Annali d'Italia, vol. 5 - 49
i re di Francia e d'Ungheria_[1673], che fu conchiuso il trattato
di pace fra la Chiesa romana, il _marchese Niccolò d'Este_ signor di
Ferrara[1674], _Francesco da Carrara_ signor di Padova, i _Gonzaghi_ e
gli _Scaligeri_ dall'un canto, e _Bernabò Visconte_ dall'altro, nel dì
3 di marzo. In vigore di questa pace rinunziò il Visconte a tutte le
sue pretensioni sopra Bologna, e restituì Lugo, Crevalcuore e qualunque
altro luogo occupato da lui negli Stati della Chiesa; e parimente al
marchese di Ferrara qualsivoglia fortezza o bastia ch'egli tenesse
nel distretto di Modena. Obbligossi il papa[1675] di pagare a Bernabò
cinquecento mila fiorini d'oro in otto rate; e furono rilasciati tutti
i prigioni. Per l'esecuzion di essa pace essendo venuto a Milano il
_cardinale Andreino_ legato apostolico, Bernabò gli fece grande onore,
e poscia sul principio d'aprile in segno di sua allegrezza volle che
si facesse un solenne torneo, a cui invitò tutti i principi e baroni
italiani. In questa occasione[1676] il suddetto cardinale legato
trattò e stabilì pace anche fra _Giovanni marchese_ di Monferrato e
_Galeazzo Visconte_: con che cessò in quelle parti ancora il furor
della guerra, e ne partirono gli Inglesi quivi restati, coll'andarsi
ad unire agli altri che erano in Toscana. Fecero dipoi[1677] questi
due principi una permuta di terre che l'uno avea occupato all'altro.
E quanto a Galeazzo, egli seguitò ad affliggere i suoi popoli, e
specialmente il clero con nuove taglie e contribuzioni. Pubblicò
ancora contra dei traditori de' suoi Stati la lista delle pene e dei
tormenti che si doveano dar loro. La rapporta l'Azario, e fa orrore.
Inoltre tanto egli, come Bernabò fecero smantellar assaissime castella
e fortezze ne' loro Stati che appartenevano ai nobili guelfi, per
tor loro la comodità e voglia di ribellarsi in avvenire. Se con tal
maniera di governo si facessero amare i due fratelli Visconti, ognuno
può immaginarselo. Fu quasi[1678] tutta la Lombardia, Romagna e Marca
in quest'anno sommamente afflitte da un diluvio di cavallette ossia
di locuste volatili, venute, per quanto fu creduto, dall'Ungheria.
Oscuravano il sole, quando, alzatesi a volo, passavano da un luogo
all'altro, e durava il passar loro due ore continue, tanto era lungo,
ampio e sterminato l'esercito loro per aria. Consumavano l'erbe e tutta
l'ortaglia dovunque si posavano. Pare che Filippo Villani[1679] dia il
nome di grilli a queste locuste, giacchè scrive che un vento li portò
per mare. Io l'avrei chiamato uno sproposito, se nella Vita di Urbano
V[1680] non si vedessero distinti i grilli dalle locuste. Nel maggior
rigore del verno non lasciarono gl'Inglesi, confermati al loro soldo
dai Pisani, di fare di quando in quando delle cavalcate sul territorio
di Firenze, portando a varie terre la desolazione. Anche il suddetto
Villani descrive i lor costumi, e l'arte e l'ordine da essi tenuto
nella guerra con bravura e sprezzo dei patimenti: al che le milizie
italiane non erano allora molto usate. Non bastò ai Pisani la gran
brigata degl'Inglesi da loro assoldati, capo de' quali si comincia in
questi tempi ad udire _Giovanni Aucud_, in inglese _Kauchouod_, dai
Toscani chiamato _Aguto_, uomo che s'acquistò dipoi gran rinomanza in
Italia. Presero anche al loro soldo _Anichino di Bongardo_, capitano
di tremila barbute tedesche, licenziato da _Galeazzo Visconte_ dopo la
pace suddetta: con che erano di molto superiori di forze ai Fiorentini.
