prendere tutto il
carriaggio, e circa mille e cinquecento cavalli ducheschi. Buona parte
d'essi era di _Borso Estense_ figliuolo di _Niccolò marchese_ di Este,
il qual con mille cavalli era passato come venturiere al servigio del
duca di Milano. Non solamente restò allora liberata Brescia da' nemici
e dalla fame con ricco trasporto di biade, ma in poco tempo tornò alla
divozione della veneta repubblica la maggior parte delle sue terre e
castella colle altre perdute nel distretto di Bergamo: tutto per la
valorosa condotta del conte Francesco Sforza. Nè queste furono le sole
azioni sue. Si spinse egli più innanzi, e s'impadronì di Caravaggio
e, in una parola, di tutta Geradadda, prima che terminasse il mese
di giugno. Nei seguenti mesi continuò egli le sue conquiste sì in
ricuperar le restanti terre perdute nel Bresciano e Veronese, che in
prenderne altre sul Cremonese, e in togliere Peschiera ed altri luoghi
al marchese di Mantova: tanto che, giunte le pioggie autunnali, ed
accostandosi il verno, le soldatesche piene di bottino se l'andarono a
goder ne' quartieri. In somma nuove occasioni al certo ebbe il duca di
Milano di pentirsi di aver beffato ed abbandonato Francesco Sforza, che
sarebbe stato, s'egli avesse voluto, il suo braccio diritto.
Neppure in quest'anno andò esente il regno di Napoli dalle dure
pensioni della discordia, a cagion della guerra continuata fra i due
re, cioè fra _Alfonso re d'Aragona_ e _Renato d'Angiò_. Povero era
Renato, e, mancandogli gente e pecunia[2782], cioè i due maggiori
requisiti a fare e sostenere la guerra, altra speranza non avea se
non in _Antonio Caldora_ duca di Bari. Ma questi a quanti messi gli
mandava il re, affinchè cavalcasse in suo aiuto, adduceva per iscusa la
mancanza del danaro, e il timore che in sua lontananza si ribellassero
i popoli dell'Abbruzzo. Prese Renato allora l'ardita risoluzione
di portarsi incognito in persona in quelle contrade, e l'eseguì con
maraviglia d'ognuno. Raccolse in esso viaggio donativi, danaro e gente,
e massimamente dagli Aquilani. Trovavasi egli nel dì 29 di giugno in
faccia all'esercito aragonese, e mandò ad Alfonso la disfida della
battaglia. La risposta dell'Aragonese fu, che, trovandosi egli padrone
della maggior parte del regno, non si sentiva voglia di mettere a
repentaglio tutta la sua fortuna in una giornata. Avrebbe nondimeno
Renato assalito il campo nemico, e probabilmente con isperanza di
vincerlo, perchè già si ritirava; ma l'infedele Caldora co' suoi ricusò
di muoversi. Per questo esacerbato Renato il fece ritenere, e prese al
suo soldo buona parte delle di lui milizie, lasciandolo poscia tornare
in Abbruzzo con titolo di vicerè. Ma in vece di tornar colà il Caldora,
cominciò a trattare accordo col re Alfonso. Dio punì la sua infedeltà,
perchè in questo mentre _Gian-Antonio Orsino_ principe di Taranto, già
tornato alla divozione del re Alfonso, tenne trattato con Marino da
Norcia governatore di Bari pel Caldora, ed entrò in possesso non solo
di quella città, ma anche di Conversano e di tutte le altre terre dei
Caldoreschi. Tornò poscia il re Alfonso colle sue genti all'assedio
di Napoli, e però il re Renato, quantunque avesse ricuperato castello
Sant'Ermo, tornò ad essere in disagio come prima, e ricorse a _papa
Eugenio_ per aiuto. Fin qui erano state rispettate le città e terre
degli Sforzeschi in regno di Napoli, cioè quelle del _conte Francesco_
e de' suoi fratelli. Il re Alfonso, secondo i Giornali di Napoli, le
prese nell'anno presente, ancorchè fosse pace tra lui e il conte; e
trovolle ricchissime per aver esse goduto finora e profittato della
loro neutralità. Erano queste Benevento, Manfredonia, Bitonto ed altre
non poche[2783]: danno grave provenuto al conte Francesco per la sua
lontananza, avendo egli perduto il proprio per sostenere l'altrui.
