Annali d'Italia, vol. 5 - 70

Vi restava da vincere Pietro di Luna, chiamato _Benedetto XIII_.
Ritirato costui a Perpignano, quivi se ne stava esercitando la sua
autorità sopra coloro che seguitavano a tenerlo per papa, come gli
Aragonesi e Castigliani. Tanto egli, quanto _Ferdinando re_ di Aragona
e di Sicilia, pregarono con loro lettere il re _Sigismondo_ di voler
portarsi a Nizza, dove anch'essi si troverebbono, per tener ivi un
congresso e trattar della maniera di pacificar la Chiesa. Sigismondo,
principe piissimo, e principal promotore di questa grand'opera,
assunse il carico di passare colà, non badando al suo grado, nè a
spese, a disastri e pericoli, purchè ne venisse del bene alla Chiesa
di Dio. Menando seco alquanti prelati e teologi, come ambasciatori del
concilio, passò per la Francia, e giacchè era svanita la proposizione
dell'abboccamento in Nizza, andò sino a Narbona, dove il venne a
trovare il re Ferdinando, benchè infermo. Non si potè trar fuori
di Perpignano il malizioso Pietro di Luna; e però furono a trovarlo
colà i due re nel dì 18 di settembre[2409]. Ma Pietro (tanto può la
forza dell'ambizione e della vanità) mostrava bensì di voler cedere
il papato, ma sfoderava nello stesso tempo esorbitanti condizioni
e proposizioni tendenti a guadagnar tempo, che davano abbastanza a
conoscere non si accordar le di lui parole col cuore. Le preghiere e le
minaccie a nulla servirono. Scappò anche segretamente da Perpignano,
e si ritirò a Colliure; ma fu quivi assediato; e perciocchè i suoi
cardinali l'abbandonarono, trovò la maniera di fuggirsene e di
ritirarsi a Paniscola, cioè ad un fortissimo suo castello sul mare,
non molto lungi da Tortosa, dove si rinserrò, risoluto di morire senza
dimettere le insegne del preteso suo pontificato. Allora fu che i re
Sigismondo e Ferdinando, irritati dall'ambiziosa ostinazione di questo
mal uomo, l'abbandonarono, sottraendogli ogni ubbidienza[2410], e nel
dì 15 di dicembre stabilirono nella città di Narbona alcuni articoli,
affinchè unitamente coi prelati della Spagna si procedesse poi contra
di Pietro di Luna. Nel suo passaggio per la Francia Sigismondo
s'interpose per mettere pace fra i re di Francia ed Inghilterra,
ch'erano alle mani fra loro, e solamente ritornò nell'anno seguente al
concilio di Costanza.
Di novità e peripezie non poche abbondò in quest'anno il regno di
Napoli[2411]. Avea la _regina Giovanna Seconda_, appena salita sul
trono, alzato al grado di conte camerlengo _Pandolfo Alopo_, uomo
di vil prosapia, e talmente da lei favorito, che corsero sospetti
d'amicizia poco onesta fra loro. Costui con ismoderata autorità
girava a suo talento gli affari della corte e del regno. Fece anche
imprigionare _Sforza Attendolo_, il più valente condottier d'armi,
che la regina avesse allora al suo servigio; e solamente dopo quattro
mesi per le istanze di varii baroni il rimise in libertà con patto
ch'egli sposasse la di lui sorella Caterina Alopa. Data esecuzione a
questo trattato, Sforza fu poi creato gran contestabile del regno. Non
mancavano torbidi in quel regno, e baroni ribelli e città sollevate.
Persuase dunque il consiglio alla regina di eleggere un marito, col
cui braccio potesse più sicuramente tener le redini del governo; ed
ella fra molti scelse _Jacopo conte della Marca_ del real sangue di
Francia, che accettò ben volentieri l'esibizion di quelle nozze. Sul
fine di luglio arrivato questo principe nel regno di Napoli, la regina
gli mandò incontro gran copia di baroni, e fra gli altri il suddetto
Sforza gran contestabile, con ordine di non gli dare altro titolo
che quello di principe di Taranto e duca di Calabria: che così s'era
convenuto negli articoli del contratto matrimoniale, già eseguito per
via di un mandato colle cerimonie della Chiesa, come io vo credendo.
