Annali d'Italia, vol. 5 - 75

ereditare il marchesato di Crotone e la contea di Catanzaro, con assai
altre terre. Fece il medesimo papa in quest'anno, a dì 24 di maggio,
una promozione di dodici cardinali[2575], persone tutte degne della
sacra porpora.
NOTE:
[2562] Chron. Foroliv., tom. 19 Rer. Ital.
[2563] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
[2564] Corio, Istor. di Milano.
[2565] Chron. Foroliviens., tom. 19 Rer. Ital.
[2566] Ammirati, Istoria Fiorentina, lib. 19. Billius, Hist., lib. 5,
tom. 19 Rer. Ital.
[2567] Guichenon, Histoire de la Maison de Savoye, tom. 1.
[2568] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
[2569] Redus., Chron., tom. 19 Rer. Ital.
[2570] Poggius, Hist., tom. 20 Rer. Ital.
[2571] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
[2572] Billius, Histor., lib. 5, tom. 19 Rer. Ital.
[2573] Johann. Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
[2574] Giornal. Napolet., tom. 21 Rer. Ital. Bonincontrus, Annal., tom.
eod.
[2575] Raynaldus, Annal. Eccles.


Anno di CRISTO MCCCCXXVII. Indiz. V.
MARTINO V papa 11.
SIGISMONDO re de' Romani 18.

Nudriva ben _Filippo Maria Visconte_ duca di Milano le stesse idee
d'ingrandimento che ebbe _Gian-Galeazzo_ suo padre; ma non accoppiava
egli co' desiderii quella prudenza ed accortezza che in suo padre
si osservò. Tenea appresso di sè cattivi ministri,[2576] che non
gli permetteano di dar udienze, e gli faceano sapere solamente quel
tanto che lor piacea. Il peggio era, che, senza sapersi accomodare
ai rovesci della fortuna, andava continuamente macinando pensieri di
vendetta, cioè cercando le vie di rovinarsi sempre. Ancorchè egli sul
principio di quest'anno avesse confermati gli articoli della pace,
pure pien di sdegno ad altro non pensava che alla guerra. Ad assodarlo
in questo proponimento servì non poco la nobiltà di Milano, la quale,
mal sofferendo una pace sì svantaggiosa, fece delle esibizioni per
continuar la pugna, purchè il duca desse lor la balia di operare.
Accettò egli l'offerta, e volle che questa gli fosse mantenuta; ma non
mantenne già egli la condizione proposta: del che mormorò e si lagnò
forte quel popolo aggravato oltre misura dal duca, e disgustato dal
mal governo. Pertanto allorchè le potenze, collegate contra di lui, in
vigor della pace stabilita furono per ricevere la tenuta delle terre
ch'egli dovea dimettere nel Bresciano e nel Piemonte, si scoprì che
l'incostante duca avea mutato pensiero, nè volea mantenere i patti. Per
questa mancanza di fede i Veneziani e Fiorentini, tuttavia ben armati,
determinarono di ricominciar la guerra, nè il _cardinale Albergati_
legato della santa Sede, mediator d'essa pace, e personaggio di molta
santità, potè impedirlo; anzi, stomacato della leggerezza del duca,
si congedò da Venezia, e tornossene al suo vescovato di Bologna.
