Annali d'Italia, vol. 5 - 51
14 di novembre capitolarono la resa. Lo strumento di essa dedizione
vien rapportato da Benvenuto da San Giorgio[1756]. Per questa perdita
presero brutta piega gli affari del marchese Giovanni. Secondo il
Corio[1757], in questo medesimo anno esso Galeazzo ricuperò la città
di Como, che colla Valtellina se gli era ribellata. Bernabò diede
principio ad un mirabil ponte d'un arco solo sopra l'Adda a Trezzo, e
fece fabbricar cittadelle a Brescia, Bergamo, Cremona, Pizzighettone,
Crema, Pontremoli, Lodi, Sarzana ed altri luoghi. E perciocchè Galeazzo
suo fratello[1758] avea cominciato in Milano il castello di Porta
Zobbia, anch'egli si mise a fabbricarne un altro nel sito dove ora è
lo spedal maggiore. Quanto a Genova, se la pace entrava talvolta in
quella città[1759], bisognava ben che s'aspettasse d'uscirne in breve
per l'instabilità e bollore di quelle teste. _Gabriello Adorno_, allora
doge di quella città, benchè persona esente da ogni taccia di tirannia,
anzi lodevole in tutte le azioni sue, pure non giugneva a contentare
un popolo che troppo amava le novità, diviso per le fazioni guelfa e
ghibellina. Nel 13 d'agosto contra di lui insorse coll'armi una parte
del popolo. Fece egli sonar campana a martello per aver soccorso,
e niuno si mosse per lui. Fu preso per forza il palazzo ducale, ed
allora molti de' mercatanti e del popolo si ridussero alla chiesa
de' frati minori, dove proclamarono doge _Domenico da Campofregoso_,
mercatante ghibellino di molta prudenza e ricchezze. Per maggior sua
sicurezza fece egli ritenere il deposto Adorno, e mandollo prigione a
Voltabio, facendolo custodire da buone guardie. L'anno fu questo[1760],
in cui la città di Lucca, dopo tanti anni di servitù, ricuperò la sua
libertà, per maneggio specialmente de' Fiorentini, assai informati
de' movimenti di Bernabò Visconte, per ottenerla o con danari o colla
forza. Venticinque mila fiorini sborsati al _cardinal Guido_, che n'era
governatore, il fecero andar con Dio, e lasciar libero quel popolo,
il quale fra le allegrezze della ricuperata libertà non dimenticò di
atterrare l'odiata cittadella dell'Agosta, siccome quella che avea
tenuto sempre in addietro il giogo addosso alla città.
NOTE:
[1746] Raynaldus, Annal. Eccles.
[1747] Vita Urbani V, P. II, tom. 3 Rer. Ital.
[1748] Petrarcha, lib. 13 Rer. Sen., epistol. 13.
[1749] Chron. Placentin., tom. 16 Rer. Ital.
[1750] Chron. Bononiens., tom. 18 Rer. Ital.
[1751] Georgius Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
[1752] Matth. de Griffonibus, Chron. Bononiens., tom. 18 Rer. Ital.
[1753] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
[1754] Chronic. Estens., tom. 15 Rer. Ital.
[1755] Petrus Azarius, Chron., tom. 16 Rer. Ital. Chron. Placentin.,
tom. eod.
[1756] Benvenuto da San Giorgio, Istoria del Monferrato, tom. 23 Rer.
Ital.
[1757] Corio, Istor. di Milano.
[1758] Annal. Mediolan., tom. 16 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCLXXI. Indiz. IX.
GREGORIO XI papa 2.
CARLO IV imperadore 17.
Fecero gran rumore in Italia nel presente anno le calamità della città
di Reggio[1761]. Padrone d'essa _Feltrino da Gonzaga_ tirannescamente
opprimeva quel popolo, che perciò nulla più desiderava che di passar
sotto altro signore. I Boiardi, Roberti, Manfredi, principali d'essa
città, ne fecero parola al _marchese Niccolò_ d'Este signor di Ferrara
e Modena, rappresentandogli facile l'acquisto per la disposizion
favorevole di que' cittadini. La voglia di slargare i confini, da cui
non va esente alcuno de' principi; l'aver Feltrino usati in addietro
varii tradimenti ed insolenze al marchese; e le pretensioni che
tuttavia nudriva la casa d'Este sopra di Reggio, posseduto già da essa
anche nel principio del corrente secolo, gli fecero dare il consenso
a questa tentazione. Richiedeva l'impresa delle forze, e perciò prese
egli al suo soldo la compagnia di masnadieri di varie nazioni, messa
insieme dal _conte Lucio_ di Suevia, non so se fratello del già ucciso
conte Lucio Corrado, uomo che anche egli col prendere il soldo altrui,
o pur colle rapine e coi saccheggi manteneva le truppe sue. Sul Sanese
aveano costoro bruciate circa due mila case[1762], e spremuto da quel
comune per accordo otto mila fiorini d'oro a' dì 22 di marzo. Vennero
pel Bolognese a guisa di nemici; e il marchese, per coprire i suoi
disegni, gl'inviò sotto Sassuolo, mostrando di voler quivi piantare
una bastia, giacchè durava la guerra contra di _Manfredino_ signor
di quella terra. Poscia nel dì 7 d'aprile segretamente cavalcò la
gente del marchese a Reggio, sotto il comando di Bechino da Marano; e
presa la porta di San Pietro per forza, entrò vittoriosa nella città.
Feltrino da Gonzaga si rifugiò nella cittadella, e tenne forte anche
due porte della stessa città. Arrivò intanto lo scellerato conte
Lucio colle sue sfrenate masnade. L'ordine era, ch'egli non entrasse
nella città, per ischivare i disordini; ma costui trovò la maniera di
introdurvisi con promessa di non danneggiare i cittadini. Ma appena
quelle inique milizie furono dentro, che diedero un orrido sacco alle
case, ai sacri templi, con tutte le più detestabili conseguenze di
sì fatte inumanità. Nè ciò bastando allo iniquo condottiere, dacchè
intese che _Feltrino_ trattava con _Bernabò Visconte_ di vendergli
Reggio, anch'egli concorse al mercato. Venne per questo a Parma
Bernabò, dopo avere spedito a Feltrino _Ambrosio_ suo figliuolo (già
liberato per danari dalle carceri di Napoli) con aiuto di gente. Fu
conchiuso il contratto fra lui e il Gonzaga nel dì 17 di maggio, come
apparisce dallo strumento, per cui comperò Bernabò la città di Reggio
pel prezzo di cinquanta mila fiorini d'oro, con lasciare a Feltrino
il dominio di Novellara e Bagnolo, che erano del distretto di Reggio.
Altri venticinque mila fiorini (quaranta mila dicono gli Annali
Milanesi[1763]) pagò il Visconte al conte Lucio, affinchè gli desse
libera la città. Dopo di che tanto il Gonzaga, che il conte Lucio si
ritirarono, comandando costui alle genti del marchese d'andarsene,
altrimenti avrebbe contra di loro adoperata la forza.