Ma Jacopo, a' cui fianchi si misero tosto dei baroni desiderosi
d'abbattere _Sforza_ e _Pandolfello_, il consigliarono di levarsi
d'attorno questi due potenti ostacoli, perchè in tal guisa si sarebbe
aperta la strada ad essere re. In fatti nella città di Benevento fu
preso Sforza, e cacciato in una dura prigione; nè andò esente da questa
disavventura _Francesco_ suo figliuolo con altri parenti del medesimo
Sforza. Arrivato Jacopo a Napoli nel dì 10 d'agosto, consumato che
ebbe il matrimonio, usurpò il titolo di re, oppure, come vogliono
alcuni, ciò eseguì con consenso della medesima regina. Fece poi nel
dì 8 di settembre mettere le mani addosso a Pandolfello; e l'infelice
processato e condannato lasciò la testa sul palco nel dì primo
d'ottobre. Passando poi più oltre, cominciò a tenere ristretta e come
prigioniera la regina, con attribuire a sè stesso tutta l'autorità, e
senza lasciarne a lei un menomo uso, e neppur permettendole che fosse
visitata da alcuno dei nobili. _Paolo Orsino_ uscì in questi tempi
di prigione per grazia del re Jacopo, da cui fu mandato a Roma, per
imbrogliar quella città, mentre castello Sant'Angelo stava tuttavia
alla divozione di Napoli, e colle bombarde facea guerra e danno al
popolo romano[2412]. Arrivò egli colà nel dì 28 di novembre, e cominciò
ad inquietare il cardinale di Sant'Eustachio, legato, e fece prigione
_Francesco degli Orsini_ con altre novità.
Ebbe _Filippo Maria duca_ di Milano molte faccende in quest'anno[2413],
cioè guerra con _Pandolfo Malatesta_ signore di Brescia, nel
qual tempo la fazion dei Ghibellini di Alessandria, che, essendo
fuoruscita, avea impetrata poco prima la grazia di ripatriare, si
mosse a rumore, e diede quella città in mano a _Teodoro marchese_
di Monferrato. Per buona fortuna del duca, in quel medesimo giorno
_Francesco Carmagnuola_ suo generale avea stabilita col Malatesta,
per interposizion de' Veneziani, una tregua di due anni: laonde le
armi sue ebbero la comodità d'accorrere ad essa città d'Alessandria,
e di entrare per una porta nella fortezza, che tuttavia si mantenea,
e di ricuperar la città. Per questo fatto il Carmagnuola fu dal duca
Filippo creato conte di Castelnuovo[2414]. Non andò così per Piacenza.
_Filippo degli Arcelli_, nobile di quella città, nel dì 25 di ottobre
usurpò il dominio con trucidar la guarnigione del Visconte. Pretende
il Rivalta[2415], storico piacentino, ch'egli le desse il sacco,
e commettesse grandi crudeltà contra dei cittadini, e massimamente
contra di _Alberto Scotto_ conte di Vigoleno. Fece egli lega dipoi col
_marchese Niccolò_ di Ferrara, e coi signori di _Brescia_, _Cremona_
e _Lodi_, in maniera che cominciò a dar da fare al duca di Milano.
