Annali d'Italia, vol. 5 - 76
nodo. Per coonestare il fatto, si trovò che essendo restato creditore
di settanta mila fiorini d'oro _Sforza_ padre del _conte Francesco_,
se gli pagherebbe questo danaro, purchè uscisse di Toscana, e si
obbligasse per alcuni mesi di non andare ai servigi del duca di Milano.
Pagato il contante, egli passò in Lombardia, e colle sue genti venne ad
accamparsi su quello della Mirandola. Minutamente si trova descritta
questa guerra da Andrea Biglia[2609]. Indarno mandarono i Lucchesi a
Firenze per placare quella signoria. Non sapeano i Fiorentini digerire
di aver fatta tanta spesa contra de' Lucchesi, e che in bene de' soli
Lucchesi si fosse convertito tutto il loro sforzo. Perciò partito che
fu Francesco Sforza, tornarono, come prima, all'assedio di Lucca[2610],
e i Lucchesi tornarono a pulsare il duca di Milano per soccorso. Perchè
_Filippo Maria_ volea pure aiutarli, e nello stesso tempo parere di
non intricarsi in que' fatti, permise che i Genovesi formassero una
particolar lega coi Lucchesi, allegando che, secondo i lor privilegii,
poteano farla[2611]. _Niccolò Piccinino_ in questi tempi attendeva a
sottomettere le terre de' Fieschi e della Lunigiana al duca di Milano.
Si mostrò che i Genovesi l'avessero eletto per lor capitano; e questi
in fatti colle sue genti d'armi s'inviò verso Lucca, e fu a fronte
del campo fiorentino, restando solamente frapposto il fiume Serchio
fra le armate. Era di parere il conte di Urbino che non si togliesse
battaglia. Venuto di Firenze ordine in contrario, seguì a dì 2 di
dicembre un fatto d'armi funesto all'esercito fiorentino, il quale
interamente fu rotto con prigionia di mille e cinquecento cavalieri,
con perdita di bagaglio e di attrecci, e con altri danni. Il _conte
Urbino_, _Niccolò Fortebraccio_ e gli altri capitani, ben serviti
dai lor cavalli, si salvarono chi a Librafatta e chi a Pisa[2612].
Intanto la peste era in Lucca, e non ne era esente Genova, Roma ed
altre città, fra le quali anche Firenze. Ora i Fiorentini, avendo
spediti i loro ambasciatori a Venezia, faceano gran fuoco per rinnovar
la guerra contra del duca di Milano, pretendendo che egli avesse
contravvenuto ai patti della pace. Per attestato del Sanuto[2613], nel
dì 22 d'agosto fu confermata la lega dei Veneziani e Fiorentini contra
del duca di Milano. Nè si dee tacere che in questo anno la città di
Bologna, sempre inquieta, perchè divisa dalle fazioni bentivoglia e de'
Canedoli, tumultuò[2614], e da Baldassare Canedolo, unito coll'abbate
de' Zambeccari, nel dì 17 di febbraio furono barbaramente uccisi
nello stesso palazzo degli anziani Egano de' Lambertini, Niccolò de'
Malvezzi, ed altri aderenti de' Bentivogli. Per cagione di queste
turbolenze il cardinale legato uscì della città e si ritirò a Cento.
Arrivò poi nel dì 25 di giugno il vescovo di Turpia colle bolle della
legazion di Bologna; e questi, raunate le milizie della Chiesa con
_Antonio Bentivoglio_ e con gli altri fuorusciti, cominciò la guerra
contro a quella città. Continuarono tutto quest'anno le ostilità, e
intanto si trattava d'accordo col papa; ma questo non fu conchiuso se
non nell'anno seguente.
NOTE:
[2600] Johannes Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
[2601] Istor. Napolet., tom. 23 Rer. Ital.
[2602] Billius, Hist., lib. 7, tom. 19 Rer. Ital.
[2603] Bonincontrus, Annal., tom. 21 Rer. Ital.
[2604] Ammirati, Istor. Fiorentina, lib. 18.
[2605] Billius, Hist., lib. 8, tom. 19 Rer. Ital.
[2606] Neri Capponi, Comment., tom. 18 Rer. Ital.
[2607] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 2, tom. 21 Rer. Ital.
[2608] Chron. Senense, tom. 20 Rer. Ital.
[2609] Billius, Hist., lib. 8, tom. 19 Rer. Ital.
[2610] Ammirati, Istor. Fiorent., lib. 20.
[2611] Johann. Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCCXXXI. Indiz. IX.
EUGENIO IV papa 1.
SIGISMONDO re de' Romani 22.
Chiamò Dio in quest'anno a miglior vita _papa Martino V_, essendo
succeduta la morte sua nella notte del dì 19 venendo al dì 20 di
febbraio, per apoplessia a lui sopravvenuta[2615]. Fu buon pontefice;
saviamente governò la Chiesa, e la lasciò libera da un ostinato
scisma. Grande obbligazione per conto dell'impero temporale ebbe a
lui la santa Sede, perchè era non men amato che temuto. La dianzi sì
inquieta e divisa Roma fu per opera sua ridotta ad un'invidiabil pace.
Era, a cagion de' torbidi passati, quasi tutto lo Stato ecclesiastico
passato in mano di tirannetti; ne ricuperò egli buona parte, ed
assodò l'autorità pontificia in quelle città che restarono in mano di
varii signori. Nel dì 3 di marzo a lui succedette nella cattedra di
san Pietro il cardinal di San Clemente Gabriello de' Condolmieri, di
patria Veneziano, volgarmente appellato il cardinal di Siena, perchè fu
vescovo di quella città, e prese il nome di _Eugenio IV_[2616]. Seguì
la coronazione sua nel dì 11 d'esso mese, e non già nel dì 12, come
vuole il Rinaldi. Poco poi stette a vedersi una di quelle mutazioni
che non fu la prima, ed ebbe molti altri esempli dipoi: cioè si scoprì
il papa parziale degli Orsini, perchè per opera loro era giunto al
pontificato, e, nemico de' Colonnesi nipoti del defunto pontefice.
Veramente non fu senza censura in questi tempi la straordinaria
cura ch'ebbe papa Martino d'ingrandire ed arricchire la per altro
nobilissima sua casa. E papa Eugenio provò, che i nipoti di lui, cioè
_Prospero Colonna_ cardinale, _Antonio principe_ di Salerno ed _Edoardo
conte_ di Celano[2617], aveano fatto lo spoglio del tesoro ammassato
dal loro zio per valersene contra dei Turchi, ed asportata ancora
una buona quantità di gioielli e d'altri preziosi mobili spettanti
al palazzo apostolico e ad altri luoghi sacri Pertanto cominciò papa
Eugenio a procedere contro del tesoriere Ottone e contra del vescovo
di Tivoli, già camerieri d'onore di papa Martino; e più di ducento
persone adoperate in varii ministeri da esso Martino furono private
di vita. Allora fu che il cardinal Colonna uscì di Roma senza licenza
del papa nè andò molto che _Antonio_ e _Stefano_ Colonnesi con gran
gente armata entrarono nel dì 23 d'aprile in Roma stessa, e presero
due porte[2618], figurandosi che la lor fazione si moverebbe a rumore.
Volle Dio, che niuno prendesse l'armi per loro; e però, venuti al
papa dei soccorsi, fu spinto fuori di città Stefano Colonna, e messo
a sacco il di lui palazzo, siccome ancor quelli del cardinal Colonna,
del cardinal Capranica e d'altri loro aderenti. Avendo intanto papa
Eugenio fatto ricorso alla _regina Giovanna_[2619], questa gl'inviò
_Jacopo Caldora_ con tre mila cavalli, e mille e secento fanti. Era
costui la stessa avarizia e molto più della fede e dell'onore gli
stava a cuore il danaro. Non passò dunque gran tempo che in vece di far
guerra ai Colonnesi, lasciatosi corrompere dai grossi regali d'_Antonio
principe_ di Taranto, divenne lor protettore ed amico. Pretende Neri
Capponi[2620] ch'egli toccasse cento tredici mila fiorini di quei di
papa Martino. Ma perchè seppe anche papa Eugenio giocar di danaro,
il Caldora tornò ad assisterlo. Oltre a ciò, i Veneziani e Fiorentini
spedirono in aiuto del pontefice _Niccolò da Tolentino_ con un corpo
di gente, di maniera che egli potè dar la legge ai Colonnesi ribelli.