Enorme fu il tradimento; e pur con tanti esempi della mala fede di
questi iniqui masnadieri, i principi d'Italia li conducevano al
loro servigio; e il conte Lucio appunto passò da Reggio al soldo
di _Giovanni marchese_ di Monferrato, contro al quale aspramente
guerreggiava _Galeazzo Visconte_. Scrisse il Corio[1764], e prima
di lui l'autore degli Annali Milanesi, essere state le milizie di
Bernabò che diedero l'esecrabil sacco alla città di Reggio. La Cronica
Estense[1765], siccome ho detto, e Matteo Griffone[1766] attribuiscono
tanta iniquità alle soldatesche del conte Lucio. Ebbe bene a rodersi
le dita per sì infelice impresa il _marchese Niccolò_. Non solamente
non acquistò egli Reggio, ma servì lo sforzo suo a farla cadere in
mano del maggiore e più potente nemico ch'egli avesse; e fu la rovina
di quella sfortunata città, la quale rimase desolata, essendosene
ritirata buona parte de' cittadini o per le miserie sofferte, o per
non restare sotto il duro dominio del crudele Bernabò Visconte. Poco
stette ancora l'Estense a pagarne il fio, perchè _Ambrosio Visconte_
nel dì 14 d'agosto con ischiere copiose d'armati diede il guasto al
territorio di Modena, arrivò sul Ferrarese, assediò il Bondeno, e fece
inestimabil preda di persone e bestiami. Le mire di Bernabò andavano
oramai sopra Modena stessa: del che sommamente furono scontenti e in
pena _papa Gregorio_ e tutti i collegati, veggendo crescere sempre
più la potenza del possente Biscione. Contro le forze di _Galeazzo
Visconte_ non potea intanto reggere _Giovanni marchese_ di Monferrato,
ed avea già perduta parte del suo paese. Appigliossi dunque al partito,
siccome dicemmo, di condurre al suo soldo l'infedel _conte Lucio_, la
cui compagnia si faceva ascendere a circa cinque mila uomini d'armi,
oltre a gran quantità di balestrieri ed arcieri a piedi[1767]. Venne
Galeazzo Visconte a Piacenza, e quivi ammassò l'esercito suo, composto
di diverse nazioni, Italiani, Tedeschi, Ungheri, Spagnuoli, Guasconi
e Bretoni, con disegno d'impedire il passo a questi masnadieri. Ma
alle pruove giudicò meglio di non far loro resistenza. Passarono
dunque in Monferrato sul principio di giugno, e l'arrivo loro impedì
che Galeazzo non facesse alcun altro progresso nell'anno corrente.
Nel dicembre di quest'anno l'odio inveterato, che l'un contra l'altro
covavano i _Veneziani_[1768] e _Francesco da Carrara_ signor di Padova,
finalmente scoppiò in un'aperta dissensione e in preparamenti di
guerra. Gli autori veneti ne attribuiscono, e più probabilmente, la
colpa a Francesco da Carrara, che, alzato in superbia per la protezione
di _Lodovico_ potentissimo _re d'Ungheria_, avea fabbricato varie
castella, argini e chiuse oltre la palude d'Oriago, e in altri siti
che il comune di Venezia pretendea suoi. All'incontro, gli storici
padovani[1769] scrivono avere i Veneziani per odio ed invidia, e senza
ragione, mossi cotali pretesti per vendicarsi del Carrarese a cagion
della assistenza già data al re d'Ungheria, allorchè venne all'assedio
di Trivigi; giacchè non altrove avea Francesco fabbricato quelle ville
e fatte le fortificazioni, se non sul distretto di Padova.
NOTE:
[1759] Georgius Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
[1760] Ammirat., Istoria Fiorentina, lib. 13.
[1761] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
[1762] Cronica di Siena, tom. 15 Rer. Ital.
[1763] Annales Mediolan., tom. 16 Rer. Ital.
[1764] Corio, Istoria di Milano.
[1765] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
[1766] Matth. de Griffonibus, Chron. Bononiens., tom. 18 Rer. Ital.
[1767] Chronic. Placentin., tom. 16 Rer. Ital.
[1768] Caresin., Chronic., tom. 12 Rer. Ital. Sanuto, Cron., tom. 22
Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCLXXII. Indizione X.
GREGORIO XI papa 3.
CARLO IV imperadore 18.
Secondo il Guichenone[1770], _Giovanni marchese di Monferrato_,
principe glorioso, forse per gli affanni patiti ne' sinistri successi
della sua guerra con _Galeazzo Visconte_, gravemente s'infermò e
terminò i suoi giorni. Nella Cronica di Piacenza[1771] è scritto che
la sua morte accadde nel dì 13 di marzo del 1371. Ma il testamento
e i codicilli di questo principe dati alla luce da Benvenuto da
San Giorgio[1772], benchè non assai esatti nelle note cronologiche,
abbastanza ci assicurano esser egli passato all'altra vita dopo il dì
14 di marzo dell'anno presente, e prima del dì 20 d'esso mese. Sotto
la protezion del papa lasciò suo erede nel Monferrato _Secondotto_ suo
primogenito; e la città d'Asti volle che fosse per indiviso di esso
Secondotto, e di GIOVANNI, TEODORO e _Guglielmo_ altri suoi figliuoli,
e di _Ottone duca_ di Brunsvich suo parente, al quale avea anche donato
varie altre castella, deputandolo per tutore e curatore de' suddetti
suoi figliuoli insieme con _Amedeo conte di Savoia_. Aveva egli tenuto
Ottone di Brunsvich in addietro per suo principal consigliere, e quasi
secondo padrone di quegli Stati: cotanta era la sua onoratezza, fedeltà
e prudenza. Maggiormente si applicò esso duca da lì innanzi a sostener
gl'interessi di quei principi giovinetti. Ma si trovava egli in gravi
pericoli, perchè _Galeazzo Visconte_ minacciava la città d'Asti, e in
fatti passò ad assediarla nell'anno presente. Trattò di pace il duca
di Brunsvich, ma ritrovate troppo alte le pretensioni di Galeazzo, che
a tutte le maniere voleva Asti, se ne ritornò alla difesa di quella
città e del Monferrato, con implorar l'aiuto del suddetto Amedeo conte
di Savoia, valoroso principe di questi tempi. Era il conte cognato
di Galeazzo, cugino de' figliuoli del fu marchese Teodoro, e perciò
sembrava irresoluto; ma l'essersi _Federigo marchese_ di Saluzzo
collegato coi Visconti, e il timore che il crescere di Galeazzo non
ridondasse in proprio danno, gli persuasero di entrare in lega col
Monferrato. Inoltre seppe così ben rappresentare al papa la necessità
di reprimere i Visconti[1773], siccome gente vogliosa di assorbir
tutta l'Italia, che il trasse seco in lega, e n'ebbe gran rinforzo
di gente e danari. Erano unite anche le altre milizie pontificie con
quelle del _marchese Niccolò Estense_, di _Francesco da Carrara_ e
de' _Fiorentini_, per resistere in altre parti alle forze di _Bernabò
Visconte_. Quanto al Monferrato, durò lungo tempo l'assedio d'Asti:
v'andò un potente soccorso del conte di Savoia; seguirono varii
combattimenti colla peggio de' Visconti[1774]; e in fine sì vigorosa
difesa fecero di quella città il conte ed Ottone duca di Brunsvich,
con aver anche prese le bastie del Visconte, che Galeazzo fu forzato a
ritirarsi colle mani vote.
Altro destino ebbe la guerra di Bernabò col marchese estense.
_Ambrosio_ suo figliuolo bastardo, scelto per capitano colla sua
armata, collegato con _Manfredino signor di Sassuolo_, venne da Reggio
a dare il guasto al territorio di Modena[1775]. Gli furono a fronte
le genti del marchese, del legato pontificio, del Carrarese e de'
Fiorentini, e corsero anche esse a' danni del Sassolese. Poscia nel
dì 2 di giugno vennero alle mani le due nemiche armate. La sanguinosa
battaglia durò ore quattro continue; voltò in fine la spalle quella
de' collegati, con essere rimasti prigionieri _Francesco e Guglielmo
da Fogliano_, nobili reggiani, capitani dell'Estense e della Chiesa, e
_Giovanni Rod_ Tedesco capitano de' Fiorentini, e circa mille soldati.
