Annali d'Italia, vol. 5 - 77
servigi a quella signoria. Di sua morte al certo pare che avesse
occasione di rallegrarsi non poco il duca di Milano, per veder tolto
a sè un sì pericoloso nemico, e a' Veneziani un capitano sì prode.
Fu poscia eletto generale dell'esercito _Gian-Francesco da Gonzaga_
signore di Mantova, il quale nell'anno presente collo sborso di dodici
mila fiorini d'oro conseguì dal re de' Romani il titolo di marchese di
Mantova. Giunto questo nuovo generale all'esercito della repubblica,
vi trovò cavalli nove mila e secento, fanti otto mila, balestrieri
ottocento, cernide sei mila, ed infiniti partigiani; ma niuna rilevante
impresa fece egli in tutto quest'anno, fuorchè la presa di Soncino e
d'alcune picciole terre. Nè dal canto del duca di Milano s'udì veruna
bravura, eccettochè una vittoria riportata da _Niccolò Piccinino_ in
Valtellina, provincia spettante in addietro ad esso duca, ed occupata
allora dall'armi venete. Vi era _Giorgio Cornaro_ provveditore della
repubblica con grosso corpo di gente. Colà portatosi il Piccinino
attaccò la mischia, ma fu costretto a ritirarsi[2656]. Vi tornò con
intelligenza de' Ghibellini, ed, assaliti i Veneti, li sconfisse con
tal fortuna, che pochi ne scamparono, e vi restarono presi lo stesso
Cornaro provveditore, _Taddeo marchese_ d'Este, _Taliano Furiano,
Cesare da Martinengo_ e molti altri condottieri d'armi. Il rumore
di tal vittoria andò crescendo per via di sì fatta maniera, che
l'autore della Cronica di Ferrara[2657] ebbe a scrivere, aver in essa
i Veneziani perduto tra morti e prigioni circa nove mila persone.
Anche l'Ammirati[2658] fa ascendere il danno loro a tre mila cavalli e
quattro mila fanti. Fu anche guerra in Val Camonica, la quale, secondo
il Sanuto, venne in potere de' Veneziani, scrivendo all'incontro
l'autore degli Annali di Forlì[2659] che vi furono presi e morti
dalle genti del duca di Milano moltissimi de' nemici. Se crediamo al
medesimo Sanuto, _Gian-Giacomo marchese_ di Monferrato, già spogliato
de' suoi Stati dal duca, fu in quest'anno rimesso in sua grazia colla
restituzione di quanto avea perduto. All'interposizione di _Sigismondo
re_ dei Romani venne attribuita questa concordia. Ma ciò non sussiste,
ed è da vedere il Guichenon[2660], che mostra tal restituzione
effettuala solamente in vigor della pace, di cui parleremo all'anno
seguente, e con varie difficoltà ancora in contrario nell'esecuzione
della medesima.
Ebbero non poche molestie nell'anno presente i Genovesi[2661] da
una poderosa flotta di galee spedite da Venezia contra di loro, che
andarono scorrendo per quelle riviere, e mettendo i luoghi men forti
a sacco coll'assistenza dei Fregosi e d'altri fuorusciti di Genova.
Talmente si difesero quei cittadini, che neppure riuscì ai nemici di
prendere la assediata terra di Sestri di Levante, e diedero ancora
delle busse ai fuorusciti che erano assai forti in terra. Nel dì 9 di
ottobre[2662] venne a morte _Galeotto Roberto Malatesta_ signore di
Rimini, principe riguardevole per la sua piissima vita. E perchè in
questi tempi ci volea poco a conseguir dai popoli il titolo di beato,
gli fu esso accordato dai Forlivesi. Al _Malatesta_ signore di Pesaro
tolta fu nel dì 18 d'agosto quella città dalle genti della Chiesa:
laonde i Malatesti si ritirarono a Fossombrone. Quanto al regno di
Napoli, l'avea fin qui dispoticamente governato _Ser-Gianni Caracciolo_
gran senescalco, tenendo come schiava la _regina Giovanna_[2663].
Non contento di averne ricevuto in dono Capoa e molte altre terre,
s'invogliò ancora del principato di Salerno; e perchè la regina non
condiscese a concederglielo, siccome uomo superbo, usò parole disoneste
contra di lei. Coloro che l'odiavano, ed erano la maggior parte dei
nobili napoletani, e massimamente _Ottino de' Caraccioli_ Rossi e la
duchessa di Sessa, si servirono di questa congiuntura per atterrarlo; e
tanto menarono, che la regina s'indusse a rilasciar l'ordine di farlo
prigione. Ciò bastò ai congiurati per andare una notte a svegliarlo,
e a trucidarlo a colpi di stocco, con rappresentar poi alla regina, la
quale sommamente se ne afflisse, ciò essere succeduto perch'egli s'era
messo in difesa. Furono poscia imprigionati Troiano suo figliuolo, e
molti altri Caraccioli suoi attinenti, e saccheggiate le lor case. La
Vita di Ser-Gianni scritta da Tristano Caracciolo fu da me pubblicata
nella mia Raccolta _Rer. Ital._ Allora l'ambiziosa duchessa di Sessa
cominciò a padroneggiar nella corte, nè permise che più venisse a
Napoli il _re Lodovico_ d'Angiò tuttavia dimorante in Calabria, ma in
basso stato, con tutto che egli si figurasse venuto per lui il buon
tempo, e si fosse messo in punto per trasferirsi a Napoli[2664]. Era
intanto approdato a Messina nel dì 6 di giugno dell'anno presente
_Alfonso re_ d'Aragona con ventidue galee e con alcune navi grosse.
Sul principio d'agosto, rinforzata che ebbe con altri legni e con
gran concorso di Siciliani quella flotta, fece vela verso Malta, e
andò poscia a piombare addosso all'isola delle Gerbe in Africa. Ossia
ch'egli non trovasse i suoi conti coi Mori padroni dell'isola, oppure
che all'avviso delle mutazioni accadute in Napoli si risvegliassero
le speranze sue di riacquistar ivi il dominio perduto, e tanto più
perchè segretamente era favorito dalla duchessa di Sessa: se ne tornò
in Sicilia nel mese d'ottobre, e dispose i suoi affari per passare in
regno di Napoli. Nel dì 20 di dicembre arrivò ad Ischia, e quivi si
fermò, aspettando d'udire se alla prefata duchessa riusciva di farlo
adottar di nuovo per figliuolo della regina. Ma _Urbano Cimino_, che
stava sempre all'orecchio d'essa regina, ed era tutto per Lodovico
d'Angiò, ebbe maniera di sventar ogni mina della duchessa.
NOTE:
[2648] Raynald., Annal. Eccles.
[2649] Blondus, lib. 5, Dec. 3. Sabellicus, Platina, et alii.
[2650] Poggius, Hist., lib. 7, tom. 20 Rer. Ital.
[2651] Bonincontrus, Annal., tom. 21 Rer. Italic. Neri Capponi,
Comment., tom. 18 Rer. Ital.
[2652] Ammirati, Istor. Fiorentina, lib. 20.
[2653] Petrus Russ., Hist. Senens., tom. 20 Rer. Italic.
[2654] Sanuto, Istor. Venet., tom. 23 Rer. Ital.
[2655] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
[2656] Sanuto, Ist. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
[2657] Cronica di Ferrara, tom. 25 Rer. Ital.
[2658] Ammirati, Istor. Fiorent., lib. 20.
[2659] Annales Foroliviens., tom. 22 Rer. Ital.
[2660] Guichenon, Hist. de la Maison de Savoye, tom. 1.
[2661] Johann. Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
[2662] Cronica di Rimini, tom. 15 Rer. Ital. Annales Foroliviens., tom.
22 Rer. Ital.
[2663] Giornal. Napol., tom. 21 Rer. Ital.
[2664] Hist. Sicula, tom. 24 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCCXXXIII. Indiz. XI.
EUGENIO IV papa 3.
SIGISMONDO imperatore 1.