Per attestato del Bonincontro[2416], in quest'anno _Malatesta_ signor
di Cesena fece viva guerra a _Lodovico de' Migliorati_ signore di
Fermo, e lo spogliò di molte castella. Di peggio sarebbe intervenuto
a Lodovico, se non fosse giunto avviso a Malatesta che _Braccio da
Montone_, capitano insigne di questi tempi, metteva a ferro e fuoco
il contado di Cesena[2417]. Perciò, fatta tregua fra loro, corse
alla difesa della propria casa. Guerra eziandio mosse in quest'anno
il medesimo Malatesta a _Ridolfo Varano_ signore di Camerino; ma non
gli andò fatta, come s'era egli figurato. Genova, per la sollevazione
cominciata nell'anno addietro, era tuttavia in armi[2418], continuando
le battaglie fra i cittadini, il bruciamento o smantellamento delle
case. Per quanto si studiasse il clero con divote processioni, gridando
misericordia e pace, di frenar sì pazzo bollor delle fazioni, stettero
gl'inferociti animi saldi nelle risse fino al dì 6 di marzo, in cui,
essendo stati eletti nove arbitri, proferirono l'accordo, consistente
in permettere che _Giorgio Adorno_ sino al dì 27 di quel mese ritenesse
la sua dignità, e poi la dimettesse, con goder da lì innanzi di molte
esenzioni e sicurezze. Furono deposte le armi, cessò tutto il rumore;
e dappoichè l'Adorno lasciò vacante la sedia, nel dì seguente, giorno
28 d'esso mese, fu eletto doge _Barnaba da Goano_. Coll'elezione di
cotesto prudente personaggio parea che s'avesse a godere quiete in
Genova; ma troppo erano in quei tempi facili a scomporsi gli animi
di quella focosa gente. Nel dì 29 di giugno gli Adorni e Campofregosi
presero le armi contro del duca novello per deporlo. Perciò si fu di
nuovo alle mani fra gli emuli e i loro aderenti; nè potendo resistere
il Goano alla potenza degli avversarii, rinunziò la bacchetta del
comando. In luogo suo nel dì 4 di luglio di comune consenso del popolo
restò eletto doge _Tommaso da Campofregoso_: con che si restituì la
pace alla scompigliata città.
NOTE:
[2404] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
[2405] Bonincontrus, Annal., tom. 21 Rer. Ital.
[2406] Theodor. de Niem, in Johan. XXIII. Raynaldus, Annal. Eccles.
[2407] Gobelinus, in Cosmodr.
[2408] Theodoricus de Niem, in Johanne XXIII.
[2409] Theodoricus de Niem, in Johanne XXIII. Raynaldus, Annal. Eccles.
[2410] Labbe, Concilior., tom. 12.
[2411] Giornal. Napolet., tom. 21 Rer. Ital. Corio, Istoria di Milano.
[2412] Antonii Petri Diarii, tom. 24 Rer. Ital.
[2413] Corio, Istoria di Milano.
[2414] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
[2415] Ripalta, Chron. Placent., tom. 20 Rer. Ital.
[2416] Bonincontrus, Annal., tom. 21 Rer. Ital.
[2417] Annales Foroliviens., tom. 22 Rer. Italic. Chron. Foroliviens.,
tom. 19 Rer. Ital.
[2418] Johann. Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.


Anno di CRISTO MCCCCXVI. Indizione IX.
Sede di San Pietro vacante 2.
SIGISMONDO re de' Romani 7.

Spesero i Padri del concilio di Costanza questo anno in varii
regolamenti spettanti alla disciplina ecclesiastica, in trattati
per istaccar la Castiglia dall'antipapa _Benedetto_, e in citare lui
stesso al concilio, e in processar gli eretici ussiti, senza parlare
dell'elezion d'un nuovo romano pontefice, premendo loro, se mai si
potea, di riportar la cessione d'esso antipapa, per procedere poi
più francamente a dare un indubitato papa alla Chiesa di Dio. Ma
l'ambizioso Pietro di Luna, che sì belle sparate avea talvolta fatto
d'essere pronto alla cessione, quanto più mirava abbattuti i due
suoi competitori, tanto più si confermava nella risoluzione di voler
morire papa. Intanto non mancavano all'Italia guerre e rivoluzioni.
