Annali d'Italia, vol. 5 - 68
di Ottobuono di levar di vita il marchese d'Este, Sforza prevenisse
l'iniqua di lui risoluzione. Comunque sia, quand'anche si creda (il
che pare più verisimile) che contro la pubblica fede seguisse la morte
di quel tiranno, certo è tanto essere stato l'odio universale contra
di lui per le sue crudeltà ed infami azioni, che ognun benedisse la
mano di chi avea liberato il mondo da quel mostro, senza far caso
della maniera con cui s'era ottenuto questo gran bene. Accadde il
fatto nel dì 27 di maggio. Condotto a Modena il cadavere dell'estinto
Ottobuono, dal popolo in furia fu messo in brani, e trovossi insino
chi mangiò delle carni di costui, come se si trattasse d'una fiera.
Successivamente poi il marchese Niccolò, ottenuto soccorso dal
cardinal Cossa, uscì in campagna sul principio di giugno, e dopo aver
preso le castella d'Arceto, Casalgrande, Dinazzano e Salvaterra, che
erano di Carlo Fogliano, ostilmente passò sul Parmigiano. Dopo varii
acquisti e piccioli fatti d'armi, nel dì 26 di giugno il popolo di
Parma, commosso dai nobili Sanvitali, si sollevò contra de' Terzi,
ed, acclamato per suo signore il marchese d'Este, uscì fuori con
gran festa a riceverlo. Fu egli introdotto fra gl'immensi viva della
città, e datogli il dominio d'essa, fuorchè della cittadella, che
assediata finalmente si rendè nel dì 27 di luglio. Parimente nel dì 28
di giugno si levò a rumore il popolo di Reggio, e fatto intender al
marchese che il sospiravano per loro signore, Uguccion de' Contrarli
volò a prenderne il possesso, e questi sforzò dipoi a rendersi quella
cittadella nel dì 22 di luglio. Per così prosperosi successi il
marchese, dopo aver donato al prode Sforza Attendolo la bella terra
di Montecchio, gli permise di passare al servigio de' Fiorentini con
secento lancie ed alcune schiere di fanteria; di modo che anch'egli
si trovò nell'esercito inviato da essi, siccome vedemmo, alla volta
di Roma. Restò poi quasi messa in camicia la famiglia de' Terzi, che
tuttavia occupava Borgo San Donnino, Castelnuovo, Fiorenzuola, la rocca
di Guardasone ed altri luoghi. Da Orlando Pallavicino fu loro tolto
Borgo, e da Alberto Scotti Fiorenzuola. Anche i Veneziani[2335], benchè
protettori de' Terzi, si impadronirono di Casal Maggiore, Brescello,
Guastalla e Colorno. Resta nondimeno anche oggidì essa famiglia in
Parma con isplendore e comodi di nobiltà.
NOTE:
[2323] Hist. Sicula, tom. 24 Rer. Ital.
[2324] Raynaldus, Annal. Eccles.
[2325] Theodoricus de Niem, Hist. Delayto, Annal., tom. 18 Rer. Ital.
[2326] Theodor. de Niem, Hist. S. Antonin., P. III, tit. 22.
[2327] Ammirato, Istor. Fiorentina, lib. 18.
[2328] Antonii Petri Diarii, tom. 24 Rer. Ital.
[2329] Delayto, Chron., tom. 18 Rer. Ital. Corio, Istoria di Milano.
[2330] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital. Delayto, tom. eod.
[2331] Georgius Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
[2332] Diario Ferrar., tom. 24 Rer. Ital.
[2333] Delayto, Annal., tom. 18 Rer. Italic.
[2334] Corio, Istoria di Milano. Bonincontrus, Annal. tom. 21 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCCX. Indizione III.
GIOVANNI XXIII papa 1.
SIGISMONDO re de' Romani 1.
Fu cagione la peste entrata in Pisa che _papa Alessandro V_ si
ritirasse a Prato verso il fine dell'anno precedente, e poscia a
Pistoia[2336]. Quivi ricevette la lieta nuova che Roma era liberata
dalle armi del _re Ladislao_. Fecero quanto poterono i Fiorentini per
indurlo a portarsi colà, rappresentando che sarebbe più vicino alla
guerra che si meditava di fare contra del re Ladislao nel regno di
Napoli; ma più forza ebbe l'eloquenza di _Baldassare Cossa_ cardinale
legato di Bologna, ai cui cenni ubbidiva il buon papa, quasi come
schiavo, perchè da lui principalmente riconosceva il pontificato.
Volle il Cossa che Alessandro seco venisse a Bologna, e gli convenne
nel furore del verno per montagne piene di ghiaccio e di neve passare
a quella città[2337], dove fece entrata nel giorno 12 di gennaio con
incredibil gioia del popolo bolognese, per vedere piantata nella
lor città la residenza d'un romano pontefice. Quivi nel giovedì
santo pubblicò un'ampia bolla contra ai due pretensori del papato
_Gregorio_ e _Benedetto_. Quivi ancora ricevette nel dì 12 di febbraio
una solenne ambasceria de' Romani; che gli portarono le chiavi della
città, e fecero grandi istanze, affinchè egli se ne andasse colà. Ma
al cardinal Cossa non parve bene ch'egli si partisse da Bologna. In
questo mentre, cioè nel giorno 18 di gennaio[2338], _Giorgio degli
Ordelaffi_, essendosi ribellato il popolo di Forlimpopoli al papa,
fu chiamato alla signoria di quella città, e nel dì 25 di esso mese
furtivamente ancora entrò in quella di Forlì; ma ne fu scacciato
da quel presidio. Andò poscia nel dì 8 d'aprile il cardinal Cossa a
mettere l'assedio a Forlimpopoli. Essendosi intanto infermato papa
Alessandro, ritornò esso cardinale a Bologna nel dì 28 di esso mese.
Sino al dì 3 di maggio durò la malattia del pontefice, e di essa morì
egli in quel giorno. Fu poi sparsa voce dai nemici del cardinal Cossa,
che per veleno fattogli dare da esso cardinale fosse abbreviata la vita
a quel degno pontefice; e tal voce maggiormente prese piede, allorchè,
siccome vedremo, questo cardinale divenuto papa restò abbattuto dal
concilio di Costanza. Dio solo può essere buon giudice di questi fatti.
Solea questo buon papa dire, che egli era stato ricco vescovo, povero
cardinale e mendico papa[2339]. Unironsi dunque in conclave sedici
cardinali, che si trovavano allora in Bologna, e per le raccomandazioni
fervorose fatte dagli ambasciatori del _re Lodovico_ duca d'Angiò, fu
nel dì 17 di maggio eletto papa lo stesso cardinale di Santo Eustachio
_Baldassare Cossa_, che prese il nome di _Giovanni XXIII_. Venne poscia
a Bologna a baciargli i piedi il suddetto re Lodovico nel dì 6 di
giugno, e seco concertò la guerra, giù destinata contra di Ladislao re
di Napoli. Dopo di che, nel dì 23 di esso mese s'inviò alla volta di
Firenze. Circa questi tempi _Paolo Orsino_ e _Malatesta_ capitano de'
Fiorentini ridussero all'ubbidienza del pontefice le città di Tivoli
e d'Ostia[2340]. Fece poi papa Giovanni XXIII nel dì 6 di giugno una
promozione di quattordici cardinali, tutti persone di merito o per la
loro nobiltà o per lo sapere. Fulminò le censure contro papa Gregorio
e contro l'antipapa Benedetto; e Gregorio, che s'era ridotto a Gaeta,
non mancò di fare altrettanto contra di lui. Ma si cominciarono ad
imbrogliar gli affari di papa Giovanni in Romagna; perciocchè _Giorgio
degli Ordelaffi_ nel dì 12 di giugno occupò il castello d'Oriolo, e
_Gian-Galeazzo de' Manfredi_, figliuolo del fu Astorre, nel dì 18 di
esso mese s'impadronì di Faenza[2341]. Varii altri tentativi fatti
dall'Ordelaffo per entrare in Forlì andarono tutti in fumo.
