Annali d'Italia, vol. 5 - 78

del Reno. Per la morte di questo principe, e perchè _Jacopo Caldora_,
sazio sino alla gola di prede, s'era ritirato a Bari, respirò alquanto
il principe di Taranto; e con quelle poche genti che avea, uscito in
campagna nel verno, in meno d'un mese ricuperò tutte le terre perdute:
frutto massimamente delle sue amabili maniere, e della sua onoratezza
e giustizia.
NOTE:
[2683] Raynaldus, Annal. Eccl.
[2684] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 3, tom. 21 Rer. Ital.
[2685] Blondus, Dec. II, lib. 5.
[2686] Ammirat., Istor. di Firenze, lib. 20.
[2687] Raynaldus, Annal. Eccl. Blondus, et alii.
[2688] Johann. Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
[2689] Anonimo, Ist. di Firenze, tom. 19 Rer. Ital.
[2690] Stephan. Infessuta Diar.
[2691] Petroni, Istor., tom. 24 Rer. Ital.
[2692] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 3, tom. 21 Rer. Ital.
[2693] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
[2694] Poggius, Histor., lib. 7, tom. 20 Rer. Ital. Bonincontrus,
Annal., tom. 21 Rer. Ital.
[2695] Ammirati, Istoria di Firenze, lib. 20.
[2696] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
[2697] Cronica di Rimini, tom. 15 Rer. Ital.
[2698] Neri Capponi, Comment., tom. 18 Rer. Italic.
[2699] Ammirati, Istor. di Fir., lib. 20.
[2700] Sanuto, Istor. di Venez., tom. 22 Rer. Ital.
[2701] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 3, tom. 21 Rer. Ital.
[2702] Guichenon, Hist. de la Maison de Savoye, tom. 1.
[2703] Giornal. Napol., tom. 21 Rer. Ital. Bonincont. Annal., tom. eod.
[2704] Guichenon, Hist. de la Maison de Savoje, tom. 1.


Anno di CRISTO MCCCCXXXV. Indiz. XIII.
EUGENIO IV papa 5.
SIGISMONDO imperadore 3.

Confermarono in quest'anno i Veneziani e Fiorentini la lega loro per
dieci anni avvenire, per opporsi allora e dipoi agl'inquieti pensieri
del duca di Milano[2705]. Ma il manieroso _Niccolò marchese_ d'Este
e signor di Ferrara, eletto dalla provvidenza per dare ne' tempi
addietro la pace all'Italia, questa volta ancora si sbracciò per
ismorzar la nuova insorta guerra. Il credito della sua onoratezza in
sì fatti maneggi animò il papa e tutte le altre potenze guerreggianti
a compromettere in lui le lor differenze[2706]: laonde nel dì 10
d'agosto furono segnati gli articoli della pace, vantaggiosi al papa,
come si può vedere nella Storia del Biondo[2707]; per li quali cessò la
guerra di Romagna, Imola fu restituita al papa, e Bologna anch'essa si
ridusse alla di lui ubbidienza. Tornò allora in essa città _Antonio de'
Bentivogli_ capo di sua fazione con altri fuorusciti, e quantunque non
ribello del papa, anzi in addietro sempre a lui aderente, pure nel dì
23 di dicembre, per ordine di Baldassare di Offida ministro pontificio
essendo stato preso, gli fu iniquamente e senza misericordia tagliata
la testa. Per questo fatto tirannico fu vicina a ribellarsi di nuovo
la città di Bologna. Gran festa nel gennaio del presente anno[2708] fu
fatta in Ferrara per le nozze di _Lionello_, figliuolo del _marchese
Niccolò_ d'Este, con _Margherita_ figliuola di _Gian-Francesco da
Gonzaga_ marchese di Mantova. _Marsilio da Carrara_, unico figliuolo
legittimo di _Francesco II_ già signore di Padova[2709], fin qui
avea menata vita privata e quieta, guardandosi dall'insidie di chi
potea desiderar la sua morte. L'andò a cercare egli stesso nel marzo
di quest'anno coll'avere ordito in Padova un trattato con alcuni di
que' cittadini, che gli doveano aprire una porta e far ribellare la
città. Nell'andare colà, ossia che fosse tradito da un suo compadre,
oppure che i villani del Vicentino il riconoscessero, fu preso, e
pagò colla testa l'infelice esito de' suoi disegni: alla qual pena
soggiacquero ancora non pochi de' congiurati padovani. Prima poi che
seguisse la sopra mentovata pace[2710], il conte _Francesco Sforza_
generale della lega era venuto in Romagna colle sue genti con disegno
di opporsi a _Niccolò Piccinino_ spedito colà dal duca di Milano.