Trattossi dunque di accordo[2621]; e questo conchiuso, fu solennemente
proclamato nel dì 22 di settembre. In vigor d'esso il principe di
Salerno rilasciò al papa settantacinque mila fiorini d'oro: salasso
che, unito col resto da lui speso in guadagnare il Caldora, gli votò
affatto di sangue gli scrigni. Nè qui finì la sua disgrazia. Per
attestato di Biondo[2622], teneva egli presidio, non senza biasimo
del defunto suo zio, in Orta, Narni, Soriano, Gualdo, Nocera, Assisi,
Ascoli, Imola, Forlì e Forlimpopoli. Fu obbligato a dimettere tutto.
Diede in oltre occasione questo torbido alla regina Giovanna[2623] di
togliere al suddetto Antonio il principato di Salerno, e tutto quanto
ella avea dianzi donato, per le continue istanze di papa Martino, ai
di lui nipoti nel regno di Napoli: risoluzione non di meno, che non
dovette andare esente da taccia d'ingratitudine, perchè quella corona
ch'ella portava in capo si potea chiamare un dono d'esso papa Martino.
Abbiam già veduto quanto egli avea fatto per lei. Attese ancora il
pontefice Eugenio in questi medesimi tempi ad estinguere il fuoco
che tuttavia durava per la ribellion di Bologna, giacchè quel popolo
concorreva a ritornar alla sua ubbidienza[2624], purchè ottenesse
buone condizioni. Ed in fatti le ottenne, perchè il papa, vedendo
risorta la guerra fra il duca di Milano dall'una parte, e i Veneziani e
Fiorentini dall'altra, giudicò meglio di contentarsi di quel che potè,
e di far cessare quel rumore. Adunque nel dì 24 d'aprile si pubblicò
in Bologna la pace stabilita da quel popolo col papa, e successivamente
v'entrarono i commessarii del papa a prenderne il possesso e dominio.
Erano irritati forte i Fiorentini contra di _Filippo Maria duca_ di
Milano, perchè loro avea tolto di mano l'acquisto di Lucca, e perciò
di gran premura faceano in Venezia perchè s'aprisse un nuovo teatro
di guerra. I Veneziani anch'essi, al vedere il duca sì inquieto e
sempre armato, inclinavano a sfoderar di nuovo la spada; e tanto
più perchè le esortazioni del _Carmagnola_ e le conquiste fatte
nelle precedenti due guerre faceano loro sperare di accrescerle
collo imprenderne un'altra[2625]. Mandò bensì il duca ambasciatori
a Venezia per giustificare il fin qui operato da lui, e per trattare
d'aggiustamento; ma vedendosi i saggi Veneziani menare a spasso con
sole parole disgiunte da fatti, finalmente diedero all'armi. Forse il
duca non desiderava che questo: cotanto gli stava sul cuore la perdita
di Brescia e di Bergamo, e la speranza che la fortuna potesse cangiar
faccia per lui. Aveva egli al suo servigio _Niccolò Piccinino_, ardito
e valoroso capitano. Per opera ancora del fu _papa Martino V_ s'era di
nuovo acconciato al suo servigio il _conte Francesco Sforza_[2626],
il quale avea assaporata la speranza a lui data delle nozze di
_Bianca_ figliuola legittima del duca, in età allora non ancor atta al
matrimonio. La prima impresa che tentò il conte Francesco Carmagnola,
fu quella di Soncino. Gli fu promessa da quel castellano l'entrata in
quella terra, mercè di un grosso regalo di contanti; ma il trattato
era doppio. Presentatosi dunque colà il Carmagnola nella mattina del
dì 17 di maggio con tre mila cavalli e più di due mila fanti, in vece
della porta aperta di Soncino, trovò Francesco Sforza ed altri capitani
ducheschi colle loro squadre che gli fecero il che va là. Attaccossi la
mischia, e fu un maraviglioso fatto di armi che durò sino alla notte
colla totale sconfitta del Carmagnola, il qual forse con soli sette
cavalli si ridusse a Brescia. Restaronvi prigionieri circa mille e
cinquecento cavalieri, oltre alla fanteria. Il Sanuto[2627] Veneziano
sminuisce non poco questa vittoria. Comunque sia, e posto ancora
che grande fosse il danno patito in questa lagrimevol giornata dai
Veneziani, pure alla lor potenza e borsa non fu difficile l'accrescere
in breve, non che il ristorare l'armata loro di terra, con ispedire
nello stesso tempo un'altra possente armata navale per Po alla volta di
Cremona, comandata da _Niccolò Trivisano_: alcuni la fanno ascendere a
cento legni tra grossi e sottili. Più di dodici mila cavalli militavano
allora in Lombardia sotto le insegne venete. Avea anche il duca di
Milano preparata la sua flotta navale, il cui capitano era _Pacino
Eustachio_ da Pavia. Sen venne questa nel dì 22 di maggio[2628] (il
Simonetta dice[2629] nel dì 23) contro la nemica, e cominciò all'ore
ventidue, tre miglia lungi da Cremona, la battaglia, che durò sino
alla notte, con restar presi cinque galeoni ducheschi. Ma essendo
nell'alba del giorno seguente _Francesco Sforza_, _Niccolò Piccinino_
(il Sanuto nol nomina). _Guido Torello_ ed altri capitani entrati con
gran numero di genti d'armi negli stessi galeoni, la mattina suddetta
sì bruscamente assalirono i Veneziani[2630], che tutta la lor flotta
rimase sterminata, e vennero in potere de' vincitori ventotto galeoni
con altre barche, armi e munizioni senza numero, e circa otto mila
prigioni. Avea il general Trivisano mandato a chiedere soccorso al
Carmagnola, che stava accampato in quelle vicinanze coll'esercito di
terra; ma egli punto non si mosse, dicono per avviso furbescamente
fattogli dare che l'armata terrestre del duca si metteva in ordine per
dargli battaglia. L'autore della Cronica di Bologna[2631], che si trovò
presente a questo fatto d'armi, asserisce essere stato quello uno dei
più formidabili e mortali che mai si fossero veduti in Po, ed essere
stati maggiori i fatti di quel che fu scritto. Certamente incredibile
fu il danno patito in tal congiuntura dalla repubblica veneta[2632]. Nè
il Carmagnola nel resto dell'anno si attentò a far altra impresa, se
non che nel dì 15 d'ottobre, avendo inteso che si facea poca guardia
in Cremona, spedì colà un corpo de' suoi, ai quali riuscì di dare una
scalata alla picciola fortezza di San Luca e di prenderla. Quivi si
mantennero costoro per due dì, senza che il Carmagnola dipoi, tuttochè
avvisato, volesse marciare a quella volta, allegando per iscusa di
temer degli aguati de' nemici. Parte di quella gente da' Cremonesi
fedeli al duca fu presa, e gli altri se ne tornarono al campo. E
qui ebbero principio le diffidenze de' Veneziani contra del medesimo
Carmagnola.