Coll'essersi fermato in Siena quasi un anno _Sigismondo re_ de'
Romani, convertì le brevi benedizioni di quel popolo in maledizioni
senza fine, stante lo strabocchevol aggravio che lor dava la sì
lunga permanenza non meno di questo principe, che della sua corte
e gente di armi[2665]. Maneggiava egli intanto i suoi interessi con
_papa Eugenio IV_ per ottener la corona imperiale; e finalmente dopo
essersi spianate tutte le difficoltà che il sospettoso pontefice
avea frapposto, e dopo essersi conchiusa la pace fra le potenze
guerreggianti, egli da Siena si mosse alla volta di Roma. Seguì,
dissi, la pace fra i Veneziani e Fiorentini dall'una, e _Filippo
Maria Visconte_ duca di Milano dall'altra, e i lor collegati, per
opera spezialmente dì _Niccolò marchese_ d'Este, signor di Ferrara,
Modena e Reggio. Erasi questo principe acquistato già il credito di
paciere d'Italia colla sua onoratezza e destrezza: e siccome amico
d'ognuno, e neutrale nell'ultima guerra, cotante istanze fece, che
ognuno de' principi interessati in essa discordia spedì a Ferrara i
suoi ambasciatori per trattare d'accordo sotto la sua mediazione[2666].
Quivi si trovava ancora _Luigi marchese_ di Saluzzo, suocero dello
stesso marchese Niccolò, che unì i suoi uffizii a sì lodevole impresa.
Dopo essersi dunque digeriti tutti i punti della controversia dai due
marchesi arbitri, finalmente nel dì 26 d'aprile furono sottoscritti
gli articoli della pace. Marino Sanuto[2667] e il Corio[2668] la
fanno conchiusa alcuni giorni prima. In vigor di essa tanto il duca
di Milano, quanto i Veneziani, Fiorentini, Sanesi, Lucchesi ed altri
collegati restituirono le terre occupate nella ultima guerra. Il solo
_Gian-Giacomo marchese_ di Monferrato ebbe molto a penare a vedersi
rimesso interamente in possesso di tutte le terre a lui tolte dal duca
di Milano, e delle altre raccomandate ad _Amedeo duca_ di Savoia.
Promossero amendue varie difficoltà, e tirarono in lungo il più che
poterono la restituzione, con essere stata obbligata per questo la
repubblica veneta a spedire più ambasciatori a fin di sostenere questo
suo malconcio collegato. Intorno a ciò son da vedere Benvenuto da
San Giorgio storico monferrino[2669] e il Guichenone storico della
real casa di Savoia[2670], che son ben discordi nella lor relazione.
Ora dappoichè fu ritornata la calma in Toscana e Lombardia[2671],
_Sigismondo re_ de' Romani, d'Ungheria e di Boemia si mise in
cammino verso Roma, dove pervenne nel dì 21 di maggio, accolto con
gran magnificenza dal popolo romano, e con affetto paterno da _papa
Eugenio_. Nel giorno ultimo dello stesso mese, festa della Pentecoste,
seguì nella basilica vaticana la solenne di lui coronazione secondo
il rito consueto; laonde cominciò egli ad usare ne' suoi diplomi il
titolo d'imperador de' Romani, non usato fin qui dagli eletti se non
dopo aver ricevuta la corona romana[2672]. Partito di Roma nel mese
d'agosto, venne per Perugia, e poscia a Rimini, e per la Romagna, dove
fece varii cavalieri; e nel dì 9 di settembre pervenne a Ferrara[2673],
dove fu magnificamente ricevuto ed alloggiato dal marchese Niccolò, e
diede l'ordine della cavalleria ad _Ercole_ e _Sigismondo_ figliuoli
legittimi di esso marchese, e a _Lionello, Borso_ e _Folco_ bastardi
del medesimo. Passò poscia a Mantova, e quivi, oltre all'aver dato,
siccome accennai poco fa, a _Gian-Francesco_ signore di quella città
il titolo di marchese, stabilì ancora le nozze di _Lodovico_ di lui
figliuolo con _Barbara_ figliuola del marchese di Brandeburgo. Osserva
il Corio[2674] con altri che Sigismondo entrò in Italia amico del duca
di Milano, e ne partì nemico. Per lo contrario, al suo arrivo parea
mal soddisfatto di papa Eugenio e de' Veneziani, ma loro amico se ne
ritornò in Germania. Andossene dipoi a Basilea, dove quel concilio
avea già mosse delle insolite pretensioni contra di papa Eugenio,
con aver anche tirato nel loro parere il _cardinal Giuliano_ legato
presidente di quella sacra assemblea. Sostenne esso imperadore la
dignità pontificia contra di que' sediziosi. Ma di queste controversie
non è mio assunto il trattare, rimettendone la conoscenza alla storia
ecclesiastica.
Non bollivano intanto in cuor di _Filippo Maria_ duca di Milano
se non sospetti e pensieri di vendette. Fra gli altri gli venne in
diffidenza il _conte Francesco Sforza_, ed avea presa la risoluzione
di farlo uccidere; ma, informato il conte di così perverso disegno,
fondato nella sua innocenza[2675], a dirittura se n'andò a Milano, ed
ebbe coll'aiuto degli amici maniera di giustificarsi e di dileguar
tutte le ombre concepute del duca; il quale, mutato l'odio in amore
e carezze, cominciò a riguardarlo come suo figliuolo. Era parimenti
in collera esso duca contra di papa Eugenio, perchè nell'antecedente
guerra avea congiunte l'armi sue con quelle de' Fiorentini ai
danni del medesimo duca. Segretamente adunque s'intese col predetto
Francesco Sforza, il quale, con prendere il pretesto di accorrere
alla difesa degli Stati a lui spettanti in regno di Napoli, ed allora
infestati da _Jacopo Caldora_, licenziato dal duca, direttamente se
ne andò verso il regno per la Romagna. Nel mese di novembre passò
pel Bolognese[2676], e, giunto nella marca d'Ancona, ossia perchè
invitato da que' popoli, oppure per effettuar le occulte commessioni
e trame del duca, cominciò colle sue genti ad insignorirsi di quella
provincia, essendosi unito a lui _Lorenzo Attendolo_ da Cotignola con
altre milizie. Con lettere finte mostrava egli di far quelle conquiste
a nome del concilio di Basilea[2677], che l'avea rotta col papa. Alle
mani di lui volontariamente venne Jesi, e per forza il Monte dell'Olmo,
e quindi Osimo e Fermo colla Rocca, Recanati ed Ascoli, essendo
fuggito _Giovanni Vitellesco_ governatore d'essa provincia. Anche la
città d'Ancona si rendè a lui, e divenne sua tributaria. Si credeano
quei popoli di darsi al duca di Milano, ma il conte chiaramente
protestava di voler esserne egli signore[2678]. Udite queste nuove
il duca, confortollo segretamente a continuar l'impresa. Nello stesso
tempo con altre soldatesche entrarono nel ducato di Spoleti _Taliano
Furlano, Antonello da Siena_ e _Jacopo da Lunato_, condottieri d'armi,
allegando anch'essi, cioè fingendo, d'essere colà inviati dal concilio
suddetto. Nè qui finì tutta la scena. Anche _Niccolò Fortebraccio_,
soprannominato dalla Stella, dianzi capitano del papa medesimo,
rivolse l'armi contra di lui, e, dopo la presa di Tivoli, cominciò ad
infestare la stessa Roma. In grandi angustie ed affanni era per tali
movimenti il pontefice. Rimasta in questi tempi libera dalle guerre
esterne la repubblica fiorentina, ne soffrì un'interna[2679]. _Rinaldo
degli Albizi_ con altri potenti, voglioso di abbattere la fazione di
_Cosimo de' Medici_, il più ricco e saggio di que' cittadini, tanto
fece, che _Bernardo de' Guadagni_ gonfalonier di giustizia, chiamato a
palazzo esso Cosimo, il trattenne prigione. Fu in pericolo la vita di
lui. Tuttavia andò a finir la tempesta in relegar lui per dieci anni a
Padova, Lorenzo suo fratello per due anni a Venezia, e gli altri Medici
in altre città. Fermossi, come già dicemmo, _Alfonso re_ d'Aragona ad
Ischia colla sua flotta, aspettando mutazioni a sè favorevoli nella
corte della regina di Napoli[2680]. Ridusse intanto alla sua divozione
_Jacopo duca_ di Sessa; ma questo servì appunto a rovinare gl'interessi
suoi[2681]; perciocchè _Gabella Ruffa_ duchessa di Sessa, da cui,
siccome favorita della regina, dovea venire il buon vento, essendo
nemica del duca suo marito, voltato mantello, impiegò tutti i suoi
uffizii contra d'Alfonso. Egli dunque trovando deluse le sue speranze,
fatta una tregua di dieci anni colla regina, se ne tornò schernito in
Sicilia. Nel mese di dicembre[2682] _Antonio degli Ordelaffi,_ chiamato
dal popolo, entrò in Forlì, e se ne fece signore, con iscacciarne la
guarnigion pontificia. E _Sigismondo Malatesta_ signore di Rimini,
unito con _Malatesta_ suo fratello, occupò la città di Cervia.