Per la di lui lontananza incoraggito _Niccolò Fortebraccio_ nemico
del papa, con una marcia sforzata arrivò addosso a _Leone Sforza_,
lasciato dal conte Francesco suo fratello a Todi con mille cavalli e
cinquecento fanti per guardia de' suoi Stati, e il fece prigione coi
più del suo seguito. Dopo di che stese le conquiste e i saccheggi nel
territorio di Camerino, minacciando anche il resto della Marca. Fu da
ciò obbligato il conte Francesco a volare colà. Spedito _Alessandro
Sforza_ suo fratello con _Taliano Furlano_ contra d'esso Fortebraccio,
che assediava allora Capo del Monte, su quel di Camerino attaccò la
battaglia. Andò in rotta l'armata di Fortebraccio, ed egli stesso
mortalmente ferito finì da lì a poco di vivere. Rallegrate le milizie
vincitrici del conte col ricchissimo bottino, furono appresso condotte
ad Assisi, già occupato dal suddetto Fortebraccio. Si rendè al papa
quella città, e Leone fratello del conte fu rimesso in libertà.
Ma quello che più strepitoso riuscì nell'anno presente ci vien
suggerito dalla Storia di Napoli[2711]. Poco stette la regina di
Napoli _Giovanna II_, inferma da qualche tempo, a tener dietro al
defunto suo figliuolo adottivo _Lodovico d'Angiò_. Mancò ella di
vita nel febbraio, con lasciar erede _Renato_ ossia _Rinieri d'Angiò
_fratello di Lodovico. Vi fu chi pretese ingiusto quel suo testamento.
Dimorando allora in Sicilia _Alfonso re d'Aragona_, teneva sempre
gli occhi aperti sopra i fatti del regno di Napoli, e già era nel suo
partito _Gian-Antonio degli Orsini_ principe di Taranto col duca di
Sessa e con altri baroni. Trovossi allora diviso il regno in varie
fazioni. _Papa Eugenio IV_, pretendendolo devoluto alla santa Sede,
non solamente spedì colà i monitorii, ma diede ordine a _Giovanni
Vitellesco_ di entrarvi coll'armi pontificie; nè gli mancava il suo
partito. La città di Napoli con assai altre città e baroni teneva
quello degli Angioini. E in terzo luogo, siccome ho detto, facendo il
re Alfonso valere l'adozione già di lui fatta, benchè ritrattata dalla
regina, ed assistito da molti di sua fazione, si mise in punto per
ottener colla forza ciò che gli era contrastato dalle altre contrarie
fazioni. Unita dunque una possente flotta, andò a sbarcare nel regno
di Napoli, e a congiugnersi col duca di Sessa: nel qual tempo _Jacopo
Caldora_ e _Michele Attendolo_ assediavano Capoa, occupata dalle
genti del principe di Taranto. Gran peso avrebbe dato alle armi del
re Alfonso l'acquisto di Gaeta città forte e mercantile: però la
strinse d'assedio per mare e per terra, e cominciò a bersagliarla
colle bombarde. Non sapendo i Gaetani, mal preparati alla difesa,
a chi ricorrere, spedirono per aiuto a Genova. Nemici capitali dei
Catalani erano da gran tempo i Genovesi; e questo motivo aggiunto
alle esortazioni del duca di Milano loro signore, che si dichiarava
malcontento del re Alfonso, bastò per muoverli[2712]. Dopo aver dunque
spedite due galee in soccorso di quella città, fecero un armamento
di tredici grosse navi sotto il comando di _Luca Asereto_, valente
maestro di guerra nelle armate di mare, e quello inviarono nel dì 22
di luglio alla volta di Gaeta. Appena ebbe l'animoso re Alfonso inteso
l'avvicinamento di questa flotta, che in persona salì sulla propria,
e si dispose per incontrare i nemici. Era essa composta di quattordici
grosse navi e di undici galee, sopra le quali lo stesso re con tutta la
nobiltà sua e dei baroni regnicoli, e con circa undici mila combattenti
andarono come ad un sicuro trionfo, stante la troppa loro superiorità