Nè solamente guerra fu in quest'anno in Lombardia. La sua parte
n'ebbe anche la Toscana[2633]. Erano entrati i Sanesi e i Lucchesi
in lega col duca di Milano contra de' Fiorentini. In Pisa stessa quel
popolo, bramoso di ricuperare la perduta libertà, non era quieto. Ora
trovandosi tuttavia nella primavera di quest'anno, cioè prima della
guerra veneta, _Niccolò Piccinino_ in Lunigiana[2634], dopo aver tolto
Pontremoli a _Gian-Luigi del Fiesco_, nel dì 22 di marzo comparve sul
Lucchese, ed, inoltratosi sul Pisano, cominciò a prendere varie di
quelle castella. Passò anche sul Volterrano, siccome uomo speditissimo
nelle sue imprese: nel qual tempo anche i Sanesi apertamente mossero
guerra a Firenze, ed altrettanto ancora fece _Jacopo_, ossia _Lodisio
Appiano_ signor di Piombino. Erano a mal partito i Fiorentini
allora, perchè sprovveduti di esercito e di capitano, e malmenati dal
Piccinino, che ogni dì andava prendendo nuove terre, e lor conveniva
tener buon presidio in Pisa, Arezzo ed altre città minacciate.
Presero pertanto al loro servigio _Niccolò da Tolentino_ e _Micheletto
Attendolo_ da Cotignola colle lor genti d'armi. Frequenti erano in
questo secolo i condottieri d'armi italiani, annoverati nelle Croniche
di Marino Sanuto. Cadaun di questi venturieri conduceva la truppa de'
suoi combattenti, chi più chi meno, e prendeva poi soldo dove migliore
trovava il mercato. Ma la salute de' Fiorentini altronde venne. Da
che i Veneziani con tante forze ebbero aperto il teatro della guerra
contro lo Stato di Milano, abbisognando il duca del Piccinino e delle
sue truppe, il richiamò in Lombardia, e ne ricevè poi buon servigio,
per quanto abbiamo veduto. Aveano essi Veneziani, a fine di far maggior
diversione all'armi del duca[2635], e di sovvenire ancora al bisogno
de' Fiorentini, inviata nel Mediterraneo a Porto Pisano una flotta di
galee e d'altri legni comandata da _Pier Loredano_, dove si congiunse
con altri legni de' Fiorentini. S'incontrò questa nel dì 27 d'agosto
in vicinanza di Portofino colla genovese, inferiore di forze, di cui
era capitano _Francesco Spinola_[2636]. Attaccata la battaglia, per
tre ore continue rabbiosamente si combattè fra quelle due nazioni
_ab antiquo_ nemiche, finchè, superata la capitana di Genova, si
dichiarò la vittoria in favore de' Veneziani, colla presa di sette
o otto galee[2637], e dello stesso ammiraglio Spinola. Dalla parte
ancora del Monferrato fecero guerra al duca di Milano i Veneziani
e Fiorentini, avendo tirato nella lor lega _Gian-Giacomo_ marchese
di quella contrada, e _Bernabò Adorno_ ribello di Genova e padrone
di alcune castella nel Genovesato, il quale nel mese di settembre
infestò non poco la Riviera occidentale de' Genovesi. Spedito dal
duca a quella volta _Niccolò Piccinino_ nell'ottobre, ebbe la maniera
di sconfiggerlo e farlo prigione nel dì 9 di quel mese. Dopo di che,
per attestato di Giovanni Stella e del Sanuto, egli rivolse l'armi
contra del Monferrato, e durante il verno ridusse quasi in camicia
quel marchese[2638] con torgli la maggior parte delle di lui terre,
annoverate da Benvenuto da San Giorgio[2639]. Non gli restava più
se non Casale di Sant'Evasio con pochi altri luoghi, quando _Amedeo
duca di Savoia_, parente suo e del duca di Milano, s'interpose per
aggiustamento. Restò conchiuso che il marchese depositasse quelle poche
terre, che restavano in mano sua, in quelle di Amedeo duca di Savoia;
il che fu eseguito. Egli poi pieno d'inutili pentimenti incognitamente
per gli Svizzeri si portò a Venezia ad implorar l'aiuto di quel
senato, e a vivere alle spese dei Veneziani. Il Simonetta[2640] e il
Corio[2641] suo copiatore, e, quel che è più, il Biglia attribuiscono
l'impresa del Monferrato al _conte Francesco Sforza_. Potrebbe essere
che anche egli intervenisse a quella festa; s'egli poi fosse, o il
Piccinino, come pretende il Poggio e Giovanni Stella, autore anch'esso
contemporaneo, il principal mobile di quell'impresa, nol saprei dire.
Aggiungono bensì tali autori, avere le soldatesche del duca in tal
congiuntura commesse tali enormità, sfoghi, incendii e crudeltà contra
dei Monferrini, che il raccontarle farebbe orrore.
Era negli anni addietro stato occupato _Sigismondo re_ de' Romani,
d'Ungheria e Boemia nelle terribili guerre degli ostinati eretici
Ussiti, che sconvolsero lungamente la Boemia, e costarono sangue
senza fine[2642]. In quest'anno, giacchè erano in qualche calma i suoi
affari della Germania, determinò di venire in Italia per prendere le
corone. Arrivò, non so dire se nell'ottobre, oppure nel novembre, a
Milano, con seguito di poca gente, accolto con gran solennità da quel
popolo, e lautamente spesato dal duca. Curiosa cosa fu il vedere che
esso _duca Filippo Maria_, il quale soggiornava allora a Biagrasso per
cagion della peste, quantunque praticasse tutte le maggiori finezze
a questo gran principe sovrano suo, pure non si lasciò mai vedere a
Milano, finchè vi dimorò Sigismondo, non so se per diffidenza, o per
qualch'altro motivo. Certo è che non gli volle mai permettere l'entrata
nel castello di Milano[2643]. Egli era una testa particolare. Nel dì
25 del suddetto novembre, festa di santa Caterina[2644], seguì nella
basilica di Sant'Ambrosio di Milano la coronazione di Sigismondo,
avendogli _Bartolomeo Capra_ arcivescovo posta in capo la corona
ferrea. Fermossi poi in Milano nel verno, disponendo intanto il suo
viaggio alla volta di Roma. Nei dì 5 di maggio dell'anno presente[2645]
i tre _Malatesti_, che dominavano in Rimini, Fano e Cesena, essendo
di poca età, furono in pericolo di perdere la lor signoria per una
sollevazione, non so se ordinata da _Malatesta_ signore di Pesaro,
oppure dagli uffiziali di _papa Eugenio_. Solamente apparisce che in
questi tempi in Forlì dominava il pontefice. Ne' medesimi tempi Città
di Castello assediata da _Niccolò Fortebraccio_[2646] ebbe soccorso
da _Guidantonio conte_ d'Urbino, e restò libera dalle unghie di lui.
Furono infestati nell'autunno di quest'anno i Veneziani[2647] nel
Friuli dagli Ungheri per ordine del _re Sigismondo_ a petizione del
duca di Milano, fra cui ed esso re passava buona corrispondenza ed
amicizia. D'uopo fu che il senato inviasse al riparo _Taddeo marchese_
d'Este con altri condottieri d'armi, i quali non perderono tempo a
sconfiggere quei barbari, e a farli tornar di galoppo alle lor case.
Si diede principio in questo anno al concilio generale di Basilea,
presidente del quale fu a nome del papa _Giuliano Cesarino_, cardinale
di gran credito in questi tempi.
NOTE:
[2612] Cronica di Rimini, tom. 15 Rer. Ital.
[2613] Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Ital.
[2614] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
[2615] Raynaldus, Annal. Eccles. Vita Martini V, P. II. tom. 3 Rer.
Ital.
[2616] Vita Eugenii IV, tom. eod.
[2617] Billius, Hist., lib. 9, tom. 19 Rer. Italic.
[2618] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Italic.
[2619] Giornal. Napolet., tom. 21 Rer. Ital.
[2620] Neri Capponi, Comment., tom. 18 Rer. Ital.
[2621] Vita Eugenii IV, P. II, tom. 3 Rer. Ital.
[2622] Blondus, Dec. 11, lib. 4.
[2623] Giornal. Napolet., tom. 21 Rer. Ital.
[2624] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
[2625] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
[2626] Simonetta, Vit. Francisci Sfort., lib. 2, cap. 21 Rer. Ital.