NOTE:
[2665] Raynaldus, Annal. Eccles.
[2666] Annal. Foroliviens., tom. 22 Rer. Ital.
[2667] Sanuto, Istor. Ven., tom. eod.
[2668] Corio, Istoria di Milano.
[2669] Benvenuto da S. Giorgio, Istoria del Monferrato, tom. 23 Rer.
Ital.
[2670] Guichenon, Histoire de la Maison de Savoye, tom. 1.
[2671] Leonardus Aretin., Hist., tom. 19 Rer. Ital.
[2672] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
[2673] Cronica di Ferrara, tom. 24 Rer. Ital.
[2674] Corio, Istoria di Milano.
[2675] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 3, tom. 21 Rer. Ital.
[2676] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
[2677] Raynaldus, Annal. Eccles.
[2678] Neri Capponi, Comment., tom. 18 Rer. Ital.
[2679] Ammirat., Istoria Fiorentina, lib. 20.
[2680] Giornal. Napol., tom. 21 Rer. Ital.
[2681] Bonincontrus, Annal., tom. eod.
[2682] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital. Annales Foroliv., tom. 22
Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCCXXXIV. Indiz. XII.
EUGENIO IV papa 4.
SIGISMONDO imperadore 2.
Crebbero in quest'anno gli affanni di _papa Eugenio_[2683]. Dall'un
canto l'affliggevano i Padri del concilio di Basilea, che insuperbiti
faceano di mani e di piedi per abbassare l'autorità del papa, e far
conoscere superiore ad essa quella del concilio generale. Andò tanto
innanzi la briga, che Eugenio, colla mira di schivare uno scisma,
contro sua voglia cedette ad alcune pretensioni di quei Padri: il
che diede poi motivi a molte dispute fra i teologi. Dall'altra parte
cresceva la persecuzione fatta agli Stati della Chiesa dal conte
_Francesco Sforza_[2684]. Coll'acquisto della Marca avea questi
rallegrata non poco ed accresciuta la sua armata, e però durante
il verno passò nell'Umbria, con occupar Todi, Amelia, Toscanella,
Otricoli, Mogliano, Soriano ed altre terre. Atterrito da questo fiero
temporale il papa, altro mezzo non seppe trovare per quetarlo, che
quello di trattare un accordo[2685]. Spedì pertanto allo Sforza il suo
segretario _Biondo da Forlì_, storico rinomato; e la conchiusione del
trattato fu, che Eugenio concedette al conte Francesco in vicariato,
sua vita natural durante, la marca d'Ancona, nel dì 25 di marzo; e per
maggiormente impegnarlo alla propria difesa, il creò gonfaloniere della
Chiesa romana. Si accinse in fatti lo Sforza a sostenere gl'interessi
del papa; e perchè _Niccolò Fortebraccio_ tenea stretta Roma, inviò
due mila cavalli sotto il comando di _Lorenzo Attendolo_ e di _Leone
Sforza_ suo proprio fratello in soccorso a _Micheletto Attendolo_,
generale in questi tempi del papa. Andarono queste genti all'assedio di
Tivoli, dove s'era fortificato il Fortebraccio, il quale da lì a non
molto attaccò una battaglia, e n'ebbe la peggio. Portossi lo stesso
conte Francesco all'assedio di Montefiascone, e l'avrebbe astretto
alla resa, qualora _Filippo Maria Visconte_ non avesse imbrogliate le
scritture. S'ebbe questi forte a male che il conte Francesco avesse
abbracciato contro la sua mente il partito del papa. Per quanto dunque
fu creduto, ricorse ad un altro ripiego a fin di salvare le apparenze,
e di far del male, secondochè sospirava, all'odiato pontefice. Cioè
operò che i Perugini, ossia che avessero, oppure che fingessero d'aver
paura del conte Francesco Sforza, chiamassero in loro aiuto _Niccolò
Piccinino_ lor concittadino[2686], il quale, mostrando di voler
trasferirsi per bisogno di sua sanità ai bagni di Petriuolo, ottenne
da' Fiorentini il passaggio di secento cavalli, ed altri cinquecento
ne fece marciare per la Romagna. Giunto che fu il Piccinino, correndo
il mese di maggio, in quelle parti, arrestò i disegni dello Sforza, e
cominciò a camminar d'intelligenza con Niccolò Fortebraccio, il quale,
ricevuto un rinforzo di gente da Viterbo, più che mai si diede ad
inquietare ed angustiare i Romani. Ordiva egli nello stesso tempo delle
trame co' Ghibellini di quell'augusta città, di modo che, sollevatosi
il popolo romano nel dì 29 del mese suddetto, ed attizzato spezialmente
da' Colonnesi[2687], andò furiosamente a lamentarsi al papa delle
vessazioni che lor conveniva di sofferire pel suo mal governo, e a far
istanza che egli concedesse loro il reggimento temporale della città.
Tanto il duca di Milano, quanto il concilio di Basilea fu creduto che
segretamente soffiassero in questo fuoco. Andò tanto innanzi l'ardire
de' Romani, che non solamente fecero prigione _Francesco Condolmieri
cardinale_, e nipote d'esso papa, ma anche misero le guardie al palazzo
del pontefice medesimo, abitante allora a' Santi Apostoli, ritenendolo
anch'esso come prigioniere[2688]. Ebbe la fortuna papa Eugenio nel dì
18 di maggio di potersene fuggire travestito con due soli compagni da
monaco Benedettino, ossia de' minori osservanti, e di potersi imbarcare
in uno schifo, oppur brigantino. Accortisi di sua fuga i Romani, il
perseguitarono e balestrarono molto per le rive del Tevere; ma volle
Dio che sano e salvo egli pervenisse ad una galea che l'aspettava in
mare di là da Ostia[2689]. Adagiatosi in essa pervenne egli nel dì 12
di giugno a Livorno, da dove passò poi a Firenze nel dì 25, accolto con
grande onore da quel popolo.
Restò dunque Roma in potere di _Niccolò Fortebraccio_, ma con poco
gusto di que' cittadini[2690]; imperocchè dall'una parte _Micheletto_ e
_Lorenzo_ da Cotignola con _Leone Sforza_, e dall'altra il castellano
di Sant'Angelo li tormentarono sì fattamente con saccheggi e morti,
che cominciarono dopo alcun mese a desiderare e a parlar d'accordo.
Pertanto nel dì 26 d'ottobre _Giovanni de' Vitelleschi_ Vescovo di
Recanati e il vescovo di Turpia[2691] ripigliarono, di consenso de'
Romani, il possesso e dominio di Roma a nome del papa. Furono assai
vicine in questi tempi l'armata del conte _Francesco Sforza_ unito
con _Micheletto Attendolo_ dall'una parte, e dall'altra quella di
_Niccolò Piccinino_ congiunto con _Niccolò Fortebraccio_, a venire
alle mani fra loro[2692]; e succederono anche molti movimenti delle
lor armi; ma, interpostisi gli ambasciatori del duca di Milano, seguì
fra loro una specie di concordia, per cui si obbligò il Piccinino di
non impacciarsi nelle cose di Roma. Mentre da quella parte erano sotto
il peso dell'armi gli Stati della Chiesa, si accese un altro incendio
in Romagna[2693]. Nel dì 21 di gennaio, essendosi sollevato il popolo
minuto d'Imola, tolse quella città alle genti del papa, e chiamò colà
le milizie del duca di Milano, che stanziavano a Lugo: il che diede
motivo a _Guidantonio dei Manfredi_ signor di Faenza di far guerra a
quella città, e di occupar quasi tutte le castella del di lei contado.