Ricominciossi dunque la guerra per Po, dove il senato veneto inviò
un'armata di ventisette galeoni e molti rediguardi[2577], incontro
alla quale anche il duca ne spedì un'altra di venti galeoni, tre
ganzare grandi incastellate e dodici rediguardi. Avendo questa flotta
duchesca ripigliate le Torricelle, s'accostò a Casal Maggiore, che
allora era in mano dei Veneziani; e venuto colà per terra _Angelo
dalla Pergola _insieme con _Niccolò Piccinino_ conducendo seco sette
mila cavalli ed otto mila fanti, nel dì 28 di marzo assediò la stessa
terra di Casal Maggiore. Se grandi furono le offese, non minor fu
la difesa. Tuttavia fu costretta la terra a rendersi. Passarono i
ducheschi sotto Brescello, occupato già dai Veneziani. Ma eccoti,
nel dì 21 di maggio, la flotta veneta comparire, ed attaccare colla
nemica una battaglia che fu ben aspra. Andò in fine rotta la flotta
e gente del duca[2578]. Dopo questa vittoria trovandosi le armate di
terra sul Bresciano[2579], nel dì dell'Ascensione succedette un altro
fiero fatto d'armi presso Gottolengo con isvantaggio dei Veneziani,
perchè vi restarono prigionieri circa mille e cinquecento persone. Nel
mese poi di luglio marciò il _Carmagnola_ sul Cremonese, minacciando
d'assedio quella città, di modo che lo stesso duca di Milano si portò
colà per animare i suoi ad ogni maggior resistenza. Secondo i conti
d'Andrea Biglia[2580] storico milanese di questi tempi, circa settanta
mila combattenti fra l'una parte e l'altra si videro allora sul
Cremonese, fra i quali più di venti mila cavalli: il che fa conoscere
come gagliarde fossero allora le forze dell'Italia, benchè a queste
armate non concorressero tanti altri principi italiani. Ora nel dì 12
di luglio, benchè l'esercito duchesco fosse sempre inferiore all'altro,
pur venne di nuovo alle mani, ma non generalmente coi nemici. Incerto
ne fu l'esito, essendovi restati tanto dall'una che dall'altra parte
assaissimi prigionieri, e scavalcato nella zuffa lo stesso Carmagnola,
il quale dopo il fatto si spinse addosso a Casal Maggiore, e fece
così ben giocare le artiglierie, che lo ricuperò con far prigione il
presidio.
Gran diversità intanto passava fra i due contrarii eserciti. In quello
del duca tutto era discordia, non volendo i capitani cedere l'uno
all'altro; e questi erano _Angelo dalla Pergola_, _Guido Torello_,
il conte _Francesco Sforza_ e _Niccolò Piccinino_. All'incontro
nell'armata veneta il _Carmagnola_ comandava a tutti, e sapea farsi
ubbidire non meno dal _signor di Faenza_, da _Giovanni da Varano_
signor di Camerino, da _Micheletto_ e _Lorenzo da Cotignola_ parenti
di Francesco Sforza, e da altri capitani, annoverati da Andrea
Redusio[2581], che dallo stesso _Gian-Francesco marchese_ di Mantova:
cosa di grande importanza nel mestier della guerra. Il perchè venne
il duca in determinazion di creare un capitan generale persona di
credito, sotto cui non isdegnassero di stare gli altri suoi condottieri
d'armi. Fu scelto per questo grado _Carlo Malatesta_, esperto, ma poco
fortunato, maestro di guerra. Venuto questi al campo, nulla fece di
riguardevole per più settimane, finchè, aggirato dagli stratagemmi del
Carmagnola, a Macalò nel dì 11 dì ottobre inaspettatamente fu assalito,
e trovato coll'esercito mal ordinato, e in parte disarmato (se è vero
ciò che hanno il Simonetta e il Corio, ma diversamente è narrato dal
Biglia e dal Redusio), fu astretto ad una giornata campale. Interamente
disfatti in essa rimasero i ducheschi colla prigionia di cinque mila
cavalli e d'attrettanti fanti, e colla perdita di tutto il bagaglio.