[2627] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
[2628] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital. Billius, Hist., lib. 9,
tom. 19 Rer. Ital.
[2629] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 2, tom. 21 Rer. Ital.
[2630] Johannes Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
[2631] Cronica di Bologna, ubi supra.
[2632] Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Ital.
[2633] Ammirati, Istor. Fiorent., lib. 20. Histor. Senens., tom. 20
Rer. Ital.
[2634] Billius, Hist., lib. 9, tom. 19 Rer. Ital.
[2635] Ammirati, Istor. Fiorent., lib. 20.
[2636] Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Ital.
[2637] Johann. Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
[2638] Poggius, Histor., lib. 6, tom. 20 Rer. Ital.
[2639] Benvenuto da S. Giorgio, Istoria del Monferrato, tom. 23 Rer.
Ital.
[2640] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 2, tom. 21 Rer. Ital.
[2641] Corio, Istor. di Milano.
[2642] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
[2643] Billius, Histor., cap. 9, tom. 19 Rer. Ital.
[2644] Corio, Istor. di Milano. Muratorius, Comm. de Corona Ferrea.
[2645] Cronica di Rimini, tom. 15 Rer. Ital.
[2646] Bonincont., Annal., tom. 21 Rer. Ital.
[2647] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCCXXXII. Indiz. X.
EUGENIO IV papa 2.
SIGISMONDO re de' Romani 23.
Erasi già cominciato in Basilea il concilio generale, ed ogni dì più
andava crescendo il concorso de' Padri[2648]; ma poco stette _papa
Eugenio_ a pentirsi di averlo permesso in luogo, dove non poteva
egli quel che voleva, perchè que' Padri diedero per tempo a conoscere
voglia di limitare l'autorità del papa, e di attribuirsi una specie di
superiorità sopra di lui. Per questo il pontefice determinò di chiamare
a Bologna quel concilio, e ne mandò l'ordine al _cardinal Giuliano_
legato. Ma quei Padri, assistiti dal re dei Romani e da varii altri
potentati, furono di sentimento diverso, e vollero continuar le loro
sessioni in Basilea; dal che nacque dissensione fra essi e il papa.
Di più non ne dico, rimettendo il lettore in questo proposito alla
storia ecclesiastica e agli atti di quel concilio. Era calato, siccome
già accennai, il _re Sigismondo_ per portarsi anche a Roma a prendere
la corona imperiale; ma ritrovò anch'egli degli ostacoli a' suoi
disegni. Il papa, oltre all'essere Veneziano, cioè di nazione allora
nemica di _Filippo Maria_ duca di Milano, avea de' particolari motivi
di sdegno contra di lui, perchè o credea o sapea di certo che nella
guerra fattagli nell'anno precedente dai Colonnesi esso duca avea avuta
mano. E veggendo ora Sigismondo sì attaccato ad esso duca di Milano,
non sapea escludere i sospetti della di lui venuta a Roma. Incagliossi
per questo il viaggio di Sigismondo[2649], il quale da Milano passò
a Piacenza, e quindi a Parma, con far delle lunghe posate in quelle
città. Nè sussiste, come si pensò Benvenuto da San Giorgio, che egli
portatosi nel Monferrato, vi soggiornasse gran tempo. Andossene dipoi
a Lucca, menando seco ottocento cavalli ungheri e secento del duca
di Milano. Il Poggio[2650] gli dà due mila tra cavalieri e fanti di
suo seguito. Una delle maggiori premure di questo buon principe era
quella di quetare i rumori dell'Italia, e si era anche esibito con
calde lettere a trattar la pace fra il duca di Milano e i collegati
avversarii. Ma egli ritrovò molto sconcertate le cose in Toscana.
Militavano allora contra de' Fiorentini le milizie del duca suddetto
e dei Sanesi sotto il comando di _Alberico conte_ di Lugo[2651],
con cui erano _Bernardino dalla Carda_ degli Ubaldini, _Lodovico
Colonna_, _Antonio Petrucci_, _Ardizzon da Carrara_ ed altri capitani,
ma discordi fra loro. _Michele Attendolo_ da Cotignola generale
de' Fiorentini, e _Niccolò da Tolentino_ lor capitano seppero ben
profittare della lor disunione; imperocchè nel dì primo di giugno[2652]
venuti con loro alle mani, li sbaragliarono, e fecero prigionieri più
di mille cavalli. Io non so come tutto al rovescio è raccontato questo
fatto d'armi da Pietro Rosso nella Storia di Siena[2653]. Secondo lui,
vincitori furono i Sanesi, e Niccolò da Tolentino vi fu fatto prigione.
Comunque sia, nel giorno innanzi era giunto a Lucca Sigismondo, ed
ebbe il dispiacere d'intendere che quasi sotto i suoi occhi passarono
dopo quella vittoria i capitani de' Fiorentini a dare il guasto al
territorio lucchese. Ancorchè essi Fiorentini colle parole mostrassero
rispetto alla sacra di lui persona e dignità, pure coi fatti si
scoprivano suoi nemici, perchè egli era tenuto per parziale del duca di
Milano, e de' Sanesi e Lucchesi loro nemici. Andavano perciò meditando
d'impedirgli il passo alla volta di Siena. Ma mentre van consultando,
Sigismondo scortato dalle milizie sue, del duca e di Siena, si mise
in viaggio, e felicemente arrivò nel dì 11 di luglio ad essa città di
Siena, dove fu accolto con incredibil onore e magnificenza da quel
popolo, che l'aspettava a braccia aperte. Fermossi Sigismondo tutto
il resto dell'anno in quella città, perchè non s'accordavano le pive
del papa, con aggravio e doglianze non poche del popolo sanese, a
cui costava troppo la sì lunga visita di questo principe, trattando
egli intanto di pace, ed ascoltando gli ambasciatori de' Fiorentini,
ma senza cavarne alcun sugo. Altri avvenimenti di guerra spettanti a
quest'anno in Toscana riferisce il Rossi sopra mentovato nella Storia
di Siena, che non occorre rapportar nella mia.
Quanto alla guerra di Lombardia, incredibile strepito fece in Italia
ciò che in quest'anno accade al _conte Francesco Carmagnola_ generale
della veneta armata, il più accreditato capitano che si avesse allora
l'Italia, ma famoso ancora per la sua superbia, onde era probabilmente
proceduta anche la sua caduta dalla grazia del duca di Milano. Le
ommissioni da lui commesse negli infausti avvenimenti dell'armi venete
dell'anno precedente fecero nascere così gagliardi sospetti della
sua lealtà nell'animo di chi reggeva quella repubblica, che nel dì 8
d'aprile[2654] fu risoluto nel loro consiglio di levargli non solamente
il comando, ma, per maggior sicurezza, anche la vita. In questi tempi
era in Venezia ordinariamente una specie di reato il perdere una
battaglia, e gli sventurati capitani si doveano aspettare qualche
gastigo. Mandato a chiamare il Carmagnola che venisse a Venezia col
pretesto di voler udire il di lui parere intorno alla pace che se gli
rappresentava vicina, andò egli francamente colà, onorato per tutto il
cammino; ma vi trovò la prigione che l'aspettava. Fu messo ai tormenti,
cioè a quella crudele e dubbiosa via di ricavar la verità dei delitti;
e scrivono che egli in fine confessò il fallo della sua corrotta fede,
senza che si dica se avessero sicure pruove in mano per convincerlo di
questo reato. Può essere che le facessero. Il perchè collo sbadaglio in
bocca condotto fra le colonne della piazza di San Marco, quivi lasciò
egli miseramente la testa sopra un palco nel dì 5 di maggio[2655].