Nè si dee tacere una delle tante crudeltà di Bernabò. Nel dicembre di
quest'anno fece intimar la morte al suddetto Francesco da Fogliano,
se non gli consegnava tutte le castella esistenti nel Reggiano. Ma
non era in sua mano il darle, perchè v'era guarnigione del papa e del
marchese Niccolò; e _Guido Savina_ suo fratello, che in esse castella
soggiornava, benchè scongiurato, sempre ricusò di consegnarle. Fece
Bernabò ignominiosamente impiccare quel prode cavaliere: barbarie
divolgata e detestata per tutta l'Italia. La perdita della battaglia
suddetta, che si tirò dietro la presa di Correggio, venne da lì a non
molto riparata coll'arrivo di numerose squadre d'armati, spedite dal
_cardinal Pietro Bituricense_, venuto nel gennaio a Bologna legato
apostolico, e da _Giovanna regina_ di Napoli. Queste impedirono a
Bernabò il piantare intorno a Modena due bastie, che gli erano costate
sessanta mila fiorini d'oro. Ma perciocchè esso Bernabò, volendo
prestar soccorso al fratello _Galeazzo_[1776], contra di cui era
marciato con molte forze _Amedeo conte di Savoia_, spedì verso Asti il
figliuolo Ambrosio, e buona parte dell'esercito suo[1777]: l'armata
de' collegati s'inoltrò sul Reggiano e Parmigiano, dove fece immenso
bottino, e rovinò il paese per otto giorni. Oltre a ciò, la compagnia
degl'Inglesi, sotto il comando di _Giovanni Aucud_, che militava per
Bernabò Visconte, terminata la sua ferma, e disgustata, perchè non
le fu permesso di venire a battaglia col conte di Savoia, passò ai
servigi del papa e de' collegati; e giunta sul Piacentino, dopo aver
prese parecchie castella di quel contado, quivi dolcemente si riposò
nel verno alle spese de' miseri popoli. Verso lo stesso territorio di
Piacenza si inviò nel novembre il conte di Savoia col disegno di entrar
sul Milanese; ma i fiumi grossi e le buone difese fatte dai Visconti
fecero abortir le sue idee[1778]. Eransi già ritirate ai quartieri
le milizie de' collegati, ed era seguita una tregua con Bernabò per
mezzo del re di Francia, quando Ambrosio Visconti, senza saputa del
padre (per quanto si fece credere), cavalcò con tutte le sue genti di
armi sul Bolognese[1779] nel dì 18 di novembre, dove diede un terribil
guasto, e bruciò case e palagi. Arrivò fino alle porte di Bologna
all'improvviso, niuno aspettando tal visita in vigor della tregua.
Ne menò via ben tre mila buoi, e il danno recato si fece ascendere
fino a secento mila fiorini d'oro. In Pavia nel dì 3 di settembre di
quest'anno finì di vivere _Isabella_ moglie del giovane _Galeazzo
Visconte_ conte di Virtù, e figliuola di _Giovanni re di Francia_,
principessa che per le sue rare virtù si truova sommamente encomiata
negli Annali di Milano e di Piacenza.
Non ostante che s'interponessero gli ambasciatori del legato
pontificio, dei Fiorentini e Pisani, per impedir la guerra che s'andava
preparando fra i _Veneziani_ e _Francesco da Carrara_ signor di Padova,
maniera non si trovò per quetar le differenze[1780]. Severamente
furono gastigati alcuni nobili veneti amici del Carrarese, che gli
rivelavano i segreti del consiglio. Ma ciò che maggiormente irritò
il senato veneto, fu l'avere scoperta un'indignità del Carrarese,
il quale segretamente avea spediti a Venezia alcuni suoi sgherri per
levar di vita certi altri nobili suoi nemici, perchè attraversavano
i trattati della concordia. A molti di quegli assassini costò la
vita lo scoprimento del disegno; e per questo si venne all'armi.
Gli avvenimenti di essa guerra, in cui fu assistito il Carrarese
da _Lodovico re_ d'Ungheria, furono varii, e veggonsi diffusamente
descritti dal Caresino, dal Redusio e dai Gatari. Fino poi a questo
anno erano durate le fiere nemicizie e guerre fra i re di Napoli
Angioini e i re di Sicilia Aragonesi[1781]. Dacchè il _re Pietro_ tolse
al _re Carlo I_ la Sicilia, non mai durevol pace seguì fra loro; nel
presente anno finalmente stabilirono un accordo _Giovanna regina_ di
Napoli e don _Federigo d'Aragona re_ di Sicilia, essendosi indotto
l'ultimo a riconoscere dalla regina in feudo quell'isola, e di pagarle
annualmente a titolo di censo tre mila once d'oro, cadauna delle quali
valeva cinque fiorini d'oro, e per conseguente quindici mila fiorini
d'oro per anno: somma veramente pesante; e di usare il titolo di re
di Trinacria, e non già di Sicilia, riserbato alla regina Giovanna.
Il Fazello[1782] con error grave fa mancato di vita il re Federigo
nell'anno 1368. Gli Atti pubblicati dal Rinaldi il comprovano vivo in
quest'anno, ed autore della suddetta concordia, la quale fu approvata
dal papa. Diede bensì fine al suo vivere nel dì 11 di luglio dell'anno
presente[1783] _Malatesta Unghero_ signore di Rimini, e, secondo la
Cronica di Bologna[1784], _della sua morte fu gran danno, perchè era
prode uomo, come sono stati sempre i Malatesti_. Il dominio degli
Stati rimase a _Galeotto_ suo zio e a _Pandolfo_ suo fratello, il
quale nell'anno appresso fece anch'egli fine a' suoi giorni. Facendosi
in quest'anno la coronazione di _Pietro re_ di Cipri, a cagion della
precedenza fra i balii o consoli, insorse gran rissa fra i Veneziani e
Genovesi[1785]. In favore de' primi furono i Cipriotti: laonde alquanti
Genovesi vennero uccisi, oppure precipitati dai balconi. Portata questa
disgustosa nuova a Genova, si sollevò gran rabbia e tumulto in quel
popolo, nè tardò quel doge _Domenico da Campofregoso_ a mettere in
ordine una possente armata marittima, di cui fu ammiraglio _Pietro
da Campofregoso_, fratello del doge, per passare in Cipri a farne
vendetta. Questo accidente risvegliò l'antica gara ed odio fra le due
nazioni veneta e genovese, onde ne seguirono poi sconcerti e guerre
implacabili.
NOTE:
[1769] Gatari, Ist. Pad., tom. 17 Rer. Ital.
[1770] Guichenon, Histoire de la Maison de Savoye.
[1771] Chron. Placentin., tom. 16 Rer. Ital.
[1772] Benvenuto da S. Giorgio, Istoria di Monferrato, tom. 23 Rer.
Ital.
[1773] Raynaldus, Annal. Eccles.
[1774] Cronica di Siena, tom. 15 Rer. Ital.
[1775] Annales Mediolan., tom. 16 Rerum Italic. Chronic. Placentin.,
tom. eod. Chronic. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
[1776] Corio, Istor. di Milano.
[1777] Annal. Mediolan., tom. 16 Rer. Ital.
[1778] Gazata, Chron., tom. 18 Rer. Ital.
[1779] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
[1780] Caresin., Chron. Venet., tom. 12 Rer. Ital. Gatari, Istor.
Padov., tom. 17 Rer. Ital. Andreas de Redusio, Chron., tom. 19 Rer.
Ital.
[1781] Raynaldus, Annal. Eccles.
[1782] Fazell., de Reb. Sic., lib. 9, cap. 6.
[1783] Cronica di Rimini, tom. 15 Rer. Ital.
[1784] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCLXXIII. Indiz. XI.
GREGORIO XI papa 4.
CARLO IV imperadore 19.
Per continuare la guerra contro i Visconti _papa Gregorio XI_, come si
usava in questi sì sconcertati tempi, impose le decime nell'Ungheria,
Polonia, Dania, Svezia, Norvegia ed Inghilterra. L'oro indi raccolto
servì ad accrescere le due armate, destinate l'una in Piemonte contra
di _Galeazzo Visconte_, e l'altra sul Modenese contra di _Bernabò_, di
lui fratello; i quali Visconti erano stati di nuovo scomunicati nella
pubblicazion della bolla _In Coena Domini_. La vendetta che ne fece
Galeazzo[1786], fu di spogliar gli ecclesiastici sottoposti al suo
dominio, e di esiliarli. Più discreto in questo fu Bernabò, quantunque
opprimesse i suoi anche egli con esorbitanti gravezze. Ora giacchè
era finita la tregua, senza che si fosse potuto intavolar pace fra i
Visconti e i collegati, _Bernabò_ nel dì 5 di gennaio spedì parte del
suo esercito ai danni del Bolognese[1787], cioè mille uomini d'armi da
tre cavalli l'uno, e trecento arcieri. Questa masnada pervenne sino a
Cesena saccheggiando tutto il paese. Ma mentre carichi di preda se ne
tornavano indietro, venne con loro alle mani, nel passare verso San
Giovanni il fiume Panaro[1788], _Giovanni Aucud_ coi suoi Inglesi e coi
Bolognesi, e li mise in rotta, con far prigioni circa mille persone.