Grande sforzo di gente e di navi avea parimente in questi tempi
fatto in Provenza il suddetto re Lodovico duca d'Angiò per passare
ai danni del re Ladislao. Ma ancor questi pensò al riparo[2342].
Trovati i Genovesi, che per essersi sottratti al dominio franzese,
si erano inimicati con quella nazione, assai disposti ad assisterlo
contro del re Lodovico, fece armare in Genova cinque navi con suo
danaro, comandate da Ottobuon Giustiniani. Spedì ancora a quella volta
nove delle sue galee per vegliare agli andamenti de' Provenzali.
Comparvero infatti sette navi grosse con assai altre minori del re
Lodovico in quei mari nel dì 16 di maggio, conducendo circa otto
mila persone; e i Genovesi, senza aspettar le galee di Ladislao che
erano indietro, non tardò ad essere ricuperata; e i Genovesi appresso
s'impadronirono di cinque delle navi grosse nemiche. Delle restanti
due, l'una fuggì, l'altra andò a fondo con tutti gli uomini. Questo
colpo sconcertò di molto le misure del re Lodovico. Tuttavia tredici
sue galee si lasciarono vedere nel mese d'agosto sulla riviera di
Genova, e seguì anche battaglia fra esse e quelle di Genova e di
Napoli, ma con restare indecisa la vittoria. Secondati intanto i
Genovesi dalla flotta napoletana, fecero tornare alla loro ubbidienza
la città di Ventimiglia, che pagò col saccheggio la resistenza sua.
Presero anche il porto di Telamone ai Sanesi per tradimento del
castellano[2343], ma questo fu ricuperato nel dì 6 di ottobre. Si
trasferì a Roma il re Lodovico, e vi fu ricevuto con grande onore
nel dì 20 di settembre[2344]. Perchè era scarso di danari, non trovò
maniera di danneggiar le terre del re Ladislao; sicchè, dopo essersi
trattenuto sino all'ultimo giorno dell'anno, allora prese il cammino
alla volta di Bologna, acciocchè la sua presenza desse più calore alle
meditate imprese. Mancò di vita in quest'anno sul fine di maggio[2345]
_Roberto di Baviera_ re de' Romani, principe eminente nella pietà e
clemenza; ma non altrettanto nel valore. Era tuttavia vivente l'inetto
_Venceslao_; pure gli elettori, senza far conto di lui, si unirono in
Francoforte per dargli un successore. Entrata fra loro la discordia,
alcuni elessero nel mese di settembre _Sigismondo re_ d'Ungheria
fratello d'esso Venceslao, ed altri _Giodoco marchese_ di Moravia,
principe, che, per essere in età di novant'anni, poco godè di questo
onore, perchè da lì a tre mesi, senza essere stato coronato, terminò
la sua vita, ed aprì la strada a Sigismondo, per esser nel seguente
anno ricevuto e riconosciuto da tutti per re de' Romani e di Germania.
Era ben egli per le sue singolari virtù dignissimo di sì alto grado.
Questi, abbandonato il partito di _papa Gregorio XII_, dianzi avea
abbracciato quello di _papa Giovanni XXIII_, il quale volentieri
l'accolse, e il favorì per farlo promuovere dagli elettori suddetti.
Per la ritirata di _Bucicaldo_ da Milano e per avere i Genovesi scosso
il di lui giogo nell'anno precedente, il credito e la forza di _Facino
Cane_ era cresciuta a dismisura[2346]. Parve dunque ai consiglieri di
_Giovanni Maria Visconte_ duca di Milano che il braccio di costui quel
solo potesse essere che mettesse a terra i di lui nemici e ribelli,
e restituisse la tranquillità alla città di Milano afflitta da tutte
le bande. Si conchiuse dunque con esso una tregua nell'antecedente
settembre, e questa diventò poi pace nel dì 3 di novembre: del che gran
festa fu fatta in Milano, e Facino dipoi colle sue genti d'armi entrò
in Milano. Ma nell'aprile di quest'anno si rivoltarono contra di lui
le genti dello sconsigliato duca, di maniera che Facino ebbe fatica
a salvarsi alla terra di Rosate. Di nuovo seguì concordia fra loro,
e nel dì 7 di maggio rientrò egli in Milano, e gli fu accordato il
titolo di governatore per tre anni avvenire con plauso di quel popolo.
E perciocchè il duca e Facino erano disgustati forte di _Filippo Maria_
conte di Pavia, contra di lui mossero le armi; ed avendo intelligenza
con _Castellino_ ed altri signori della casa Beccaria, il costrinsero
a cedere la rocchetta del ponte di Ticino. Fu in questa occasione che,
rotto il muro della città di Pavia, v'entrarono le milizie di Facino,
ed avendo facoltà di dare il sacco alle case de' Guelfi, menarono del
pari ancor quelle de' Ghibellini con grave sterminio di essa città. Che
inquieto, che misero stato fosse allora quel dell'Italia, ognun sel
vede. Filippo Maria si tenne ristretto in quel fortissimo castello.
Questo fatto, secondo il Diario Ferrarese[2347], succedette nel
principio dell'anno seguente. Per la morte di _Martino re d'Aragona_
padre di _Martino re di Sicilia_ premorto[2348], si cominciarono
dei rumori in Sicilia, perchè Bernardo da Caprera s'impadronì della
città di Catania. E non fu quieto il regno di Napoli[2349], essendosi
ribellati contra del re Ladislao _Gentile da Monterano_ e il _conte di
Tagliacozzo_ di casa Orsina. Mandò il re gente ad assediar la Padula,
che era di Gentile, e questo esercito vi stette lungo tempo a campo,
tanto che Gentile fu cacciato dal regno. Quanto al suddetto conte di
Tagliacozzo, egli andò ad unirsi con Lodovico d'Angiò. Fece anche
Ladislao incarcerare in Napoli i fratelli di _papa Giovanni_ della
famiglia Cossa.
NOTE:
[2335] Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Ital.
[2336] Theodericus de Niem, in Johanne XXIII Papa. Raynaldus, Annal.
Eccles.
[2337] Matthaeus de Griffon., Chron., tom. 18 Rer. Ital. Cronica di
Bologna, tom. eod.
[2338] Annal. Mediolan., tom. 22 Rer. Ital.
[2339] Vita Melandri V, P. II, tom. 3 Rer. Ital.
[2340] Bonincontrus, Annal., tom. 21 Rer. Ital.
[2341] Diar. Ferrar., tom. 24 Rer. Ital.
[2342] Johann. Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital. Giornal.
Napol., tom. 21 Rer. Ital. Diario Ferrar., tom. 24 Rer. Ital.
[2343] Cronica di Siena, tom. 19 Rer. Ital.
[2344] Antonii Petri Diar., tom. 24 Rer. Ital.
[2345] Gobelinus, Lang. Cuspinian., et alii.
[2346] Corio, Istoria di Milano.
[2347] Diario Ferrar., tom. 24 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCCXI. Indizione IV.
GIOVANNI XXIII papa 2.
SIGISMONDO re de' Romani 2.