Verisimilmente fu questo un sottomano del Visconte, che, per vendicarsi
d'esso Sforza, segretamente attizzò contra di lui il re Alfonso.
Il Simonetta[2784] differisce sino all'anno 1442 lo spoglio di tali
città fatto al conte. In mano d'esso re venne anche la città d'Aversa
col sua castello. _Sigismondo Malatesta_ signore di Rimini[2785],
per interposizione di _Niccolò marchese_ di Ferrara, si ritirò
dall'amicizia del duca di Milano, e tornò a quella de' Veneziani:
il che fu cagione[2786] che anche Ravenna e i Polentani facessero lo
stesso nel dì 14 d'agosto.
NOTE:
[2770] Nauclerus, Cuspinian., et alii.
[2771] Blondus Stefanus Infessura, P. II, tom. 3 Rer. Ital. S.
Antoninus, et alii.
[2772] Petroni, Istor., tom. 24 Rer. Ital.
[2773] Ammirat., Istoria Fiorentina, lib. 21.
[2774] Bonincont., Annal., tom. 21 Rer. Ital.
[2775] Neri Capponi, Comment., tom. 18 Rer. Ital.
[2776] Cronica di Bologna, tom. eod.
[2777] Ammirati, Istor. Fiorent., lib. 21. S. Antoninus, Poggius,
Blondus, et alii.
[2778] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 5, tom. 21 Rer. Ital.
[2779] Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Ital.
[2780] Cristoforo da Soldo, Istor., tom. 21 Rer. Italic.
[2781] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 5, tom. 21 Rer. Ital.
[2782] Giornal. Napolet., tom. 21 Rer. Ital.
[2783] Istor. Napolit., tom. 23 Rer. Ital.
[2784] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 5, tom. 21 Rer. Ital.


Anno di CRISTO MCCCCXLI. Indiz. IV.
EUGENIO IV papa 11.
FEDERIGO III re de' Romani 2.

Non mancarono affari neppure in quest'anno a _papa Eugenio_[2787],
perciocchè tuttavia lo scismatico concilio di Basilea, benchè composto
di poche teste, continuava le sue sessioni, e l'antipapa _Felice V_,
cioè _Amedeo di Savoia_, nel dì 24 di giugno, festa di san Giovanni
Batista, con gran solennità si fece coronare colla pontificia tiara
nella città di Basilea, dove fu gran concorso di gente, e creò anche
quattro cardinali. E benchè il _re Alfonso_ non lasciasse riconoscere
per papa nei suoi regni il suddetto Amedeo, pure andava trattando col
concilio di Basilea, siccome sdegnato con papa Eugenio, perchè questi
ricusava di dargli l'investitura del regno di Napoli. Anzi nel mese
di ottobre, per far paura ad esso pontefice, procurò che i prelati
basiliensi inviassero a sè una ambasciata, mostrando ancora di voler
ottenere dall'antipapa ciò che il papa gli andava negando. Ora Eugenio,
non meno per queste ostilità d'Alfonso, che per le preghiere del
re Renato, si volse a raccogliere quanti armati potè, e li spedì in
regno di Napoli contra di Alfonso. Prima non di meno che giugnessero
tali soccorsi, erano succedute alcune azioni vantaggiose al medesimo
re d'Aragona[2788]: cioè, accordatisi con lui i Caldoreschi, aveano
inalberate le di lui bandiere. Cassano, Biccari, Caiazza, la Padula
ed altre terre erano venute a sua divozione[2789]. Ora da che il conte
_Francesco Sforza_ ebbe ragguaglio della guerra mossa da esso Alfonso
alle sue terre del regno di Napoli, inviò colà _Cesare Martinengo_
con _Vittore Rangone_, e con un grosso corpo di cavalleria, il quale,
unitosi con altre soldatesche della Marca, col conte di Celano, con
_Francesco da San Severino_ ed altri Napoletani[2790], andò ad opporsi
ai progressi del re Alfonso. Si trovava allora esso re all'assedio
della città di Troia. Vennero le genti del conte Francesco alle mani
con lui nel dì 10 di giugno, e, dopo un crudel fatto d'armi, n'ebbero
la peggio con loro vergogna, ma senza gran danno, perchè la maggior
parte d'essi fuggendo si salvò nella suddetta città di Troia, di
maniera che fu forzato Alfonso dipoi a levarsi col campo di sotto a
quella città. Nel seguente luglio _Alessandro Sforza_, governatore
della Marca pel conte Francesco suo fratello, entrò anch'egli nel
regno con mille e cinquecento cavalli. Per trattato ebbe il castello di
Pescara; poscia all'improvviso arrivò addosso a _Raimondo Caldora_, che
assediava Ortona, e il fece prigione insieme con cinquecento cavalli.
