Annali d'Italia, vol. 5 - 64

di Forlì[2207]. S'egli maggiormente fosse vivuto, le disposizioni
certamente erano ch'egli avrebbe steso molto più oltre i confini
del suo dominio, giacchè cotanto era cresciuta la di lui potenza; e
la febbre dei conquistatori, così pregiudiziale a' propri ed altrui
sudditi, gli stava troppo fitta nel cuore. Dal testamento e da'
codicilli suoi, il compendio de' quali vien riferito dal Corio[2208],
si raccoglie, aver egli lasciato col titolo di duca a _Gian-Maria_ suo
primogenito _Milano, Cremona, Como, Lodi, Piacenza, Parma, Reggio,
Bergamo, Brescia, Siena, Perugia e Bologna_. A _Filippo Maria_
secondogenito legittimo lasciò con titolo di conte _Pavia, Novara,
Vercelli, Tortona, Alessandria, Verona, Vicenza, Feltro, Belluno_ e
_Bassano_ colla riviera di _Trento_[2209]. A _Gabriello_ suo bastardo,
ma legittimato, lasciò _Pisa_ e _Crema_. Andrea Biglia[2210] non parla
di Crema, e dice lasciatagli _Pisa_ colla _Lunigiana_ e _Sarzana_.
Tralascio i suoi legati a cause pie. La solennità del funerale fatto
al di lui cadavero nel dì 20 d'ottobre in Milano fu uno spettacolo
de' più magnifici che mai si vedesse l'Italia. Vien descritto esso
funerale da Andrea Gataro, dal Corio, ma specialmente da un opuscolo da
me dato alla luce nel tomo decimosesto della Raccolta degli scrittori
d'Italia. Alla morte di questo principe era preceduta una gran cometa
visibile per tutta Italia; e chi si dilettava del vano e fallace
mestiere d'indovinare l'avvenire, forse avea fatti i conti sulla di
lui vita. Anzi scrivono che lo stesso duca da ciò intese vicina la
sua chiamata per l'altro mondo. Certo, dappoichè fu morto, i più si
fecero buonamente a credere che quel fenomeno celeste avesse indicata
la di lui morte. Pretesero altri predetta la formidabil rotta data in
questo anno da Timur Bech, da noi appellato _Tamerlano_, imperador dei
Tartari, al ferocissimo _Baiazette_ sultano de' Turchi, gran flagello
della cristianità in Oriente, il quale, restato prigioniere del barbaro
vincitore, fra le catene terminò poi la vita. Tutte visioni della buona
gente, che fa de' somiglianti lunarii, mentre io scrivo, per una cometa
che si vide nel febbraio di quest'anno 1744. Per quanto abbiamo dagli
Annali di Forlì[2211], cessò di vivere in quest'anno a dì 20 di luglio
_Pino degli Ordelaffi_, signore di Forlì, di Forlimpopoli e d'altre
terre, e a lui succedette nel dominio _Cecco_ suo fratello. Vien lodato
esso Pino per molte sue belle doti, ed universalmente fu dai sudditi
compianta la sua morte. In quest'anno ancora morì _Scarpetta degli
Ordelaffi_.
NOTE:
[2195] Sozomen., Chron., tom. 16 Rer. Ital.
[2196] Annales Mediolan., tom. eod.
[2197] Sozomenus, Chron., tom. eod.
[2198] Giornal. Napolet., tom. 21 Rer. Ital.
[2199] Gatari, Istoria di Padova, tom. 17 Rer. Ital.
[2200] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital. Delayto, Annal., tom. eod.
[2201] Redus., Chron., tom. 19 Rer. Ital.
[2202] Gatari, Istor. di Padova, tom. 17 Rer. Ital.
[2203] Delayto, Annal., tom. 18 Rer. Ital.
[2204] Corio, Istoria di Milano.
[2205] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
[2206] Gatari, Istor. di Padova, tom. 17 Rer. Ital.
[2207] Annal. Foroliviens., tom. 22 Rer. Ital.
[2208] Corio, Istoria di Milano.
[2209] Delayto, Annal., tom. 18 Rer. Ital.
[2210] Billius, in Hist., tom. 19 Rer. Ital.