Giunto a Bologna nel dì 16 di gennaio il _re Lodovico_ d'Angiò[2350],
non lasciò indietro esortazioni e ragioni per condurre a Roma il
pontefice _Giovanni XXIII_. Dopo averlo disposto a questo viaggio,
sul principio di marzo s'inviò egli innanzi a quella volta. Nel dì
ultimo di esso mese gli tenne dietro il papa, con lasciare al governo
di Bologna il cardinal di Napoli. Nel dì 11 d'aprile giunse nelle
vicinanze di Roma[2351], e fece dipoi la sua solenne entrata in San
Pietro col re Lodovico, che l'addestrava, nel sabbato santo. La festa
del popolo romano fu grande. Fatti i preparamenti dell'armata, e
benedette le bandiere, uscì il re Lodovico in campagna, incamminandosi
nel dì 28 d'aprile verso il regno di Napoli, accompagnato da insigni
condottieri d'armi, cioè da _Paolo Orsino_, _Sforza Attendolo_,
_Braccio da Montone_ Perugino, _Gentile da Monterano_, dal _conte
di Tagliacozzo_ e da una fiorita nobiltà. Circa dodici mila cavalli
e numerosa fanteria seco condusse[2352]. Sul principio del maggio
venne a mettersi a fronte di lui il _re Ladislao_ con esercito quasi
eguale a Roccasecca. Stettero guardandosi le due armate sino al dì
19 d'esso mese[2353], in cui, avendo innanzi il re Ladislao mandato
il guanto della disfida, si azzuffarono. Crudele fu la battaglia, e
piena in fine la sconfitta di Ladislao colla perdita delle bandiere,
tende e bagaglio, e con restar prigionieri il legato del deposto papa
_Gregorio XII_, _conte da Carrara_, i _conti d'Aquino_, _di Celano_,
_d'Alvito_, e molti altri de' principali baroni di Napoli. Si salvò
Ladislao, e con fatica, a piedi a Roccasecca, e come potè il meglio
attese a fortificarsi per impedire i progressi dell'armata vincitrice:
il che gli venne fatto. Fu creduto[2354] che l'aver egli guadagnato
sotto mano _Paolo Orsino_, questi andasse tanto tergiversando, che
il re si rimise in forze, e fece poi testa a' nemici. S'aggiunse un
altro fatto, per cui maggiormente venne calando la bella apparenza di
detronizzar Ladislao. Lo scrivo sulla fede di Bonincontro[2355], perchè
a me resta dubbio essere lo stesso che quel dell'anno antecedente.
Avea spedito il re Lodovico otto navi grosse e venti galee verso il
regno di Napoli, acciocchè per mare secondassero l'impresa della sua
armata di terra. Quasi nello stesso tempo che seguì la battaglia poco
fa narrata, furono anche assalite le dette navi angioine dalla flotta
di Ladislao, consistente in sette galee e sei navi, e furono prese.
Giunto questo doloroso avviso alle galee di Lodovico, se n'andarono
in Calabria per assistere a Niccolò Ruffo, che s'era in quelle parti
insignorito di varie castella, e nel cammino espugnarono Policastro. A
nulla poi si ridussero tali conquiste, perchè il re Ladislao, tornato
che fu in forze, mandò le sue genti in Calabria, che ricuperarono
Crotone e Catanzaro, con obbligare Niccolò Ruffo a salvarsi in
Provenza, da dove era venuto. Intanto il re Lodovico, trovati chiusi
i passi per inoltrarsi nel regno di Napoli, e mancandogli danaro e
viveri per mantenere l'armata, dolente la ricondusse a Roma nel dì 12
di luglio[2356], e poscia nel dì 5 d'agosto imbarcatosi, spiegò le vele
verso la Provenza. Fortunato senza dubbio fu in sì disastrosi tempi il
re Ladislao; ma molto contribuì a sostenersi contra di quel minaccioso
torrente, l'aver egli nell'anno precedente procurato di staccare
dalla lega del papa i Fiorentini, i quali stanchi erano omai di tante
spese[2357]. Infatti, nel gennaio del presente anno furono sottoscritti
i capitoli della pace fra loro, il più importante de' quali fu,
ch'egli per sessanta mila fiorini d'oro vendè a' Fiorentini la città
di Cortona: del che grande allegrezza fu fatta in Firenze per questo
accrescimento di potenza. Dopo aver papa Giovanni nel dì 5 di giugno
creati tredici cardinali, tutte persone di merito, grandi processi
fabbricò dipoi contra del re Ladislao[2358]; e nel dì 9 di settembre
il dichiarò scomunicato e privato di tutti i suoi titoli e dominii:
armi che contra d'un principe tale, poco curante della religione, si
trovarono affatto spuntate.
Dacchè il popolo di Bologna vide partito il papa, da cui in addietro,
quando era solamente cardinale, era stato governato con mano assai
pesante, sentì risorgere il desiderio dell'antica sua libertà. Scoppiò
questo tumore nel dì 12 di maggio[2359]. Corsero que' cittadini
all'armi, gridando: _Viva il popolo e le arti_; e il cardinale legato
si ritirò nel castello, oppur nella casa d'un mercatante, e fu dato il
sacco al suo palazzo. Assediato il castello, si tenne saldo sino al dì
28 del mese suddetto, in cui si rendè ai cittadini, salva la roba e le
persone, e fu poi disfatto. Sul principio di giugno _Carlo Malatesta_,
gran protettore di papa _Gregorio XII_, arrivò colle sue genti d'armi
a San Giovanni in Persiceto, terra da lui posseduta, ed assediata
inutilmente nel precedente aprile dai Bolognesi: il che inteso da essi,
tornarono nel dì 11 d'esso giugno a mettervi il campo. Ritrovato l'osso
duro, fu giudicato meglio di far pace col Malatesta, il quale non solo
restò padrone di San Giovanni, ma ancora si fece pagar trenta mila
lire da essi Bolognesi. Anche il popolo della città di Forlì, udita
la rivoluzion di Bologna, si levò a rumore, e, scacciati gli uffiziali
del papa, acclamò per suo signore _Niccolò marchese_ di Ferrara[2360],
il cui capitano Guido Torello ivi si trovava con un corpo d'armati. Ma
entrati in essa città _Giorgio_ ed _Antonio degli Ordelaffi_ nel dì 7
di giugno con due mila pedoni, ne presero il possesso, e dopo qualche
tempo costrinsero alla loro ubbidienza la rocca e la cittadella. Poco
profittò Antonio di tal acquisto, perchè macchinando di levare il
comando, e fors'anche la vita a Giorgio, scoperto il trattato (se pur
fu vero), nel dì 30 di agosto venne preso e confinato in prigione da
esso Giorgio, il quale restò solo padrone. Allora i Forlivesi per opera
di Carlo Malatesta si partirono dall'ubbidienza di papa Giovanni, e
aderirono a papa Gregorio. Nel dicembre ancora di quest'anno[2361] si
accese guerra fra _Sigismondo re de' Romani_, d'Ungheria e Boemia, e
i Veneziani, pretendendo il re che gli fosse restituita Zara colla
Dalmazia. Entrati gli Ungheri nel Friuli, presero Udine, Marano e
Porto Gruaro, talmente che il patriarca d'Aquileia scappò a Venezia.
Impadronitisi ancora di Cividal di Belluno, Feltro e Serravalle,
minacciavano di peggio; se non che i Veneziani, con incredibil
diligenza formato un copioso armamento, e tolto al loro servigio per
generale _Carlo Malatesta_, ruppero il corso alle conquiste di que'
Barbari. Nella state di quest'anno[2362] _Niccolò marchese_ d'Este,
signor di Ferrara, Modena, Reggio e Parma, essendo molestato da
_Orlando Pallavicino_, che tenea occupato Borgo San Donnino, spedì
colà il valoroso suo capitan _Uguccion de' Contrarii_ con due mila
cavalli e molta fanteria. Varie castella tolse Uguccione ad Orlando,
e il ridusse a tale che fu obbligato a cedere la nobil terra di Borgo
San Donnino al marchese, il qual, fattolo venire a Ferrara, il prese al
suo servigio con decorosa provvisione. Era già entrato Facino Cane in
Pavia[2363], nè altro più restava a _Filippo Maria Visconte_ che quel
fortissimo castello, dove s'era chiuso. Ma postovi l'assedio da Facino,
gli convenne capitolare e rendersi. Fra i capitoli vi fu che Filippo
Maria ritenesse il titolo di conte di Pavia, ma conte solo di nome,
perciocchè Facino mise sua gente nel castello, ed era padron di tutto,
dando al misero principe quanto gli bastava per vivere e mantenere
una scarsa corte. Dopo questo andò Facino a far guerra a _Pandolfo
Malatesta_ signore di Brescia, ma senza apparir sulle prime se fosse
guerra vera o da burla.
NOTE:
[2348] Histor. Sicula, tom. 24 Rer. Ital.
[2349] Giornal. Napol., tom. 21 Rer. Ital.
[2350] Matth. de Griffon., Chron., tom. 18 Rerum Italic.
[2351] Antonii Petri Diar., tom. 24 Rer. Ital.
[2352] Giornal. Napolet., tom. 21 Rer. Ital.
[2353] Theodoricus de Niem, in Johanne XXIII. S. Antonin., et alii.
[2354] Ammirato, Istor. Fiorentina, lib. 18.