Lo stesso Carlo Malalesta si contò fra i prigionieri, ma ben trattato
dai nemici, perchè cognato del marchese di Mantova; perlochè non
andò esente da sospetti di perfidia. Ora questa terribil disgrazia,
e l'avere il duca nei medesimi tempi addosso verso il Vercellese
_Amedeo duca di Savoia_, e verso Alessandria _Gian Giacomo marchese_
di Monferrato, e nel Genovesato i fuorusciti, e nel Parmigiano
_Orlando Pallavicino_, tutti confederati ai danni di lui co' Veneziani
e Fiorentini, gli mise il cervello a partito, in guisa che ricorse
supplichevolmente per aiuto a _Sigismondo_ re de' Romani, e al papa per
la pace. Trovavasi allora la potente città di Milano sì ben provveduta
d'armaruoli, che, per attestato del Biglia[2582], due soli d'essi
presero a fornire in pochi giorni d'usbergo, celata e del resto delle
armi quattro mila cavalieri e due mila pedoni. E perciocchè era allora
in uso che, a riserva degli uomini di taglia, si mettevano in libertà i
prigionieri, dappoichè loro s'erano tolte armi e cavalli (benchè l'aver
ciò fatto il Carmagnola, gli pregiudicò non poco dipoi nell'animo dei
Veneziani); perciò il duca raunò tosto quanto bastava per impedire
il precipizio dei proprii affari. Seppe ben profittare intanto il
Carmagnola del calore della vittoria con prendere Monte Chiaro, gli
Orci, Pontoglio ed altre terre sino al numero di ottanta nel Bresciano
e Bergamasco.
In questi giorni il duca di Milano, per liberarsi dalle forze di
_Amedeo duca di Savoia_ collegato co' suoi nemici, comprò la pace da
lui con un trattato conchiuso in Torino nel dì 2 di dicembre dell'anno
corrente[2583], per cui il duca di Milano cedette all'altro la città di
Vercelli, e prese per moglie _Maria di Savoia_ figliuola del medesimo
duca. Non piaceva al _pontefice Martino_, molto meno a _Niccolò
marchese d'Este_ signor di Ferrara, che il duca di Milano precipitasse;
e però amendue si scaldarono per trattare di pace. Scelta fu per luogo
del congresso la città di Ferrara, dove, giunto il piissimo cardinale
di Santa Croce _Niccolò degli Albergati_, legato spedito dal papa, e
gli ambasciatori di tutte le potenze interessate in questa guerra, si
cominciò a trattare e si trattò per tutto il verno di pace. Nel mese
di settembre dell'anno presente, secondo gli Annali di Forlì[2584],
oppure nel dì 4 d'ottobre, secondo la Cronica di Rimini[2585],
giunse al fine di sua vita _Pandolfo Malatesta_ signore di Rimini,
personaggio rinomato per le sue imprese guerriere, e per essere stato
padrone di Brescia e Bergamo, per quanto abbiamo veduto di sopra. Non
lasciò figliuoli legittimi dopo di sè. Fecero guerra in questo anno i
Fiorentini al duca di Milano anche nel Genovesato per mezzo di _Tommaso
da Campofregoso_ signore di Sarzana, e dianzi doge di Genova[2586]. Nel
mese di agosto condusse questi la sua gente e i fuorusciti fin sotto
le mura di Genova; ma non andò molto che fu ributtato da' cittadini,
colla perdita delle scale e prigionia di molti. Nel dì 14 di dicembre
vi tornò egli con altro sforzo di gente; ma nel dì 28, uscito il popolo
di Genova, rimasero prigioniere quasi tutte le di lui schiere, ed egli
durò fatica a ritirarsi in salvo.
NOTE:
[2576] Billius, Hist., lib. 5, tom. 19 Rer. Ital.
[2577] Sanuto, Istor. Ven., tom. 23 Rer. Ital.
[2578] Redus., Chron., tom. 19 Rer. Ital.
[2579] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital. Corio, Istoria di Milano.
[2580] Billius, Hist., lib. 6, tom. 19 Rer. Ital.
[2581] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 2, tom. 21 Rer. Ital.
[2582] Billius, Histor., lib. 6, tom. 19 Rer. Ital.
[2583] Guichenon, Hist. de la Maison de Savoye.


Anno di CRISTO MCCCCXXVIII. Indiz. VI.
MARTINO V papa 12.
SIGISMONDO re de' Romani 19.

Non so se nel principio di questo anno, come pare che il Simonetta
abbia creduto[2587], oppure sul fine del precedente, fosse inviato il
conte _Francesco Sforza_ da _Filippo Maria duca_ di Milano alla volta
di Genova con alcune schiere d'uomini d'armi per li bisogni di quella
città, infestata da _Tommaso da Campofregoso_ e dagli altri fuorusciti.