di forze. Le grida e le ingiurie, colle quali assalirono l'armata
genovese, diedero, nel dì cinque d'agosto verso l'Isola di Ponza il
principio alla terribil battaglia che quasi dal nascere del sole durò
sino al suo tramontare. In essa fecero di grandi prodezze le milizie
del re Alfonso; ma non si può abbastanza descrivere la bravura de'
Genovesi, a' quali venne fatto di pienamente sconfiggere la contraria
armata[2713], e di far prigione lo stesso re _Alfonso, Giovanni re
di Navarra_ ed _Arrigo gran mastro_ di San Jacopo suoi fratelli,
_Gian-Antonio Orsino_ principe di Taranto, _Jacopo Marzano duca_ di
Sessa, _Angelo Gambatesa conte_ di Campobasso, _Onorato Gaetano conte_
di Morcone, ed altri non pochi signori, de' quali tralascio il nome.
Delle quattordici navi del re una sola si salvò, in cui era l'infante
_don Pietro_ suo fratello.
Questa insigne vittoria di mare animò _Francesco Spinola_ ed _Ottolino
Zoppo_, che pel duca di Milano difendeano Gaeta, a tentare anch'essi
la lor fortuna; ed usciti colle lor genti contra degli assedianti,
vi diedero dentro, e li misero in rotta: con che restò interamente
libera quella città. Ciò fatto, i vittoriosi Genovesi, bruciate le
navi prese, e ritenuti i soli gran signori, fecero vela alla volta
di Genova, senza volersi mettere ad altra impresa. Colà giunti, ed
informato _Filippo Maria duca_ di Milano di quel prospero avvenimento,
volle che si conducessero a Milano tutti i prigioni. Ossia che i
consigli del _Piccinino_ od altri motivi politici avessero forza
nell'animo del duca; oppure che il re Alfonso, principe di mirabil
senno ed eloquenza, sapesse ben valersi della sua lingua e delle
sue proferte in tal congiuntura, certo è che il duca il trattò come
amico, e magnificamente l'alloggiò; e, fatta lega con lui, da lì
a poco tempo il rimise in libertà con tutti i suoi. Portata questa
nuova a Genova, se ne alterò sì forte quel popolo tra per l'odio loro
a' Catalani, e per vedere sì miseramente perduto il frutto della lor
vittoria, giacchè senza alcun riscatto, senza alcun vantaggioso patto
per loro fu rilasciato Alfonso con tanta baronia, che fin d'allora
cominciò a macchinar la risoluzione di sottrarsi al dominio del duca,
di cui peraltro erano malsoddisfatti, perchè loro non avea mantenuti
i patti[2714]. Pertanto, nel dì 12 di dicembre, prese le armi, e
gridando: _Viva la libertà_, si sollevarono, ed uccisero _Obizzino_
ossia _Pacino da Alzate_ ossia _Alciato_, governator della città, e
scossero affatto il giogo duchesco. Questo guadagno fece colla sua
generosità il duca di Milano. Aveano intanto i Napoletani[2715] spediti
messi per chiamare a Napoli _Renato d'Angiò_ conte di Provenza, a cui
diedero il titolo di re. Ma accadde ch'egli era stato fatto prigione
in una battaglia da _Filippo duca_ di Borgogna; nè potendo venire,
spedì la _regina Isabella_ sua moglie, erede del ducato di Lorena e
principessa di gran saviezza, con _Luigi_ suo secondogenito, chiamato
principe di Piemonte. Venne essa; fu ricevuta con onore in Gaeta, e
molto più in Napoli; ed avuta ubbidienza da molte altre città, spedì
_Micheletto Attendolo_ col figliuolo _Luigi_ in Calabria, provincia
che in breve fu ridotta alla divozione di lei. Ma _don Pietro_ infante,
avuto ordine dal _re Alfonso_ suo fratello, dopo la sua liberazione, di
venirlo a prendere, passando con undici galee davanti a Gaeta nel dì di
Natale, e saputo che per la peste vi era restata poca guarnigione, se
ne impadronì; e fermatosi quivi, inviò i legni a levare il fratello.