Contuttociò pregarono il papa d'interporsi per la pace, e a questo fine
spedì il santo padre a Pisa e Firenze frate Marco da Viterbo, generale
de' frati minori. Ma i Fiorentini, pregni di superbia e d'odio,
rigettate le proposizioni, vollero piuttosto guerra che pace; tanto
più perchè il _conte Arrigo di Monforte_ condusse in loro aiuto un bel
corpo di cavalleria tedesca.
Pertanto l'armata pisana, forte di sei mila uomini a cavallo, oltre
alla fanteria, tornò sul distretto di Firenze, giugnendo fino alle
porte della città, distruggendo, secondo il costume, tutto il paese.
Varii badalucchi succederono in questi tempi fra le nemiche squadre; e
il valoroso conte di Monforte arrivò sino a Porto Pisano e a Livorno,
ed arse quei luoghi. Non risparmiarono i Fiorentini in tal congiuntura
il danaro per far desertare dal campo pisano gran quantità di Tedeschi
e d'Inglesi. Avendo essi già preso per loro capitano _Galeotto
Malatesta_, insigne mastro di guerra[1681], arditamente nel dì 29 di
luglio mossero la loro armata alla volta di Pisa. Sei miglia lungi da
quella città a Cascina erano accampati, quando _Giovanni Aucud_[1682],
presa ogni precauzione, andò con tutte le sue forze ad assalirli.
Atroce e lunga fu la battaglia, e in fine i Pisani ed Inglesi rotti
presero la fuga, restandone morti circa mille, e prigionieri circa
due mila, che trionfalmente furono poi menati a Firenze. Tra per
questa disgrazia, e perchè passò al soldo de' Fiorentini buona parte
degl'Inglesi, i Pisani si trovarono in gran tremore e spavento.
Spedirono _Giovanni dell'Agnello_, uomo popolare, ma astutissimo,
a _Bernabò Visconte_ per aiuto, e ne ebbero a prestanza trenta mila
fiorini di oro. Ma il furbo ambasciatore, tornato a Pisa, seppe ben
prevalersi dello scompiglio, in cui era la sua patria; imperciocchè
spalleggiato da Giovanni Aucud si fece eleggere doge di Pisa per un
anno. Intanto colla mediazione dell'arcivescovo di Ravenna e del
generale de' frati minori si trattava di pace. Vi acconsentirono
finalmente nel dì 30 d'agosto i Fiorentini, perchè si seppe, o fu
fatto credere, che i Pisani avessero indotto Bernabò Visconte a
prendere la lor protezione con dargli Pietrasanta. Decorosa e di molto
vantaggio fu cotal pace ai Fiorentini, avendo i Pisani restituite loro
tutte le franchigie ed esenzioni in Pisa e suo distretto, e ceduta
Pietrabuona, e promesso di pagare per dieci anni dieci mila fiorini
d'oro al comune di Firenze nella festa di s. Giovanni Battista. Così
dopo essersi disfatti questi due comuni, ed avere ingrassati colla
rovina loro gli oltramontani masnadieri, si quotarono, e diedero
commiato alle lor soldatesche. _Anichino di Bongardo_, avvezzo a
vivere di rapina, passò su quel di Perugia, e gli altri andarono a
dare il malanno ad altri popoli. Durante questa guerra aveano fatto
più cavalcate su quel di Siena le compagnie de' masnadieri inglesi e
tedeschi, e sempre convenne che i Sanesi con danari si liberassero da
quella mala gente. Ma allorchè furono costoro licenziati dai Pisani
e Fiorentini, la compagnia de' Tedeschi appellata di San Giorgio, di
cui erano capitani _Ambrosio_, figliuolo bastardo di Bernabò Visconte,
e il _conte Giovanni di Auspurgo_[1683], accozzatasi con quella
degl'Inglesi, governata da _Giovanni Aucud_, andò a solazzarsi sul
Sanese, spogliando, bruciando ed uccidendo. E perchè i Sanesi disperati
uscirono con tutto il loro sforzo nel dì 28 di novembre, passarono
quei malandrini a Sarzana, e poscia se n'andarono su quel di Perugia
e Todi. Infelice quel paese, dove arrivavano queste ingorde e fiere
locuste. Nel mese di luglio dell'anno presente si ammalò il vecchio
Malatesta signor di Rimini, Fano, Pesaro e Fossombrone[1684], rinomato
signore per tante sue imprese di guerra e per la molta sua saviezza.