Appena ebbe egli passato il giogo dell'Apennino, che si trovò in certi
siti stretti assalito dai contadini di quel paese; fors'anche vi era
con loro qualche gente d'essi fuorusciti. Fioccavano i verettoni in
maniera, che molti de' suoi vi furono morti o feriti, ed egli costretto
a retrocedere, finchè arrivato al castello di Ronco, ed, accolto da
Eliana Spinola, potè salvarsi. Si servirono di questa sua disgrazia
gli emuli alla corte del duca per iscreditarlo, e far nascere sospetti
nella sua fede; sicchè, secondo alcuni, fu messo in castello. Almeno
è certo[2588] che fu come relegato a Mortara, dove quasi per due anni
soggiornò con gravissimo patimento, perchè non correano le paghe, nè
gli mancavano altri aggravii, senza ch'egli potesse mai persuadere al
duca la sua innocenza. Dicono che se non era il _conte Guido Torello_,
da cui venne protetto sempre, due volte la vita corse pericolo. La
sua pazienza vinse poi tutto, perchè fece conoscere non aver egli mai
avuto animo di passare al servigio de' Veneziani o Fiorentini. Continuò
la guerra anche nei primi mesi di quest'anno, con avere il vittorioso
_conte Carmagnola_ prese non poche castella nel Bergamasco, e portato
il terrore sino a quella città. Intanto in Ferrara il _marchese
Niccolò_ unito col buon _cardinale Albergati_ vescovo di Bologna, si
studiava a tutto potere di condurre alla pace le potenze guerreggianti.
Erano alte le pretensioni del senato veneto, siccome quello che avea
favorevole il vento; e mostrandosi inesorabile, esigeva che il duca
cedesse, oltre alla già perduta città di Brescia, ancor quelle di
Bergamo e Cremona. Sì caldamente e fortunatamente il cardinale e il
marchese maneggiarono l'affare, che finalmente nel dì 18 d'aprile
(l'Ammirati[2589] dice nel dì 16) si conchiuse la pace. Il principale
articolo d'essa fu la cessione della città di Bergamo col suo
distretto, e di alcune terre e castella del Cremonese alla repubblica
veneta. I Fiorentini, che tanto aveano speso in questa guerra, non
guadagnarono un palmo di terra. Fu anche accordata la restituzione di
tutti i beni tolti dal duca al Carmagnola, con altri articoli e patti,
distesamente riferiti da Marino Sanuto nella sua Storia[2590]. E tale
fu il guadagno che ricavò in questa seconda guerra lo sconsigliato duca
di Milano. Egli ratificò ed eseguì puntualmente così fatto accordo, e
ritornò per un poco la quiete in Lombardia.
Ebbe in quest'anno _papa Martino V_ delle inquietudini[2591]. Nella
notte precedente al dì 2 di agosto gl'instabili Bolognesi, che s'erano
ingrossati forte in occasion della vicina guerra, sotto pretesto
d'essere mal governati e molto aggravati dai ministri pontificii, si
levarono a rumore, cioè la fazion di _Batista da Canedolo_, unita cogli
Zambeccari, Pepoli, Griffoni, Guidotti ed altri. Prese l'armi anche
la fazione di _Antonio Bentivoglio_, che allora dimorava in Roma, per
opporsi all'altra in favore della Chiesa; ma rinculata lasciò il campo
agli avversarii. Fu messo a sacco il palazzo del cardinale legato, il
quale se ne andò poi con Dio; e la città tornò ad essere governata
dagli anziani e confalonieri del popolo. Salvo castello San Pietro,
castello Bolognese, Cento e la Pieve, tutte le altre terre e castella
seguitarono o per amore o per forza l'esempio della città; e _Luigi da
San Severino_ venne per capitano de' Bolognesi. A questo avviso _Carlo
Malatesta_ signor di Rimini corse a sostenere castello San Pietro e
castello Bolognese. _Niccolò da Tolentino_ capitano di genti d'armi,
che in questi tempi, passando pel Bolognese, volle lasciar la briglia
ai suoi per saccheggiare il paese, restò sconfitto a Medicina dai
Bolognesi, con perdita di quattrocento cavalli e di molti carriaggi,
facendosi ascendere il danno suo a sessanta mila fiorini d'oro. Per
cagione di tal novità papa Martino condusse al suo soldo _Ladislao_
figliuolo di _Paolo Guinigi_ signore di Lucca con settecento cavalli,
i quali, giunti nel dì 15 di settembre sul Bolognese, si diedero
immantinente al saccheggio del territorio. Ma, perchè era troppo
poco al bisogno, il papa, con permissione della _regina Giovanna_,
ottenne che _Jacopo Caldora_, uno dei più sperti capitani del regno
di Napoli, venisse a quella danza con un grosso corpo di soldatesche.