Grandi furono le dicerie per questo, credendo molti che non sarebbe
venuto a tal determinazione quel saggio senato senza buone ragioni; ed
altri, che per soli sospetti e per paura di sua possanza si sbrigassero
di questo eccellente capitano; e pretendendo altri che almeno meritasse
di finir la sua vita in una prigione chi avea prestato sì rilevanti
di settanta mila fiorini d'oro _Sforza_ padre del _conte Francesco_,
se gli pagherebbe questo danaro, purchè uscisse di Toscana, e si
obbligasse per alcuni mesi di non andare ai servigi del duca di Milano.
Pagato il contante, egli passò in Lombardia, e colle sue genti venne ad
accamparsi su quello della Mirandola. Minutamente si trova descritta
questa guerra da Andrea Biglia[2609]. Indarno mandarono i Lucchesi a
Firenze per placare quella signoria. Non sapeano i Fiorentini digerire
di aver fatta tanta spesa contra de' Lucchesi, e che in bene de' soli
Lucchesi si fosse convertito tutto il loro sforzo. Perciò partito che
fu Francesco Sforza, tornarono, come prima, all'assedio di Lucca[2610],
e i Lucchesi tornarono a pulsare il duca di Milano per soccorso. Perchè
_Filippo Maria_ volea pure aiutarli, e nello stesso tempo parere di
non intricarsi in que' fatti, permise che i Genovesi formassero una
particolar lega coi Lucchesi, allegando che, secondo i lor privilegii,
poteano farla[2611]. _Niccolò Piccinino_ in questi tempi attendeva a
sottomettere le terre de' Fieschi e della Lunigiana al duca di Milano.
Si mostrò che i Genovesi l'avessero eletto per lor capitano; e questi
in fatti colle sue genti d'armi s'inviò verso Lucca, e fu a fronte
del campo fiorentino, restando solamente frapposto il fiume Serchio
fra le armate. Era di parere il conte di Urbino che non si togliesse
battaglia. Venuto di Firenze ordine in contrario, seguì a dì 2 di
dicembre un fatto d'armi funesto all'esercito fiorentino, il quale
interamente fu rotto con prigionia di mille e cinquecento cavalieri,
con perdita di bagaglio e di attrecci, e con altri danni. Il _conte
Urbino_, _Niccolò Fortebraccio_ e gli altri capitani, ben serviti
dai lor cavalli, si salvarono chi a Librafatta e chi a Pisa[2612].
Intanto la peste era in Lucca, e non ne era esente Genova, Roma ed
altre città, fra le quali anche Firenze. Ora i Fiorentini, avendo
spediti i loro ambasciatori a Venezia, faceano gran fuoco per rinnovar
la guerra contra del duca di Milano, pretendendo che egli avesse
contravvenuto ai patti della pace. Per attestato del Sanuto[2613], nel
dì 22 d'agosto fu confermata la lega dei Veneziani e Fiorentini contra
del duca di Milano. Nè si dee tacere che in questo anno la città di
Bologna, sempre inquieta, perchè divisa dalle fazioni bentivoglia e de'
Canedoli, tumultuò[2614], e da Baldassare Canedolo, unito coll'abbate
de' Zambeccari, nel dì 17 di febbraio furono barbaramente uccisi
nello stesso palazzo degli anziani Egano de' Lambertini, Niccolò de'
Malvezzi, ed altri aderenti de' Bentivogli. Per cagione di queste
turbolenze il cardinale legato uscì della città e si ritirò a Cento.
Arrivò poi nel dì 25 di giugno il vescovo di Turpia colle bolle della
legazion di Bologna; e questi, raunate le milizie della Chiesa con
_Antonio Bentivoglio_ e con gli altri fuorusciti, cominciò la guerra
contro a quella città. Continuarono tutto quest'anno le ostilità, e
intanto si trattava d'accordo col papa; ma questo non fu conchiuso se
non nell'anno seguente.
NOTE:
[2600] Johannes Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
[2601] Istor. Napolet., tom. 23 Rer. Ital.
[2602] Billius, Hist., lib. 7, tom. 19 Rer. Ital.
[2603] Bonincontrus, Annal., tom. 21 Rer. Ital.
[2604] Ammirati, Istor. Fiorentina, lib. 18.
[2605] Billius, Hist., lib. 8, tom. 19 Rer. Ital.
[2606] Neri Capponi, Comment., tom. 18 Rer. Ital.
[2607] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 2, tom. 21 Rer. Ital.
[2608] Chron. Senense, tom. 20 Rer. Ital.
[2609] Billius, Hist., lib. 8, tom. 19 Rer. Ital.
[2610] Ammirati, Istor. Fiorent., lib. 20.
[2611] Johann. Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCCXXXI. Indiz. IX.
EUGENIO IV papa 1.
SIGISMONDO re de' Romani 22.
Chiamò Dio in quest'anno a miglior vita _papa Martino V_, essendo
succeduta la morte sua nella notte del dì 19 venendo al dì 20 di
febbraio, per apoplessia a lui sopravvenuta[2615]. Fu buon pontefice;
saviamente governò la Chiesa, e la lasciò libera da un ostinato
scisma. Grande obbligazione per conto dell'impero temporale ebbe a
lui la santa Sede, perchè era non men amato che temuto. La dianzi sì
inquieta e divisa Roma fu per opera sua ridotta ad un'invidiabil pace.
Era, a cagion de' torbidi passati, quasi tutto lo Stato ecclesiastico
passato in mano di tirannetti; ne ricuperò egli buona parte, ed
assodò l'autorità pontificia in quelle città che restarono in mano di
varii signori. Nel dì 3 di marzo a lui succedette nella cattedra di
san Pietro il cardinal di San Clemente Gabriello de' Condolmieri, di
patria Veneziano, volgarmente appellato il cardinal di Siena, perchè fu
vescovo di quella città, e prese il nome di _Eugenio IV_[2616]. Seguì
la coronazione sua nel dì 11 d'esso mese, e non già nel dì 12, come
vuole il Rinaldi. Poco poi stette a vedersi una di quelle mutazioni
che non fu la prima, ed ebbe molti altri esempli dipoi: cioè si scoprì
il papa parziale degli Orsini, perchè per opera loro era giunto al
pontificato, e, nemico de' Colonnesi nipoti del defunto pontefice.
Veramente non fu senza censura in questi tempi la straordinaria
cura ch'ebbe papa Martino d'ingrandire ed arricchire la per altro
nobilissima sua casa. E papa Eugenio provò, che i nipoti di lui, cioè
_Prospero Colonna_ cardinale, _Antonio principe_ di Salerno ed _Edoardo
conte_ di Celano[2617], aveano fatto lo spoglio del tesoro ammassato
dal loro zio per valersene contra dei Turchi, ed asportata ancora
una buona quantità di gioielli e d'altri preziosi mobili spettanti
al palazzo apostolico e ad altri luoghi sacri Pertanto cominciò papa
Eugenio a procedere contro del tesoriere Ottone e contra del vescovo
di Tivoli, già camerieri d'onore di papa Martino; e più di ducento
persone adoperate in varii ministeri da esso Martino furono private
di vita. Allora fu che il cardinal Colonna uscì di Roma senza licenza
del papa nè andò molto che _Antonio_ e _Stefano_ Colonnesi con gran
gente armata entrarono nel dì 23 d'aprile in Roma stessa, e presero
due porte[2618], figurandosi che la lor fazione si moverebbe a rumore.
Volle Dio, che niuno prendesse l'armi per loro; e però, venuti al
papa dei soccorsi, fu spinto fuori di città Stefano Colonna, e messo
a sacco il di lui palazzo, siccome ancor quelli del cardinal Colonna,
del cardinal Capranica e d'altri loro aderenti. Avendo intanto papa
Eugenio fatto ricorso alla _regina Giovanna_[2619], questa gl'inviò
_Jacopo Caldora_ con tre mila cavalli, e mille e secento fanti. Era
costui la stessa avarizia e molto più della fede e dell'onore gli
stava a cuore il danaro. Non passò dunque gran tempo che in vece di far
guerra ai Colonnesi, lasciatosi corrompere dai grossi regali d'_Antonio
principe_ di Taranto, divenne lor protettore ed amico. Pretende Neri
Capponi[2620] ch'egli toccasse cento tredici mila fiorini di quei di
papa Martino. Ma perchè seppe anche papa Eugenio giocar di danaro,
il Caldora tornò ad assisterlo. Oltre a ciò, i Veneziani e Fiorentini
spedirono in aiuto del pontefice _Niccolò da Tolentino_ con un corpo
di gente, di maniera che egli potè dar la legge ai Colonnesi ribelli.