_Braccio da Montone_, capitano del già papa _Giovanni XXIII_, avea
tenuta fin qui a freno la città di Bologna colle armi sue[2419]. Ma
dacchè s'intese la caduta d'esso pontefice, ripigliarono i Bolognesi
l'innato desiderio della lor libertà. Nel dì 5 di gennaio dell'anno
presente diedero esecuzione ai loro disegni, coll'avere _Antonio_ e
_Batista de' Bentivogli_, e _Matteo da Canedolo_ levato rumore, per
cui tutto il popolo corse all'armi. Fu lasciato uscire il vescovo di
Siena, che v'era governatore per la Chiesa; ma andò tutto il suo avere
a saccomano. Udita questa nuova, Braccio, che si trovava a castello San
Pietro, s'avviò tosto alla volta di Bologna colle sue genti, credendosi
di ingoiarla, e d'arricchir colla preda i suoi. Trovati i cittadini
bene in punto, e risoluti di difendere il ricuperato libero stato,
capitolò con essi, e forse anche prima era d'accordo con loro; e dopo
aver da essi ricevuto in termine di tre mesi un donativo di ottantadue
mila fiorini d'oro, li lasciò in pace, e andossene a portar la guerra
contro la sua patria Perugia, di cui con altri nobili era fuoruscito.
Allora fu che rientrò in Bologna una gran copia di nobili cacciati in
esilio sotto il rigoroso pontificio governo precedente, e cessarono le
gran faccende che in addietro avea il carnefice in quella città. Nel
dì 6 d'aprile ebbero il castello della porta di Galiera per dieci mila
fiorini, dati a messer Bisetto da Napoli parente del fu papa Giovanni
XXIII, e non perderono tempo a smantellarlo. Furono loro restituite
anche le castella che teneva Braccio. Gran festa ed allegria si fece
per più dì in Bologna per questa mutazione di stato.
Marciò intanto il valoroso Braccio alla volta di Perugia sua patria
con quattromila cavalli e molta fanteria, per rientrar colla forza
in quella città. Molte battaglie, molti assalti succederono, avendo
i Perugini della fazion contraria fatto ogni sforzo per la loro
difesa. Gian-Antonio Campano vescovo di Teramo diffusamente, ma non
senza adulazione, lasciò scritte tutte le imprese di questo celebre
capitano[2420], col difetto ancora comune a molti altri storici di quel
secolo, cioè di non accennar gli anni: cosa di molta importanza per
la storia. Si trovavano alle strette i Perugini; e conoscendo di non
poter oramai più resistere a sì feroce nemico, misero le loro speranze
in _Carlo Malatesta_ signor di Rimini, accreditato condottier d'armi
di questi tempi. L'offerta di molto danaro, e molto più l'avergli
fatto credere che il prenderebbono per loro signore, cagion fu che
egli s'impegnò a sostenerli contro del loro concittadino. Raunata
dunque la maggior copia di cavalli e fanti che potè, si mosse a
quella volta, avendo seco _Angelo dalla Pergola_ con altri capitani,
ed aspettando ancora che _Paolo Orsino_ con altra gente venisse ad
unirsi con lui. Era giunto su quel d'Assisi, e in vicinanza del Tevere,
quando Braccio, sotto di cui militava _Tartaglia_, rinomato condottier
d'armi, premendogli non poco che il Malatesta non arrivasse a darsi
mano coi Perugini, gli andò incontro a bandiere spiegate, e nel dì
7 di luglio (il Bonincontro scrive[2421] nel dì 15) gli presentò la
battaglia. Durò questa sette ore con bravura memorabile d'entrambe le
parti; ma perchè, secondo alcuni, era inferiore, non già di coraggio,
ma di gente l'armata di Carlo Malatesta, ad essa toccò di soccombere.
Rimase prigione lo stesso Carlo, con Galeazzo suo nipote e molti
altri nobili[2422]. Il Campano scrive che circa tre mila cavalieri
prigionieri vennero alle mani di Braccio. Dio sa se neppure tanti ne
avea condotti in campo il Malatesta, al quale fu imposta la taglia di
cento mila fiorini d'oro, e trenta mila a suo nipote. Dopo molti mesi,
a nulla avendo servito le raccomandazioni dei Veneziani, si riscattò
Carlo con pagarne settanta mila. Il Sanuto scrive solamente trenta
mila[2423]. Ma egli trovò la maniera di far danaro, con apporre a
Martino da Faenza, uomo ricchissimo e che militava per lui, un reato
di tradimento, per cui lo spogliò non solo del contante, ma anche della
vita. _Pandolfo Malatesta_ signor di Brescia suo fratello, giacchè era
seguita tregua fra lui e il duca di Milano, con quattro mila cavalli e
molti pedoni si portò a Rimini; ma a nulla giovò il suo arrivo colà, se
non ad impedire che Braccio non occupasse più castella ai Malatesti di
quel che fece.