Nè si dee tacere[2716] che il _patriarca Vitellesco_, trovandosi nel
dì 31 d'agosto a campo contra del _prefetto_ a Vetralla, l'ebbe per
tradimento in mano, e gli fece tosto mozzare il capo nella piazza di
Soriano. Continuava intanto il concilio di Basilea, col consenso bensì
del papa, ma non senza quotidiani disgusti del medesimo pontefice, che
specialmente s'ebbe a male nell'anno presente che que' Padri avessero
abolite le annate de' benefizii, pretendendo essi che puzzassero di
simonia, e data con ciò una fiera stoccata all'erario pontificio, il
popolo di Fabriano si sollevò in questo anno[2717] contro a _Tommaso
Chiavelli_ tiranno della lor città, e dopo fatto un orrido macello di
lui e di tutta la sua famiglia, si diedero al conte _Francesco Sforza_,
che vi mise presidio.
NOTE:
[2705] Raynaldus, Annal. Eccles.
[2706] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
[2707] Blondus, Dec. II, lib. 7.
[2708] Cronica di Ferrara, tom. 24 Rer. Ital.
[2709] Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Ital.
[2710] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 3, tom. 21 Rer. Ital.
[2711] Giornal. Napolet., tom. 21 Rer. Ital.
[2712] Johannes Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
[2713] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, tom. 21 Rer. Ital. Petroni,
Istor., tom. 24 Rer. Ital.
[2714] Corio, Istoria di Milano.
[2715] Giornal. Napolet., tom. 21 Rer. Ital.


Anno di CRISTO MCCCCXXXVI. Indiz. XIV.
EUGENIO IV papa 6.
SIGISMONDO imperadore 4.

Fin qui avea _papa Eugenio_ tenuta la sua residenza in Firenze,
onorato e rispettato da quel popolo, a cui non poco tornava il conto
d'aver presso di sè la corte pontificia. I Romani, all'incontro, che
dopo la fuga del medesimo papa, oltre al provare un cattivo governo,
miravano crescere ogni di più la lor povertà[2718], perchè privi delle
rugiade papali, gli spedirono nel gennaio di quest'anno ambasciatori,
pregandolo con tutta la sommessione a ritornarsene alla sua sede. Ma
il pontefice, troppo ricordevole del recente affronto a lui fatto, li
mandò in pace senza volerli consolare. All'incontro, considerando più
convenevole alla sua dignità l'abitare in una città propria, che in
casa altrui, prese la risoluzione di trasferirsi a Bologna. Si mosse
dunque da Firenze nel dì 18 d'aprile[2719], e nel dì 22 fece la sua
solenne entrata in essa città di Bologna. Qualche dissapore poi dovette
insorgere fra esso pontefice e il conte _Francesco Sforza_, il quale
colle sue genti era in Romagna. Per ordine del medesimo Eugenio[2720]
avea questi fatto l'assedio di Forlì, e costretto _Antonio degli
Ordelaffi_ a dimettere quella città, che tornò all'ubbidienza
pontificia nel dì 24 di luglio. Perciò andavano tutte le cose a seconda
dei desiderii d'Eugenio, se non che gli stava sul cuore la marca
d'Ancona posseduta da esso conte, e cominciò a pentirsi d'avergliene
conceduto il vicariato. Questo fu creduto il motivo per cui si diede
a cercar da lì innanzi le vie di abbatterlo. Fece in questo mentre
guerra ai conti di Cunio, e, tolta loro la nobil terra di Lugo, la
donò a _Lionello_ figliuolo di _Niccolò Estense_ marchese di Ferrara.