Trattossi dunque di accordo[2621]; e questo conchiuso, fu solennemente
proclamato nel dì 22 di settembre. In vigor d'esso il principe di
Salerno rilasciò al papa settantacinque mila fiorini d'oro: salasso
che, unito col resto da lui speso in guadagnare il Caldora, gli votò
affatto di sangue gli scrigni. Nè qui finì la sua disgrazia. Per
attestato di Biondo[2622], teneva egli presidio, non senza biasimo
del defunto suo zio, in Orta, Narni, Soriano, Gualdo, Nocera, Assisi,
Ascoli, Imola, Forlì e Forlimpopoli. Fu obbligato a dimettere tutto.
Diede in oltre occasione questo torbido alla regina Giovanna[2623] di
togliere al suddetto Antonio il principato di Salerno, e tutto quanto
ella avea dianzi donato, per le continue istanze di papa Martino, ai
di lui nipoti nel regno di Napoli: risoluzione non di meno, che non
dovette andare esente da taccia d'ingratitudine, perchè quella corona
ch'ella portava in capo si potea chiamare un dono d'esso papa Martino.
Abbiam già veduto quanto egli avea fatto per lei. Attese ancora il
pontefice Eugenio in questi medesimi tempi ad estinguere il fuoco
che tuttavia durava per la ribellion di Bologna, giacchè quel popolo
concorreva a ritornar alla sua ubbidienza[2624], purchè ottenesse
buone condizioni. Ed in fatti le ottenne, perchè il papa, vedendo
risorta la guerra fra il duca di Milano dall'una parte, e i Veneziani e
Fiorentini dall'altra, giudicò meglio di contentarsi di quel che potè,
e di far cessare quel rumore. Adunque nel dì 24 d'aprile si pubblicò
in Bologna la pace stabilita da quel popolo col papa, e successivamente
v'entrarono i commessarii del papa a prenderne il possesso e dominio.
Erano irritati forte i Fiorentini contra di _Filippo Maria duca_ di
Milano, perchè loro avea tolto di mano l'acquisto di Lucca, e perciò
di gran premura faceano in Venezia perchè s'aprisse un nuovo teatro
di guerra. I Veneziani anch'essi, al vedere il duca sì inquieto e
sempre armato, inclinavano a sfoderar di nuovo la spada; e tanto
più perchè le esortazioni del _Carmagnola_ e le conquiste fatte
nelle precedenti due guerre faceano loro sperare di accrescerle
collo imprenderne un'altra[2625]. Mandò bensì il duca ambasciatori
a Venezia per giustificare il fin qui operato da lui, e per trattare
d'aggiustamento; ma vedendosi i saggi Veneziani menare a spasso con
sole parole disgiunte da fatti, finalmente diedero all'armi. Forse il
duca non desiderava che questo: cotanto gli stava sul cuore la perdita
di Brescia e di Bergamo, e la speranza che la fortuna potesse cangiar
faccia per lui. Aveva egli al suo servigio _Niccolò Piccinino_, ardito
e valoroso capitano. Per opera ancora del fu _papa Martino V_ s'era di
nuovo acconciato al suo servigio il _conte Francesco Sforza_[2626],
il quale avea assaporata la speranza a lui data delle nozze di
_Bianca_ figliuola legittima del duca, in età allora non ancor atta al
matrimonio. La prima impresa che tentò il conte Francesco Carmagnola,
fu quella di Soncino. Gli fu promessa da quel castellano l'entrata in
quella terra, mercè di un grosso regalo di contanti; ma il trattato
era doppio. Presentatosi dunque colà il Carmagnola nella mattina del
dì 17 di maggio con tre mila cavalli e più di due mila fanti, in vece
della porta aperta di Soncino, trovò Francesco Sforza ed altri capitani
ducheschi colle loro squadre che gli fecero il che va là. Attaccossi la
mischia, e fu un maraviglioso fatto di armi che durò sino alla notte
colla totale sconfitta del Carmagnola, il qual forse con soli sette
cavalli si ridusse a Brescia. Restaronvi prigionieri circa mille e
cinquecento cavalieri, oltre alla fanteria. Il Sanuto[2627] Veneziano
sminuisce non poco questa vittoria. Comunque sia, e posto ancora
che grande fosse il danno patito in questa lagrimevol giornata dai
Veneziani, pure alla lor potenza e borsa non fu difficile l'accrescere
in breve, non che il ristorare l'armata loro di terra, con ispedire
nello stesso tempo un'altra possente armata navale per Po alla volta di
Cremona, comandata da _Niccolò Trivisano_: alcuni la fanno ascendere a
cento legni tra grossi e sottili. Più di dodici mila cavalli militavano
allora in Lombardia sotto le insegne venete. Avea anche il duca di
Milano preparata la sua flotta navale, il cui capitano era _Pacino
Eustachio_ da Pavia. Sen venne questa nel dì 22 di maggio[2628] (il
Simonetta dice[2629] nel dì 23) contro la nemica, e cominciò all'ore
ventidue, tre miglia lungi da Cremona, la battaglia, che durò sino
alla notte, con restar presi cinque galeoni ducheschi. Ma essendo
nell'alba del giorno seguente _Francesco Sforza_, _Niccolò Piccinino_
(il Sanuto nol nomina). _Guido Torello_ ed altri capitani entrati con
gran numero di genti d'armi negli stessi galeoni, la mattina suddetta
sì bruscamente assalirono i Veneziani[2630], che tutta la lor flotta
rimase sterminata, e vennero in potere de' vincitori ventotto galeoni
con altre barche, armi e munizioni senza numero, e circa otto mila
prigioni. Avea il general Trivisano mandato a chiedere soccorso al
Carmagnola, che stava accampato in quelle vicinanze coll'esercito di
terra; ma egli punto non si mosse, dicono per avviso furbescamente
fattogli dare che l'armata terrestre del duca si metteva in ordine per
dargli battaglia. L'autore della Cronica di Bologna[2631], che si trovò
presente a questo fatto d'armi, asserisce essere stato quello uno dei
più formidabili e mortali che mai si fossero veduti in Po, ed essere
stati maggiori i fatti di quel che fu scritto. Certamente incredibile
fu il danno patito in tal congiuntura dalla repubblica veneta[2632]. Nè
il Carmagnola nel resto dell'anno si attentò a far altra impresa, se
non che nel dì 15 d'ottobre, avendo inteso che si facea poca guardia
in Cremona, spedì colà un corpo de' suoi, ai quali riuscì di dare una
scalata alla picciola fortezza di San Luca e di prenderla. Quivi si
mantennero costoro per due dì, senza che il Carmagnola dipoi, tuttochè
avvisato, volesse marciare a quella volta, allegando per iscusa di
temer degli aguati de' nemici. Parte di quella gente da' Cremonesi
fedeli al duca fu presa, e gli altri se ne tornarono al campo. E
qui ebbero principio le diffidenze de' Veneziani contra del medesimo
Carmagnola.