Imperciocchè Braccio dopo questa vittoria maggiormente s'ingagliardì;
e i Perugini, presi da somma costernazione, altro ripiego non ebbero
che quello di spedire a lui ambasciatori per offerirgli la signoria
della città, e pregarlo di usar la clemenza verso de' concittadini
suoi. Nel dì 19 di luglio fece egli armato la sua solenne entrata
in quella città, trattò amorevolmente i nuovi sudditi, e cominciò un
plausibil governo in quel popolo. Avea testa da far tutto. E perciocchè
seppe che Paolo Orsino colle sue truppe era giunto a Colle Fiorito,
mandò innanzi Tartaglia con un corpo d'armati, e con un altro gli
tenne dietro[2424]. L'Orsino nel dì 5 d'agosto attorniato, quando men
sel pensava, dai nemici, lasciò la vita sotto le spade di _Lodovico
Colonna_, di Tartaglia e di altri, che gli voleano gran male. Pure
ne avrebbono fatta aspra vendetta i suoi soldati, che corsero alle
armi, ed aveano già ridotto Tartaglia in male stato, se non fosse
sopravvenuto il rinforzo di Braccio, per cui rimasero disfatti e
quasi tutti presi. S'impadronì poscia Braccio di Rieti, di Narni e di
alcune castella dei Malatesti: tutte imprese che consolarono non poco
i Perugini, per avere acquistato, benchè loro malgrado, un signore
che accresceva lo splendore e dominio della loro città. Venne a morte
nel dì 20 di settembre _Malatesta_ signor di Cesena, e fratello di
_Carlo_ e di _Pandolfo_. E circa lo stesso tempo, se abbiamo da credere
agli Annali di Forlì[2425], terminò i suoi giorni _Gian-Galeazzo de'
Manfredi_ signor di Faenza, a cui nella signoria succedette _Guidazzo_
suo figliuolo. Ma, secondo altra Cronica, egli mancò di vita solamente
nell'anno seguente. Benchè il Corio[2426], siccome accennai, metta
nell'anno precedente la tregua maneggiata dagli oratori veneti fra il
duca di Milano e i collegati, cioè _Pandolfo_ e _Carlo Malatesti_, il
_marchese di Ferrara_ e i signori ossia tiranni di _Lodi_, _Cremona_,
_Piacenza_ e _Como_; pure il Sanuto[2427] la riferisce all'anno
presente. L'anno poi fu questo che _Filippo Maria duca_ suddetto,
avendo con belle parole fatto venire a Milano _Giovanni da Vignate_
signor di Lodi, ordinò, nel dì 19 d'agosto, che fosse preso e messo in
una gabbia di ferro nella città di Pavia, dove nel dì 28 d'esso mese
fu ritrovato morto, e si fece spargere voce che, percotendo il capo
nei ferri, si era ucciso, senza averne obbligazione al boia. Intanto,
spedito l'esercito a Lodi, tornò quella città all'ubbidienza del duca.
La morte di costui mise a partito il cervello di _Lottieri Rusca_
occupator di Como, in maniera che mandò a trattare di rendere al duca
quest'altra città, purchè gli lasciasse Lugano con titolo di contea,
e ne ricevesse quindici mila fiorini d'oro in dono. Così fu fatto, e
Como ubbidì da lì innanzi al duca. Aggiugne il Sanuto che nel novembre
di questo medesimo anno esso duca spedì le sue genti all'assedio di
Trezzo: per le quali novità i Veneziani, mediatori della tregua fatta,
pretesero ch'egli l'avesse rotta, e fosse incorso nella pena di trenta
mila fiorini d'oro; e per questo gli spedirono ambasciatori. Ma il duca
non lasciò di continuar la sua impresa. Nè sussiste, come scrive il
Sanuto, che egli occupasse Bergamo in quest'anno. Ciò succedette nel
1419.