Baldassare da Offida podestà di Bologna, uomo scelleratissimo, fu
il suo generale oppur commessario a tale impresa; nè il conte vi
fu invitato. Solamente egli vi mandò parte delle sue truppe senza
poi poterle riavere. Se l'intendeva costui con _Niccolò Piccinino_,
generale del duca di Milano, emulo, anzi nemico del conte, il quale si
trovava allora a Parma con gran gente, sollecitandolo affinchè venisse
contra del medesimo conte. Andava allora anche il papa d'accordo col
duca di Milano. Nè questo gli bastò. Avendo saputo che esso conte
dimorava senza sospetto e guardie a Ponte Polledrano, perchè gli
erano ignoti i pensieri del papa, si mise in procinto di sorprenderlo
quivi, e di farlo prigione nel dì 24 di settembre[2721]. Fu per buona
ventura segretamente avvisato il conte da _Niccolò cardinale_ di
Capoa di quel che si tramava contra di lui; nè tardò a muoversi di
là, e a deludere il disegno di chi gli volea male. Ma intercette poi
lettere dell'Offida al Piccinino, tendenti alla propria rovina, senza
potersi più contenere, segretamente messe in marcia le sue truppe,
gli fu all'improvviso addosso, lo sconfisse, e spogliò quanti erano
con lui. Se ne fuggì l'Offida a Budria; ma, colà portatosi il conte,
l'ebbe nelle mani, e il mandò poi prigione nel girone di Fermo, dove
lo scellerato fece quel fine che avea meritata la sua vita. Non mancò
_papa Eugenio_ di mandar persone al conte per certificarlo che senza
sua contezza l'Offida gli avea tramute quelle insidie; ma Francesco
credette quello che a lui parve.
Per la perdita di Genova non si sapea dar pace _Filippo Maria duca_
di Milano[2722]. Subito che la stagion lo permise, spedì _Niccolò
Piccinino_ a quella volta coll'armata, sperando di ricuperar la città,
giacchè si sosteneva tuttavia in mano delle sue genti il Castelletto.
Ma Niccolò non giunse a tempo; il Castelletto assediato, e con più
assalti tentato dal popolo di Genova, prima ch'egli giugnesse, capitolò
la resa, con che svanirono tutte le speranze del duca. Voltò il
Piccinino le armi contro la riviera d'occidente, con saccheggiar tutto
il paese; assediò la città d'Albenga, ma non gli riuscì di mettervi
dentro i piedi. In questo mentre i Genovesi aveano creato loro doge
_Isnardo Guarco_, che non durò se non sette giorni in quella dignità,
perchè _Tommaso da Campofregoso_ il cacciò di sedia, e si fece di nuovo
proclamar doge. Entrarono poscia i Genovesi in lega co' Veneziani e
Fiorentini. Veduto che ebbe _Niccolò Piccinino_ che nulla di sodo si
potea conquistare nel Genovesato, passò, d'ordine del duca, in Toscana,
giacchè i fuorusciti di Firenze con lusinghiere speranze gli faceano
credere sicuri molti vantaggi. Ma non dormivano i Fiorentini[2723].