[2355] Bonincontrus, Annal., tom. 21 Rer. Ital.
[2356] Antonii Petri Diarii, tom. 24 Rer. Ital.
[2357] Ammirat., Istoria Fiorentina, lib. 18.
[2358] Diario Ferrarese, tom. 24 Rer. Ital.
[2359] Matth. de Griffon., Chron., tom. 18 Rer. Italic. Cronica di
Bologna, tom. eod. Diario Ferrar., ubi supra.
[2360] Diario Ferrarese, tom. 24 Rer. Ital. Annal. Foroliviens., tom.
22 Rer. Ital. Chron. Foroliviens., tom. 19 Rer. Ital.
[2361] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCCXII. Indizione V.
GIOVANNI XXIII papa 3.
SIGISMONDO re de' Romani 3.
Tenne _papa Giovanni_ nell'aprile di quest'anno un concilio nella
basilica vaticana[2364], e nel dì 19 di giugno si partì dal di lui
servigio colle sue genti d'armi _Sforza_ da Cotignuola, divenuto già
uno de' più prodi condottieri che s'avesse allora l'Italia; e a nulla
servì l'avergli il papa donata o venduta la terra stessa di Cotignuola.
I danari e le promesse del _re Ladislao_ privarono il papa di questo
campione. Allegava egli per iscusa di non vedersi sicuro con _Paolo
Orsino_, suo nemico ed uomo di buono stomaco. Di tal fuga, a cui fu
dato nome di tradimento, e massimamente per esser egli passato al
soldo di un nemico della Chiesa, si chiamò tanto offeso il papa[2365],
che fece in varii luoghi dipignere Sforza impiccato pel piede destro,
con sotto un cartello, in cui Sforza fu pubblicato reo di dodici
tradimenti, con tre rozzi versi, il cui primo fu:
IO SONO SFORZA VILLANO DALLA COTIGNUOLA.
Venne dipoi il medesimo Sforza col conte di Troia, conte da Carrara ed
altri capitani, e con assai squadre d'armati verso Ostia, e quivi si
accampò, ma senza che male alcuno ne seguisse Intanto papa Giovanni
colla nemicizia di Ladislao, fomentatore dell'avversario _Gregorio_,
mirava il suo stato non assai fermo; e dall'altra parte anche Ladislao
paventava de' nuovi insulti da papa Giovanni, che proteggeva il di lui
emulo _Lodovico di Angiò_. O l'un dunque o l'altro fecero muover parola
di aggiustamento, e trovarono amendue il loro conto a conchiuderlo.
Tanto più agevolmente vi concorse il pontefice, perchè intese che s'era
maneggiata, fors'anche stabilita, da Ladislao una lega co' signori
della Marca e Romagna contra di lui. Per attestato di Teodorico da
Niem[2366], comperò papa Giovanni quella pace con isborso di cento
mila fiorini, segretamente pagati a Ladislao. Altre più vantaggiose
condizioni, e maggior somma di danaro accordata a quel re ne' capitoli
della concordia, si leggono presso il Rinaldi[2367]. Ora Ladislao,
per dar più colore al cangiamento che giù destinava di fare, chiamata
a sè una congregazion di vescovi e d'altri dotti ecclesiastici, loro
espose gli scrupoli della sua solamente in questa occasione delicata
coscienza, per aver finora aderito a papa _Gregorio XII_, quando
quasi tutta la cristianità riconosceva per vero papa il solo _Giovanni
XXIII_. La disputa andò a finire in favor d'esso papa Giovanni. Ciò
fatto, si portò Ladislao a Gaeta a visitar papa Gregorio. De' di lui
trattati segreti non era allo scuro Gregorio, e però immantenente
gliene dimandò conto. Negò Ladislao, ma nel dì seguente gli fece
intendere che si levasse da' suoi Stati in un determinato tempo, perchè
non potea più sostenerlo. Trovossi allora in grandi affanni Gregorio e
la corte sua; ma per buona ventura capitate colà due navi mercantili
veneziane, in una d'esse s'imbarcò, e girando pel mare Adriatico fra
molti pericoli e timori d'essere colto dalle insidie di papa Giovanni,
arrivò in fine nel mese di marzo a Rimini, dove con ossequio e festa
ben ricevuto dai Malatesti pose la sua residenza[2368]. Fu assai
che Ladislao nol sagrificasse alla politica sua e ai desiderii del
pontefice Giovanni di lui avversario. Si pubblicò questa pace nel mese
d'ottobre.
Vide in quest'anno la città di Milano un orrido spettacolo[2369].
_Giovanni Maria Visconte_ duca s'era già tirato addosso l'odio
universale del popolo, non tanto per le gravezze imposte, quanto per
la sua inaudita crudeltà. Teneva egli de' fieri cani al suo servigio,
e con essi facea sbranar le persone, alle quali volea male; talvolta
ancora per ispasso li lasciava contra delle innocenti persone. Il
Corio[2370] ne racconta varii casi. Fecesi pertanto una congiura contra
di lui da varii nobili, alcuni de' quali della stessa sua corte; cioè
quei da Bagio, Ottone Visconte, Giovanni da Posterla, quei del Maino, i
Trivulzi, i Mantegazi ed altri. Ora mentre il duca nel dì 16 di maggio
dalla corte passava alla Chiesa di San Gotardo, per udir messa, oppure
mentre udiva messa, gli furono alla vita i congiurati, e con due ferite
lo stesero morto a terra. Con questa facilità si sbrigarono essi dal
duca, perchè in questi tempi non si trovava in Milano _Facino Cane_
suo governatore e protettore. Si era egli dianzi con potente esercito
portato all'assedio di Bergamo, posseduto da _Pandolfo Malatesta_, e
dopo la presa de' borghi era vicino a veder anche la città ubbidiente
a' suoi cenni. Ma, infermatosi gravemente, si fece portare a Pavia,
dove tanto sopravvisse, che apprese la violenta morte data al duca
da chi, per la lontananza, s'era arrischiato a fare quel colpo, e
ne ordinò a' suoi la vendetta. Giovanni Stella[2371] scrive essere
morto Facino nel giorno stesso in cui fu ucciso il duca. Egli era
nativo di Santuà del Piemonte: altri dicono di Casale del Monferrato.
Secondo la testimonianza del Biglia e del Corio, costui signoreggiava
allora in Pavia, Alessandria, Vercelli, Tortona, Varese, Cassano,
in tutto il lago Maggiore e in altre terre; ma spirò con lui tanta
grandezza, perchè mancò senza prole. Dappoichè fu seguita la morte del
duca Giovanni Maria, ed esposto il suo cadavero nel duomo, entrò in
Milano con pochi _Astorre_, ossia _Estorre_, bastardo del fu Bernabò
Visconte, chiamato _il soldato senza paura_[2372], che avea tenuta
mano alla congiura, ed unito co' suoi partigiani, i quali, gridando:
_Viva Astorre duca_, s'impadronirono del palazzo ducale, corse la
città senza impedimento alcuno, ed assunse il titolo di duca. Ma il
castello, di cui era governatore Vincenzo Marliano, per quante promesse
e minaccie usasse Astorre, non gli volle prestare ubbidienza. La morte
di Giovanni Maria duca, e forse più quella di Facino Cane, richiamò,
per così dire, in vita _Filippo Maria Visconte_ suo fratello, conte
di Pavia, che, perduto ogni suo dominio, meschinamente vivea in Pavia
alla discrezione d'esso Facino, mancandogli talvolta il vitto. Prese
egli tosto il titolo di duca di Milano; e giacchè Facino in morte
l'avea raccomandato vivamente alle sue milizie, parea che non fosse da
dubitare della loro assistenza. Ma queste genti venali voleano danari,
e si preparavano di passare, chi al servigio di _Pandolfo Malatesta_
e chi di _Astorre Visconte_. Un ripiego a sì fatti bisogni fu allora
trovato da _Bartolomeo Capra_ eletto arcivescovo di Milano, e da
Antonio Bozero Cremonese, governator della cittadella di Pavia. Questi,
dopo aver ricoverato Filippo Maria in essa cittadella, per sottrarlo
alla bestialità delle truppe e alle insidie de' nobili da Beccaria,
l'iniqua di lui risoluzione. Comunque sia, quand'anche si creda (il
che pare più verisimile) che contro la pubblica fede seguisse la morte
di quel tiranno, certo è tanto essere stato l'odio universale contra
di lui per le sue crudeltà ed infami azioni, che ognun benedisse la
mano di chi avea liberato il mondo da quel mostro, senza far caso
della maniera con cui s'era ottenuto questo gran bene. Accadde il
fatto nel dì 27 di maggio. Condotto a Modena il cadavere dell'estinto
Ottobuono, dal popolo in furia fu messo in brani, e trovossi insino
chi mangiò delle carni di costui, come se si trattasse d'una fiera.