Però nel dicembre arrivò l'esercito pontificio ad accamparsi in
vicinanza di Bologna, e, rotto il muro dalla parte del barbacane di
San Giacomo, tentò anche l'entrata nella città; ma ne fu respinto.
In questi tempi[2592] venuta a Napoli la regina Giovanna, conducendo
seco l'adottato suo figliuolo, cioè il _re Lodovico_ d'Angiò, perchè
_Ser-Gianni_ gran senescalco nol vedea volentieri in Napoli, tanto fece
che il mandò in Calabria, dove ridusse quasi tutte quelle contrade
all'ubbidienza della regina Giovanna. Oltre a ciò, esso senescalco,
perchè temeva della potenza di Jacopo Caldora, cercò la maniera di
obbligarselo, con dare per moglie ad _Antonio_ figliuolo di lui una
sua figliuola, siccome ancora nell'anno seguente una altra ne diede
a _Gabriello Orsino_ fratello di _Gian-Antonio Orsino_ principe di
Taranto, cioè dell'altro signore più potente nel regno di Napoli:
coi quali parentadi egli seguitò a sostenersi nella sua autorità,
benchè odiato quasi da tutti. Fecero nel dì 9 di maggio dell'anno
presente[2593] i Genovesi pace col re d'Aragona e Sicilia, per cura del
duca di Milano loro signore, il quale mandò al governo di quella città
_Bartolomeo Capra_ arcivescovo di Milano. Ma poco stette ad entrar colà
ancora la peste, che infierì non poco nel basso popolo. Fu essa anche
in Venezia. Nell'ottobre il duca di Milano celebrò le sue nozze con
_Maria di Savoia_, ma nozze che nol doveano arricchire di prole alcuna.
NOTE:
[2584] Annal. Foroliv., tom. 22 Rer. Ital.
[2585] Cronica di Rimini, tom. 15 Rer. Ital.
[2586] Johannes Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
[2587] Simonetta, Vit. Francisci Sfort., lib. 2, tom. 21 Rer. Ital.
[2588] Corio, Istoria di Milano.
[2589] Ammirati, Istor. Fiorentina, lib. 18.
[2590] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
[2591] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital. Matthaeus de Griffonibus,
Chron., tom. eod.
[2592] Giornal. Napolet., tom. 21 Rer. Ital.
[2593] Johannes Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.


Anno di CRISTO MCCCCXXIX. Indiz. VII.
MARTINO V papa 13.
SIGISMONDO re de' Romani 20.