Nè solamente guerra fu in quest'anno in Lombardia. La sua parte
n'ebbe anche la Toscana[2633]. Erano entrati i Sanesi e i Lucchesi
in lega col duca di Milano contra de' Fiorentini. In Pisa stessa quel
popolo, bramoso di ricuperare la perduta libertà, non era quieto. Ora
trovandosi tuttavia nella primavera di quest'anno, cioè prima della
guerra veneta, _Niccolò Piccinino_ in Lunigiana[2634], dopo aver tolto
Pontremoli a _Gian-Luigi del Fiesco_, nel dì 22 di marzo comparve sul
Lucchese, ed, inoltratosi sul Pisano, cominciò a prendere varie di
quelle castella. Passò anche sul Volterrano, siccome uomo speditissimo
nelle sue imprese: nel qual tempo anche i Sanesi apertamente mossero
guerra a Firenze, ed altrettanto ancora fece _Jacopo_, ossia _Lodisio
Appiano_ signor di Piombino. Erano a mal partito i Fiorentini
allora, perchè sprovveduti di esercito e di capitano, e malmenati dal
Piccinino, che ogni dì andava prendendo nuove terre, e lor conveniva
tener buon presidio in Pisa, Arezzo ed altre città minacciate.
Presero pertanto al loro servigio _Niccolò da Tolentino_ e _Micheletto
Attendolo_ da Cotignola colle lor genti d'armi. Frequenti erano in
questo secolo i condottieri d'armi italiani, annoverati nelle Croniche
di Marino Sanuto. Cadaun di questi venturieri conduceva la truppa de'
suoi combattenti, chi più chi meno, e prendeva poi soldo dove migliore
trovava il mercato. Ma la salute de' Fiorentini altronde venne. Da
che i Veneziani con tante forze ebbero aperto il teatro della guerra
contro lo Stato di Milano, abbisognando il duca del Piccinino e delle
sue truppe, il richiamò in Lombardia, e ne ricevè poi buon servigio,
per quanto abbiamo veduto. Aveano essi Veneziani, a fine di far maggior
diversione all'armi del duca[2635], e di sovvenire ancora al bisogno
de' Fiorentini, inviata nel Mediterraneo a Porto Pisano una flotta di
galee e d'altri legni comandata da _Pier Loredano_, dove si congiunse
con altri legni de' Fiorentini. S'incontrò questa nel dì 27 d'agosto
in vicinanza di Portofino colla genovese, inferiore di forze, di cui
era capitano _Francesco Spinola_[2636]. Attaccata la battaglia, per
tre ore continue rabbiosamente si combattè fra quelle due nazioni
_ab antiquo_ nemiche, finchè, superata la capitana di Genova, si
dichiarò la vittoria in favore de' Veneziani, colla presa di sette
o otto galee[2637], e dello stesso ammiraglio Spinola. Dalla parte
ancora del Monferrato fecero guerra al duca di Milano i Veneziani
e Fiorentini, avendo tirato nella lor lega _Gian-Giacomo_ marchese
di quella contrada, e _Bernabò Adorno_ ribello di Genova e padrone
di alcune castella nel Genovesato, il quale nel mese di settembre
infestò non poco la Riviera occidentale de' Genovesi. Spedito dal
duca a quella volta _Niccolò Piccinino_ nell'ottobre, ebbe la maniera
di sconfiggerlo e farlo prigione nel dì 9 di quel mese. Dopo di che,
per attestato di Giovanni Stella e del Sanuto, egli rivolse l'armi
contra del Monferrato, e durante il verno ridusse quasi in camicia
quel marchese[2638] con torgli la maggior parte delle di lui terre,
annoverate da Benvenuto da San Giorgio[2639]. Non gli restava più
se non Casale di Sant'Evasio con pochi altri luoghi, quando _Amedeo
duca di Savoia_, parente suo e del duca di Milano, s'interpose per
aggiustamento. Restò conchiuso che il marchese depositasse quelle poche
terre, che restavano in mano sua, in quelle di Amedeo duca di Savoia;
il che fu eseguito. Egli poi pieno d'inutili pentimenti incognitamente
per gli Svizzeri si portò a Venezia ad implorar l'aiuto di quel
senato, e a vivere alle spese dei Veneziani. Il Simonetta[2640] e il
Corio[2641] suo copiatore, e, quel che è più, il Biglia attribuiscono
l'impresa del Monferrato al _conte Francesco Sforza_. Potrebbe essere
che anche egli intervenisse a quella festa; s'egli poi fosse, o il
Piccinino, come pretende il Poggio e Giovanni Stella, autore anch'esso
contemporaneo, il principal mobile di quell'impresa, nol saprei dire.
Aggiungono bensì tali autori, avere le soldatesche del duca in tal
congiuntura commesse tali enormità, sfoghi, incendii e crudeltà contra
dei Monferrini, che il raccontarle farebbe orrore.
Era negli anni addietro stato occupato _Sigismondo re_ de' Romani,
d'Ungheria e Boemia nelle terribili guerre degli ostinati eretici
Ussiti, che sconvolsero lungamente la Boemia, e costarono sangue
senza fine[2642]. In quest'anno, giacchè erano in qualche calma i suoi
affari della Germania, determinò di venire in Italia per prendere le
corone. Arrivò, non so dire se nell'ottobre, oppure nel novembre, a
Milano, con seguito di poca gente, accolto con gran solennità da quel
popolo, e lautamente spesato dal duca. Curiosa cosa fu il vedere che
esso _duca Filippo Maria_, il quale soggiornava allora a Biagrasso per
cagion della peste, quantunque praticasse tutte le maggiori finezze
a questo gran principe sovrano suo, pure non si lasciò mai vedere a
Milano, finchè vi dimorò Sigismondo, non so se per diffidenza, o per
qualch'altro motivo. Certo è che non gli volle mai permettere l'entrata
nel castello di Milano[2643]. Egli era una testa particolare. Nel dì
25 del suddetto novembre, festa di santa Caterina[2644], seguì nella
basilica di Sant'Ambrosio di Milano la coronazione di Sigismondo,
avendogli _Bartolomeo Capra_ arcivescovo posta in capo la corona
ferrea. Fermossi poi in Milano nel verno, disponendo intanto il suo
viaggio alla volta di Roma. Nei dì 5 di maggio dell'anno presente[2645]
i tre _Malatesti_, che dominavano in Rimini, Fano e Cesena, essendo
di poca età, furono in pericolo di perdere la lor signoria per una
sollevazione, non so se ordinata da _Malatesta_ signore di Pesaro,
oppure dagli uffiziali di _papa Eugenio_. Solamente apparisce che in
questi tempi in Forlì dominava il pontefice. Ne' medesimi tempi Città
di Castello assediata da _Niccolò Fortebraccio_[2646] ebbe soccorso
da _Guidantonio conte_ d'Urbino, e restò libera dalle unghie di lui.
Furono infestati nell'autunno di quest'anno i Veneziani[2647] nel
Friuli dagli Ungheri per ordine del _re Sigismondo_ a petizione del
duca di Milano, fra cui ed esso re passava buona corrispondenza ed
amicizia. D'uopo fu che il senato inviasse al riparo _Taddeo marchese_
d'Este con altri condottieri d'armi, i quali non perderono tempo a
sconfiggere quei barbari, e a farli tornar di galoppo alle lor case.
Si diede principio in questo anno al concilio generale di Basilea,
presidente del quale fu a nome del papa _Giuliano Cesarino_, cardinale
di gran credito in questi tempi.
NOTE:
[2612] Cronica di Rimini, tom. 15 Rer. Ital.
[2613] Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Ital.
[2614] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
[2615] Raynaldus, Annal. Eccles. Vita Martini V, P. II. tom. 3 Rer.
Ital.
[2616] Vita Eugenii IV, tom. eod.
[2617] Billius, Hist., lib. 9, tom. 19 Rer. Italic.
[2618] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Italic.
[2619] Giornal. Napolet., tom. 21 Rer. Ital.
[2620] Neri Capponi, Comment., tom. 18 Rer. Ital.
[2621] Vita Eugenii IV, P. II, tom. 3 Rer. Ital.
[2622] Blondus, Dec. 11, lib. 4.
[2623] Giornal. Napolet., tom. 21 Rer. Ital.
[2624] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
[2625] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
[2626] Simonetta, Vit. Francisci Sfort., lib. 2, cap. 21 Rer. Ital.