Successivamente poi il marchese Niccolò, ottenuto soccorso dal
cardinal Cossa, uscì in campagna sul principio di giugno, e dopo aver
preso le castella d'Arceto, Casalgrande, Dinazzano e Salvaterra, che
erano di Carlo Fogliano, ostilmente passò sul Parmigiano. Dopo varii
acquisti e piccioli fatti d'armi, nel dì 26 di giugno il popolo di
Parma, commosso dai nobili Sanvitali, si sollevò contra de' Terzi,
ed, acclamato per suo signore il marchese d'Este, uscì fuori con
gran festa a riceverlo. Fu egli introdotto fra gl'immensi viva della
città, e datogli il dominio d'essa, fuorchè della cittadella, che
assediata finalmente si rendè nel dì 27 di luglio. Parimente nel dì 28
di giugno si levò a rumore il popolo di Reggio, e fatto intender al
marchese che il sospiravano per loro signore, Uguccion de' Contrarli
volò a prenderne il possesso, e questi sforzò dipoi a rendersi quella
cittadella nel dì 22 di luglio. Per così prosperosi successi il
marchese, dopo aver donato al prode Sforza Attendolo la bella terra
di Montecchio, gli permise di passare al servigio de' Fiorentini con
secento lancie ed alcune schiere di fanteria; di modo che anch'egli
si trovò nell'esercito inviato da essi, siccome vedemmo, alla volta
di Roma. Restò poi quasi messa in camicia la famiglia de' Terzi, che
tuttavia occupava Borgo San Donnino, Castelnuovo, Fiorenzuola, la rocca
di Guardasone ed altri luoghi. Da Orlando Pallavicino fu loro tolto
Borgo, e da Alberto Scotti Fiorenzuola. Anche i Veneziani[2335], benchè
protettori de' Terzi, si impadronirono di Casal Maggiore, Brescello,
Guastalla e Colorno. Resta nondimeno anche oggidì essa famiglia in
Parma con isplendore e comodi di nobiltà.
NOTE:
[2323] Hist. Sicula, tom. 24 Rer. Ital.
[2324] Raynaldus, Annal. Eccles.
[2325] Theodoricus de Niem, Hist. Delayto, Annal., tom. 18 Rer. Ital.
[2326] Theodor. de Niem, Hist. S. Antonin., P. III, tit. 22.
[2327] Ammirato, Istor. Fiorentina, lib. 18.
[2328] Antonii Petri Diarii, tom. 24 Rer. Ital.
[2329] Delayto, Chron., tom. 18 Rer. Ital. Corio, Istoria di Milano.
[2330] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital. Delayto, tom. eod.
[2331] Georgius Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
[2332] Diario Ferrar., tom. 24 Rer. Ital.
[2333] Delayto, Annal., tom. 18 Rer. Italic.
[2334] Corio, Istoria di Milano. Bonincontrus, Annal. tom. 21 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCCX. Indizione III.
GIOVANNI XXIII papa 1.
SIGISMONDO re de' Romani 1.
Fu cagione la peste entrata in Pisa che _papa Alessandro V_ si
ritirasse a Prato verso il fine dell'anno precedente, e poscia a
Pistoia[2336]. Quivi ricevette la lieta nuova che Roma era liberata
dalle armi del _re Ladislao_. Fecero quanto poterono i Fiorentini per
indurlo a portarsi colà, rappresentando che sarebbe più vicino alla
guerra che si meditava di fare contra del re Ladislao nel regno di
Napoli; ma più forza ebbe l'eloquenza di _Baldassare Cossa_ cardinale
legato di Bologna, ai cui cenni ubbidiva il buon papa, quasi come
schiavo, perchè da lui principalmente riconosceva il pontificato.
Volle il Cossa che Alessandro seco venisse a Bologna, e gli convenne
nel furore del verno per montagne piene di ghiaccio e di neve passare
a quella città[2337], dove fece entrata nel giorno 12 di gennaio con
incredibil gioia del popolo bolognese, per vedere piantata nella
lor città la residenza d'un romano pontefice. Quivi nel giovedì
santo pubblicò un'ampia bolla contra ai due pretensori del papato
_Gregorio_ e _Benedetto_. Quivi ancora ricevette nel dì 12 di febbraio
una solenne ambasceria de' Romani; che gli portarono le chiavi della
città, e fecero grandi istanze, affinchè egli se ne andasse colà. Ma
al cardinal Cossa non parve bene ch'egli si partisse da Bologna. In
questo mentre, cioè nel giorno 18 di gennaio[2338], _Giorgio degli
Ordelaffi_, essendosi ribellato il popolo di Forlimpopoli al papa,
fu chiamato alla signoria di quella città, e nel dì 25 di esso mese
furtivamente ancora entrò in quella di Forlì; ma ne fu scacciato
da quel presidio. Andò poscia nel dì 8 d'aprile il cardinal Cossa a
mettere l'assedio a Forlimpopoli. Essendosi intanto infermato papa
Alessandro, ritornò esso cardinale a Bologna nel dì 28 di esso mese.
Sino al dì 3 di maggio durò la malattia del pontefice, e di essa morì
egli in quel giorno. Fu poi sparsa voce dai nemici del cardinal Cossa,
che per veleno fattogli dare da esso cardinale fosse abbreviata la vita
a quel degno pontefice; e tal voce maggiormente prese piede, allorchè,
siccome vedremo, questo cardinale divenuto papa restò abbattuto dal
concilio di Costanza. Dio solo può essere buon giudice di questi fatti.
Solea questo buon papa dire, che egli era stato ricco vescovo, povero
cardinale e mendico papa[2339]. Unironsi dunque in conclave sedici
cardinali, che si trovavano allora in Bologna, e per le raccomandazioni
fervorose fatte dagli ambasciatori del _re Lodovico_ duca d'Angiò, fu
nel dì 17 di maggio eletto papa lo stesso cardinale di Santo Eustachio
_Baldassare Cossa_, che prese il nome di _Giovanni XXIII_. Venne poscia
a Bologna a baciargli i piedi il suddetto re Lodovico nel dì 6 di
giugno, e seco concertò la guerra, giù destinata contra di Ladislao re
di Napoli. Dopo di che, nel dì 23 di esso mese s'inviò alla volta di
Firenze. Circa questi tempi _Paolo Orsino_ e _Malatesta_ capitano de'
Fiorentini ridussero all'ubbidienza del pontefice le città di Tivoli
e d'Ostia[2340]. Fece poi papa Giovanni XXIII nel dì 6 di giugno una
promozione di quattordici cardinali, tutti persone di merito o per la
loro nobiltà o per lo sapere. Fulminò le censure contro papa Gregorio
e contro l'antipapa Benedetto; e Gregorio, che s'era ridotto a Gaeta,
non mancò di fare altrettanto contra di lui. Ma si cominciarono ad
imbrogliar gli affari di papa Giovanni in Romagna; perciocchè _Giorgio
degli Ordelaffi_ nel dì 12 di giugno occupò il castello d'Oriolo, e
_Gian-Galeazzo de' Manfredi_, figliuolo del fu Astorre, nel dì 18 di
esso mese s'impadronì di Faenza[2341]. Varii altri tentativi fatti
dall'Ordelaffo per entrare in Forlì andarono tutti in fumo.
Grande sforzo di gente e di navi avea parimente in questi tempi
fatto in Provenza il suddetto re Lodovico duca d'Angiò per passare
ai danni del re Ladislao. Ma ancor questi pensò al riparo[2342].