Per attestato della Cronica di Rimini, in tutto il tempo della sua
infermità attese ad opere di molta virtù e di grande edificazione,
sì per la sua compunzione, come per le grazie e limosine ch'egli
fece. Finalmente nel dì 27 d'agosto dell'anno presente[1685], e non
già dell'anno seguente, come ha la Cronica di Filippo Villani, passò
all'altra vita, restando signore di quegli Stati _Galeotto Malatesta_
suo fratello, impegnato allora in servigio de' Fiorentini. Lasciò
dopo di sè due figliuoli, cioè _Pandolfo_ e _Malatesta Novello_,
soprannominato _Unghero_, che parteciparono del governo col suddetto
loro zio.
NOTE:
[1671] Raynaldus, Annal. Eccles.
[1672] Chron. Veronens., tom. 8 Rer. Ital.
[1673] Raynaldus, in Annal. Eccles.
[1674] Chronic. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
[1675] Corio, Istoria di Milano.
[1676] Petrus Azarius, Chron., tom. 16 Rer. Ital.
[1677] Benvenuto da S. Giorgio, Istoria del Monferrato, tom. 18 Rer.
Ital.
[1678] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
[1679] Filippo Villani, lib. 11, cap. 60.
[1680] Vita Urbani V, P. II, tom. 3 Rer. Italic.
[1681] Filippo Villani, lib. 1, cap. 97.
[1682] Cronica di Siena, tom. 15 Rer. Italic.
[1683] Cronica di Siena, tom. 15 Rer. Ital.
[1684] Cronica di Rimini, tom. 15 Rer. Ital.
[1685] Chron. Estense, tom. eod.
Anno di CRISTO MCCCLXV. Indizione III.
URBANO V papa 4.
CARLO IV imperadore 11.
Pareva che questo dovesse essere anno di pace, dacchè i fratelli
Visconti s'erano quetati coll'aggiustamento dell'anno precedente. Ma
le maledette compagnie dei masnadieri inglesi e tedeschi, accresciute
dagli Ungheri e da tutti i ribaldi italiani, non lasciarono goder
il frutto della pace fatta. In Lombardia si posarono l'armi, ma non
cessarono gli aggravii dei popoli ne' paesi sottoposti ai Visconti.
_Galeazzo_ in questi tempi, essendo gravemente molestato dalla
podagra[1686], non si vedea più volentieri in Milano, perchè _Bianca
di Savoia_ sua moglie, _Giovanni de' Pepoli_ ed altri suoi consiglieri
gli metteano in testa dei sospetti di _Bernabò_ suo fratello, la cui
brutalità e ingordigia di dominare facea paura a tutti. Ritirossi
dunque a Pavia, dove avea già terminato un fortissimo castello e
un suntuosissimo palagio. Scoprissi nel dì 25 di gennaio dell'anno
presente[1687] in Verona una congiura che andava ordendo _Paolo
Alboino_ dalla Scala contra di _Can Signore_ suo fratello maggiore,
per privarlo del dominio. Fu preso esso Paolo, e mandato prigione
a Peschiera. A molti de' suoi complici ed istigatori fu mozzato il
capo, e tutta quella città fu in conquasso per questo. Secondo le
Croniche di Siena[1688] e di Piacenza[1689], la compagnia degl'Inglesi
condotta da _Giovanni Aucud_ era entrata in Perugia, commettendo
ivi i disordini consueti. Ossia che _Anichino di Bongardo_ colla sua
compagnia di Tedeschi si trovasse nel medesimo paese, o che i Perugini
il facessero venire in loro aiuto, certo è che si servirono essi di
questo chiodo per cacciar l'altro. Un fiero e crudel combattimento
seguì tra essi Inglesi e Tedeschi uniti coi Perugini nel dì ultimo di
luglio, e durò fino alla sera, con fama che restassero sul campo fra
l'una e l'altra parte circa tre mila persone estinte. La peggio toccò