Poco mancò che non pigliasse anche _Riccio_ e _Giosia_ di casa Acqua
viva. Ebbero questi la fortuna di salvarsi a città di Chieti. Comparve
poscia nel regno l'esercito pontifizio sotto il comando del _cardinale
di Taranto_ legato, e del _conte di Tagliacozzo_, consistente in circa
dieci mila persone; ma non fece prodezza alcuna degna di menzione. Anzi
il cardinale da lì a qualche tempo fece tregua col re Alfonso, e se ne
tornò in Campagna di Roma. Questa fu la rovina del _re Renato_[2791],
perchè Alfonso mandò tosto _don Ferdinando_ suo figliuolo con grosso
corpo di combattenti a strignere d'assedio di bel nuovo Napoli,
città che scarseggiava allora e maggiormente seguitò a scarseggiare
di viveri. Avea certamente il papa a forza di danari fatto anche un
armamento di alcuni legni in Genova, per inviarli contra d'Alfonso; ma
spese malamente la pecunia, avendo mostrato i Genovesi voglia di far
molto, con poi far nulla.
Per conto della Lombardia, veggendosi _Filippo Maria_ duca di Milano
in cattiva positura, per avere non solo perduti gli acquisti fatti,
ma parte ancora del suo nella guerra co' Veneziani, avea fin dall'anno
antecedente pregato _Niccolò Estense marchese_ di Ferrara ad interporsi
per la pace, siccome principe neutrale, e che avea sì buona mano in
somiglianti affari[2792]. Andò il marchese per tal effetto a Venezia,
passò anche a Mantova per trattarne con quel marchese; nè solamente
tenne filo di lettere col conte _Francesco Sforza_, ma, con licenza de'
Veneziani, andò anche a trovarlo a Marmirolo. Una gran remora a questo
affare era lo stesso conte; laonde per guadagnarlo tornò il duca di
Milano ad esibirgli in moglie _Bianca_, unica naturale sua figlia, che
seco portava le speranze di tutta la sua eredità. E perchè non poteva
il conte prestar fede a chi più di una volta l'avea dianzi burlato,
si trovò il ripiego di mandar Bianca a Ferrara in deposito presso il
marchese Niccolò. Fu essa dunque condotta a Ferrara, dove come gran
principessa fece la sua entrata nel dì 26 di settembre[2793] sotto
baldacchino di panno d'oro, e stelle poi ad aspettare l'esito di sua
ventura. Non so ben dire se per difetto del duca, principe incostante
nelle sue risoluzioni, e che per la venuta di _Niccolò Piccinino_ tornò
ad alzare il capo, oppure per le pretensioni de' Veneziani, vogliosi
di qualche buon boccone, anche in questa occasione andasse a terra la
pratica della pace. Certo è che nel verno di quest'anno si ricominciò
la guerra, e del dì 5 d'aprile il marchese Niccolò ricondusse Bianca
a Milano, dopo aver perduta ogni speranza di comporre le cose. Era
già tornato nell'anno precedente a Milano il suddetto Piccinino, ma
quasi in farsetto; i suoi soldati veterani il seguitarono quasi tutti a
piedi, perchè ogni lor sostanza avean perduto nella rotta d'Anghiari,
essendo, come si è detto altrove, secondo la disciplina militare
degl'Italiani d'allora, in uso di spogliar d'armi i soldati presi, e
di lasciarli andare, con ritener solamente le persone da taglia[2794].