Trovati i Genovesi, che per essersi sottratti al dominio franzese,
si erano inimicati con quella nazione, assai disposti ad assisterlo
contro del re Lodovico, fece armare in Genova cinque navi con suo
danaro, comandate da Ottobuon Giustiniani. Spedì ancora a quella volta
nove delle sue galee per vegliare agli andamenti de' Provenzali.
Comparvero infatti sette navi grosse con assai altre minori del re
Lodovico in quei mari nel dì 16 di maggio, conducendo circa otto
mila persone; e i Genovesi, senza aspettar le galee di Ladislao che
erano indietro, non tardò ad essere ricuperata; e i Genovesi appresso
s'impadronirono di cinque delle navi grosse nemiche. Delle restanti
due, l'una fuggì, l'altra andò a fondo con tutti gli uomini. Questo
colpo sconcertò di molto le misure del re Lodovico. Tuttavia tredici
sue galee si lasciarono vedere nel mese d'agosto sulla riviera di
Genova, e seguì anche battaglia fra esse e quelle di Genova e di
Napoli, ma con restare indecisa la vittoria. Secondati intanto i
Genovesi dalla flotta napoletana, fecero tornare alla loro ubbidienza
la città di Ventimiglia, che pagò col saccheggio la resistenza sua.
Presero anche il porto di Telamone ai Sanesi per tradimento del
castellano[2343], ma questo fu ricuperato nel dì 6 di ottobre. Si
trasferì a Roma il re Lodovico, e vi fu ricevuto con grande onore
nel dì 20 di settembre[2344]. Perchè era scarso di danari, non trovò
maniera di danneggiar le terre del re Ladislao; sicchè, dopo essersi
trattenuto sino all'ultimo giorno dell'anno, allora prese il cammino
alla volta di Bologna, acciocchè la sua presenza desse più calore alle
meditate imprese. Mancò di vita in quest'anno sul fine di maggio[2345]
_Roberto di Baviera_ re de' Romani, principe eminente nella pietà e
clemenza; ma non altrettanto nel valore. Era tuttavia vivente l'inetto
_Venceslao_; pure gli elettori, senza far conto di lui, si unirono in
Francoforte per dargli un successore. Entrata fra loro la discordia,
alcuni elessero nel mese di settembre _Sigismondo re_ d'Ungheria
fratello d'esso Venceslao, ed altri _Giodoco marchese_ di Moravia,
principe, che, per essere in età di novant'anni, poco godè di questo
onore, perchè da lì a tre mesi, senza essere stato coronato, terminò
la sua vita, ed aprì la strada a Sigismondo, per esser nel seguente
anno ricevuto e riconosciuto da tutti per re de' Romani e di Germania.
Era ben egli per le sue singolari virtù dignissimo di sì alto grado.
Questi, abbandonato il partito di _papa Gregorio XII_, dianzi avea
abbracciato quello di _papa Giovanni XXIII_, il quale volentieri
l'accolse, e il favorì per farlo promuovere dagli elettori suddetti.
Per la ritirata di _Bucicaldo_ da Milano e per avere i Genovesi scosso
il di lui giogo nell'anno precedente, il credito e la forza di _Facino
Cane_ era cresciuta a dismisura[2346]. Parve dunque ai consiglieri di
_Giovanni Maria Visconte_ duca di Milano che il braccio di costui quel
solo potesse essere che mettesse a terra i di lui nemici e ribelli,
e restituisse la tranquillità alla città di Milano afflitta da tutte
le bande. Si conchiuse dunque con esso una tregua nell'antecedente
settembre, e questa diventò poi pace nel dì 3 di novembre: del che gran
festa fu fatta in Milano, e Facino dipoi colle sue genti d'armi entrò
in Milano. Ma nell'aprile di quest'anno si rivoltarono contra di lui
le genti dello sconsigliato duca, di maniera che Facino ebbe fatica
a salvarsi alla terra di Rosate. Di nuovo seguì concordia fra loro,
e nel dì 7 di maggio rientrò egli in Milano, e gli fu accordato il
titolo di governatore per tre anni avvenire con plauso di quel popolo.
E perciocchè il duca e Facino erano disgustati forte di _Filippo Maria_
conte di Pavia, contra di lui mossero le armi; ed avendo intelligenza
con _Castellino_ ed altri signori della casa Beccaria, il costrinsero
a cedere la rocchetta del ponte di Ticino. Fu in questa occasione che,
rotto il muro della città di Pavia, v'entrarono le milizie di Facino,
ed avendo facoltà di dare il sacco alle case de' Guelfi, menarono del
pari ancor quelle de' Ghibellini con grave sterminio di essa città. Che
inquieto, che misero stato fosse allora quel dell'Italia, ognun sel
vede. Filippo Maria si tenne ristretto in quel fortissimo castello.
Questo fatto, secondo il Diario Ferrarese[2347], succedette nel
principio dell'anno seguente. Per la morte di _Martino re d'Aragona_
padre di _Martino re di Sicilia_ premorto[2348], si cominciarono
dei rumori in Sicilia, perchè Bernardo da Caprera s'impadronì della
città di Catania. E non fu quieto il regno di Napoli[2349], essendosi
ribellati contra del re Ladislao _Gentile da Monterano_ e il _conte di
Tagliacozzo_ di casa Orsina. Mandò il re gente ad assediar la Padula,
che era di Gentile, e questo esercito vi stette lungo tempo a campo,
tanto che Gentile fu cacciato dal regno. Quanto al suddetto conte di
Tagliacozzo, egli andò ad unirsi con Lodovico d'Angiò. Fece anche
Ladislao incarcerare in Napoli i fratelli di _papa Giovanni_ della
famiglia Cossa.
NOTE:
[2335] Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Ital.
[2336] Theodericus de Niem, in Johanne XXIII Papa. Raynaldus, Annal.
Eccles.
[2337] Matthaeus de Griffon., Chron., tom. 18 Rer. Ital. Cronica di
Bologna, tom. eod.
[2338] Annal. Mediolan., tom. 22 Rer. Ital.
[2339] Vita Melandri V, P. II, tom. 3 Rer. Ital.
[2340] Bonincontrus, Annal., tom. 21 Rer. Ital.
[2341] Diar. Ferrar., tom. 24 Rer. Ital.
[2342] Johann. Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital. Giornal.
Napol., tom. 21 Rer. Ital. Diario Ferrar., tom. 24 Rer. Ital.
[2343] Cronica di Siena, tom. 19 Rer. Ital.
[2344] Antonii Petri Diar., tom. 24 Rer. Ital.
[2345] Gobelinus, Lang. Cuspinian., et alii.
[2346] Corio, Istoria di Milano.
[2347] Diario Ferrar., tom. 24 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCCXI. Indizione IV.
GIOVANNI XXIII papa 2.
SIGISMONDO re de' Romani 2.
Giunto a Bologna nel dì 16 di gennaio il _re Lodovico_ d'Angiò[2350],
non lasciò indietro esortazioni e ragioni per condurre a Roma il
pontefice _Giovanni XXIII_. Dopo averlo disposto a questo viaggio,
sul principio di marzo s'inviò egli innanzi a quella volta. Nel dì
ultimo di esso mese gli tenne dietro il papa, con lasciare al governo
di Bologna il cardinal di Napoli. Nel dì 11 d'aprile giunse nelle
vicinanze di Roma[2351], e fece dipoi la sua solenne entrata in San
Pietro col re Lodovico, che l'addestrava, nel sabbato santo. La festa
del popolo romano fu grande. Fatti i preparamenti dell'armata, e
benedette le bandiere, uscì il re Lodovico in campagna, incamminandosi
nel dì 28 d'aprile verso il regno di Napoli, accompagnato da insigni
condottieri d'armi, cioè da _Paolo Orsino_, _Sforza Attendolo_,
_Braccio da Montone_ Perugino, _Gentile da Monterano_, dal _conte
di Tagliacozzo_ e da una fiorita nobiltà. Circa dodici mila cavalli
e numerosa fanteria seco condusse[2352]. Sul principio del maggio
venne a mettersi a fronte di lui il _re Ladislao_ con esercito quasi
eguale a Roccasecca. Stettero guardandosi le due armate sino al dì
19 d'esso mese[2353], in cui, avendo innanzi il re Ladislao mandato
il guanto della disfida, si azzuffarono. Crudele fu la battaglia, e
piena in fine la sconfitta di Ladislao colla perdita delle bandiere,
tende e bagaglio, e con restar prigionieri il legato del deposto papa
_Gregorio XII_, _conte da Carrara_, i _conti d'Aquino_, _di Celano_,
_d'Alvito_, e molti altri de' principali baroni di Napoli. Si salvò
Ladislao, e con fatica, a piedi a Roccasecca, e come potè il meglio
attese a fortificarsi per impedire i progressi dell'armata vincitrice:
il che gli venne fatto. Fu creduto[2354] che l'aver egli guadagnato
sotto mano _Paolo Orsino_, questi andasse tanto tergiversando, che
il re si rimise in forze, e fece poi testa a' nemici. S'aggiunse un
altro fatto, per cui maggiormente venne calando la bella apparenza di
detronizzar Ladislao. Lo scrivo sulla fede di Bonincontro[2355], perchè
a me resta dubbio essere lo stesso che quel dell'anno antecedente.