Anno di CRISTO MCCCCIII. Indizione XI.
BONIFAZIO IX papa 15.
ROBERTO re de' Romani 4.

Cominciaronsi in quest'anno a provar gli effetti della morte di
_Gian-Galeazzo _duca di Milano, cioè si cominciò a sfasciar la
monarchia con tante guerre e fatiche da lui stabilita. Già fra i
suoi figliuoli si era questa divisa; ma passò più oltre la malattia,
con giugnere sino al cuore dello stesso dominio. Erano tuttavia i
due figliuoli suoi, cioè _Gian-Maria_ e _Filippo_, in età incapace
di governo; e però il padre nel suo testamento, se crediamo al
Corio[2212], avea lasciata la reggenza a _Caterina_ sua moglie, a
_Francesco Gonzaga_ signore di Mantova, al _conte Antonio d'Urbino_,
a _Jacopo del Verme_, a _Pandolfo Malatesta_, al _conte Alberico_
da Barbiano, e a _Francesco Barbavara_ Novarese. Andrea Biglia,
autore di questi tempi, scrive[2213] essere stati i principali tutori
_Pietro di Candia_ arcivescovo di Milano, _Carlo Malatesta_ e _Jacopo
del Verme_. Entrò ben presto la discordia fra i reggenti. La troppa
autorità, che si attribuiva il Barbavara, unitissimo colla duchessa,
suscitò l'invidia e l'ambizione nei colleghi; crebbero i disgusti,
e i migliori consigli erano ben di rado abbracciati. Il peggio fu
in questi primi tempi l'odio e lo spirito della vendetta di chi era
rimasto nemico della casa de' Visconti[2214]. Si procurò di trattar
pace co' _Fiorentini_; nulla si potè ottenere. _Papa Bonifazio IX_
per le città dello Stato ecclesiastico usurpate, dopo aver pazientato
in addietro per paura del potentissimo Biscione, ora determinò
daddovero di ricuperare il suo. Il primo colpo ch'egli fece, fu di
staccar da Milano e di prendere al suo servigio il _conte Alberico_,
soprannominato il gran contestabile, tassato d'ingratitudine dagli
storici milanesi perchè dimentico di tanti benefizii che gli aveva
compartiti Gian-Galeazzo, e molto più perchè contra dei di lui
figliuoli impugnò la spada in questo anno. Già era il papa collegato
co' Fiorentini, ed ora con esortazioni e comandamenti trasse ancora
nella stessa lega[2215] _Niccolò marchese_ d'Este signor di Ferrara,
creandolo capitan generale dell'esercito della Chiesa. Dai reggenti
di Milano furono spediti ambasciatori a Padova per quetare _Francesco
da Carrara_, e si conchiuse che il Visconte l'assolverebbe da ogni
debito, e inoltre cederebbe a lui Feltro e Cividal di Belluno. Mancò a
tali promesse il governo di Milano, e perciò il Carrarese si cominciò
ad armare per far guerra ai due fratelli Visconti. Molto più di lui
si preparavano i Fiorentini per la medesima danza. Spedì il papa a
Ferrara _Baldassare Cossa cardinale_ con titolo di legato di Bologna,
acciocchè accudisse col marchese estense alla riduzion di Bologna. Sul
fine dunque di maggio l'esercito pontifizio, comandato dal marchese
e da Uguccion de' Contrarii, premessa la sfida, entrò nel Bolognese
ostilmente. Col marchese erano il gran contestabile, Carlo e Malatesta
de' Malatesti, Pietro da Polenta, Paolo Orsino ed altri capitani di
grido. Dopo aver preso alcuni luoghi del Bolognese, improvvisamente
marciò quell'armata pel Modenese e Reggiano ai danni del Parmigiano, e
grosso bottino vi fece. Indi, ritornata sul Bolognese, attese ad altre
conquiste.