Pagò in quest'anno _Jacopo dalla Marca_ re di Napoli la pena
dell'ingratitudine sua verso la _regina Giovanna_ sua moglie[2428].
L'avea ella posto sul trono, ed egli la trattava come una fantesca,
con averla privata non solo di ogni autorità, ma anche della libertà,
tenendola ristretta nel palazzo. Ne fecero rispettose doglianze i
Napoletani, ma senza frutto. _Giulio Cesare di Capua_, uno dei primi
baroni, si esibì alla regina di uccidere il re[2429]. Credendo ella
d'acquistarsi la grazia del marito, gli rivelò il fatto, per cui
l'infelice barone fu decapitato. Dovea quest'atto di amore ispirare
al re sentimenti di più umanità verso della consorte; pure non si
mutò registro con lei. Parve ai Napoletani che fosse oramai tempo
d'insegnar le leggi dell'onore e le creanze a questo ambizioso ed
ingrato principe. Avendo dunque la regina ottenuto per grazia speciale
di potere, nel dì 13 di settembre, uscire per andare a pranzo ad un
giardino di un Fiorentino, allorchè si fu condotta colà, fu levato
rumore, e il popolo in armi cominciò a gridare: _Viva la regina
Giovanna_. _Ottino Caracciolo_, che era il maggior favorito d'essa
regina, con altri baroni, la menò al castello di Capuana. Il re Jacopo
si trovava allora senza le sue genti d'armi, perchè le aveva inviate in
Abbruzzo contro ai ribelli; e però se ne fuggì nel castello dell'Uovo.
Fece la regina assediar questo castello, e parimente Castello nuovo. Si
interposero persone per accordo, e questo seguì con restare obbligato
il re a deporre il titolo di re, contentandosi di quello di principe
di Taranto e di vicario del regno; e ch'egli mandasse fuori d'esso
regno tutti i Franzesi, soldati o cortigiani, a riserva di quaranta; e
che liberasse _Sforza_ dalla prigione. Si eseguì il trattato. Sforza,
messo in libertà, ripigliò il grado di gran contestabile; e _Ser-Gianni
Caracciolo_ dipoi ottenne quello di gran siniscalco. Universal credenza
fu che a Sforza salvasse la vita un atto coraggioso di Margherita sua
sorella, maritata con Michele da Cotignola. Trovavasi essa a Tricarico
col marito, e con varii altri parenti di Sforza, che tutti militavano
con gran riputazione nel corpo delle di lui truppe, e cominciarono
a far guerra al regno, dacchè ebbero intesa la prigionia di Sforza
amato loro capo. Mandò il re Jacopo alcuni nobili a trattar con essi
d'accordo, minacciando di far morire Sforza, se non rendeano Tricarico.
Margherita comandò che s'imprigionassero gli ambasciatori: il che
cagionò che i lor parenti facessero istanza al re di non incrudelir
contro di Sforza, per non vedere condannati alla pena del taglione
i loro congiunti. Furono ancora liberati dalle carceri alcuni altri
parenti di Sforza, ma non già per allora _Francesco_ di lui figliuolo,
che Jacopo volle ritener come ostaggio della fede del padre. Era
stato questo valoroso giovane paggio in corte di _Niccolò marchese_
di Ferrara, ed allorchè Sforza suo padre passò al servigio del _re
Ladislao_, fu chiamato colà, dove attese a fare il noviziato della
milizia, ed avea già conseguite in dono alcune castella. Non si fermò
qui la fortuna di Sforza; perchè la regina, affine di maggiormente
unirlo ai di lei interessi, gli donò Troia con assai altre terre, e
a Francesco suo figliuolo, in vece di Tricarico, concedette Ariano
ed altri luoghi. Nel dì primo di aprile dell'anno presente mancò di
vita _Ferdinando_ re d'Aragona, Sardegna e Sicilia[2430], ed ebbe
per successore _Alfonso_ suo figliuolo, le cui imprese occuperanno da
qui innanzi molti anni di questa storia. Mostrò egli non minore zelo
del padre per rendere la pace ed unione alla Chiesa di Dio. Nel dì 26
di febbraio di quest'anno[2431], passando _Sigismondo re_ de' Romani
per Sciamberì, eresse in ducato la contea di Savoia; laonde _Amedeo_,
signor di quelle contrade e di parte del Piemonte, cominciò ad usare il
titolo di duca, che s'è poi continuato nei successori suoi colla giunta
ai dì nostri del regale.