Secondo la Cronica di Piacenza[1789], la maggior parte degli sconfitti
si salvò colla fuga; ma non è da credere, perchè erano in paese nemico.
Poscia nel dì 20 di febbraio il legato della Chiesa coll'esercito
marciò verso Piacenza e Pavia, e si impadronì del castello San
Giovanni. Quasi tutte le altre castella del Piacentino ed alcune del
Pavese, prevalendo in esse i Guelfi, si ribellarono a _Galeazzo_,
dandosi al legato; il che poi fu la loro rovina. Nello stesso tempo
_Amedeo conte di Savoia_ con un'altra poderosa armata passò il Po e il
Ticino, e giunse sino alle porte di Pavia, dove distrusse i giardini
di _Galeazzo Visconte_. Poscia, venuto sul territorio di Milano, si
accampò a Vicomercato, dove si fermò alquanti mesi, facendo scorrerie,
e mettendo in contribuzione tutto il paese. Seco erano _Ottone duca_
di Brunsvich e _Luchinetto Visconte_. S'inoltrò poscia sul Bresciano a
cagion di un trattato di tradimento che avea in Bergamo. Colà penetrò
colle sue genti anche il legato pontificio, chiamato in aiuto; e le
sue masnade in saccheggi ed incendii si studiarono di non essere da
meno degli altri. Affinchè non si unissero col conte di Savoia, accorse
l'armata de' Visconti, e presso Monte Chiaro disfece buona parte di
esso esercito pontificio, colla morte di circa settecento uomini, e
coll'acquisto di cinquecento cavalli. Ma nel dì 8 di maggio comparendo
colle loro squadre inglesi e franzesi _Giovanni Aucud_ e il _signore di
Cussì_, benchè inferiori di gente, diedero una gran rotta all'esercito
de' Visconti nel luogo di Gavardo, ossia al ponte del fiume Chiesi,
dove rimasero prigionieri moltissimi nobili italiani e tedeschi,
distesamente annoverati dall'autore della Cronica Estense[1790]. Fra
i principali si contarono _Francesco marchese_ d'Este fuoruscito di
Ferrara; _Ugolino_ e _Galeazzo marchesi_ di Saluzzo, _Castellino da
Beccheria, Romeo de' Pepoli, Gabriotto da Canossa, Federigo da Gonzaga,
Beltramo Rosso da Parma_, e _Francesco da Sassuolo_, quel medesimo
che, per avere ucciso il nobil uomo _Gherardo de' Rangoni_ da Modena,
occasionò la presente guerra. _Gian-Galeazzo_ conte di Virtù, figliuolo
di _Galeazzo_, che si trovò in quel frangente, per miracolo si salvò.
Narra il Gazata[1791] che in questi tempi passò per Milano e per Pavia
un vescovo nipote del papa con seguito di cinquanta persone, il quale
si esibì ai fratelli Visconti di trattar di pace col papa. Fu ben
veduto, e gli fu dato salvocondotto per passare al campo del conte di
Savoia, che si trovava allora sul Milanese. Ma Galeazzo, tenendogli
buone spie alla vita, scoprì ch'egli portava seco cento venti mila
fiorini d'oro per le paghe del conte. Buon boccone fu questo per lui;
tutto sel prese, facendo poi dire al prelato che con sicurezza se
n'andasse, ma che non dovea portar sussidii ai suoi nemici. Partissi
nel dì 13 di maggio da Sassuolo _Manfredino_ signor di quella terra per
andare a Firenze. Appena fu fuori, che quegli abitanti gli serrarono le
porte dietro. Volle rientrare, ma non potè. Fu appresso data la terra
al _marchese Niccolò Estense_; e così andarono dispersi da lì innanzi i
signori di Sassuolo con gastigo meritato da essi per la ribellione al
loro signore, e per l'ingiusto ammazzamento del Rangone. All'incontro
_Guido Savina da Fogliano_, staccatosi dalla lega, s'accordò con
_Bernabò Visconte_, sottomettendo a lui ventiquattro castella ch'egli
possedeva nel Reggiano, e ne riportò dei vantaggiosi patti. _Giovanni
vescovo_ di Vercelli della casa del Fiesco in quest'anno colle milizie
della Chiesa e colla fazion de' Brusati proditoriamente tolse a
_Galeazzo Visconte_ quella città, ma non già la cittadella, che si
sostenne. In tale occasione barbaricamente essa città tutta fu posta a
sacco, non men di quello che era succeduto alla città di Reggio. Era
stato cagione l'avvicinamento del conte di Savoia[1792] che alcune
valli del Bergamasco, per commozione de' Guelfi, s'erano ribellate
a _Bernabò Visconte_. Egli perciò spedì colà, nel mese d'agosto, il
prode suo figliuolo _Ambrosio_ con copia grande di gente d'armi per
mettere in dovere que' popoli. Trovavasi Ambrosio nella valle di San
Martino ad un luogo appellato Caprino, quando gl'infuriati rustici il
sorpresero con tal empito, che restò non solamente preso, ma anche
vituperosamente ucciso nel dì 17 d'agosto. Da questo colpo fu anche
aspramente trafitto il cuore di Bernabò suo padre; e però nel prossimo
settembre cavalcò egli in persona con grosso esercito in quella valle,
fece grande scempio di quelle genti, le quali in fine umiliatesi
ritornarono alla di lui ubbidienza. Orrido e lagrimevole accidente
fu l'occorso in quest'anno nella città di Pavia[1793]. Mentre dal
castello si portava alla sepoltura il corpo del defunto giovinetto
_Carlo Visconte_, figliuolo di _Gian-Galeazzo_, nel passare sul ponte,
questo pel peso si ruppe, e caddero nell'acque profonde della fossa
murata da amendue i lati più di ottanta persone nobili di varie città
di Lombardia, e massimamente di Milano e di Pavia, che tutte rimasero
miseramente annegate. Vi si aggiunse un altro caso strano; cioè, appena
rotto il ponte, cominciò un diluvio di pioggia e gragnuola, che durò
più di due ore: il che servì ancora ad impedire ii soccorso di scale
e corde agl'infelici caduti. Il Gazata, autore degno, in questi tempi
di maggior fede, riferisce[1794] questo infortunio al dì 3 d'aprile
dell'anno seguente, e vuole che vi perissero cento e dieci persone
nobili. Dopo la vittoria riportata dall'esercito collegato contra
di _Bernabò_ al fiume Chiesi, _Giovanni Aucud_, trovando che molti
dei suoi Inglesi erano o rimasti estinti nel conflitto o feriti, e
veggendosi in paese nemico senza vettovaglia, oltre all'andare le genti
de' Visconti sempre più crescendo, ritirandosi bel bello, si ridusse
a Bologna. Gli tenne dietro con gran fretta anche il conte di Savoia
coll'esercito suo, e venuto sul Bolognese, quivi si fermò, aspettando
indarno le paghe promesse, con desolar intanto quel territorio amico.
Finalmente esso conte, non osando passare pel Piacentino e Pavese,
fu obbligato, se volle tornare in Piemonte, a prendere la strada
del Genovesato: il che gli costò molte fatiche, e perdita di gente e
cavalli, terminando con ciò la campagna, senza aver preso che poche
castella in Piemonte, e con aver solamente rovinati varii paesi.