Felice riuscì quest'anno alla Chiesa di Dio, perchè in fine si
schiantarono affatto le radici del non mai ben estinto in addietro
scisma d'Occidente[2594]. Dopo tante difficoltà incontrate fin qui con
_Alfonso re d'Aragona_, il quale volea vendere con proprio vantaggio
l'antipapa _Egidio Mugnos_ ossia Mugnone, che tuttavia ostinato
risedeva nel castello di Paniscola, riuscì al buon _papa Martino_,
per mezzo del cardinale di Fox suo legato, di vincere l'animo del
re, e d'indurlo ad abbandonare quell'idolo. Perciò Egidio, deposte
le usurpate insegne del papato, venne, sul fine di luglio, ad una
solenne rinunzia, ed ebbe per grazia di essere creato vescovo di
Maiorica. Portatane la nuova a Roma, riempiè di giubilo quella sacra
corte, e tutti i buoni del cristianesimo. Durava intanto la ribellione
di Bologna[2595], e _Jacopo Caldora_ generale del papa, con cui era
unito _Antonio de' Bentivogli_, la teneva ristretta, badaluccando
e dando varii assalti, ma in vano tutti. Seco ancora fu _Niccolò da
Tolentino_, che cercava le maniere di rifarsi contra de' Bolognesi
dell'affronto e danno patito nell'anno antecedente, e prese loro
Castelfranco. Buona parte del presente anno seguitò questa guerra,
e varii tentativi furono fatti in Bologna dai parziali della Chiesa
e del Bentivoglio per darsi al papa, ma che costarono la vita a chi
gli ordì o ne fu complice. Finalmente, dopo essere stati a parlamento
più volte gli ambasciatori di Bologna coi ministri del pontefice, nel
dì 30 d'agosto si venne ad un accordo, per cui Bologna ritornò alla
ubbidienza del papa con alcuni capitoli vantaggiosi a quel popolo. A
tenore di questo aggiustamento, nel dì 25 di settembre entrò in quella
città il _cardinal Conti_ legato, che ne levò l'interdetto, e ristabilì
quivi il governo pontificio. Secondo gli Annali di Forlì[2596], nel dì
12 di dicembre anche la città di Fermo colla rocca tornò in potere di
papa Martino V per dedizione di que' cittadini. Altrettanto fece anche
Città di Castello in Toscana. Giunse al fine di sua vita in questo anno
a dì 14 di settembre[2597] _Carlo Malatesta_ signore di Rimini, mentre
si trovava in Longiano, lasciando dopo di sè il credito di essere
stato signor savio in pace, ma sventurato in guerra. Gli succederono
_Roberto_, _Sigismondo_ e _Malatesta Novello_, figliuoli tutti bastardi
di _Pandolfo Malatesta_ suo fratello, il primo in Rimini, un altro in
Fano ed un altro in Cesena. Passò anche all'altra vita nel dì 19 di
dicembre[2598] _Malatesta_ signore di Pesaro, altro suo fratello. Avea
questi dopo la morte di Carlo preteso, siccome legittimo, d'escludere i
nipoti bastardi dalla di lui eredità, con far anche ricorso per questo
a papa Martino. In sua parte nulla ottenne, e solamente servirono le
istanze sue a fare che il papa, inviate colà l'armi sue, s'impadronisse
d'alcune terre, siccome dirò all'anno seguente.
Ebbero in quest'anno non poche faccende i Fiorentini[2599], perchè
volendo imporre la gravezza del catasto a tutti i loro distrettuali,
che erano smunti di troppo per la passata guerra, e pretendendo il
popolo di Volterra di doverne essere esente, si sollevò e ribellossi.
Fecero i priori di Firenze marciare a quella volta _Niccolò
Fortebraccio_, nipote del famoso Braccio, che colle sue genti, dopo la
pace del duca di Milano, era tornato in Toscana, ed egli pose il campo
intorno alla rivoltata città. Poco tempo potè resistere quel popolo,
e, venuto a composizione colla corda al collo, perdè in tal congiuntura
molti suoi privilegii, con divenire più pesante di prima il loro giogo.
Erano da molto tempo sdegnati essi Fiorentini contra di _Paolo Guinigi_
signore ossia tiranno di Lucca, perchè, dopo aver preso impegno di dare
ai lor servigi nella guerra di Lombardia _Ladislao_ suo figliuolo con
settecento cavalli, l'avea poi trasmesso al soldo del duca di Milano
contra di loro. Venne l'occasione di vendicarsene. Dopo l'impresa
di Volterra, per loro segreta istigazione, come fu creduto, si portò
il suddetto Niccolò Fortebraccio coi suoi combattenti sul territorio
di Lucca, e cominciò a prendere alcune castella, e a mettere a sacco
quelle contrade. Spedì il Guinigi a Firenze per pregar quei signori di
comandare a Fortebraccio loro soldato che cessasse da tali ostilità;
e n'ebbe per risposta, che di loro volontà non s'era fatto quel
movimento, e che potevano ben pregare, ma non comandar che cessasse.