Intanto in Milano contro la superbia di Francesco Barbavara si eccitò
nel dì 25 di giugno una fiera sedizione da _Antonio Visconte_, dagli
Aliprandi e da altri malcontenti; di modo che la duchessa col figliuolo
_Gian-Maria_ e col Barbavara si ritirò nel castello. Sopraggiunto
poi Antonio Porro, crebbe il tumulto del popolo; seguirono moltissimi
ammazzamenti; e il Barbavara prese il partito di fuggirsene a Pavia,
e più lungi ancora. Il giovinetto _Filippo Maria_ conte di Pavia si
trasferì anch'egli a quella città per custodirla dalle rivoluzioni.
Mirabil cosa fu il vedere scatenarsi in questi tempi per quasi tutte le
città del ducato di Milano le dianzi addormentate fazioni de' Guelfi
e Ghibellini, con fama che gl'industriosi Fiorentini spargessero sì
gran fuoco dappertutto coi loro emissarii, e colle promesse d'aiuto
a chiunque si ribellasse. _Rolando Rosso_ coi Correggeschi ed altri
Guelfi un gran turbine sollevò nel Parmigiano. Nel dì primo di luglio
il _marchese Ugo Cavalcabò_ occupò Cremona e poi Crema, ed ebbe
soccorso da essi Fiorentini; _Franchino Rusca_ si fece padron di Como;
la fazion guelfa s'impadronì di buona parte di Brescia; in Bergamo si
scannarono senza pietà le due nemiche fazioni; Lodi, la Martesana,
Soncino, Bellinzona, e moltissime altre terre, chi si ribellò al
duca, e chi fu sottoposta a gravi omicidii e saccheggi[2216]. Nè andò
molto che anche gli _Scotti_, i _Landi_ ed altri nobili di Piacenza,
cacciati gli _Anguissoli_, presero in sè il governo di quella città.
Tutto in somma era in rivolta. In mezzo a tanto incendio pareano
incantati i reggenti di Milano, sennonchè _Ottobuon Terzo_ sostenne
Parma, e _Facino Cane_ con _Galeazzo da Mantova_ difese bravamente
Bologna dagl'insulti dell'esercito pontificio, il qual di nuovo fece
una irruzione nel Parmigiano[2217]. Pur presero essi Reggenti un
buon consiglio, e fu di pacificare il papa. Datane la commissione a
_Francesco Gonzaga_ signore di Mantova, questi segretamente ne trattò
col _cardinal Cossa_ legato apostolico, per mezzo di _Carlo Malatesta_
suo cognato, sì felicemente, che all'improvviso saltò fuori la pace
fra loro nel dì 25 d'agosto, per cui furono restituite al papa le città
di Bologna, Perugia ed Assisi, senza che il pontefice si prendesse in
quella pace cura alcuna de' Fiorentini: del che fecero eglino molte
doglianze. A questa pace si oppose, per quanto potè, Facino Cane, e
fece gran danno alla città di Bologna; pure in fine se ne andò[2218],
e nel dì 2 di settembre entrò il cardinal Cossa trionfante in quella
città, di cui gli fu confermata la legazione dal papa. Nell'ottobre
Nanne de' Gozzadini, che aveva ordito un tradimento per farsi signore
di Bologna, mandò i suoi ad occupare una porta; ma il cardinale, che
sapeva già e dissimulava tutto, non si lasciò trovare a letto. Fu preso
Bonifazio fratello di Nanne, e questi lasciò la testa sul pubblico
palco. Imprigionato ancora Gabbione figliuolo di Nanne, di questo si
servì il cardinal legato nell'anno seguente per indurre suo padre
a restituir la terra di Cento e la Pieve, minacciando la morte al
figliuolo. Nanne promise; ma, non attenendo la parola, tolta fu la vita
anche ad esso Gabbione. Parimente in Siena[2219] si sollevarono sul
fin di novembre le fazioni, l'una per sottrarsi al duca di Milano, e
l'altra per sostenerlo; laonde il vicario duchesco fu in gran pericolo.