Presero essi al loro soldo, e con titolo di generale, il conte
_Francesco Sforza_, il quale non tardò a comparire colà colle sue
soldatesche, e andò a postarsi a Santa Gonda per impedire il passaggio
dell'Arno al Piccinino, arrivato sul Lucchese. Niun tentativo fu
fatto da esso Piccinino, eccettochè contro la terra di Barga, che egli
assediò durante il verno. Ma avendo i Fiorentini dato ordine al conte
Francesco di darle soccorso[2724], egli spedì colà _Niccolò da Pisa_,
_Pietro Brunoro_ e _Ciarpellione_ con due mila e cinquecento uomini,
che nel dì 8 di febbraio dell'anno seguente misero in rotta Piccinino,
e fra gli altri fecero prigione _Lodovico Gonzaga_, figliuolo di
_Gian-Francesco marchese_ di Mantova, il qual poscia volle militare
sotto le bandiere sforzesche. Imbarcatosi intanto il _re Alfonso_ nelle
galee speditegli da _don Pietro_ suo fratello, con esse giunse nel dì
2 di febbraio a Gaeta[2725]. Quivi s'andò disponendo per far guerra
nel regno. _Jacopo Caldora_ duca di Bari era il solo, in cui avessero
speranza i Napoletani. Ma costui, avvezzo a pensare più a' proprii che
agli altrui vantaggi, ito in Abbruzzo per raunar gente, sì fattamente
disgustò quei popoli, che Sulmona, Cività di Penna ed altre terre
alzarono le insegne del re di Aragona. Tornò poi Sulmona all'ubbidienza
del _re Renato_, e Cività di Penna presa dal Caldora fu messa a sacco.
Portò esso Caldora la guerra dipoi in Puglia contro del principe di
Taranto, con assediar Barletta e Venosa, ma senza profitto. _Menicuccio
dall'Aquila_, che avea preso soldo nell'esercito del re d'Aragona,
prese Pescara: lo che fu cagione che anche la città di Chieti si
ribellasse; e, quantunque il Caldora mettesse il campo a questa città,
pure altro non potè fare che saccheggiar il paese d'intorno. _Giovanni
dei Vitelleschi_ patriarca di Alessandria in questi tempi, dimentico
della cherica, la facea da generale d'armata pel sommo pontefice.
Essendochè i Colonnesi e Savelli inquietavano forte Roma[2726], portò
loro addosso nel mese di marzo la guerra, con prendere e disfare
Savello, Albano ed altre loro terre. Assediò Palestrina; nè di quella
sola s'impadronì, ma anche di Zagarolo, e d'altre terre di _Lorenzo
Colonna_, costringendolo a ricoverarsi a Terracina. Quel che è più,
il _conte Antonio da Pontadera_, condottier d'armi, che teneva in
ischiavitù la Campagna di Roma, nel dì 15 di maggio restò dalle genti
d'esso patriarca sbaragliato e preso. Fu condotto a Piperno, dove,
per ordine del patriarca, gli fu mozzato il capo. Queste prodezze del
Vitellesco, e molte altre terre da lui prese e saccomanate, tuttochè
non molto convenevoli a persona di chiesa, pure portarono la pace e
quiete a Roma, e ai suoi contorni; di modo che, essendo egli andato a
Roma nel dì 29 d'agosto, dal popolo romano fu ricevuto come in trionfo,
e gli furono anche donati mille e ducento fiorini in una coppa d'oro.
Per questo andò crescendo la di lui superbia, con divenir non di meno
maggiore la sua crudeltà.
NOTE:
[2716] Petroni, Istoria, tom. 24 Rer. Ital.
[2717] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 3, tom. 21 Rer. Ital.
[2718] Petroni, Istor., ubi supra.
[2719] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
[2720] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 3, tom. 21 Rer. Ital.
[2721] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital. Cronica di Rimini, tom.
15 Rer. Ital.
[2722] Giustiniani, Istor. di Genova.
[2723] Ammirat., Istoria di Firenze, lib. 20.
[2724] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 3, tom. 21 Rer. Ital.
Corio, Istor. di Milano.
[2725] Giornal. Napolet., tom. 21 Rer. Ital.


Anno di CRISTO MCCCCXXXVII. Indiz. XV.
EUGENIO IV papa 7.
SIGISMONDO imperadore 5.