Intanto il Fortebraccio andava scrivendo a Firenze, dargli l'animo di
sottomettere Lucca, e che questo era il tempo di fare un acquisto per
tanto tempo desiderato, e non mai eseguito da essi Fiorentini. Proposto
nel gran consiglio questo affare, ancorchè non mancassero molti che
dissuadessero tale impresa, pure prevalse la gelosia dei più, perchè
già si tenevano in pugno Lucca, il cui possesso sarebbe riuscito di
mirabil vantaggio ed accrescimento alla loro potenza. Adunque nel dì 15
di dicembre fu determinata la guerra contra di Lucca, e si diedero gli
ordini al Fortebraccio d'imprenderla a nome della repubblica: al qual
fine il rinforzarono di gente da tutte le bande. Ma, venuto il verno,
convenne differir lo sforzo delle ostilità alla stagion migliore.
In Genova furono ancora in quest'anno dei disturbi per cagione di
_Barnaba Adorno_[2600], il quale tentò di occupare il castelletto
di quella città con un corpo di gente delle ville circonvicine. Andò
a voto il suo disegno; e per questa cagione il duca di Milano inviò
colà con una man d'armati _Niccolò Piccinino_ valente capitano, che
già a gran passi s'introduceva nella grazia e stima di quel principe.
Negli stessi tempi[2601] _Jacopo Caldora_, tornato dalla spedizion
di Bologna in regno di Napoli, fu creato dalla _regina Giovanna_ duca
di Bari, crescendo talmente la sua potenza, che già comandava a tutto
l'Abbruzzo.
NOTE:
[2594] Raynaldus, Annal. Eccles. Bzovius.
[2595] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
[2596] Annal. Foroliviens., tom. 22 Rer. Ital.
[2597] Cronica di Rimini, tom. 15 Rer. Ital. Bonincontrus, Annal., tom.
21 Rer. Ital.
[2598] Billius, Hist., lib. 7, tom. 19 Rer. Ital.
[2599] Ammirat., Istoria di Firenze, lib. 19. Billius, Histor., lib. 7,
tom. 19 Rer. Ital.


Anno di CRISTO MCCCCXXX. Indiz. VIII.
MARTINO V papa 14.
SIGISMONDO re de' Romani 21.

Intento più che mai _papa Martino_ a ricuperare gli Stati della Chiesa
romana, giacchè erano mancati di vita _Carlo_ e _Malatesta_ fratelli
de i Malatesti, procurò di profittar della discordia insorta fra
i consorti di quella famiglia, con ispedire in quelle parti le sue
genti d'armi. Secondo il Biglia[2602], restò egli padrone della ricca
e popolata terra di Borgo San Sepolcro, tanto apprezzata da Carlo
Malatesta, che dianzi n'era in possesso. Conquistò ancora Bertinoro;
e perchè _Guidantonio conte_ d'Urbino secondò l'armi pontifizie in
tale occasione, impadronitosi di alcune castella del Riminese, le
ritenne poi per sè. Lorenzo Bonincontro aggiugne[2603] che i Malatesti
restituirono al papa, oltre al suddetto Borgo San Sepolcro, anche
Osimo, Cervia, Fano, la Pergola e Sinigaglia: la qual ultima città fu
data dipoi da esso pontefice a _Malatesta_ signore di Pesaro. Nella
primavera passarono sul Lucchese le forze de' Fiorentini con gran
voglia e speranza di aggiugnere quella città al loro dominio, e la
strinsero d'assedio[2604]. Ma non tardarono a conoscere, che gran tempo
si richiedea all'impresa, giacchè _Paolo Guinigi_ s'era, il meglio
che avesse potuto, preparato a sostenersi[2605], e a vendere caro
la propria rovina; oltre di che quei cittadini, benchè mal contenti
del di lui governo, pure maggiormente ancora abborrivano quello de'
Fiorentini. _Filippo Brunelleschi_, architetto allora ossia ingegnere
di gran credito in Firenze, fece credere ai suoi di avere in saccoccia