Era attaccato il fuoco al bosco; anche _Francesco da Carrara_ signor di
Padova pensò a scaldarsi[2220]. La speranza di fare in suo pro qualche
bel colpo in mezzo a sì grande sconvolgimento del ducato di Milano,
parea fondatissima; e tanto più perchè una delle fazioni di Brescia
gli facea sperar l'entrata in quella potente città. Il perchè, ottenuta
permissione dai signori veneziani, che nondimeno il dissuasero non poco
da imprendere quella guerra, nel dì 16 di agosto s'inviò colle sue
armi unite a quelle di _Niccolò marchese_ di Ferrara suo genero alla
volta di Brescia, dove entrò nel dì 18 d'esso mese, e gliene fu dato il
dominio. Ma essendo la cittadella costante nell'ubbidienza a Milano, e
venuti colà con gran corpo di gente _Jacopo del Verme, Ottobuon Terzo_
e _Galeazzo da Mantova_, non finì la faccenda, che ebbero per grazia
le armi padovane e ferraresi di potersi ritirar illese alle lor case.
Fece dipoi il Carrarese varie scorrerie sul Veronese, prese alcuni
luoghi, vi piantò qualche bastia; ma _Ugolotto Biancardo_ governator
di Verona il tenne corto, e il signore di Mantova gli ritolse le torri
di Legnago che egli avea preso. Tornando dai principi oltramontani
_Manuello imperador_ de' Greci con poco profitto de' suoi interessi,
arrivò nel dì 22 di gennaio del presente anno a Genova[2221]. Ricevette
grande onore da quel popolo, e dal regio governatore _Bucicaldo_, e se
ne andò poscia al suo viaggio, malcontento dei cristiani occidentali.
Intanto perchè i Genovesi erano in rotta con _Giano re di Cipri_,
armarono nove galee, sette navi e un galeone contra de' Cipriotti. Lo
stesso Bucicaldo volle essere in persona capitano della flotta a quella
impresa, e sciolse le vele verso Cipri. Questo armamento fu cagione
che quel re, dopo avere ricevuto alcuni danni, chiedesse accordo collo
sborso di molta pecunia, e colla promessa d'altra ad altro tempo. Il
vittorioso Bucicaldo si figurò di poter fare qualche bel colpo in Soria
contro gl'infedeli, ma nulla gli riuscì, siccome neppure di ottener
pace per li Genovesi dal soldano di Egitto. Contuttociò navigava egli
con gran fasto per que' mari, non si sa se per tornarsene a Genova,
oppure pel fare qualche tentativo ed insulto contro le terre de'
Veneziani nell'Adriatico; quando eccoti uscir di Modone _Carlo Zeno_
generale de' Veneziani, rinomato per molto suo valore non meno in terra
che in mare, che con undici galee e due uscieri, cioè navi grosse,
teneva d'occhio e seguitava la flotta genovese[2222]. Sulle prime parve
amico; ma nel dì 7 d'ottobre scopertosi nemico, venne a battaglia
con essi Genovesi. Si combattè con assai bravura dall'una parte e
dall'altra; ma in fine Bucicaldo ebbe la peggio, e fu costretto a
fuggirsene, con lasciar tre delle sue galee in potere de' Veneziani, i
quali insieme colla gente le menarono a Modone. Il Sanuto scrive[2223]
che gran sangue si sparse in quel conflitto, e conferma la presa delle
tre galee. Nel tornarsene a casa gli sconfitti Genovesi, incontratisi
in due galee veneziane, anch'essi se ne impadronirono. Diede molto da
parlare per Italia questo fatto, ed incredibile schiamazzo ne fece
il borioso Bucicaldo, di maniera che quantunque nell'anno appresso
seguisse pace fra i Veneziani e Genovesi colla restituzion de'
prigioni, pure Bucicaldo non come governator di Genova, ma come persona
privata sparse un manifesto, in cui trattava Carlo Zeno da traditore,
sfidandolo a duello in terra ferma, oppure con una galea per parte di
cadauno in mare. Se ne rise Carlo Zeno, e il lasciò tempestar quanto
volle.