Per questa novità non meno i Veneziani che i Fiorentini, spinti
massimamente dalle istanze del papa, strepitarono forte, lamentandosi
che l'incontentabil duca di Milano avea chiaramente contravvenuto
ai capitoli dell'ultima pace. E perchè anche in Bologna vi erano dei
cattivi umori per cagion della fazione allora dominante dei Canedoli,
spedirono i Veneziani sul territorio bolognese _Gattamelata_ lor
capitano con mille lancie, acciocchè tenesse l'occhio addosso a
Bologna, intendendosi col governatore di quella città, che era allora
il vescovo d'Avignone. Gattamelata senz'altre cerimonie s'impadronì
di Castelfranco, di Manzolino e della rocca di San Giovanni in
Persiceto; ed, essendo capitato nel dì 13 di giugno ad essa terra di
San Giovanni Gasparo fratello di Batista da Canedolo con cinquecento
cavalli, venendo dai servigi della repubblica veneta, il Gattamelata
il fece prigione con tutta quella gente. Si sollevarono per questo
i Canedoli in Bologna; e, dopo aver preso il governator pontifizio,
introdussero in città ducento cavalli del duca di Milano. Trattossi
poi d'accordo cogli ambasciatori del papa; ma perchè non fu rilasciato
Gasparo di Canedolo, non ebbe effetto il trattato. Intanto nuova gente
venne da Venezia a Gattamelata sul Bolognese e in Romagna, che occupò
Castel Bolognese, Castello San Pietro ed altri luoghi. I Fiorentini vi
spedirono anch'essi _Niccolò da Tolentino_ colle lor soldatesche; e nel
medesimo tempo il duca di Milano, oltre all'avervi inviata gente dal
canto suo, richiamò anche _Niccolò Piccinino_ colle sue squadre dalle
terre del Patrimonio[2694]. Venne il Piccinino a postarsi ad Imola,
e dopo varii piccioli fatti, nel dì 28 di agosto, siccome capitano
accortissimo e maestro di guerra, avendo con falsi assalti tirata
di qua da un ponte fra Imola a Castel Bolognese parte dell'esercito
collegato de' Veneziani co' capitani stessi; e fatto da' suoi occupare
quel medesimo ponte, non durò gran fatica a sbaragliar questo corpo.
Dopo di che marciò di là dal ponte, e sconfisse il resto dell'armata
nemica. Segnalatissima fu questa vittoria, minutamente descritta
dall'Ammirati[2695], perchè il campo dei Veneziani e Fiorentini era
composto di sei mila cavalli e tre mila fanti; e, secondo la Cronica
di Bologna[2696], fu creduto che appena ne scampassero mille cavalli,
restando gli altri prigionieri; e fra questi ultimi si contarono[2697]
lo stesso Niccolò da Tolentino generale de' Fiorentini, che morì poi, o
fu fatto morire, _Pietro Gian Paolo degli Orsini, Astorre de' Manfredi_
di Faenza, _Cesare da Martinengo_, ed altri condottieri d'armi. Ebbero
la fortuna di salvarsi _Gattamelata, Guidantonio de' Manfredi_ signor
di Faenza e _Taddeo marchese_. Spese poscia il Piccinino i due seguenti
mesi in liberar da' nemici varie castella del Bolognese.
In Firenze nel dì 26 di settembre gran tumulto fece quel popolo[2698],
e fu richiamato dall'esilio _Cosimo de Medici_ con altri confinati. E
perocchè la rotta data dal Piccinino in Romagna avea di molto esaltato
il duca di Milano[2699], i Fiorentini cercarono di condurre al servigio
loro e della lega il conte _Francesco Sforza_, già divenuto marchese
della marca d'Ancona. Questi si trovava allora di stanza a Todi, e,
quantunque gli stessero davanti agli occhi i vantaggi che sperava dal
duca di Milano coll'accasamento di _Bianca_ di lui figliuola, pure,
considerando che il Piccinino gli andava avanti nella grazia del duca,
e che a lui, e non a sè, verrebbe raccomandato il comando dell'armata,
antepose all'incertezza delle speranze dell'avvenire la certezza
dei presenti vantaggi: e tanto più perchè gli premeva di conservare
l'acquistato dominio della Marca, di tenersi amico il papa co'
Fiorentini, e di conservare il grado di gonfalonier della Chiesa[2700].
Pertanto si acconciò al servigio loro con ottocento cavalli e
cinquecento fanti. Il Simonetta[2701] parla di tre mila cavalli e di
mille fanti, e che ad esso conte Francesco fu promesso il generalato
dell'armata de' collegati. Da molto tempo signoreggiava la famiglia de'
_Varani_ in Camerino. Per opera di _Giovanni de Vitelleschi_ da Corneto
vescovo di Recanati, e poi patriarca d'Alessandria, personaggio che per
la sua superbia e crudeltà sfregiò di molto il pastorale e la mitra,
fu ucciso _Giovanni Varano_ da due suoi fratelli, e a _Pietro Gentile_
altro lor fratello dallo stesso Vitellesco tolta fu la vita. Non passò
molto che i due fratelli uccisori, cioè _Gentile Pandolfo e Berardo_,
furono trucidati dal popolo di Camerino: con che i Varani perderono
quella signoria, e i Camerinesi si fecero tributarii del conte
_Francesco Sforza_ con permissione di governarsi colle loro leggi.
V'ha chi mette questo fatto sotto il precedente anno. Per alcun tempo
avea _Amedeo VIII_ duca primo di Savoia e principe di Piemonte[2702]
gloriosamente e saviamente governati i suoi Stati, quand'ecco che nel
novembre dell'anno presente, dato un calcio alle grandezze terrene,
e rinunziato il governo ai due suoi figliuoli _Luigi_ e _Filippo_, si
ritirò in un romitaggio a Ripaglia presso il lago di Ginevra, ed ivi
istituì l'ordine di San Maurizio. Fra poco vedremo questo principe in
una positura ben diversa. Guerra intanto era nel regno di Napoli[2703].
Sovvertita la _regina Giovanna_ da' suoi consiglieri, cioè da gente
invidiosa del potere e delle ricchezze di _Gian Antonio Orsino_
principe di Taranto, ch'era allora il primo barone del regno, gli mosse
guerra. Il _re Lodovico d'Angiò_, dimorante allora in Calabria, per
ordine della regina menò contra di lui mille e cinquecento cavalli ed
altrettanti pedoni. Tre altri mila cavalli condusse a questa impresa
_Jacopo Caldora_, allora duca di Bari e signor dell'Abbruzzo; e la
regina vi mandò cinque altri mila cavalli. Contra di questo torrente
fece quanta difesa potè il principe di Taranto, aiutato da Gabriello
Orsino duca di Venosa suo fratello; pure passavano male i suoi affari,
ed era, dopo aver perduto alcune città, in pericolo di rimanere
spogliato di tutto, essendo anche stato assediato in Taranto. Ma
venuto il novembre, fu sorpreso da gagliarde febbri il re _Lodovico_,
ed, essendo passato al castello di Cosenza in Calabria, verso la metà
di quel mese passò a miglior vita: principe per le sue rare qualità
compianto da tutti, e spezialmente dalla regina, ben pentita d'averlo
trattato sì male per tanto tempo, con tenerlo lungi da sè. Aveva
egli sposata in questo o nel precedente anno _Margherita_ figliuola
del suddetto _Amedeo duca_ di Savoia, e sorella di _Maria duchessa_
di Milano, ed avea anche impiegata o gittata buona parte della dote
nella spedizione suddetta[2704]. Divenne poi questa principessa in
seconde nozze moglie di _Lodovico duca_ di Baviera, conte palatino
occasione di rallegrarsi non poco il duca di Milano, per veder tolto
a sè un sì pericoloso nemico, e a' Veneziani un capitano sì prode.