Avea spedito il re Lodovico otto navi grosse e venti galee verso il
regno di Napoli, acciocchè per mare secondassero l'impresa della sua
armata di terra. Quasi nello stesso tempo che seguì la battaglia poco
fa narrata, furono anche assalite le dette navi angioine dalla flotta
di Ladislao, consistente in sette galee e sei navi, e furono prese.
Giunto questo doloroso avviso alle galee di Lodovico, se n'andarono
in Calabria per assistere a Niccolò Ruffo, che s'era in quelle parti
insignorito di varie castella, e nel cammino espugnarono Policastro. A
nulla poi si ridussero tali conquiste, perchè il re Ladislao, tornato
che fu in forze, mandò le sue genti in Calabria, che ricuperarono
Crotone e Catanzaro, con obbligare Niccolò Ruffo a salvarsi in
Provenza, da dove era venuto. Intanto il re Lodovico, trovati chiusi
i passi per inoltrarsi nel regno di Napoli, e mancandogli danaro e
viveri per mantenere l'armata, dolente la ricondusse a Roma nel dì 12
di luglio[2356], e poscia nel dì 5 d'agosto imbarcatosi, spiegò le vele
verso la Provenza. Fortunato senza dubbio fu in sì disastrosi tempi il
re Ladislao; ma molto contribuì a sostenersi contra di quel minaccioso
torrente, l'aver egli nell'anno precedente procurato di staccare
dalla lega del papa i Fiorentini, i quali stanchi erano omai di tante
spese[2357]. Infatti, nel gennaio del presente anno furono sottoscritti
i capitoli della pace fra loro, il più importante de' quali fu,
ch'egli per sessanta mila fiorini d'oro vendè a' Fiorentini la città
di Cortona: del che grande allegrezza fu fatta in Firenze per questo
accrescimento di potenza. Dopo aver papa Giovanni nel dì 5 di giugno
creati tredici cardinali, tutte persone di merito, grandi processi
fabbricò dipoi contra del re Ladislao[2358]; e nel dì 9 di settembre
il dichiarò scomunicato e privato di tutti i suoi titoli e dominii:
armi che contra d'un principe tale, poco curante della religione, si
trovarono affatto spuntate.
Dacchè il popolo di Bologna vide partito il papa, da cui in addietro,
quando era solamente cardinale, era stato governato con mano assai
pesante, sentì risorgere il desiderio dell'antica sua libertà. Scoppiò
questo tumore nel dì 12 di maggio[2359]. Corsero que' cittadini
all'armi, gridando: _Viva il popolo e le arti_; e il cardinale legato
si ritirò nel castello, oppur nella casa d'un mercatante, e fu dato il
sacco al suo palazzo. Assediato il castello, si tenne saldo sino al dì
28 del mese suddetto, in cui si rendè ai cittadini, salva la roba e le
persone, e fu poi disfatto. Sul principio di giugno _Carlo Malatesta_,
gran protettore di papa _Gregorio XII_, arrivò colle sue genti d'armi
a San Giovanni in Persiceto, terra da lui posseduta, ed assediata
inutilmente nel precedente aprile dai Bolognesi: il che inteso da essi,
tornarono nel dì 11 d'esso giugno a mettervi il campo. Ritrovato l'osso
duro, fu giudicato meglio di far pace col Malatesta, il quale non solo
restò padrone di San Giovanni, ma ancora si fece pagar trenta mila
lire da essi Bolognesi. Anche il popolo della città di Forlì, udita
la rivoluzion di Bologna, si levò a rumore, e, scacciati gli uffiziali
del papa, acclamò per suo signore _Niccolò marchese_ di Ferrara[2360],
il cui capitano Guido Torello ivi si trovava con un corpo d'armati. Ma
entrati in essa città _Giorgio_ ed _Antonio degli Ordelaffi_ nel dì 7
di giugno con due mila pedoni, ne presero il possesso, e dopo qualche
tempo costrinsero alla loro ubbidienza la rocca e la cittadella. Poco
profittò Antonio di tal acquisto, perchè macchinando di levare il
comando, e fors'anche la vita a Giorgio, scoperto il trattato (se pur
fu vero), nel dì 30 di agosto venne preso e confinato in prigione da
esso Giorgio, il quale restò solo padrone. Allora i Forlivesi per opera
di Carlo Malatesta si partirono dall'ubbidienza di papa Giovanni, e
aderirono a papa Gregorio. Nel dicembre ancora di quest'anno[2361] si
accese guerra fra _Sigismondo re de' Romani_, d'Ungheria e Boemia, e
i Veneziani, pretendendo il re che gli fosse restituita Zara colla
Dalmazia. Entrati gli Ungheri nel Friuli, presero Udine, Marano e
Porto Gruaro, talmente che il patriarca d'Aquileia scappò a Venezia.
Impadronitisi ancora di Cividal di Belluno, Feltro e Serravalle,
minacciavano di peggio; se non che i Veneziani, con incredibil
diligenza formato un copioso armamento, e tolto al loro servigio per
generale _Carlo Malatesta_, ruppero il corso alle conquiste di que'
Barbari. Nella state di quest'anno[2362] _Niccolò marchese_ d'Este,
signor di Ferrara, Modena, Reggio e Parma, essendo molestato da
_Orlando Pallavicino_, che tenea occupato Borgo San Donnino, spedì
colà il valoroso suo capitan _Uguccion de' Contrarii_ con due mila
cavalli e molta fanteria. Varie castella tolse Uguccione ad Orlando,
e il ridusse a tale che fu obbligato a cedere la nobil terra di Borgo
San Donnino al marchese, il qual, fattolo venire a Ferrara, il prese al
suo servigio con decorosa provvisione. Era già entrato Facino Cane in
Pavia[2363], nè altro più restava a _Filippo Maria Visconte_ che quel
fortissimo castello, dove s'era chiuso. Ma postovi l'assedio da Facino,
gli convenne capitolare e rendersi. Fra i capitoli vi fu che Filippo
Maria ritenesse il titolo di conte di Pavia, ma conte solo di nome,
perciocchè Facino mise sua gente nel castello, ed era padron di tutto,
dando al misero principe quanto gli bastava per vivere e mantenere
una scarsa corte. Dopo questo andò Facino a far guerra a _Pandolfo
Malatesta_ signore di Brescia, ma senza apparir sulle prime se fosse
guerra vera o da burla.
NOTE:
[2348] Histor. Sicula, tom. 24 Rer. Ital.
[2349] Giornal. Napol., tom. 21 Rer. Ital.
[2350] Matth. de Griffon., Chron., tom. 18 Rerum Italic.
[2351] Antonii Petri Diar., tom. 24 Rer. Ital.
[2352] Giornal. Napolet., tom. 21 Rer. Ital.
[2353] Theodoricus de Niem, in Johanne XXIII. S. Antonin., et alii.
[2354] Ammirato, Istor. Fiorentina, lib. 18.