S'andarono sempre più imbrogliando gli affari del papa col concilio di
Basilea. Pretendeano que' Padri non solamente di riformar la Chiesa,
che ne abbisognava allora non poco, e i papi medesimi, ma voleano in
tutto e per tutto farla da papi, anzi da più dei papi: cosa che Eugenio
non volea sofferire. Andò sì innanzi il riscaldamento degli animi,
che il concilio giunse a citare il papa a rispondere a varie accuse
proposte contra di lui per cagion delle riserve dei benefizii, delle
annate, del non ammettere le elezioni, di praticare apertamente, come
essi diceano, la simonia, e sopra altri punti[2727]. Dal che irritato
Eugenio pubblicò una bolla, con cui dichiarò sciolto il concilio in
Basilea, e determinò Ferrara pel luogo, dove si avea da tenere da
lì innanzi il concilio, al quale ancora invitò i Greci. Intanto il
_patriarca Vitellesco_, che nel precedente anno avea tolto Palestrina
a _Lorenzo Colonna_, nel dì 20 di marzo mandò colà guastatori che
interamente la diroccarono e spianarono, sicchè rimase affatto
disabitata e un mucchio di pietre. E di questo ancora, perchè creduto
ordinato dal papa, fu fatto a lui un reato dai Padri del suddetto
concilio. Tenea mano a questa discordia _Alfonso re d'Aragona_. Non
avendo _papa Eugenio_ voluto accordargli l'investitura del regno di
Napoli, richiesta da lui parte colle preghiere e parte colle minaccie,
siccome quegli che già favoriva il partito del _re Renato_ d'Angiò:
Alfonso si voltò apertamente contra d'esso Eugenio, e fece di grandi
offerte al concilio per torre Roma al pontefice. Parea intanto che
prosperassero gli affari d'esso Alfonso nel regno di Napoli[2728],
perchè i conti di Nola e di Caserta seguirono le di lui bandiere. Il
perchè la _regina Isabella_, conosciuta vana per allora la speranza di
veder liberato il _re Renato_ suo marito dalla prigionia, ricorse per
aiuto al papa; e questi ordinò al patriarca di passar colà con tutte
le sue forze. Nel mese d'agosto entrò egli nel regno, e, dopo avere
preso Capperano, s'impadronì di Venafro, di Santo Angelo, Rupecanina
e Piedimonte, e poscia se ne andò a Napoli a visitar la regina, da cui
ricevette grande onore e danaro per pagar le truppe. Partitosi di colà
senza perdere tempo, ridusse all'ubbidienza della regina il conte di
Caserta, e poi prese Montesarchio. Alle istanze del re Alfonso si mosse
in questi tempi _Gian Antonio Orsino_ principe di Taranto con un corpo
di truppe, e il concerto era di prendere in mezzo il patriarca; ma
questi, più astuto di loro, andò a trovare il principe a Monte Fuscolo,
gli diede una rotta, e il fece prigione con assai altri baroni.
L'onore e le carezze usate dal papa all'Orsino prestarono motivo a
molti di credere che prima d'allora fossero d'accordo insieme[2729].
Si staccò il principe infatti dal re Alfonso, e si unì col patriarca,
il quale in premio della sua bravura meritò in quest'anno la porpora
cardinalizia da papa Eugenio. Ma non andò molto, che nacquero disgusti
fra esso patriarca e la regina; nè fra il principe di Taranto e
_Jacopo Caldora_ si rimise buona amicizia, di maniera che niun d'essi
si fidava dell'altro; e fu anzi creduto che il patriarca e il Caldora
apertamente fossero divenuti nemici. Ma avendo il re Alfonso assediata
e quasi ridotta all'agonia la città d'Aversa, la regina scrisse
lettere calde al patriarca e al Caldora, acciocchè la soccorressero.
Allora fu che questi due personaggi comparvero anima e corpo insieme,
e tutti e due nella vigilia di Natale mossero le lor armi alla volta
d'Aversa. Tuttochè il re Alfonso da più di uno fosse avvertito che
frettolosamente costoro marciavano contra di lui, nol sapea credere; e
tanto indugiò, che quasi il sorpresero a tavola. Ebbe tempo da fuggire
a Capua; ma andò in rotta tutta la sua gente; molti ne furono presi,
ed interamente il bagaglio restò preda dei ben venuti e degli Aversani.