Nè si vuol tacere che sul principio di settembre, sollevatisi i
Guelfi d'Alessandria, si ribellarono ai Visconti, ed implorarono
aiuto da Genova per sottomettersi al re di Francia. Non fu pigro il
vice-governatore di Genova a spedir gente in loro aiuto, con poca
fortuna nondimeno; perchè, oltre all'essersi ritirati i Ghibellini
nelle fortezze, arrivò colà Facino Cane con molte squadre, che ricuperò
quella città, e mise in desolazione tutta la parte guelfa. Un simile
orrido giuoco fece _Pandolfo Malatesta_ a Como, dove fu egli spedito
per ricuperar quella città. Bolliva in questi tempi gran discordia
fra i magnati della Ungheria[2224]. Coloro che non voleano per loro re
_Sigismondo_ fratello di _Venceslao_ già re de' Romani, si avvisarono
di chiamare a quella corona _Ladislao re_ di Napoli, siccome principe
che vi pretendea per le ragioni del _re Carlo_ suo padre e per altri
titoli, promettendogli sicuro per lui quel vasto regno. Ladislao non
perdè tempo ad imbarcarsi, ed arrivò a Zara. In essa città, correndo
il dì cinque d'agosto, fu egli coronato dall'arcivescovo di Strigonia,
oppure da _Angelo Acciaiuoli_ cardinal di Firenze[2225], spedito
dal papa per dar braccio all'impresa. Ma avendo egli inviato i suoi
deputati a prendere il possesso del rimanente del regno, trovò risorto
più che mai il partito di Sigismondo, mutati d'opinione que' grandi
e se stesso deluso. Il perchè adirato se ne ritornò a Napoli. Ne'
Giornali Napoletani[2226] vien riferito questo avvenimento agli anni
seguenti; ma, per gli atti che rapporta il Rinaldi e per l'attestato
di varii altri scrittori, esso appartiene al presente. _Sigismondo_,
siccome dissi, figliuolo di _Carlo IV_ Augusto, si stabilì poscia
sul trono dell'Ungheria, ma non senza crudeltà, e divenne col tempo
imperador de' Romani.
NOTE:
[2211] Annales Foroliviens., tom. 22 Rer. Ital.
[2212] Corio, Istoria di Milano.
[2213] Billius, in Histor., tom. 19 Rer. Ital.
[2214] Ammirat., Istoria di Firenze, lib. 17.
[2215] Delayto, Annal., tom. 18 Rer. Ital.
[2216] Billius, Hist., tom. 19 Rer. Ital.
[2217] Delayto, Annal., tom. 18 Rer. Italic.
[2218] Matth. de Griffon., Chron. Bonon., tom 18 Rer. Ital. Cronica di
Bologna, tom. eod.
[2219] Histor. Senensis, tom. 20 Rer. Ital.
[2220] Gatari, Istor. di Pad., tom. 17 Rer. Ital. Delayto, Annal., tom.
18 Rer. Ital.
[2221] Georgius Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Italic.
[2222] Delayto, Chron., tom. 18 Rer. Ital. Redusius, Chron., tom. 19
Rer. Ital.
[2223] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
[2224] Sozomenus, Hist., tom. 16 Rer. Ital. Bonincontrus, Annal., tom.
21 Rer. Ital.
[2225] Raynaldus, Annal. Eccles.
[2226] Giornal. Napol., tom. 21 Rer. Ital.


Anno di CRISTO MCCCCIV. Indiz. XII.
INNOCENZO VII papa 1.
ROBERTO re de' Romani 5.

Era stato rimesso in libertà nel precedente anno _l'antipapa
Benedetto_, e dacchè fu rientrato in pacifico possesso di Avignone,
tanto seppe girar gli affari col far credere a chi non per anche
assai il conosceva la sua prontezza a dimettere il papato[2227], se si
fosse convenuto con _papa Bonifazio_, dipinto da lui come ostinato in
mantenere lo scisma, che gli fu restituita l'ubbidienza da' Franzesi.