_Galeazzo Visconte_ gran guerra fece sul Piacentino, e ricuperò gran
parte delle castella ribellate. Si trattò di pace; ma, non fidandosi
il papa de' Visconti, i suoi ministri ritrovando più conto in seguitar
la guerra, per cui arricchivano molto succiando la pecunia pontificia,
e profittando de' saccheggi, andò per terra ogni trattato, e continuò
vien rapportato da Benvenuto da San Giorgio[1756]. Per questa perdita
presero brutta piega gli affari del marchese Giovanni. Secondo il
Corio[1757], in questo medesimo anno esso Galeazzo ricuperò la città
di Como, che colla Valtellina se gli era ribellata. Bernabò diede
principio ad un mirabil ponte d'un arco solo sopra l'Adda a Trezzo, e
fece fabbricar cittadelle a Brescia, Bergamo, Cremona, Pizzighettone,
Crema, Pontremoli, Lodi, Sarzana ed altri luoghi. E perciocchè Galeazzo
suo fratello[1758] avea cominciato in Milano il castello di Porta
Zobbia, anch'egli si mise a fabbricarne un altro nel sito dove ora è
lo spedal maggiore. Quanto a Genova, se la pace entrava talvolta in
quella città[1759], bisognava ben che s'aspettasse d'uscirne in breve
per l'instabilità e bollore di quelle teste. _Gabriello Adorno_, allora
doge di quella città, benchè persona esente da ogni taccia di tirannia,
anzi lodevole in tutte le azioni sue, pure non giugneva a contentare
un popolo che troppo amava le novità, diviso per le fazioni guelfa e
ghibellina. Nel 13 d'agosto contra di lui insorse coll'armi una parte
del popolo. Fece egli sonar campana a martello per aver soccorso,
e niuno si mosse per lui. Fu preso per forza il palazzo ducale, ed
allora molti de' mercatanti e del popolo si ridussero alla chiesa
de' frati minori, dove proclamarono doge _Domenico da Campofregoso_,
mercatante ghibellino di molta prudenza e ricchezze. Per maggior sua
sicurezza fece egli ritenere il deposto Adorno, e mandollo prigione a
Voltabio, facendolo custodire da buone guardie. L'anno fu questo[1760],
in cui la città di Lucca, dopo tanti anni di servitù, ricuperò la sua
libertà, per maneggio specialmente de' Fiorentini, assai informati
de' movimenti di Bernabò Visconte, per ottenerla o con danari o colla
forza. Venticinque mila fiorini sborsati al _cardinal Guido_, che n'era
governatore, il fecero andar con Dio, e lasciar libero quel popolo,
il quale fra le allegrezze della ricuperata libertà non dimenticò di
atterrare l'odiata cittadella dell'Agosta, siccome quella che avea
tenuto sempre in addietro il giogo addosso alla città.
NOTE:
[1746] Raynaldus, Annal. Eccles.
[1747] Vita Urbani V, P. II, tom. 3 Rer. Ital.
[1748] Petrarcha, lib. 13 Rer. Sen., epistol. 13.
[1749] Chron. Placentin., tom. 16 Rer. Ital.
[1750] Chron. Bononiens., tom. 18 Rer. Ital.
[1751] Georgius Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
[1752] Matth. de Griffonibus, Chron. Bononiens., tom. 18 Rer. Ital.
[1753] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
[1754] Chronic. Estens., tom. 15 Rer. Ital.
[1755] Petrus Azarius, Chron., tom. 16 Rer. Ital. Chron. Placentin.,
tom. eod.
[1756] Benvenuto da San Giorgio, Istoria del Monferrato, tom. 23 Rer.
Ital.
[1757] Corio, Istor. di Milano.
[1758] Annal. Mediolan., tom. 16 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCLXXI. Indiz. IX.
GREGORIO XI papa 2.
CARLO IV imperadore 17.
Fecero gran rumore in Italia nel presente anno le calamità della città
di Reggio[1761]. Padrone d'essa _Feltrino da Gonzaga_ tirannescamente
opprimeva quel popolo, che perciò nulla più desiderava che di passar
sotto altro signore. I Boiardi, Roberti, Manfredi, principali d'essa
città, ne fecero parola al _marchese Niccolò_ d'Este signor di Ferrara
e Modena, rappresentandogli facile l'acquisto per la disposizion
favorevole di que' cittadini. La voglia di slargare i confini, da cui
non va esente alcuno de' principi; l'aver Feltrino usati in addietro
varii tradimenti ed insolenze al marchese; e le pretensioni che
tuttavia nudriva la casa d'Este sopra di Reggio, posseduto già da essa
anche nel principio del corrente secolo, gli fecero dare il consenso
a questa tentazione. Richiedeva l'impresa delle forze, e perciò prese
egli al suo soldo la compagnia di masnadieri di varie nazioni, messa
insieme dal _conte Lucio_ di Suevia, non so se fratello del già ucciso
conte Lucio Corrado, uomo che anche egli col prendere il soldo altrui,
o pur colle rapine e coi saccheggi manteneva le truppe sue. Sul Sanese
aveano costoro bruciate circa due mila case[1762], e spremuto da quel
comune per accordo otto mila fiorini d'oro a' dì 22 di marzo. Vennero
pel Bolognese a guisa di nemici; e il marchese, per coprire i suoi
disegni, gl'inviò sotto Sassuolo, mostrando di voler quivi piantare
una bastia, giacchè durava la guerra contra di _Manfredino_ signor
di quella terra. Poscia nel dì 7 d'aprile segretamente cavalcò la
gente del marchese a Reggio, sotto il comando di Bechino da Marano; e
presa la porta di San Pietro per forza, entrò vittoriosa nella città.
Feltrino da Gonzaga si rifugiò nella cittadella, e tenne forte anche
due porte della stessa città. Arrivò intanto lo scellerato conte
Lucio colle sue sfrenate masnade. L'ordine era, ch'egli non entrasse
nella città, per ischivare i disordini; ma costui trovò la maniera di
introdurvisi con promessa di non danneggiare i cittadini. Ma appena
quelle inique milizie furono dentro, che diedero un orrido sacco alle
case, ai sacri templi, con tutte le più detestabili conseguenze di
sì fatte inumanità. Nè ciò bastando allo iniquo condottiere, dacchè
intese che _Feltrino_ trattava con _Bernabò Visconte_ di vendergli
Reggio, anch'egli concorse al mercato. Venne per questo a Parma
Bernabò, dopo avere spedito a Feltrino _Ambrosio_ suo figliuolo (già
liberato per danari dalle carceri di Napoli) con aiuto di gente. Fu
conchiuso il contratto fra lui e il Gonzaga nel dì 17 di maggio, come
apparisce dallo strumento, per cui comperò Bernabò la città di Reggio
pel prezzo di cinquanta mila fiorini d'oro, con lasciare a Feltrino
il dominio di Novellara e Bagnolo, che erano del distretto di Reggio.
Altri venticinque mila fiorini (quaranta mila dicono gli Annali
Milanesi[1763]) pagò il Visconte al conte Lucio, affinchè gli desse
libera la città. Dopo di che tanto il Gonzaga, che il conte Lucio si
ritirarono, comandando costui alle genti del marchese d'andarsene,
altrimenti avrebbe contra di loro adoperata la forza.