Ancorchè la borsa del duca fosse estenuata affatto, pure si trovarono
gravezze e maniere di spremere quelle dei particolari, tanto che il
Piccinino si rimise in arnese, ed incoraggì il duca a nuove militari
imprese. Eccolo dunque in campagna nel dì 13 di febbraio dell'anno
presente passare il fiume Oglio con circa otto mila cavalli, e tre
mila fanti. Questo passaggio mise il terrore nelle milizie venete, che
svernavano nel Bresciano, e tutte si ritirarono alle fortezze[2795].
Mille cavalli del _conte Francesco_ si ridussero a Chiari. Fu loro
addosso il Piccinino, e li prese insieme colla terra; e ritenuti i
capi di squadra, lasciò andare il resto in bel giuppone. Non passò
gran tempo che ricuperò tutta la Geradadda, prese Palazzuolo, tutta la
valle d'Iseo, il piano del Bergamasco e gran parte del Bresciano: tanta
era la sua velocità in simili azioni. Minutamente si veggono narrati
questi fatti da Cristoforo da Soldo, storico bresciano. Solamente nel
mese di giugno uscì in campagna Francesco Sforza, e passò sul Bresciano
in cerca del Piccinino. Nel dì 25 d'esso mese seguì fra le sue genti
e quelle d'esso Piccinino un incontro assai caldo, colla peggio degli
Sforzeschi; e da lì innanzi andarono poi girando e come giocando
le armate, senza volontà di provar la loro fortuna. Il motivo era,
perchè si trattava forte di pace in segreto, e il conte Francesco, che
onoratamente comunicava tutte le proposizioni ai commessarii veneziani,
era il principale in questo dibattimento.
Ciò che diede impulso a ripigliarne il trattato, fu l'insolenza
de' capitani del duca di Milano, i quali, mirando esso duca già
avanzato in età, e senza figliuoli maschi, tutti d'accordo pensavano
ad assicurar la loro fortuna con chiedergli qualche porzione dello
Stato di lui. Faceva istanza il _Piccinino_ par avere Piacenza in
sua parte; _Lodovico da San Severino_ per Novara; _Lodovico dal
Verme_ per Tortona; _Taliano Furlano_ dimandava il Bosco e Fragaruolo
nel distretto d'Alessandria. Dispiacque talmente questa sinfonia
al duca, che, chiamato a sè Antonio Guidobuono da Tortona suo uomo
fidato, ed amico ancora del conte Francesco Sforza, segretamente il
mandò a far proposizioni d'accordo ad esso conte, offerendogli la
figliuola _Bianca_, e la città di Cremona con Pontremoli in dote, e
con altre esibizioni per appagar anche i Veneziani e Fiorentini. Andò
tanto innanzi questa pratica, che, essendo conchiusi i principali
articoli[2796], nel dì primo d'agosto, mentre il conte Francesco
assediava e batteva colle bombarde Martinengo, dove s'erano chiusi
circa mille dei migliori cavalli del Piccinino, all'improvviso saltò
fuori la tregua fra le parti guerreggianti, e cessò quell'assedio.