NOTE:
[2419] Matth. de Griffonib., Chron., tom. 18 Rer. Ital. Cronica di
Bologna, tom. eod.
[2420] Campanus, in Vita Brachii, tom. 19 Rer. Italic.
[2421] Bonincontrus, Annal., tom. 21 Rer. Ital.
[2422] Annal. Foroliviens., tom. 22 Rer. Ital.
[2423] Sanuto, Istor. Venet., tom. eod.
[2424] Antonii Petri Diar., tom. 24 Rer. Ital.
[2425] Annales Foroliviens., tom. 22 Rer. Ital.
[2426] Corio, Istoria di Milano.
[2427] Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Ital.
[2428] Giornal. Napolit., tom. 21 Rer. Ital. Bonincontrus, Annal., tom.
eod.
[2429] Cribell., Vit. Sfortiae, tom. 19 Rer. Ital.
[2430] Theodoricus de Niem, in Johanne XXIII. Surita, Marian., et alii.
[2431] Guichenon, Hist. de la Maison de Savoye, tom. 1.


Anno di CRISTO MCCCCXVII. Indizione X.
MARTINO V papa 1.
SIGISMONDO re de' Romani 8.

Dopo avere il concilio di Costanza compiuti tutti gli atti del
processo contro di Pietro di Luna, che appellato _Benedetto XIII_
s'era ostinato in voler sostenere il suo preteso pontificato, benchè
l'Aragona, Castiglia ed altri popoli della Spagna si fossero sottratti
dalla di lui ubbidienza[2432]: finalmente nel dì 26 di luglio que'
padri fulminarono contra di lui la sentenza, dichiarandolo spergiuro,
decaduto da ogni dignità ed uffizio, scismatico ed eretico. Trattossi
dipoi dell'elezione di un legittimo ed indubitato pontefice, e l'affare
fu condotto sino al dì 11 di novembre, festa di san Martino vescovo, in
cui concorsero i voti de' cardinali nella persona di Ottone cardinal
diacono di San Giorgio al velo d'Oro, di nazione Romano, e di una
delle più illustri famiglie d'Italia, cioè di casa Colonna. A cagion
della festa che correa, egli prese il nome di _Martino V_, con portare
al pontificato delle eccellenti doti d'animo e d'ingegno, e nel dì
21 d'esso mese fu coronato. Portata questa nuova in Italia, e per
tutte le altre parti della cristianità d'Occidente, riempiè ognuno
di consolazione ed allegrezza, per vedere dopo tanti anni estinto lo
scandaloso e lagrimevole scisma, onde era stata sì malamente lacerata
la Chiesa di Dio. Mancò eziandio in quest'anno nel dì 18 ossia 19
d'ottobre in Recanati il cardinale Angelo Corrario[2433], da noi
veduto in addietro papa _Gregorio XII_, a cui nel dì 26 di novembre
furono celebrate nel concilio di Costanza solenni esequie. Era in
questi tempi governata la città di Roma a nome della Chiesa da _Jacopo
Isolani cardinale_ di Sant'Eustachio legato, assistito anche da
_Pietro degli Stefanacci_ Romano cardinale di Sant'Angelo. Quantunque
castello Sant'Angelo tuttavia fosse all'ubbidienza di _Giovanna
regina_ di Napoli, non apparisce che facesse guerra alla città,
anzi, secondo alcuni, ne era divenuto padrone il suddetto cardinale
legato. Ma eccoti nel dì 3 di giugno venir _Braccio da Montone_ con
tutte le sue genti d'armi a turbar la pace dei Romani. L'ambizione di
questo prode capitano dopo l'acquisto di Perugia e di altre piccole
città, e dopo la vittoria riportata contra _Carlo de' Malatesti_, non
conosceva più limite, e però gli venne in pensiero di conquistare la
stessa Roma[2434]. E non mancava qualche Romano traditor della patria
d'animarlo all'impresa e di promettergli assistenza. Restò bensì