Enorme fu il tradimento; e pur con tanti esempi della mala fede di
questi iniqui masnadieri, i principi d'Italia li conducevano al
loro servigio; e il conte Lucio appunto passò da Reggio al soldo
di _Giovanni marchese_ di Monferrato, contro al quale aspramente
guerreggiava _Galeazzo Visconte_. Scrisse il Corio[1764], e prima
di lui l'autore degli Annali Milanesi, essere state le milizie di
Bernabò che diedero l'esecrabil sacco alla città di Reggio. La Cronica
Estense[1765], siccome ho detto, e Matteo Griffone[1766] attribuiscono
tanta iniquità alle soldatesche del conte Lucio. Ebbe bene a rodersi
le dita per sì infelice impresa il _marchese Niccolò_. Non solamente
non acquistò egli Reggio, ma servì lo sforzo suo a farla cadere in
mano del maggiore e più potente nemico ch'egli avesse; e fu la rovina
di quella sfortunata città, la quale rimase desolata, essendosene
ritirata buona parte de' cittadini o per le miserie sofferte, o per
non restare sotto il duro dominio del crudele Bernabò Visconte. Poco
stette ancora l'Estense a pagarne il fio, perchè _Ambrosio Visconte_
nel dì 14 d'agosto con ischiere copiose d'armati diede il guasto al
territorio di Modena, arrivò sul Ferrarese, assediò il Bondeno, e fece
inestimabil preda di persone e bestiami. Le mire di Bernabò andavano
oramai sopra Modena stessa: del che sommamente furono scontenti e in
pena _papa Gregorio_ e tutti i collegati, veggendo crescere sempre
più la potenza del possente Biscione. Contro le forze di _Galeazzo
Visconte_ non potea intanto reggere _Giovanni marchese_ di Monferrato,
ed avea già perduta parte del suo paese. Appigliossi dunque al partito,
siccome dicemmo, di condurre al suo soldo l'infedel _conte Lucio_, la
cui compagnia si faceva ascendere a circa cinque mila uomini d'armi,
oltre a gran quantità di balestrieri ed arcieri a piedi[1767]. Venne
Galeazzo Visconte a Piacenza, e quivi ammassò l'esercito suo, composto
di diverse nazioni, Italiani, Tedeschi, Ungheri, Spagnuoli, Guasconi
e Bretoni, con disegno d'impedire il passo a questi masnadieri. Ma
alle pruove giudicò meglio di non far loro resistenza. Passarono
dunque in Monferrato sul principio di giugno, e l'arrivo loro impedì
che Galeazzo non facesse alcun altro progresso nell'anno corrente.
Nel dicembre di quest'anno l'odio inveterato, che l'un contra l'altro
covavano i _Veneziani_[1768] e _Francesco da Carrara_ signor di Padova,
finalmente scoppiò in un'aperta dissensione e in preparamenti di
guerra. Gli autori veneti ne attribuiscono, e più probabilmente, la
colpa a Francesco da Carrara, che, alzato in superbia per la protezione
di _Lodovico_ potentissimo _re d'Ungheria_, avea fabbricato varie
castella, argini e chiuse oltre la palude d'Oriago, e in altri siti
che il comune di Venezia pretendea suoi. All'incontro, gli storici
padovani[1769] scrivono avere i Veneziani per odio ed invidia, e senza
ragione, mossi cotali pretesti per vendicarsi del Carrarese a cagion
della assistenza già data al re d'Ungheria, allorchè venne all'assedio
di Trivigi; giacchè non altrove avea Francesco fabbricato quelle ville
e fatte le fortificazioni, se non sul distretto di Padova.
NOTE:
[1759] Georgius Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
[1760] Ammirat., Istoria Fiorentina, lib. 13.
[1761] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
[1762] Cronica di Siena, tom. 15 Rer. Ital.
[1763] Annales Mediolan., tom. 16 Rer. Ital.
[1764] Corio, Istoria di Milano.
[1765] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
[1766] Matth. de Griffonibus, Chron. Bononiens., tom. 18 Rer. Ital.
[1767] Chronic. Placentin., tom. 16 Rer. Ital.
[1768] Caresin., Chronic., tom. 12 Rer. Ital. Sanuto, Cron., tom. 22
Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCLXXII. Indizione X.
GREGORIO XI papa 3.
CARLO IV imperadore 18.
Secondo il Guichenone[1770], _Giovanni marchese di Monferrato_,
principe glorioso, forse per gli affanni patiti ne' sinistri successi
della sua guerra con _Galeazzo Visconte_, gravemente s'infermò e
terminò i suoi giorni. Nella Cronica di Piacenza[1771] è scritto che
la sua morte accadde nel dì 13 di marzo del 1371. Ma il testamento
e i codicilli di questo principe dati alla luce da Benvenuto da
San Giorgio[1772], benchè non assai esatti nelle note cronologiche,
abbastanza ci assicurano esser egli passato all'altra vita dopo il dì
14 di marzo dell'anno presente, e prima del dì 20 d'esso mese. Sotto
la protezion del papa lasciò suo erede nel Monferrato _Secondotto_ suo
primogenito; e la città d'Asti volle che fosse per indiviso di esso
Secondotto, e di GIOVANNI, TEODORO e _Guglielmo_ altri suoi figliuoli,
e di _Ottone duca_ di Brunsvich suo parente, al quale avea anche donato
varie altre castella, deputandolo per tutore e curatore de' suddetti
suoi figliuoli insieme con _Amedeo conte di Savoia_. Aveva egli tenuto
Ottone di Brunsvich in addietro per suo principal consigliere, e quasi
secondo padrone di quegli Stati: cotanta era la sua onoratezza, fedeltà
e prudenza. Maggiormente si applicò esso duca da lì innanzi a sostener
gl'interessi di quei principi giovinetti. Ma si trovava egli in gravi
pericoli, perchè _Galeazzo Visconte_ minacciava la città d'Asti, e in
fatti passò ad assediarla nell'anno presente. Trattò di pace il duca
di Brunsvich, ma ritrovate troppo alte le pretensioni di Galeazzo, che
a tutte le maniere voleva Asti, se ne ritornò alla difesa di quella
città e del Monferrato, con implorar l'aiuto del suddetto Amedeo conte
di Savoia, valoroso principe di questi tempi. Era il conte cognato
di Galeazzo, cugino de' figliuoli del fu marchese Teodoro, e perciò
sembrava irresoluto; ma l'essersi _Federigo marchese_ di Saluzzo
collegato coi Visconti, e il timore che il crescere di Galeazzo non
ridondasse in proprio danno, gli persuasero di entrare in lega col
Monferrato. Inoltre seppe così ben rappresentare al papa la necessità
di reprimere i Visconti[1773], siccome gente vogliosa di assorbir
tutta l'Italia, che il trasse seco in lega, e n'ebbe gran rinforzo
di gente e danari. Erano unite anche le altre milizie pontificie con
quelle del _marchese Niccolò Estense_, di _Francesco da Carrara_ e
de' _Fiorentini_, per resistere in altre parti alle forze di _Bernabò
Visconte_. Quanto al Monferrato, durò lungo tempo l'assedio d'Asti:
v'andò un potente soccorso del conte di Savoia; seguirono varii
combattimenti colla peggio de' Visconti[1774]; e in fine sì vigorosa
difesa fecero di quella città il conte ed Ottone duca di Brunsvich,
con aver anche prese le bastie del Visconte, che Galeazzo fu forzato a
ritirarsi colle mani vote.
Altro destino ebbe la guerra di Bernabò col marchese estense.
_Ambrosio_ suo figliuolo bastardo, scelto per capitano colla sua
armata, collegato con _Manfredino signor di Sassuolo_, venne da Reggio
a dare il guasto al territorio di Modena[1775]. Gli furono a fronte
le genti del marchese, del legato pontificio, del Carrarese e de'
Fiorentini, e corsero anche esse a' danni del Sassolese. Poscia nel
dì 2 di giugno vennero alle mani le due nemiche armate. La sanguinosa
battaglia durò ore quattro continue; voltò in fine la spalle quella
de' collegati, con essere rimasti prigionieri _Francesco e Guglielmo
da Fogliano_, nobili reggiani, capitani dell'Estense e della Chiesa, e
_Giovanni Rod_ Tedesco capitano de' Fiorentini, e circa mille soldati.