Nel 3 d'esso mese _Niccolò Piccinino_, che coll'esercito suo era
accampato in que' contorni, con tutti i suoi uffiziali andò a visitare
il _conte Francesco_. Allora si abbracciarono e baciarono questi due
gran capitani, e il conte, oltre all'onore e alle carezze che fece
a tutti quei condottieri d'armi, perdonò anche a _Taliano Furlano_,
che piagnendo gli dimandò perdono. Eletto dalle parti arbitro per
conchiudere la suddetta pace, esso conte portossi alla Cauriana sul
Mantovano, dove si raunarono ancora gli ambasciatori del papa, de'
Veneziani e Fiorentini, del duca di Milano, e de' marchesi di Ferrara
e di Mantova. Fra le condizioni accordate dal duca vi fu il matrimonio
di Bianca sua figliuola, in età allora di sedici anni, col conte
Francesco; e però prima di pubblicar la pace andò egli nel dì 25
d'ottobre[2797] (il Simonetta[2798] dice il dì 24) con due mila cavalli
presso a Cremona; e giunta colà anche Bianca con gran compagnia, la
sposò in San Sigismondo, e prese il possesso di Cremona; per le quali
nozze si fece mirabil festa in quella città con bagordi, giostre ed
altre allegrie[2799]. Fu poi nel dì 20 di novembre pubblicata la pace,
in cui _Gian-Francesco marchese_ di Mantova, secondo la disgrazia
de' più debili nelle leghe, lasciò il pelo, avendo dovuto restituire
a' Veneziani Porto, Legnago, Nogarola, ed altri luoghi da lui presi,
e rimettervi del proprio Valeggio, Asola, Lunato e Peschiera, a lui
tolti da' Veneziani. Grande allegrezza fu quella di tutta Lombardia per
questa pace.
Mutazione accadde nell'anno presente in Ravenna[2800]. Vi era signore
_Ostasio da Polenta_, che col suo governo parea andare a caccia delle
maniere di farsi odiare da' sudditi suoi. Se l'intesero questi col
senato veneto, il quale chiamò a Venezia esso Ostasio colla moglie e
col figliuolo, mostrando di voler far loro grande onore. Venne egli
a Ferrara, e quantunque il marchese Niccolò il consigliasse di non
andare, volle proseguire il suo viaggio. Giunto ch'egli fu colà, il
popolo di Ravenna, dato di piglio all'armi nel dì 24 di febbraio, si
suggettò a' Veneziani, che presero il dominio e possesso di quella
città. Ostasio fu inviato in Candia, dove trovò non men egli che il
figliuolo la morte col tempo: con che in esso mancò la nobil famiglia,
o almen la signoria de' Polentani, che da lungo tempo dominarono
in Ravenna. A _papa Eugenio_ dispiacque non poco di veder passare
quella sua città in mani sì potenti. Talmente s'era in questi tempi
affezionato il duca di Milano a _Niccolò Estense_ marchese di Ferrara,
principe di sommo credito, che, chiamatolo a Milano, non solo si
cominciò a reggere col suo consiglio, ma in certa guisa depositò in lui
il governo de' suoi Stati. Corse anche voce che meditasse di farlo suo
successore dopo la sua morte. Tanta parzialità del duca gli tirò tosto
addosso l'invidia di chi era solito a comandare in quella corte, e di
chi già pensava a veder succedere in quel ducato il conte _Francesco
Sforza_. Cadde egli infermo nel dì 26 di dicembre, e in poche ore, con
fama di veleno a lui dato, si sbrigò da questo mondo, con essere poi
portato a Ferrara il cadavere suo, e datagli sepoltura nel dì primo
dei seguente gennaio. _Lionello_ suo figliuolo bastardo, ancorchè vi
fossero _Ercole_ e _Sigismondo_ suoi figliuoli legittimi, a lui nati
da _Ricciarda_ figlia del marchese di Saluzzo, ma allora piccioli di
età, per disposizione del padre e del papa, succedette nei dominio
di Ferrara, Modena, Reggio, Rovigo e Comacchio. Fu anche guerra in
quest'anno[2801] fra _Sigismondo Pandolfo de' Malatesti_ signore di
Rimini e il _conte d'Urbino_; ma per opera di _Alessandro Sforza_,
fratello del conte Francesco, seguì pace fra loro. E nel mese di agosto