Fu poscia eletto generale dell'esercito _Gian-Francesco da Gonzaga_
signore di Mantova, il quale nell'anno presente collo sborso di dodici
mila fiorini d'oro conseguì dal re de' Romani il titolo di marchese di
Mantova. Giunto questo nuovo generale all'esercito della repubblica,
vi trovò cavalli nove mila e secento, fanti otto mila, balestrieri
ottocento, cernide sei mila, ed infiniti partigiani; ma niuna rilevante
impresa fece egli in tutto quest'anno, fuorchè la presa di Soncino e
d'alcune picciole terre. Nè dal canto del duca di Milano s'udì veruna
bravura, eccettochè una vittoria riportata da _Niccolò Piccinino_ in
Valtellina, provincia spettante in addietro ad esso duca, ed occupata
allora dall'armi venete. Vi era _Giorgio Cornaro_ provveditore della
repubblica con grosso corpo di gente. Colà portatosi il Piccinino
attaccò la mischia, ma fu costretto a ritirarsi[2656]. Vi tornò con
intelligenza de' Ghibellini, ed, assaliti i Veneti, li sconfisse con
tal fortuna, che pochi ne scamparono, e vi restarono presi lo stesso
Cornaro provveditore, _Taddeo marchese_ d'Este, _Taliano Furiano,
Cesare da Martinengo_ e molti altri condottieri d'armi. Il rumore
di tal vittoria andò crescendo per via di sì fatta maniera, che
l'autore della Cronica di Ferrara[2657] ebbe a scrivere, aver in essa
i Veneziani perduto tra morti e prigioni circa nove mila persone.
Anche l'Ammirati[2658] fa ascendere il danno loro a tre mila cavalli e
quattro mila fanti. Fu anche guerra in Val Camonica, la quale, secondo
il Sanuto, venne in potere de' Veneziani, scrivendo all'incontro
l'autore degli Annali di Forlì[2659] che vi furono presi e morti
dalle genti del duca di Milano moltissimi de' nemici. Se crediamo al
medesimo Sanuto, _Gian-Giacomo marchese_ di Monferrato, già spogliato
de' suoi Stati dal duca, fu in quest'anno rimesso in sua grazia colla
restituzione di quanto avea perduto. All'interposizione di _Sigismondo
re_ dei Romani venne attribuita questa concordia. Ma ciò non sussiste,
ed è da vedere il Guichenon[2660], che mostra tal restituzione
effettuala solamente in vigor della pace, di cui parleremo all'anno
seguente, e con varie difficoltà ancora in contrario nell'esecuzione
della medesima.
Ebbero non poche molestie nell'anno presente i Genovesi[2661] da
una poderosa flotta di galee spedite da Venezia contra di loro, che
andarono scorrendo per quelle riviere, e mettendo i luoghi men forti
a sacco coll'assistenza dei Fregosi e d'altri fuorusciti di Genova.
Talmente si difesero quei cittadini, che neppure riuscì ai nemici di
prendere la assediata terra di Sestri di Levante, e diedero ancora
delle busse ai fuorusciti che erano assai forti in terra. Nel dì 9 di
ottobre[2662] venne a morte _Galeotto Roberto Malatesta_ signore di
Rimini, principe riguardevole per la sua piissima vita. E perchè in
questi tempi ci volea poco a conseguir dai popoli il titolo di beato,
gli fu esso accordato dai Forlivesi. Al _Malatesta_ signore di Pesaro
tolta fu nel dì 18 d'agosto quella città dalle genti della Chiesa:
laonde i Malatesti si ritirarono a Fossombrone. Quanto al regno di
Napoli, l'avea fin qui dispoticamente governato _Ser-Gianni Caracciolo_
gran senescalco, tenendo come schiava la _regina Giovanna_[2663].
Non contento di averne ricevuto in dono Capoa e molte altre terre,
s'invogliò ancora del principato di Salerno; e perchè la regina non
condiscese a concederglielo, siccome uomo superbo, usò parole disoneste
contra di lei. Coloro che l'odiavano, ed erano la maggior parte dei
nobili napoletani, e massimamente _Ottino de' Caraccioli_ Rossi e la
duchessa di Sessa, si servirono di questa congiuntura per atterrarlo; e
tanto menarono, che la regina s'indusse a rilasciar l'ordine di farlo
prigione. Ciò bastò ai congiurati per andare una notte a svegliarlo,
e a trucidarlo a colpi di stocco, con rappresentar poi alla regina, la
quale sommamente se ne afflisse, ciò essere succeduto perch'egli s'era
messo in difesa. Furono poscia imprigionati Troiano suo figliuolo, e
molti altri Caraccioli suoi attinenti, e saccheggiate le lor case. La
Vita di Ser-Gianni scritta da Tristano Caracciolo fu da me pubblicata
nella mia Raccolta _Rer. Ital._ Allora l'ambiziosa duchessa di Sessa
cominciò a padroneggiar nella corte, nè permise che più venisse a
Napoli il _re Lodovico_ d'Angiò tuttavia dimorante in Calabria, ma in
basso stato, con tutto che egli si figurasse venuto per lui il buon
tempo, e si fosse messo in punto per trasferirsi a Napoli[2664]. Era
intanto approdato a Messina nel dì 6 di giugno dell'anno presente
_Alfonso re_ d'Aragona con ventidue galee e con alcune navi grosse.
Sul principio d'agosto, rinforzata che ebbe con altri legni e con
gran concorso di Siciliani quella flotta, fece vela verso Malta, e
andò poscia a piombare addosso all'isola delle Gerbe in Africa. Ossia
ch'egli non trovasse i suoi conti coi Mori padroni dell'isola, oppure
che all'avviso delle mutazioni accadute in Napoli si risvegliassero
le speranze sue di riacquistar ivi il dominio perduto, e tanto più
perchè segretamente era favorito dalla duchessa di Sessa: se ne tornò
in Sicilia nel mese d'ottobre, e dispose i suoi affari per passare in
regno di Napoli. Nel dì 20 di dicembre arrivò ad Ischia, e quivi si
fermò, aspettando d'udire se alla prefata duchessa riusciva di farlo
adottar di nuovo per figliuolo della regina. Ma _Urbano Cimino_, che
stava sempre all'orecchio d'essa regina, ed era tutto per Lodovico
d'Angiò, ebbe maniera di sventar ogni mina della duchessa.
NOTE:
[2648] Raynald., Annal. Eccles.
[2649] Blondus, lib. 5, Dec. 3. Sabellicus, Platina, et alii.
[2650] Poggius, Hist., lib. 7, tom. 20 Rer. Ital.
[2651] Bonincontrus, Annal., tom. 21 Rer. Italic. Neri Capponi,
Comment., tom. 18 Rer. Ital.
[2652] Ammirati, Istor. Fiorentina, lib. 20.
[2653] Petrus Russ., Hist. Senens., tom. 20 Rer. Italic.
[2654] Sanuto, Istor. Venet., tom. 23 Rer. Ital.
[2655] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
[2656] Sanuto, Ist. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
[2657] Cronica di Ferrara, tom. 25 Rer. Ital.
[2658] Ammirati, Istor. Fiorent., lib. 20.
[2659] Annales Foroliviens., tom. 22 Rer. Ital.
[2660] Guichenon, Hist. de la Maison de Savoye, tom. 1.
[2661] Johann. Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
[2662] Cronica di Rimini, tom. 15 Rer. Ital. Annales Foroliviens., tom.
22 Rer. Ital.
[2663] Giornal. Napol., tom. 21 Rer. Ital.
[2664] Hist. Sicula, tom. 24 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCCXXXIII. Indiz. XI.
EUGENIO IV papa 3.
SIGISMONDO imperatore 1.