[2627] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
[2628] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital. Billius, Hist., lib. 9,
tom. 19 Rer. Ital.
[2629] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 2, tom. 21 Rer. Ital.
[2630] Johannes Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
[2631] Cronica di Bologna, ubi supra.
[2632] Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Ital.
[2633] Ammirati, Istor. Fiorent., lib. 20. Histor. Senens., tom. 20
Rer. Ital.
[2634] Billius, Hist., lib. 9, tom. 19 Rer. Ital.
[2635] Ammirati, Istor. Fiorent., lib. 20.
[2636] Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Ital.
[2637] Johann. Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
[2638] Poggius, Histor., lib. 6, tom. 20 Rer. Ital.
[2639] Benvenuto da S. Giorgio, Istoria del Monferrato, tom. 23 Rer.
Ital.
[2640] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 2, tom. 21 Rer. Ital.
[2641] Corio, Istor. di Milano.
[2642] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
[2643] Billius, Histor., cap. 9, tom. 19 Rer. Ital.
[2644] Corio, Istor. di Milano. Muratorius, Comm. de Corona Ferrea.
[2645] Cronica di Rimini, tom. 15 Rer. Ital.
[2646] Bonincont., Annal., tom. 21 Rer. Ital.
[2647] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCCXXXII. Indiz. X.
EUGENIO IV papa 2.
SIGISMONDO re de' Romani 23.
Erasi già cominciato in Basilea il concilio generale, ed ogni dì più
andava crescendo il concorso de' Padri[2648]; ma poco stette _papa
Eugenio_ a pentirsi di averlo permesso in luogo, dove non poteva
egli quel che voleva, perchè que' Padri diedero per tempo a conoscere
voglia di limitare l'autorità del papa, e di attribuirsi una specie di
superiorità sopra di lui. Per questo il pontefice determinò di chiamare
a Bologna quel concilio, e ne mandò l'ordine al _cardinal Giuliano_
legato. Ma quei Padri, assistiti dal re dei Romani e da varii altri
potentati, furono di sentimento diverso, e vollero continuar le loro
sessioni in Basilea; dal che nacque dissensione fra essi e il papa.
Di più non ne dico, rimettendo il lettore in questo proposito alla
storia ecclesiastica e agli atti di quel concilio. Era calato, siccome
già accennai, il _re Sigismondo_ per portarsi anche a Roma a prendere
la corona imperiale; ma ritrovò anch'egli degli ostacoli a' suoi
disegni. Il papa, oltre all'essere Veneziano, cioè di nazione allora
nemica di _Filippo Maria_ duca di Milano, avea de' particolari motivi
di sdegno contra di lui, perchè o credea o sapea di certo che nella
guerra fattagli nell'anno precedente dai Colonnesi esso duca avea avuta
mano. E veggendo ora Sigismondo sì attaccato ad esso duca di Milano,
non sapea escludere i sospetti della di lui venuta a Roma. Incagliossi
per questo il viaggio di Sigismondo[2649], il quale da Milano passò
a Piacenza, e quindi a Parma, con far delle lunghe posate in quelle
città. Nè sussiste, come si pensò Benvenuto da San Giorgio, che egli
portatosi nel Monferrato, vi soggiornasse gran tempo. Andossene dipoi
a Lucca, menando seco ottocento cavalli ungheri e secento del duca
di Milano. Il Poggio[2650] gli dà due mila tra cavalieri e fanti di
suo seguito. Una delle maggiori premure di questo buon principe era
quella di quetare i rumori dell'Italia, e si era anche esibito con
calde lettere a trattar la pace fra il duca di Milano e i collegati
avversarii. Ma egli ritrovò molto sconcertate le cose in Toscana.
Militavano allora contra de' Fiorentini le milizie del duca suddetto
e dei Sanesi sotto il comando di _Alberico conte_ di Lugo[2651],
con cui erano _Bernardino dalla Carda_ degli Ubaldini, _Lodovico
Colonna_, _Antonio Petrucci_, _Ardizzon da Carrara_ ed altri capitani,
ma discordi fra loro. _Michele Attendolo_ da Cotignola generale
de' Fiorentini, e _Niccolò da Tolentino_ lor capitano seppero ben
profittare della lor disunione; imperocchè nel dì primo di giugno[2652]
venuti con loro alle mani, li sbaragliarono, e fecero prigionieri più
di mille cavalli. Io non so come tutto al rovescio è raccontato questo
fatto d'armi da Pietro Rosso nella Storia di Siena[2653]. Secondo lui,
vincitori furono i Sanesi, e Niccolò da Tolentino vi fu fatto prigione.
Comunque sia, nel giorno innanzi era giunto a Lucca Sigismondo, ed
ebbe il dispiacere d'intendere che quasi sotto i suoi occhi passarono
dopo quella vittoria i capitani de' Fiorentini a dare il guasto al
territorio lucchese. Ancorchè essi Fiorentini colle parole mostrassero
rispetto alla sacra di lui persona e dignità, pure coi fatti si
scoprivano suoi nemici, perchè egli era tenuto per parziale del duca di
Milano, e de' Sanesi e Lucchesi loro nemici. Andavano perciò meditando
d'impedirgli il passo alla volta di Siena. Ma mentre van consultando,
Sigismondo scortato dalle milizie sue, del duca e di Siena, si mise
in viaggio, e felicemente arrivò nel dì 11 di luglio ad essa città di
Siena, dove fu accolto con incredibil onore e magnificenza da quel
popolo, che l'aspettava a braccia aperte. Fermossi Sigismondo tutto
il resto dell'anno in quella città, perchè non s'accordavano le pive
del papa, con aggravio e doglianze non poche del popolo sanese, a
cui costava troppo la sì lunga visita di questo principe, trattando
egli intanto di pace, ed ascoltando gli ambasciatori de' Fiorentini,
ma senza cavarne alcun sugo. Altri avvenimenti di guerra spettanti a
quest'anno in Toscana riferisce il Rossi sopra mentovato nella Storia
di Siena, che non occorre rapportar nella mia.
Quanto alla guerra di Lombardia, incredibile strepito fece in Italia
ciò che in quest'anno accade al _conte Francesco Carmagnola_ generale
della veneta armata, il più accreditato capitano che si avesse allora
l'Italia, ma famoso ancora per la sua superbia, onde era probabilmente
proceduta anche la sua caduta dalla grazia del duca di Milano. Le
ommissioni da lui commesse negli infausti avvenimenti dell'armi venete
dell'anno precedente fecero nascere così gagliardi sospetti della
sua lealtà nell'animo di chi reggeva quella repubblica, che nel dì 8
d'aprile[2654] fu risoluto nel loro consiglio di levargli non solamente
il comando, ma, per maggior sicurezza, anche la vita. In questi tempi
era in Venezia ordinariamente una specie di reato il perdere una
battaglia, e gli sventurati capitani si doveano aspettare qualche
gastigo. Mandato a chiamare il Carmagnola che venisse a Venezia col
pretesto di voler udire il di lui parere intorno alla pace che se gli
rappresentava vicina, andò egli francamente colà, onorato per tutto il
cammino; ma vi trovò la prigione che l'aspettava. Fu messo ai tormenti,
cioè a quella crudele e dubbiosa via di ricavar la verità dei delitti;
e scrivono che egli in fine confessò il fallo della sua corrotta fede,
senza che si dica se avessero sicure pruove in mano per convincerlo di
questo reato. Può essere che le facessero. Il perchè collo sbadaglio in
bocca condotto fra le colonne della piazza di San Marco, quivi lasciò
egli miseramente la testa sopra un palco nel dì 5 di maggio[2655].
Grandi furono le dicerie per questo, credendo molti che non sarebbe
venuto a tal determinazione quel saggio senato senza buone ragioni; ed
altri, che per soli sospetti e per paura di sua possanza si sbrigassero
di questo eccellente capitano; e pretendendo altri che almeno meritasse
di finir la sua vita in una prigione chi avea prestato sì rilevanti
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