Ora il furbo Spagnuolo, per maggiormente accreditarsi fra quei del suo
partito, e dar ad intendere la sua buona volontà per la riunion della
Chiesa, spedì in quest'anno verso il fin di settembre due vescovi con
tre altri suoi ambasciatori a Roma per proporre a papa Bonifazio, non
già, come andò spacciando, la vicendevol cessione del pontificato, ma
bensì un abboccamento fra loro in un luogo determinato. Teodorico da
Niem, autore molto sospetto agli annalisti pontifizii, scrive[2228]
che Bonifazio ricusò ogni partito, con sostenere ch'egli era vero
papa, nè dover egli mettere in dubbio la legittima sua dignità. Al
che risposero gli ambasciatori che il loro papa non era simoniaco,
quasi tacitamente accusando Bonifazio di questo reato: del che egli
molto si offese, ed eccessivamente montò in collera. Tale agitazion
d'animo, e il mal di pietra, per cui era gravemente da qualche tempo
afflitto esso pontefice, accrebbe sì fattamente i suoi incomodi,
che nel dì primo d'ottobre diede fine alla sua vita. Non mancavano
a Bonifazio delle belle doti, che il faceano degno del sublime suo
ministero; ma i tempi disastrosi, ne' quali egli si trovò, cagion
furono ch'egli piuttosto distrusse, che edificò. Il bisogno di far
fronte all'antipapa, e di difendersi dagli aderenti di lui avversarli
suoi, e di ricuperar le terre della Chiesa, l'obbligò a cercar danaro
per tutte le vie. Ne' primi anni del suo pontificato, perchè vi erano
cardinali zelanti e nemici delle cose mal fatte, andò con qualche
riguardo; ma infine si diede a vendere tutte le grazie, tornò in
campo, dilatò e stabilì maggiormente il pagamento delle annate per
chi voleva vescovati ed altri benefizii. Allora furono in corso le
espettative, date talvolta a più persone dello stesso benefizio, e
talvolta rivocate per cavar danaro da altri; allora si videro in grande
uso le unioni de' benefizii, le dispense anche per li regolari, ed
altre invenzioni per raccoglier moneta, delle quali parla Teodorico
da Niem, accordandosi con lui anche gli autori della Vita di questo
pontefice[2229]. Ebbe madre, fratelli e nipoti. Gli esaltò ed arricchì
per quanto potè. L'uno de' fratelli, cioè _Giannello_, creò marchese
della marca d'Ancona, l'altro duca di Spoleti. Ad uno di questi fece
anche dare dal re Ladislao la contea di Sora con altri Stati. Ma
questi, dopo la di lui morte, andarono tutti in fumo; e Giannello non
tardò a consegnar Perugia e la marca al nuovo papa. Soprattutto è da
dolere che Bonifazio amasse più sè stesso che la Chiesa di Dio. Fece
ben egli premura per un concilio, ma non mai s'indusse ad esibirsi
per ben della Chiesa pronto a rinunziare la sua dignità. Se fatto
l'avesse, avrebbe ognuno abbandonato l'antipapa, qualora anche egli
non avesse fatto altrettanto, e si sarebbe venuto alla riunion della
Chiesa. Congregaronsi poi in Roma nel conclave i nove cardinali che
v'erano, con giurar prima tutti, che chiunque di essi fosse eletto
papa, darebbe sinceramente mano ad abolire lo scisma, ed occorrendo,
rinunzierebbe il papato. Cadde l'elezione nel dì 17 di ottobre in Cosmo
de' Migliorati da Solmona cardinale e vescovo di Bologna, personaggio
molto perito nella scienza legale, pratichissimo degli affari della
sacra corte[2230], di maniere dolci, ed affabile con tutti, e in
gran riputazione presso tutti i principi. Prese il nome _d'Innocenzo
VII_ e nel secondo giorno di novembre fu solennemente coronato. Ma
prima ancora della sua coronazione cominciarono i suoi guai, che non
ebbero mai fine; e questi specialmente per colpa e prepotenza del
_re Ladislao_, ingrato ai benefizii ricevuti della santa Sede, e che
non vide mai misura alcuna nell'avidità del conquistare[2231]. Corse
questo re a Roma con gran copia d'armati, parte per maneggiar ivi
in persona i suoi interessi, affinchè non gli venisse pregiudizio
nel trattare l'union della Chiesa, e parte per difendere, secondo le
apparenze, il papa novello dalle insolenze del popolo romano, il quale
sotto Bonifazio IX, pontefice di gran cuore, stette basso, e morto
lui, col favore de' Colonnesi, rialzò la testa, movendosi a rumore,
con seguirne varii omicidii fra essi e le genti del papa. Ma Ladislao,
invece di pacificarlo col pontefice[2232], sotto mano maggiormente
l'incitò contra di lui, per rendere se stesso più necessario a
trattar dell'accordo. Seguì un tale accordo nel dì 27 d'ottobre, ed è
rapportato intero dal Rinaldi, con patti molto vantaggiosi ai Romani
(il che fece crescere la loro alterigia), e con aver ottenuto Ladislao
di mettere una zampa nella creazione de' loro uffiziali. Aggiunge il
Delaito[2233] che nel dì 20 d'esso ottobre Ladislao occupò castello
Sant'Angelo, e vi mise sua guarnigione. Dovette fingere di farlo per
bene del papa, a cui, secondo Sozomeno, fu riservato San Pietro con
esso castello. Tuttociò non di meno fu un nulla rispetto a quello che
andremo vedendo.