Coll'essersi fermato in Siena quasi un anno _Sigismondo re_ de'
Romani, convertì le brevi benedizioni di quel popolo in maledizioni
senza fine, stante lo strabocchevol aggravio che lor dava la sì
lunga permanenza non meno di questo principe, che della sua corte
e gente di armi[2665]. Maneggiava egli intanto i suoi interessi con
_papa Eugenio IV_ per ottener la corona imperiale; e finalmente dopo
essersi spianate tutte le difficoltà che il sospettoso pontefice
avea frapposto, e dopo essersi conchiusa la pace fra le potenze
guerreggianti, egli da Siena si mosse alla volta di Roma. Seguì,
dissi, la pace fra i Veneziani e Fiorentini dall'una, e _Filippo
Maria Visconte_ duca di Milano dall'altra, e i lor collegati, per
opera spezialmente dì _Niccolò marchese_ d'Este, signor di Ferrara,
Modena e Reggio. Erasi questo principe acquistato già il credito di
paciere d'Italia colla sua onoratezza e destrezza: e siccome amico
d'ognuno, e neutrale nell'ultima guerra, cotante istanze fece, che
ognuno de' principi interessati in essa discordia spedì a Ferrara i
suoi ambasciatori per trattare d'accordo sotto la sua mediazione[2666].
Quivi si trovava ancora _Luigi marchese_ di Saluzzo, suocero dello
stesso marchese Niccolò, che unì i suoi uffizii a sì lodevole impresa.
Dopo essersi dunque digeriti tutti i punti della controversia dai due
marchesi arbitri, finalmente nel dì 26 d'aprile furono sottoscritti
gli articoli della pace. Marino Sanuto[2667] e il Corio[2668] la
fanno conchiusa alcuni giorni prima. In vigor di essa tanto il duca
di Milano, quanto i Veneziani, Fiorentini, Sanesi, Lucchesi ed altri
collegati restituirono le terre occupate nella ultima guerra. Il solo
_Gian-Giacomo marchese_ di Monferrato ebbe molto a penare a vedersi
rimesso interamente in possesso di tutte le terre a lui tolte dal duca
di Milano, e delle altre raccomandate ad _Amedeo duca_ di Savoia.
Promossero amendue varie difficoltà, e tirarono in lungo il più che
poterono la restituzione, con essere stata obbligata per questo la
repubblica veneta a spedire più ambasciatori a fin di sostenere questo
suo malconcio collegato. Intorno a ciò son da vedere Benvenuto da
San Giorgio storico monferrino[2669] e il Guichenone storico della
real casa di Savoia[2670], che son ben discordi nella lor relazione.
Ora dappoichè fu ritornata la calma in Toscana e Lombardia[2671],
_Sigismondo re_ de' Romani, d'Ungheria e di Boemia si mise in
cammino verso Roma, dove pervenne nel dì 21 di maggio, accolto con
gran magnificenza dal popolo romano, e con affetto paterno da _papa
Eugenio_. Nel giorno ultimo dello stesso mese, festa della Pentecoste,
seguì nella basilica vaticana la solenne di lui coronazione secondo
il rito consueto; laonde cominciò egli ad usare ne' suoi diplomi il
titolo d'imperador de' Romani, non usato fin qui dagli eletti se non
dopo aver ricevuta la corona romana[2672]. Partito di Roma nel mese
d'agosto, venne per Perugia, e poscia a Rimini, e per la Romagna, dove
fece varii cavalieri; e nel dì 9 di settembre pervenne a Ferrara[2673],
dove fu magnificamente ricevuto ed alloggiato dal marchese Niccolò, e
diede l'ordine della cavalleria ad _Ercole_ e _Sigismondo_ figliuoli
legittimi di esso marchese, e a _Lionello, Borso_ e _Folco_ bastardi
del medesimo. Passò poscia a Mantova, e quivi, oltre all'aver dato,
siccome accennai poco fa, a _Gian-Francesco_ signore di quella città
il titolo di marchese, stabilì ancora le nozze di _Lodovico_ di lui
figliuolo con _Barbara_ figliuola del marchese di Brandeburgo. Osserva
il Corio[2674] con altri che Sigismondo entrò in Italia amico del duca
di Milano, e ne partì nemico. Per lo contrario, al suo arrivo parea
mal soddisfatto di papa Eugenio e de' Veneziani, ma loro amico se ne
ritornò in Germania. Andossene dipoi a Basilea, dove quel concilio
avea già mosse delle insolite pretensioni contra di papa Eugenio,
con aver anche tirato nel loro parere il _cardinal Giuliano_ legato
presidente di quella sacra assemblea. Sostenne esso imperadore la
dignità pontificia contra di que' sediziosi. Ma di queste controversie
non è mio assunto il trattare, rimettendone la conoscenza alla storia
ecclesiastica.
Non bollivano intanto in cuor di _Filippo Maria_ duca di Milano
se non sospetti e pensieri di vendette. Fra gli altri gli venne in
diffidenza il _conte Francesco Sforza_, ed avea presa la risoluzione
di farlo uccidere; ma, informato il conte di così perverso disegno,
fondato nella sua innocenza[2675], a dirittura se n'andò a Milano, ed
ebbe coll'aiuto degli amici maniera di giustificarsi e di dileguar
tutte le ombre concepute del duca; il quale, mutato l'odio in amore
e carezze, cominciò a riguardarlo come suo figliuolo. Era parimenti
in collera esso duca contra di papa Eugenio, perchè nell'antecedente
guerra avea congiunte l'armi sue con quelle de' Fiorentini ai
danni del medesimo duca. Segretamente adunque s'intese col predetto
Francesco Sforza, il quale, con prendere il pretesto di accorrere
alla difesa degli Stati a lui spettanti in regno di Napoli, ed allora
infestati da _Jacopo Caldora_, licenziato dal duca, direttamente se
ne andò verso il regno per la Romagna. Nel mese di novembre passò
pel Bolognese[2676], e, giunto nella marca d'Ancona, ossia perchè
invitato da que' popoli, oppure per effettuar le occulte commessioni
e trame del duca, cominciò colle sue genti ad insignorirsi di quella
provincia, essendosi unito a lui _Lorenzo Attendolo_ da Cotignola con
altre milizie. Con lettere finte mostrava egli di far quelle conquiste
a nome del concilio di Basilea[2677], che l'avea rotta col papa. Alle
mani di lui volontariamente venne Jesi, e per forza il Monte dell'Olmo,
e quindi Osimo e Fermo colla Rocca, Recanati ed Ascoli, essendo
fuggito _Giovanni Vitellesco_ governatore d'essa provincia. Anche la
città d'Ancona si rendè a lui, e divenne sua tributaria. Si credeano
quei popoli di darsi al duca di Milano, ma il conte chiaramente
protestava di voler esserne egli signore[2678]. Udite queste nuove
il duca, confortollo segretamente a continuar l'impresa. Nello stesso
tempo con altre soldatesche entrarono nel ducato di Spoleti _Taliano
Furlano, Antonello da Siena_ e _Jacopo da Lunato_, condottieri d'armi,
allegando anch'essi, cioè fingendo, d'essere colà inviati dal concilio
suddetto. Nè qui finì tutta la scena. Anche _Niccolò Fortebraccio_,
soprannominato dalla Stella, dianzi capitano del papa medesimo,
rivolse l'armi contra di lui, e, dopo la presa di Tivoli, cominciò ad
infestare la stessa Roma. In grandi angustie ed affanni era per tali
movimenti il pontefice. Rimasta in questi tempi libera dalle guerre
esterne la repubblica fiorentina, ne soffrì un'interna[2679]. _Rinaldo
degli Albizi_ con altri potenti, voglioso di abbattere la fazione di
_Cosimo de' Medici_, il più ricco e saggio di que' cittadini, tanto
fece, che _Bernardo de' Guadagni_ gonfalonier di giustizia, chiamato a
palazzo esso Cosimo, il trattenne prigione. Fu in pericolo la vita di
lui. Tuttavia andò a finir la tempesta in relegar lui per dieci anni a
Padova, Lorenzo suo fratello per due anni a Venezia, e gli altri Medici
in altre città. Fermossi, come già dicemmo, _Alfonso re_ d'Aragona ad
Ischia colla sua flotta, aspettando mutazioni a sè favorevoli nella
corte della regina di Napoli[2680]. Ridusse intanto alla sua divozione
_Jacopo duca_ di Sessa; ma questo servì appunto a rovinare gl'interessi
suoi[2681]; perciocchè _Gabella Ruffa_ duchessa di Sessa, da cui,
siccome favorita della regina, dovea venire il buon vento, essendo
nemica del duca suo marito, voltato mantello, impiegò tutti i suoi
uffizii contra d'Alfonso. Egli dunque trovando deluse le sue speranze,
fatta una tregua di dieci anni colla regina, se ne tornò schernito in
Sicilia. Nel mese di dicembre[2682] _Antonio degli Ordelaffi,_ chiamato
dal popolo, entrò in Forlì, e se ne fece signore, con iscacciarne la
guarnigion pontificia. E _Sigismondo Malatesta_ signore di Rimini,
unito con _Malatesta_ suo fratello, occupò la città di Cervia.