Nè si dee tacere una delle tante crudeltà di Bernabò. Nel dicembre di
quest'anno fece intimar la morte al suddetto Francesco da Fogliano,
se non gli consegnava tutte le castella esistenti nel Reggiano. Ma
non era in sua mano il darle, perchè v'era guarnigione del papa e del
marchese Niccolò; e _Guido Savina_ suo fratello, che in esse castella
soggiornava, benchè scongiurato, sempre ricusò di consegnarle. Fece
Bernabò ignominiosamente impiccare quel prode cavaliere: barbarie
divolgata e detestata per tutta l'Italia. La perdita della battaglia
suddetta, che si tirò dietro la presa di Correggio, venne da lì a non
molto riparata coll'arrivo di numerose squadre d'armati, spedite dal
_cardinal Pietro Bituricense_, venuto nel gennaio a Bologna legato
apostolico, e da _Giovanna regina_ di Napoli. Queste impedirono a
Bernabò il piantare intorno a Modena due bastie, che gli erano costate
sessanta mila fiorini d'oro. Ma perciocchè esso Bernabò, volendo
prestar soccorso al fratello _Galeazzo_[1776], contra di cui era
marciato con molte forze _Amedeo conte di Savoia_, spedì verso Asti il
figliuolo Ambrosio, e buona parte dell'esercito suo[1777]: l'armata
de' collegati s'inoltrò sul Reggiano e Parmigiano, dove fece immenso
bottino, e rovinò il paese per otto giorni. Oltre a ciò, la compagnia
degl'Inglesi, sotto il comando di _Giovanni Aucud_, che militava per
Bernabò Visconte, terminata la sua ferma, e disgustata, perchè non
le fu permesso di venire a battaglia col conte di Savoia, passò ai
servigi del papa e de' collegati; e giunta sul Piacentino, dopo aver
prese parecchie castella di quel contado, quivi dolcemente si riposò
nel verno alle spese de' miseri popoli. Verso lo stesso territorio di
Piacenza si inviò nel novembre il conte di Savoia col disegno di entrar
sul Milanese; ma i fiumi grossi e le buone difese fatte dai Visconti
fecero abortir le sue idee[1778]. Eransi già ritirate ai quartieri
le milizie de' collegati, ed era seguita una tregua con Bernabò per
mezzo del re di Francia, quando Ambrosio Visconti, senza saputa del
padre (per quanto si fece credere), cavalcò con tutte le sue genti di
armi sul Bolognese[1779] nel dì 18 di novembre, dove diede un terribil
guasto, e bruciò case e palagi. Arrivò fino alle porte di Bologna
all'improvviso, niuno aspettando tal visita in vigor della tregua.
Ne menò via ben tre mila buoi, e il danno recato si fece ascendere
fino a secento mila fiorini d'oro. In Pavia nel dì 3 di settembre di
quest'anno finì di vivere _Isabella_ moglie del giovane _Galeazzo
Visconte_ conte di Virtù, e figliuola di _Giovanni re di Francia_,
principessa che per le sue rare virtù si truova sommamente encomiata
negli Annali di Milano e di Piacenza.
Non ostante che s'interponessero gli ambasciatori del legato
pontificio, dei Fiorentini e Pisani, per impedir la guerra che s'andava
preparando fra i _Veneziani_ e _Francesco da Carrara_ signor di Padova,
maniera non si trovò per quetar le differenze[1780]. Severamente
furono gastigati alcuni nobili veneti amici del Carrarese, che gli
rivelavano i segreti del consiglio. Ma ciò che maggiormente irritò
il senato veneto, fu l'avere scoperta un'indignità del Carrarese,
il quale segretamente avea spediti a Venezia alcuni suoi sgherri per
levar di vita certi altri nobili suoi nemici, perchè attraversavano
i trattati della concordia. A molti di quegli assassini costò la
vita lo scoprimento del disegno; e per questo si venne all'armi.
Gli avvenimenti di essa guerra, in cui fu assistito il Carrarese
da _Lodovico re_ d'Ungheria, furono varii, e veggonsi diffusamente
descritti dal Caresino, dal Redusio e dai Gatari. Fino poi a questo
anno erano durate le fiere nemicizie e guerre fra i re di Napoli
Angioini e i re di Sicilia Aragonesi[1781]. Dacchè il _re Pietro_ tolse
al _re Carlo I_ la Sicilia, non mai durevol pace seguì fra loro; nel
presente anno finalmente stabilirono un accordo _Giovanna regina_ di
Napoli e don _Federigo d'Aragona re_ di Sicilia, essendosi indotto
l'ultimo a riconoscere dalla regina in feudo quell'isola, e di pagarle
annualmente a titolo di censo tre mila once d'oro, cadauna delle quali
valeva cinque fiorini d'oro, e per conseguente quindici mila fiorini
d'oro per anno: somma veramente pesante; e di usare il titolo di re
di Trinacria, e non già di Sicilia, riserbato alla regina Giovanna.
Il Fazello[1782] con error grave fa mancato di vita il re Federigo
nell'anno 1368. Gli Atti pubblicati dal Rinaldi il comprovano vivo in
quest'anno, ed autore della suddetta concordia, la quale fu approvata
dal papa. Diede bensì fine al suo vivere nel dì 11 di luglio dell'anno
presente[1783] _Malatesta Unghero_ signore di Rimini, e, secondo la
Cronica di Bologna[1784], _della sua morte fu gran danno, perchè era
prode uomo, come sono stati sempre i Malatesti_. Il dominio degli
Stati rimase a _Galeotto_ suo zio e a _Pandolfo_ suo fratello, il
quale nell'anno appresso fece anch'egli fine a' suoi giorni. Facendosi
in quest'anno la coronazione di _Pietro re_ di Cipri, a cagion della
precedenza fra i balii o consoli, insorse gran rissa fra i Veneziani e
Genovesi[1785]. In favore de' primi furono i Cipriotti: laonde alquanti
Genovesi vennero uccisi, oppure precipitati dai balconi. Portata questa
disgustosa nuova a Genova, si sollevò gran rabbia e tumulto in quel
popolo, nè tardò quel doge _Domenico da Campofregoso_ a mettere in
ordine una possente armata marittima, di cui fu ammiraglio _Pietro
da Campofregoso_, fratello del doge, per passare in Cipri a farne
vendetta. Questo accidente risvegliò l'antica gara ed odio fra le due
nazioni veneta e genovese, onde ne seguirono poi sconcerti e guerre
implacabili.
NOTE:
[1769] Gatari, Ist. Pad., tom. 17 Rer. Ital.
[1770] Guichenon, Histoire de la Maison de Savoye.
[1771] Chron. Placentin., tom. 16 Rer. Ital.
[1772] Benvenuto da S. Giorgio, Istoria di Monferrato, tom. 23 Rer.
Ital.
[1773] Raynaldus, Annal. Eccles.
[1774] Cronica di Siena, tom. 15 Rer. Ital.
[1775] Annales Mediolan., tom. 16 Rerum Italic. Chronic. Placentin.,
tom. eod. Chronic. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
[1776] Corio, Istor. di Milano.
[1777] Annal. Mediolan., tom. 16 Rer. Ital.
[1778] Gazata, Chron., tom. 18 Rer. Ital.
[1779] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
[1780] Caresin., Chron. Venet., tom. 12 Rer. Ital. Gatari, Istor.
Padov., tom. 17 Rer. Ital. Andreas de Redusio, Chron., tom. 19 Rer.
Ital.
[1781] Raynaldus, Annal. Eccles.
[1782] Fazell., de Reb. Sic., lib. 9, cap. 6.
[1783] Cronica di Rimini, tom. 15 Rer. Ital.
[1784] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCLXXIII. Indiz. XI.
GREGORIO XI papa 4.
CARLO IV imperadore 19.
Per continuare la guerra contro i Visconti _papa Gregorio XI_, come si
usava in questi sì sconcertati tempi, impose le decime nell'Ungheria,
Polonia, Dania, Svezia, Norvegia ed Inghilterra. L'oro indi raccolto
servì ad accrescere le due armate, destinate l'una in Piemonte contra
di _Galeazzo Visconte_, e l'altra sul Modenese contra di _Bernabò_, di
lui fratello; i quali Visconti erano stati di nuovo scomunicati nella
pubblicazion della bolla _In Coena Domini_. La vendetta che ne fece
Galeazzo[1786], fu di spogliar gli ecclesiastici sottoposti al suo
dominio, e di esiliarli. Più discreto in questo fu Bernabò, quantunque
opprimesse i suoi anche egli con esorbitanti gravezze. Ora giacchè
era finita la tregua, senza che si fosse potuto intavolar pace fra i
Visconti e i collegati, _Bernabò_ nel dì 5 di gennaio spedì parte del
suo esercito ai danni del Bolognese[1787], cioè mille uomini d'armi da
tre cavalli l'uno, e trecento arcieri. Questa masnada pervenne sino a
Cesena saccheggiando tutto il paese. Ma mentre carichi di preda se ne
tornavano indietro, venne con loro alle mani, nel passare verso San
Giovanni il fiume Panaro[1788], _Giovanni Aucud_ coi suoi Inglesi e coi
Bolognesi, e li mise in rotta, con far prigioni circa mille persone.