il segreto per ridurre in breve ai lor voleri i Lucchesi. Consisteva
esso in voltare addosso a Lucca la corrente del Serchio, fiume che
passa non lungi alle mura di quella città: proposizione impugnata
da _Neri Capponi_ e da altri[2606], convinti che gli ingegneri, per
conto di dar legge alle acque, sovente formano di bei disegni in
carta, che vani poi riescono alla sperienza. Fu nondimeno accettata,
e dato principio al lavoro con gran copia di guastatori. Ma i
Lucchesi, conosciuta tale intenzione, si premunirono con argini, in
guisa tale, che in vece di nuocere alla città, si rivolse il fiume ad
allagare il campo de' Fiorentini. Intanto Paolo Guinigi tempestava con
lettere e messi gli amici, perchè il sovvenissero in tanto rischio,
e massimamente fece ricorso a _Filippo Maria duca_ di Milano e alla
repubblica di Siena. Vedevano i Sanesi di mal occhio che i Fiorentini
s'insignorissero di Lucca, e spedirono per questo ambasciatori a
Firenze; tanto nulla di meno seppero adoperarsi i Fiorentini, che
in Siena si ratificò la lor lega, e parve quieto quel popolo. Ma
ritrovandosi in essa città di Siena mal soddisfatto de' Fiorentini
Antonio Petrucci, ebbe egli delle segrete commessioni di aiutare il
Guinigi per quanto potesse; e a tal fine si portò a Milano, dove coi
messi del Guinigi attese a muovere quel duca in favore di Lucca. Ne
avea gran voglia _Filippo Maria_. Ma perchè nei capitoli dell'ultima
pace v'era ch'egli non si dovesse impacciare negli affari della Romagna
e Toscana, gli conveniva stare zitto per non riaccendere la guerra.
Tuttavia ricorse ad un ripiego.
Il _conte Francesco Sforza_, fatta già conoscere colla pazienza sua
la sua fede ed innocenza, gli era rientrato in grazia[2607]. A lui
fu data l'incombenza di soccorrere Lucca, e gran somma di danaro
contata in segreto dal Petrucci, dal ministro del _Guinigi_ e, come
fu creduto, anche dal duca, il quale mostrò di licenziarlo dal suo
servigio, siccome capitano venturiere, la cui condotta era finita.
Con quel danaro il conte Francesco rimise ben in arnese le sue
veterane fedeli truppe, e ne assoldò delle altre, e poscia inviatosi
alla volta della Lunigiana, come condotto al soldo del signore di
Lucca, andò a piantarsi a Borgo a Buggiano. Per la venuta di questo
campione sciolsero i Fiorentini l'assedio di Lucca, e si ritirarono
coll'armata a Ripafratta[2608], ed intanto crearono lor generale
_Guidantonio conte d'Urbino_. Di questa congiuntura si prevalsero
i Lucchesi per riacquistare la lor libertà, giacchè s'intese, o fu
finto, che il Guinigi trattava di vendere a' Fiorentini quella città.
Intorno a ciò intesisi prima col conte Francesco, misero un dì le mani
addosso al medesimo _Paolo Guinigi_, ed appresso svaligiarono tutto
il suo palazzo, nel qual mentre _Ladislao_ suo figliuolo fu anche
egli detenuto prigione dal conte Francesco. Il Guinigi con tutti i
suoi figliuoli, per le istanze de' Lucchesi, fu condotto al duca di
Milano, nelle cui carceri terminò dopo due anni i suoi giorni. Attese
intanto la Sforza a ricuperare varie terre del territorio lucchese; ed
è ben lecito il credere che gran somma d'oro ricavasse dai Lucchesi
per averli doppiamente beneficati, liberandoli dalle unghie de'
Fiorentini e dall'interno giogo tirannico del Guinigi. Il bello fu,
che anche i Fiorentini, per levar di Toscana questo noioso ostacolo
ai loro disegni, ricorsero alla spada d'oro, capace di tagliare ogni