Contuttociò essendo divampata la nemicizia fra il principe di Taranto e
il Caldora, e non potendo il patriarca ricevere rinforzo nè dall'uno nè
dall'altro, fu ridotto a mal partito, in guisa che, presa una picciola
barca, in quella s'imbarcò e passò a Venezia, e di là poi a Ferrara,
dove vedremo che si trasferì anche papa Eugenio. Quasi tutta la sua
gente abbandonata prese soldo nell'armata di Jacopo Caldora, grande
imbroglione, e di fede sempre incerta in quello sconvolgimento del
regno.
Nel verno dell'anno presente[2730] _Niccolò Piccinino_ s'era
impadronito di Sarzana e d'altre terre della Lunigiana; ma uscito
in campagna nell'aprile il conte _Francesco Sforza_ generale de'
Fiorentini con cinque mila cavalli e tre mila fanti, poco stette a
ricuperar que' luoghi. Mossero in quest'anno anche i Veneziani guerra
al duca di Milano, e cominciarono a far delle istanze ai Fiorentini
per avere al comando della loro armata il suddetto conte Francesco,
giacchè _Gian-Francesco_ (e non già _Lodovico_, come vuole il Sanuto)
marchese di Mantova lor generale, sdegnato perchè s'avvide d'essere in
sospetto la sua fedeltà presso quel senato, proponeva di rinunziare il
bastone. Ma anche ai Fiorentini premeva di ritenere in Toscana questo
gran capitano per la voglia e speranza che nudrivano dell'acquisto di
Lucca, città come abbandonata, per essere stato richiamato dal duca in
Lombardia il Piccinino[2731]. Cominciò per questo ad alterarsi la buona
armonia fra essi Veneziani e Fiorentini. Presa non di meno che ebbe il
conte Francesco la maggior parte delle castella del Lucchese[2732], e
piantate alcune bastie intorno a Lucca, sen venne di qua dall'Apennino
sul Reggiano colle sue truppe per accudire al servigio de' Veneziani;
ma perchè essi nol poterono smuovere dal suo proponimento di non
voler passare oltre Po, così portando i capitoli della sua condotta,
disgustato di loro, perchè nol voleano pagare, se ne tornò in Toscana,
dove passò il rimanente dell'anno. Poca felicità ebbero in quest'anno
l'armi venete contra del duca di Milano. _Niccolò Piccinino_ li
travagliò assaissimo sul Bergamasco, dove prese alcune castella. E nel
dì 20 di marzo diede una fiera spelazzata all'esercito loro presso il
fiume Adda, dove, secondo gli Annali di Forlì[2733], circa tre mila
soldati veneziani restarono o annegati o presi. Similmente nel dì 20 di
settembre[2734] riuscì ad esso Piccinino di sconfiggere la loro armata
con prendere molti uomini di taglia, e buona parte del bagaglio e delle
artiglierie. Questi furono i motivi per li quali il senato veneto mise
in dubbio la fede del marchese di Mantova. Ma non fu per ora accettata
la rinunzia del marchese di Mantova; e perch'egli se ne andò a casa, fu
eletto da' Veneziani per vicegenerale il _Gattamelata_. Mancò di vita
nel dì 8 di dicembre dell'anno presente[2735] _Sigismondo imperadore_,
lasciando dopo di sè una gloriosa memoria d'essere stato principe
piissimo, prudentissimo, e di liberalità che s'accostava all'eccesso,
massimamente verso de' poveri. Fu non di meno notata da Enea
Silvio[2736] la di lui incontinenza; del qual vizio macchiò sopra modo
la propria fama anche _Barbara_ Augusta di lui moglie. Lasciò erede de'
suoi regni di Boemia ed Ungheria _Alberto duca_ d'Austria genero suo.
Se crediamo al Rinaldi[2737], ribellatosi in quest'anno a _papa Eugenio
Pirro abbate_ casinense, castellano della fortezza di Spoleti, fu quivi
assediato dagli Spoletini. In aiuto di lui chiamato nel mese di maggio
_Francesco_ figliuolo di _Niccolò Piccinino_, costui, a tradimento
entrato nella città, la mise a sacco, colla morte ancora di molti di