NOTE:
[2665] Raynaldus, Annal. Eccles.
[2666] Annal. Foroliviens., tom. 22 Rer. Ital.
[2667] Sanuto, Istor. Ven., tom. eod.
[2668] Corio, Istoria di Milano.
[2669] Benvenuto da S. Giorgio, Istoria del Monferrato, tom. 23 Rer.
Ital.
[2670] Guichenon, Histoire de la Maison de Savoye, tom. 1.
[2671] Leonardus Aretin., Hist., tom. 19 Rer. Ital.
[2672] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
[2673] Cronica di Ferrara, tom. 24 Rer. Ital.
[2674] Corio, Istoria di Milano.
[2675] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 3, tom. 21 Rer. Ital.
[2676] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
[2677] Raynaldus, Annal. Eccles.
[2678] Neri Capponi, Comment., tom. 18 Rer. Ital.
[2679] Ammirat., Istoria Fiorentina, lib. 20.
[2680] Giornal. Napol., tom. 21 Rer. Ital.
[2681] Bonincontrus, Annal., tom. eod.
[2682] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital. Annales Foroliv., tom. 22
Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCCXXXIV. Indiz. XII.
EUGENIO IV papa 4.
SIGISMONDO imperadore 2.
Crebbero in quest'anno gli affanni di _papa Eugenio_[2683]. Dall'un
canto l'affliggevano i Padri del concilio di Basilea, che insuperbiti
faceano di mani e di piedi per abbassare l'autorità del papa, e far
conoscere superiore ad essa quella del concilio generale. Andò tanto
innanzi la briga, che Eugenio, colla mira di schivare uno scisma,
contro sua voglia cedette ad alcune pretensioni di quei Padri: il
che diede poi motivi a molte dispute fra i teologi. Dall'altra parte
cresceva la persecuzione fatta agli Stati della Chiesa dal conte
_Francesco Sforza_[2684]. Coll'acquisto della Marca avea questi
rallegrata non poco ed accresciuta la sua armata, e però durante
il verno passò nell'Umbria, con occupar Todi, Amelia, Toscanella,
Otricoli, Mogliano, Soriano ed altre terre. Atterrito da questo fiero
temporale il papa, altro mezzo non seppe trovare per quetarlo, che
quello di trattare un accordo[2685]. Spedì pertanto allo Sforza il suo
segretario _Biondo da Forlì_, storico rinomato; e la conchiusione del
trattato fu, che Eugenio concedette al conte Francesco in vicariato,
sua vita natural durante, la marca d'Ancona, nel dì 25 di marzo; e per
maggiormente impegnarlo alla propria difesa, il creò gonfaloniere della
Chiesa romana. Si accinse in fatti lo Sforza a sostenere gl'interessi
del papa; e perchè _Niccolò Fortebraccio_ tenea stretta Roma, inviò
due mila cavalli sotto il comando di _Lorenzo Attendolo_ e di _Leone
Sforza_ suo proprio fratello in soccorso a _Micheletto Attendolo_,
generale in questi tempi del papa. Andarono queste genti all'assedio di
Tivoli, dove s'era fortificato il Fortebraccio, il quale da lì a non
molto attaccò una battaglia, e n'ebbe la peggio. Portossi lo stesso
conte Francesco all'assedio di Montefiascone, e l'avrebbe astretto
alla resa, qualora _Filippo Maria Visconte_ non avesse imbrogliate le
scritture. S'ebbe questi forte a male che il conte Francesco avesse
abbracciato contro la sua mente il partito del papa. Per quanto dunque
fu creduto, ricorse ad un altro ripiego a fin di salvare le apparenze,
e di far del male, secondochè sospirava, all'odiato pontefice. Cioè
operò che i Perugini, ossia che avessero, oppure che fingessero d'aver
paura del conte Francesco Sforza, chiamassero in loro aiuto _Niccolò
Piccinino_ lor concittadino[2686], il quale, mostrando di voler
trasferirsi per bisogno di sua sanità ai bagni di Petriuolo, ottenne
da' Fiorentini il passaggio di secento cavalli, ed altri cinquecento
ne fece marciare per la Romagna. Giunto che fu il Piccinino, correndo
il mese di maggio, in quelle parti, arrestò i disegni dello Sforza, e
cominciò a camminar d'intelligenza con Niccolò Fortebraccio, il quale,
ricevuto un rinforzo di gente da Viterbo, più che mai si diede ad
inquietare ed angustiare i Romani. Ordiva egli nello stesso tempo delle
trame co' Ghibellini di quell'augusta città, di modo che, sollevatosi
il popolo romano nel dì 29 del mese suddetto, ed attizzato spezialmente
da' Colonnesi[2687], andò furiosamente a lamentarsi al papa delle
vessazioni che lor conveniva di sofferire pel suo mal governo, e a far
istanza che egli concedesse loro il reggimento temporale della città.
Tanto il duca di Milano, quanto il concilio di Basilea fu creduto che
segretamente soffiassero in questo fuoco. Andò tanto innanzi l'ardire
de' Romani, che non solamente fecero prigione _Francesco Condolmieri
cardinale_, e nipote d'esso papa, ma anche misero le guardie al palazzo
del pontefice medesimo, abitante allora a' Santi Apostoli, ritenendolo
anch'esso come prigioniere[2688]. Ebbe la fortuna papa Eugenio nel dì
18 di maggio di potersene fuggire travestito con due soli compagni da
monaco Benedettino, ossia de' minori osservanti, e di potersi imbarcare
in uno schifo, oppur brigantino. Accortisi di sua fuga i Romani, il
perseguitarono e balestrarono molto per le rive del Tevere; ma volle
Dio che sano e salvo egli pervenisse ad una galea che l'aspettava in
mare di là da Ostia[2689]. Adagiatosi in essa pervenne egli nel dì 12
di giugno a Livorno, da dove passò poi a Firenze nel dì 25, accolto con
grande onore da quel popolo.
Restò dunque Roma in potere di _Niccolò Fortebraccio_, ma con poco
gusto di que' cittadini[2690]; imperocchè dall'una parte _Micheletto_ e
_Lorenzo_ da Cotignola con _Leone Sforza_, e dall'altra il castellano
di Sant'Angelo li tormentarono sì fattamente con saccheggi e morti,
che cominciarono dopo alcun mese a desiderare e a parlar d'accordo.
Pertanto nel dì 26 d'ottobre _Giovanni de' Vitelleschi_ Vescovo di
Recanati e il vescovo di Turpia[2691] ripigliarono, di consenso de'
Romani, il possesso e dominio di Roma a nome del papa. Furono assai
vicine in questi tempi l'armata del conte _Francesco Sforza_ unito
con _Micheletto Attendolo_ dall'una parte, e dall'altra quella di
_Niccolò Piccinino_ congiunto con _Niccolò Fortebraccio_, a venire
alle mani fra loro[2692]; e succederono anche molti movimenti delle
lor armi; ma, interpostisi gli ambasciatori del duca di Milano, seguì
fra loro una specie di concordia, per cui si obbligò il Piccinino di
non impacciarsi nelle cose di Roma. Mentre da quella parte erano sotto
il peso dell'armi gli Stati della Chiesa, si accese un altro incendio
in Romagna[2693]. Nel dì 21 di gennaio, essendosi sollevato il popolo
minuto d'Imola, tolse quella città alle genti del papa, e chiamò colà
le milizie del duca di Milano, che stanziavano a Lugo: il che diede
motivo a _Guidantonio dei Manfredi_ signor di Faenza di far guerra a
quella città, e di occupar quasi tutte le castella del di lei contado.