Nel gennaio dell'anno presente[2234] la duchessa di Milano, che si era
ritirata in quel castello, fatti a sè venire con belle parole Antonio e
Galeazzo Porri con Galeazzo Aliprandi, autori della passata sedizione,
fece lor mozzare il capo. Ottenne ancora che si richiamasse il fuggito
Francesco Barbavara, e tornasse a seder nel consiglio; ma poco vi durò
costui, perchè di nuovo sbalzato si sottrasse colla fuga al pericolo
della vita. Nel dì 28 di marzo seguì pace fra i Guelfi e Ghibellini
di Milano, senza però vedersene quel buon frutto che si sperava,
essendo continuate le gare in quella città e nel suo territorio. Peggio
avvenne nel rimanente dello Stato[2235]. I principali condottieri
d'armi che aveano servito al defunto duca, e doveano sostenere il
novello, cominciarono cadauno a voler profittare nell'universale
tempesta e naufragio. Questi erano _Pandolfo Malatesta, Ottobuono de'
Terzi_ da Parma e _Facino Cane_. Tutti dimandavano paghe e ricompense
Vedeano[2236] che _Giorgio Benzone_ avea occupato Crema; _Giovanni
Picciolo_, Bergamo, città che poi venne in potere de' Soardi e de'
Coleoni. _Ugo_ ossia Ugolino Cavalcabò, siccome già dissi, abbattuti i
Ponzoni, s'era solo fatto padrone di Cremona. E perciocchè egli dipoi,
nell'andare a Brescia, fu preso e carcerato da _Astorre Visconte,
Carlo Cavalcabò_ suo nipote nel dì 18 di dicembre prese la signoria di
quella città. In quest'anno medesimo, se pur non fu nel precedente,
_Giovanni da Vignate_ s'era impossessato di Lodi. Tutto insomma
andava a ruba, e da per tutto regnava la confusione. Si credeano quei
condottieri di meritar molto più. Per ciò anche _Facino Cane_ prese
la signoria d'Alessandria e d'altre terre, facendo nondimeno vista di
tenerle a nome del conte di Pavia. _Pandolfo Malatesta_ insistè così
forte, che la duchessa condiscese a cedergli Brescia in guiderdone
de' suoi servigi, ed egli ne entrò in possesso. Scrivono altri che
anch'esso colla forza ne occupò il dominio. _Ottobuono de' Terzi_
neppur egli stette colle mani alla cintola. Collegatosi con _Pietro
de' Rossi_, proditoriamente nel dì 8 di marzo entrò in Parma, e ne
partì poi il dominio col Rossi. Ma di lì a poco, avendo escluso il
collega, ne usurpò tutta la signoria per sè con gran dolore della
fazion guelfa, che teneva per suo capo il Rossi. E perciocchè nel dì
16 uno di questa fazione uccise uno dei provvisionati di Ottobuono,
questo fiero serpente co' suoi soldati sfogò il suo sdegno contro gli
amici de' Rossi, senza neppure perdonare a donne, vecchi e fanciulli.