[2355] Bonincontrus, Annal., tom. 21 Rer. Ital.
[2356] Antonii Petri Diarii, tom. 24 Rer. Ital.
[2357] Ammirat., Istoria Fiorentina, lib. 18.
[2358] Diario Ferrarese, tom. 24 Rer. Ital.
[2359] Matth. de Griffon., Chron., tom. 18 Rer. Italic. Cronica di
Bologna, tom. eod. Diario Ferrar., ubi supra.
[2360] Diario Ferrarese, tom. 24 Rer. Ital. Annal. Foroliviens., tom.
22 Rer. Ital. Chron. Foroliviens., tom. 19 Rer. Ital.
[2361] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCCXII. Indizione V.
GIOVANNI XXIII papa 3.
SIGISMONDO re de' Romani 3.
Tenne _papa Giovanni_ nell'aprile di quest'anno un concilio nella
basilica vaticana[2364], e nel dì 19 di giugno si partì dal di lui
servigio colle sue genti d'armi _Sforza_ da Cotignuola, divenuto già
uno de' più prodi condottieri che s'avesse allora l'Italia; e a nulla
servì l'avergli il papa donata o venduta la terra stessa di Cotignuola.
I danari e le promesse del _re Ladislao_ privarono il papa di questo
campione. Allegava egli per iscusa di non vedersi sicuro con _Paolo
Orsino_, suo nemico ed uomo di buono stomaco. Di tal fuga, a cui fu
dato nome di tradimento, e massimamente per esser egli passato al
soldo di un nemico della Chiesa, si chiamò tanto offeso il papa[2365],
che fece in varii luoghi dipignere Sforza impiccato pel piede destro,
con sotto un cartello, in cui Sforza fu pubblicato reo di dodici
tradimenti, con tre rozzi versi, il cui primo fu:
IO SONO SFORZA VILLANO DALLA COTIGNUOLA.
Venne dipoi il medesimo Sforza col conte di Troia, conte da Carrara ed
altri capitani, e con assai squadre d'armati verso Ostia, e quivi si
accampò, ma senza che male alcuno ne seguisse Intanto papa Giovanni
colla nemicizia di Ladislao, fomentatore dell'avversario _Gregorio_,
mirava il suo stato non assai fermo; e dall'altra parte anche Ladislao
paventava de' nuovi insulti da papa Giovanni, che proteggeva il di lui
emulo _Lodovico di Angiò_. O l'un dunque o l'altro fecero muover parola
di aggiustamento, e trovarono amendue il loro conto a conchiuderlo.
Tanto più agevolmente vi concorse il pontefice, perchè intese che s'era
maneggiata, fors'anche stabilita, da Ladislao una lega co' signori
della Marca e Romagna contra di lui. Per attestato di Teodorico da
Niem[2366], comperò papa Giovanni quella pace con isborso di cento
mila fiorini, segretamente pagati a Ladislao. Altre più vantaggiose
condizioni, e maggior somma di danaro accordata a quel re ne' capitoli
della concordia, si leggono presso il Rinaldi[2367]. Ora Ladislao,
per dar più colore al cangiamento che giù destinava di fare, chiamata
a sè una congregazion di vescovi e d'altri dotti ecclesiastici, loro
espose gli scrupoli della sua solamente in questa occasione delicata
coscienza, per aver finora aderito a papa _Gregorio XII_, quando
quasi tutta la cristianità riconosceva per vero papa il solo _Giovanni
XXIII_. La disputa andò a finire in favor d'esso papa Giovanni. Ciò
fatto, si portò Ladislao a Gaeta a visitar papa Gregorio. De' di lui
trattati segreti non era allo scuro Gregorio, e però immantenente
gliene dimandò conto. Negò Ladislao, ma nel dì seguente gli fece
intendere che si levasse da' suoi Stati in un determinato tempo, perchè
non potea più sostenerlo. Trovossi allora in grandi affanni Gregorio e
la corte sua; ma per buona ventura capitate colà due navi mercantili
veneziane, in una d'esse s'imbarcò, e girando pel mare Adriatico fra
molti pericoli e timori d'essere colto dalle insidie di papa Giovanni,
arrivò in fine nel mese di marzo a Rimini, dove con ossequio e festa
ben ricevuto dai Malatesti pose la sua residenza[2368]. Fu assai
che Ladislao nol sagrificasse alla politica sua e ai desiderii del
pontefice Giovanni di lui avversario. Si pubblicò questa pace nel mese
d'ottobre.
Vide in quest'anno la città di Milano un orrido spettacolo[2369].
_Giovanni Maria Visconte_ duca s'era già tirato addosso l'odio
universale del popolo, non tanto per le gravezze imposte, quanto per
la sua inaudita crudeltà. Teneva egli de' fieri cani al suo servigio,
e con essi facea sbranar le persone, alle quali volea male; talvolta
ancora per ispasso li lasciava contra delle innocenti persone. Il
Corio[2370] ne racconta varii casi. Fecesi pertanto una congiura contra
di lui da varii nobili, alcuni de' quali della stessa sua corte; cioè
quei da Bagio, Ottone Visconte, Giovanni da Posterla, quei del Maino, i
Trivulzi, i Mantegazi ed altri. Ora mentre il duca nel dì 16 di maggio
dalla corte passava alla Chiesa di San Gotardo, per udir messa, oppure
mentre udiva messa, gli furono alla vita i congiurati, e con due ferite
lo stesero morto a terra. Con questa facilità si sbrigarono essi dal
duca, perchè in questi tempi non si trovava in Milano _Facino Cane_
suo governatore e protettore. Si era egli dianzi con potente esercito
portato all'assedio di Bergamo, posseduto da _Pandolfo Malatesta_, e
dopo la presa de' borghi era vicino a veder anche la città ubbidiente
a' suoi cenni. Ma, infermatosi gravemente, si fece portare a Pavia,
dove tanto sopravvisse, che apprese la violenta morte data al duca
da chi, per la lontananza, s'era arrischiato a fare quel colpo, e
ne ordinò a' suoi la vendetta. Giovanni Stella[2371] scrive essere
morto Facino nel giorno stesso in cui fu ucciso il duca. Egli era
nativo di Santuà del Piemonte: altri dicono di Casale del Monferrato.
Secondo la testimonianza del Biglia e del Corio, costui signoreggiava
allora in Pavia, Alessandria, Vercelli, Tortona, Varese, Cassano,
in tutto il lago Maggiore e in altre terre; ma spirò con lui tanta
grandezza, perchè mancò senza prole. Dappoichè fu seguita la morte del
duca Giovanni Maria, ed esposto il suo cadavero nel duomo, entrò in
Milano con pochi _Astorre_, ossia _Estorre_, bastardo del fu Bernabò
Visconte, chiamato _il soldato senza paura_[2372], che avea tenuta
mano alla congiura, ed unito co' suoi partigiani, i quali, gridando:
_Viva Astorre duca_, s'impadronirono del palazzo ducale, corse la
città senza impedimento alcuno, ed assunse il titolo di duca. Ma il
castello, di cui era governatore Vincenzo Marliano, per quante promesse
e minaccie usasse Astorre, non gli volle prestare ubbidienza. La morte
di Giovanni Maria duca, e forse più quella di Facino Cane, richiamò,
per così dire, in vita _Filippo Maria Visconte_ suo fratello, conte
di Pavia, che, perduto ogni suo dominio, meschinamente vivea in Pavia
alla discrezione d'esso Facino, mancandogli talvolta il vitto. Prese
egli tosto il titolo di duca di Milano; e giacchè Facino in morte
l'avea raccomandato vivamente alle sue milizie, parea che non fosse da
dubitare della loro assistenza. Ma queste genti venali voleano danari,
e si preparavano di passare, chi al servigio di _Pandolfo Malatesta_
e chi di _Astorre Visconte_. Un ripiego a sì fatti bisogni fu allora
trovato da _Bartolomeo Capra_ eletto arcivescovo di Milano, e da
Antonio Bozero Cremonese, governator della cittadella di Pavia. Questi,
dopo aver ricoverato Filippo Maria in essa cittadella, per sottrarlo
alla bestialità delle truppe e alle insidie de' nobili da Beccaria,
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