Secondo la Cronica di Piacenza[1789], la maggior parte degli sconfitti
si salvò colla fuga; ma non è da credere, perchè erano in paese nemico.
Poscia nel dì 20 di febbraio il legato della Chiesa coll'esercito
marciò verso Piacenza e Pavia, e si impadronì del castello San
Giovanni. Quasi tutte le altre castella del Piacentino ed alcune del
Pavese, prevalendo in esse i Guelfi, si ribellarono a _Galeazzo_,
dandosi al legato; il che poi fu la loro rovina. Nello stesso tempo
_Amedeo conte di Savoia_ con un'altra poderosa armata passò il Po e il
Ticino, e giunse sino alle porte di Pavia, dove distrusse i giardini
di _Galeazzo Visconte_. Poscia, venuto sul territorio di Milano, si
accampò a Vicomercato, dove si fermò alquanti mesi, facendo scorrerie,
e mettendo in contribuzione tutto il paese. Seco erano _Ottone duca_
di Brunsvich e _Luchinetto Visconte_. S'inoltrò poscia sul Bresciano a
cagion di un trattato di tradimento che avea in Bergamo. Colà penetrò
colle sue genti anche il legato pontificio, chiamato in aiuto; e le
sue masnade in saccheggi ed incendii si studiarono di non essere da
meno degli altri. Affinchè non si unissero col conte di Savoia, accorse
l'armata de' Visconti, e presso Monte Chiaro disfece buona parte di
esso esercito pontificio, colla morte di circa settecento uomini, e
coll'acquisto di cinquecento cavalli. Ma nel dì 8 di maggio comparendo
colle loro squadre inglesi e franzesi _Giovanni Aucud_ e il _signore di
Cussì_, benchè inferiori di gente, diedero una gran rotta all'esercito
de' Visconti nel luogo di Gavardo, ossia al ponte del fiume Chiesi,
dove rimasero prigionieri moltissimi nobili italiani e tedeschi,
distesamente annoverati dall'autore della Cronica Estense[1790]. Fra
i principali si contarono _Francesco marchese_ d'Este fuoruscito di
Ferrara; _Ugolino_ e _Galeazzo marchesi_ di Saluzzo, _Castellino da
Beccheria, Romeo de' Pepoli, Gabriotto da Canossa, Federigo da Gonzaga,
Beltramo Rosso da Parma_, e _Francesco da Sassuolo_, quel medesimo
che, per avere ucciso il nobil uomo _Gherardo de' Rangoni_ da Modena,
occasionò la presente guerra. _Gian-Galeazzo_ conte di Virtù, figliuolo
di _Galeazzo_, che si trovò in quel frangente, per miracolo si salvò.
Narra il Gazata[1791] che in questi tempi passò per Milano e per Pavia
un vescovo nipote del papa con seguito di cinquanta persone, il quale
si esibì ai fratelli Visconti di trattar di pace col papa. Fu ben
veduto, e gli fu dato salvocondotto per passare al campo del conte di
Savoia, che si trovava allora sul Milanese. Ma Galeazzo, tenendogli
buone spie alla vita, scoprì ch'egli portava seco cento venti mila
fiorini d'oro per le paghe del conte. Buon boccone fu questo per lui;
tutto sel prese, facendo poi dire al prelato che con sicurezza se
n'andasse, ma che non dovea portar sussidii ai suoi nemici. Partissi
nel dì 13 di maggio da Sassuolo _Manfredino_ signor di quella terra per
andare a Firenze. Appena fu fuori, che quegli abitanti gli serrarono le
porte dietro. Volle rientrare, ma non potè. Fu appresso data la terra
al _marchese Niccolò Estense_; e così andarono dispersi da lì innanzi i
signori di Sassuolo con gastigo meritato da essi per la ribellione al
loro signore, e per l'ingiusto ammazzamento del Rangone. All'incontro
_Guido Savina da Fogliano_, staccatosi dalla lega, s'accordò con
_Bernabò Visconte_, sottomettendo a lui ventiquattro castella ch'egli
possedeva nel Reggiano, e ne riportò dei vantaggiosi patti. _Giovanni
vescovo_ di Vercelli della casa del Fiesco in quest'anno colle milizie
della Chiesa e colla fazion de' Brusati proditoriamente tolse a
_Galeazzo Visconte_ quella città, ma non già la cittadella, che si
sostenne. In tale occasione barbaricamente essa città tutta fu posta a
sacco, non men di quello che era succeduto alla città di Reggio. Era
stato cagione l'avvicinamento del conte di Savoia[1792] che alcune
valli del Bergamasco, per commozione de' Guelfi, s'erano ribellate
a _Bernabò Visconte_. Egli perciò spedì colà, nel mese d'agosto, il
prode suo figliuolo _Ambrosio_ con copia grande di gente d'armi per
mettere in dovere que' popoli. Trovavasi Ambrosio nella valle di San
Martino ad un luogo appellato Caprino, quando gl'infuriati rustici il
sorpresero con tal empito, che restò non solamente preso, ma anche
vituperosamente ucciso nel dì 17 d'agosto. Da questo colpo fu anche
aspramente trafitto il cuore di Bernabò suo padre; e però nel prossimo
settembre cavalcò egli in persona con grosso esercito in quella valle,
fece grande scempio di quelle genti, le quali in fine umiliatesi
ritornarono alla di lui ubbidienza. Orrido e lagrimevole accidente
fu l'occorso in quest'anno nella città di Pavia[1793]. Mentre dal
castello si portava alla sepoltura il corpo del defunto giovinetto
_Carlo Visconte_, figliuolo di _Gian-Galeazzo_, nel passare sul ponte,
questo pel peso si ruppe, e caddero nell'acque profonde della fossa
murata da amendue i lati più di ottanta persone nobili di varie città
di Lombardia, e massimamente di Milano e di Pavia, che tutte rimasero
miseramente annegate. Vi si aggiunse un altro caso strano; cioè, appena
rotto il ponte, cominciò un diluvio di pioggia e gragnuola, che durò
più di due ore: il che servì ancora ad impedire ii soccorso di scale
e corde agl'infelici caduti. Il Gazata, autore degno, in questi tempi
di maggior fede, riferisce[1794] questo infortunio al dì 3 d'aprile
dell'anno seguente, e vuole che vi perissero cento e dieci persone
nobili. Dopo la vittoria riportata dall'esercito collegato contra
di _Bernabò_ al fiume Chiesi, _Giovanni Aucud_, trovando che molti
dei suoi Inglesi erano o rimasti estinti nel conflitto o feriti, e
veggendosi in paese nemico senza vettovaglia, oltre all'andare le genti
de' Visconti sempre più crescendo, ritirandosi bel bello, si ridusse
a Bologna. Gli tenne dietro con gran fretta anche il conte di Savoia
coll'esercito suo, e venuto sul Bolognese, quivi si fermò, aspettando
indarno le paghe promesse, con desolar intanto quel territorio amico.
Finalmente esso conte, non osando passare pel Piacentino e Pavese,
fu obbligato, se volle tornare in Piemonte, a prendere la strada
del Genovesato: il che gli costò molte fatiche, e perdita di gente e
cavalli, terminando con ciò la campagna, senza aver preso che poche
castella in Piemonte, e con aver solamente rovinati varii paesi.
_Galeazzo Visconte_ gran guerra fece sul Piacentino, e ricuperò gran
parte delle castella ribellate. Si trattò di pace; ma, non fidandosi
il papa de' Visconti, i suoi ministri ritrovando più conto in seguitar
la guerra, per cui arricchivano molto succiando la pecunia pontificia,
e profittando de' saccheggi, andò per terra ogni trattato, e continuò
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