Per questa novità non meno i Veneziani che i Fiorentini, spinti
massimamente dalle istanze del papa, strepitarono forte, lamentandosi
che l'incontentabil duca di Milano avea chiaramente contravvenuto
ai capitoli dell'ultima pace. E perchè anche in Bologna vi erano dei
cattivi umori per cagion della fazione allora dominante dei Canedoli,
spedirono i Veneziani sul territorio bolognese _Gattamelata_ lor
capitano con mille lancie, acciocchè tenesse l'occhio addosso a
Bologna, intendendosi col governatore di quella città, che era allora
il vescovo d'Avignone. Gattamelata senz'altre cerimonie s'impadronì
di Castelfranco, di Manzolino e della rocca di San Giovanni in
Persiceto; ed, essendo capitato nel dì 13 di giugno ad essa terra di
San Giovanni Gasparo fratello di Batista da Canedolo con cinquecento
cavalli, venendo dai servigi della repubblica veneta, il Gattamelata
il fece prigione con tutta quella gente. Si sollevarono per questo
i Canedoli in Bologna; e, dopo aver preso il governator pontifizio,
introdussero in città ducento cavalli del duca di Milano. Trattossi
poi d'accordo cogli ambasciatori del papa; ma perchè non fu rilasciato
Gasparo di Canedolo, non ebbe effetto il trattato. Intanto nuova gente
venne da Venezia a Gattamelata sul Bolognese e in Romagna, che occupò
Castel Bolognese, Castello San Pietro ed altri luoghi. I Fiorentini vi
spedirono anch'essi _Niccolò da Tolentino_ colle lor soldatesche; e nel
medesimo tempo il duca di Milano, oltre all'avervi inviata gente dal
canto suo, richiamò anche _Niccolò Piccinino_ colle sue squadre dalle
terre del Patrimonio[2694]. Venne il Piccinino a postarsi ad Imola,
e dopo varii piccioli fatti, nel dì 28 di agosto, siccome capitano
accortissimo e maestro di guerra, avendo con falsi assalti tirata
di qua da un ponte fra Imola a Castel Bolognese parte dell'esercito
collegato de' Veneziani co' capitani stessi; e fatto da' suoi occupare
quel medesimo ponte, non durò gran fatica a sbaragliar questo corpo.
Dopo di che marciò di là dal ponte, e sconfisse il resto dell'armata
nemica. Segnalatissima fu questa vittoria, minutamente descritta
dall'Ammirati[2695], perchè il campo dei Veneziani e Fiorentini era
composto di sei mila cavalli e tre mila fanti; e, secondo la Cronica
di Bologna[2696], fu creduto che appena ne scampassero mille cavalli,
restando gli altri prigionieri; e fra questi ultimi si contarono[2697]
lo stesso Niccolò da Tolentino generale de' Fiorentini, che morì poi, o
fu fatto morire, _Pietro Gian Paolo degli Orsini, Astorre de' Manfredi_
di Faenza, _Cesare da Martinengo_, ed altri condottieri d'armi. Ebbero
la fortuna di salvarsi _Gattamelata, Guidantonio de' Manfredi_ signor
di Faenza e _Taddeo marchese_. Spese poscia il Piccinino i due seguenti
mesi in liberar da' nemici varie castella del Bolognese.
In Firenze nel dì 26 di settembre gran tumulto fece quel popolo[2698],
e fu richiamato dall'esilio _Cosimo de Medici_ con altri confinati. E
perocchè la rotta data dal Piccinino in Romagna avea di molto esaltato
il duca di Milano[2699], i Fiorentini cercarono di condurre al servigio
loro e della lega il conte _Francesco Sforza_, già divenuto marchese
della marca d'Ancona. Questi si trovava allora di stanza a Todi, e,
quantunque gli stessero davanti agli occhi i vantaggi che sperava dal
duca di Milano coll'accasamento di _Bianca_ di lui figliuola, pure,
considerando che il Piccinino gli andava avanti nella grazia del duca,
e che a lui, e non a sè, verrebbe raccomandato il comando dell'armata,
antepose all'incertezza delle speranze dell'avvenire la certezza
dei presenti vantaggi: e tanto più perchè gli premeva di conservare
l'acquistato dominio della Marca, di tenersi amico il papa co'
Fiorentini, e di conservare il grado di gonfalonier della Chiesa[2700].
Pertanto si acconciò al servigio loro con ottocento cavalli e
cinquecento fanti. Il Simonetta[2701] parla di tre mila cavalli e di
mille fanti, e che ad esso conte Francesco fu promesso il generalato
dell'armata de' collegati. Da molto tempo signoreggiava la famiglia de'
_Varani_ in Camerino. Per opera di _Giovanni de Vitelleschi_ da Corneto
vescovo di Recanati, e poi patriarca d'Alessandria, personaggio che per
la sua superbia e crudeltà sfregiò di molto il pastorale e la mitra,
fu ucciso _Giovanni Varano_ da due suoi fratelli, e a _Pietro Gentile_
altro lor fratello dallo stesso Vitellesco tolta fu la vita. Non passò
molto che i due fratelli uccisori, cioè _Gentile Pandolfo e Berardo_,
furono trucidati dal popolo di Camerino: con che i Varani perderono
quella signoria, e i Camerinesi si fecero tributarii del conte
_Francesco Sforza_ con permissione di governarsi colle loro leggi.
V'ha chi mette questo fatto sotto il precedente anno. Per alcun tempo
avea _Amedeo VIII_ duca primo di Savoia e principe di Piemonte[2702]
gloriosamente e saviamente governati i suoi Stati, quand'ecco che nel
novembre dell'anno presente, dato un calcio alle grandezze terrene,
e rinunziato il governo ai due suoi figliuoli _Luigi_ e _Filippo_, si
ritirò in un romitaggio a Ripaglia presso il lago di Ginevra, ed ivi
istituì l'ordine di San Maurizio. Fra poco vedremo questo principe in
una positura ben diversa. Guerra intanto era nel regno di Napoli[2703].
Sovvertita la _regina Giovanna_ da' suoi consiglieri, cioè da gente
invidiosa del potere e delle ricchezze di _Gian Antonio Orsino_
principe di Taranto, ch'era allora il primo barone del regno, gli mosse
guerra. Il _re Lodovico d'Angiò_, dimorante allora in Calabria, per
ordine della regina menò contra di lui mille e cinquecento cavalli ed
altrettanti pedoni. Tre altri mila cavalli condusse a questa impresa
_Jacopo Caldora_, allora duca di Bari e signor dell'Abbruzzo; e la
regina vi mandò cinque altri mila cavalli. Contra di questo torrente
fece quanta difesa potè il principe di Taranto, aiutato da Gabriello
Orsino duca di Venosa suo fratello; pure passavano male i suoi affari,
ed era, dopo aver perduto alcune città, in pericolo di rimanere
spogliato di tutto, essendo anche stato assediato in Taranto. Ma
venuto il novembre, fu sorpreso da gagliarde febbri il re _Lodovico_,
ed, essendo passato al castello di Cosenza in Calabria, verso la metà
di quel mese passò a miglior vita: principe per le sue rare qualità
compianto da tutti, e spezialmente dalla regina, ben pentita d'averlo
trattato sì male per tanto tempo, con tenerlo lungi da sè. Aveva
egli sposata in questo o nel precedente anno _Margherita_ figliuola
del suddetto _Amedeo duca_ di Savoia, e sorella di _Maria duchessa_
di Milano, ed avea anche impiegata o gittata buona parte della dote
nella spedizione suddetta[2704]. Divenne poi questa principessa in
seconde nozze moglie di _Lodovico duca_ di Baviera, conte palatino
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