Trecento e quattordici di quella fazione rimasero vittima del suo
barbarico furore, e poi mandò que' cadaveri sopra delle carra ad una
terra de' Rossi. Erasi già ribellata Piacenza al duca di Milano, e
n'erano divenuti padroni gli _Scotti_. Portossi colà Ottobuono colle
sue milizie, e con iscacciarne gli Scotti, ebbe in suo potere ancor
quella città, eccettochè le fortezze, le quali tuttavia si tenevano
pel duca di Milano. Fu invitato nel seguente aprile anche il _marchese
Niccolò_ _Estense_ signor di Ferrara e Modena dai cittadini di Reggio,
desiderosi di sottomettersi al placido di lui governo. Vi spedì egli le
soldatesche sue sotto il comando di Uguccion de' Contrarii, di Sforza
Attendolo, ch'egli avea preso ai suoi servigi, e d'altri valorosi
capitani. Nel primo giorno di maggio quel popolo assediato levò rumore,
e, prese le armi, si diede al marchese. Entrarono le sue genti in
Reggio, formarono anche l'assedio della cittadella; ma ciò saputosi
da Ottobuon Terzo, si dispose per soccorrer quella città, mostrando
di farlo a nome del duca di Milano; e sotto questo colore s'impadronì
ancora di quella città, dalla quale si ritirarono per tempo le milizie
estensi. Nè tardò costui a far delle irruzioni e de' fieri saccheggi
nel territorio di Modena. Ma fra gli altri gravissimi sconcerti
del ducato milanese, orrido fu quello della discordia nata fra il
giovinetto _duca Giovanni Maria_ e _Caterina duchessa_ sua madre, già
figliuola di _Bernabò Visconte_. Ritiratasi questa a Monza, Francesco
Visconte, allora prepotente, segretamente inviò colà gente armata,
che introdotta nella notte del dì 15 d'agosto in quella nobil terra,
prese la duchessa, la condusse nel castello di Milano, dove da lì a
poco tempo diede fine alla vita, e comunemente fu creduto per veleno.
Se v'ebbe parte il duca suo figliuolo, come alcuni vogliono, Dio non
aspettò a punir questo gran misfatto nell'altra vita. Poco mancò che
_Pandolfo Malatesta_, trovandosi colla duchessa in essa terra di Monza,
non fosse anch'egli preso. Ebbe la fortuna di salvarsi scalzo sino
a Trezzo, da dove poi si ridusse a Brescia. Forse la cessione a lui
fatta di Brescia fu uno de' reati della duchessa medesima. Abbiamo da
Sozomeno[2237] che anche il giovinetto _Filippo Maria Visconte_, che
già vedemmo conte di Pavia, fu in questo anno carcerato da Zacheria
potente cittadino di quella città. Prevalendosi di questo buon tempo
anche _Teodoro marchese_ di Monferrato, occupò ad esso Filippo Maria le
città di Vercelli e Novara con altre terre del Piemonte. Alcune terre
ancora vennero in potere del marchese di Saluzzo. Ecco dunque tutto
in conquasso, anzi quasi affatto per terra la dianzi sì formidabil
signoria de' Visconti.
Durava tuttavia l'odio di _Alberico conte_ di Barbiano contra di
Astorre dei Manfredi signor di Faenza, nulla men volendo che lo
sterminio di lui[2238]. Egli era divenuto più poderoso per l'acquisto
di Castel Bolognese e d'altri luoghi di Romagna dopo la guerra di
Bologna; e però, continuando le ostilità contra di lui, il ridusse
a tale, che per non cadere in mano di questo inesorabil nimico,
ceduta Faenza al _cardinal Cassa_ legato di Bologna per venticinque
mila fiorini d'oro, colle lagrime agli occhi si ritirò a Forlì sotto
la protezione di _Carlo Malatesta_ suo parente; poscia ad Urbino,
dove abitò in molta povertà, perchè non colse il danaro promessogli
dal legato, uomo per altri conti di poca fede. In Toscana[2239] i
Fiorentini, veggendo in sì fiero scompiglio lo Stato de' Visconti,
entrarono in isperanza di conquistar Pisa, massimamente per un
secreto trattato che ivi aveano manipolato con alcuno di que' potenti
cittadini. Signore allora di Pisa era _Gabriello Maria Visconte_
figliuolo del defunto duca, ma uomo di poco senno, il quale, in vece
di conciliarsi sul principio l'affetto del popolo, se ne tirò addosso
l'odio a cagion delle sue estorsioni. L'armata de' Fiorentini andò
fin sotto Pisa, ma, non essendosi fatto movimento alcuno in quella