sbigottito il popolo romano alla comparsa di questo inaspettato nemico;
pure unito col cardinale legato si preparò alla difesa. Andarono gli
stessi porporati a trovar Braccio per sapere la di lui intenzione; ed
egli francamente rispose loro di voler entrare in Roma, solamente per
conservarla al pontefice che si dovea creare. Stavasene egli accampato
a Sant'Agnese, e conoscendo che i Romani non erano d'umore d'aprirgli
le porte, cominciò a fare scorrere per li contorni le sue genti,
che ben tosto condussero centinaia di prigioni. Tale ostilità, e il
timore di non poter fare l'imminente raccolta de' grani, indusse i
Romani a capitolare e a ricever Braccio come lor signore in città. Con
detestazione de' buoni si scoprì che lo stesso cardinale di Sant'Angelo
tenea mano ai disegni di Braccio, il quale nel dì 16 di giugno entrò
in Roma trionfalmente, e preso solamente il nome di difensore della
città, vi creò un nuovo senatore, essendosi ritirato il cardinale
legato in castello Sant'Angelo. Diede poi principio nel dì 16 di luglio
all'assedio d'esso castello, e venne a rinforzare la sua armata con
grosso corpo di cavalleria e fanteria _Tartaglia_.
Allorchè si fu accertato il cardinale legato delle ambiziose idee
di Braccio contra di Roma, avea già spedito a Napoli, pregando la
_regina Giovanna_ di soccorso di gente[2435]. Non andò a voto la
richiesta, perchè la regina, bramosa di acquistarsi merito col papa
futuro, assunse volentieri la difesa di Roma. Scelto fu per tale
impresa il gran contestabile _Sforza_. Nè migliore si potea scegliere,
perocchè egli sospirava le occasioni di vendicarsi di Braccio, il
quale dianzi, per tirare al soldo suo Tartaglia da Lavello, l'avea
aiutato ad occupar molte castella che appartenevano al medesimo
Sforza nel Patrimonio. Trovandosi uniti, siccome dicemmo, Braccio e
Tartaglia, contra d'amendue con grande ardore procedeva Sforza, seco
conducendo il _conte da Carrara_, _Gian-Antonio Orsino_ conte di
Tagliacozzo, ed altri baroni romani. Giunto nel dì 10 d'agosto sino
alle mura di Roma, mandò il guanto sanguinoso a Braccio in segno di
sfida della battaglia[2436]. Ma Braccio, che non si volea azzardare
con un sì potente nemico, massimamente perchè non si vedea sicure le
spalle dai Romani stessi, elesse il partito di battere la ritirata; e
però nel dì 26 del suddetto mese uscì di Roma, e si inviò alla volta
di Perugia. Nel giorno seguente Sforza co' suoi entrò nel palazzo
del Vaticano colle bandiere della Chiesa e della regina; creò, di
consenso del cardinale legato, nuovi uffiziali in Roma, e nel dì 3 di
settembre fece condur prigione in castello il cardinale di Sant'Angelo,
colpevole d'intelligenza con Braccio. Questi non vide più la luce, nè
altro si seppe di lui. _Niccolò Piccinino_ da Perugia, che, militando
nell'armata di Braccio, avea già incominciato ad acquistarsi nome di
valente capitano, e divenne poi sì celebre col tempo, era rimasto a
Palestrina e a Zagaruolo con quattrocento cavalli. Le scorrerie e i
saccheggi, ch'egli andava facendo sino alle porte di Roma, incitarono
Sforza a liberar la città anche da questo nemico. Fu sconfitto il
Piccinino e fatto prigione con altri de' suoi, e solamente dopo
quattro mesi rilasciato col cambio d'altri prigionieri di Braccio e di