agl'Inglesi, de' quali più di mille e cinquecento furono condotti
prigionieri a Perugia. Allora fu che Giovanni Aucud fuggendo se ne
tornò col resto di sua gente sul contado di Siena. Implorarono i Sanesi
l'aiuto di Anichino di Bongardo e di _Albaret_ Tedesco; e questo bastò
per far ritirare l'Aucud. Ma nel dì 15 di ottobre eccoti comparire
su quel medesimo territorio _Ambrosio_ figliuolo bastardo di Bernabò
Visconte, condottiere anch'egli di un'altra possente compagnia di
masnadieri tedeschi ed italiani. Fecero i Sanesi ammasso di gente, e il
costrinsero a prendere altra via. Tutte queste visite costarono a quel
popolo gravissime somme di danaro per iscacciare quei cani con accordo
o per forza. Smunse Ambrosio anche dai Fiorentini sei mila fiorini
d'oro, mostrando di volersene tornare in Lombardia. Andò poscia costui
a dare la mala pasqua alla riviera orientale di Genova.
Erano state circa questi tempi gravi discordie e principii di guerra
fra la _repubblica di Venezia_ e _Francesco da Carrara_ signore di
Padova[1690]. Per l'amicizia già contratta e tuttavia vigorosa del
Carrarese con _Lodovico re_ d'Ungheria, i Veneziani erano forte
disgustati, e cercavano le vie di nuocere al primo. Attaccarono
liti con pretesto di confini, ed ancorchè gli ambasciatori del re
d'Ungheria, del legato del papa, de' Fiorentini, Pisani e del marchese
d'Este s'interponessero, i Veneziani più che mai comparivano renitenti
alla pace. Tuttavia questa in fine si conchiuse, e il Carrarese, per
non poter di meno, accettò quelle condizioni che vollero i più forti:
perlochè all'odio antico contra de' Veneti s'aggiunsero motivi nuovi.
Era anche il Carrarese in rotta con _Leopoldo duca di Austria_ per
cagione di Feltro e Belluno, già donati a lui dal re d'Ungheria. Unissi
per tanto col patriarca d'Aquileia per fargli guerra, e succedettero
anche molte ostilità. Maneggiossi intanto l'accasamento di esso duca
d'Austria con _Verde_ figliuola di _Bernabò Visconte_[1691]. Per
effettuar queste nozze, e condurre la sposa in Germania, venne a
Milano nel mese di luglio _Ridolfo_ fratello d'esso duca[1692]; ma
quivi infermatosi (e fu creduto di veleno) terminò i suoi giorni.
Ciò non ostante, seguì il matrimonio suddetto. Per la morte di questo
principe, e per altre cagioni, cessò il preparamento di guerra fra lui
e Francesco da Carrara. Ma per conto di tale avvenimento sembra meritar
più fede la Cronica di Verona[1693]. Da essa impariamo che nel dì 12 di
febbraio Leopoldo fratello del duca d'Austria con cinquecento cavalli
arrivò a Verona, e nel dì seguente andò a sposar la figliuola di
Bernabò. Tornossene egli nel dì 8 di marzo a Verona, e immediatamente
ripassò in Germania, carico di regali a lui fatti da' Visconti e
dallo Scaligero. Poscia nel dì 14 di giugno giunse a Verona il duca
Ridolfo, fratello d'esso Leopoldo, con trecento cavalli, e, passato a
Milano, quivi terminò i suoi giorni nel dì 20 di luglio. Fu rapito in
quest'anno dalla morte nel dì 18 di luglio[1694] anche _Lorenzo Celso_
doge di Venezia, principe glorioso, per avere ricuperata l'isola di
Candia, che s'era ribellata, ed ebbe per successore in quella illustre
dignità, nel dì 25 d'esso mese, _Marco Cornaro_, uomo di gran sapere e
di maggiore prudenza[1695]. Nel dì 28 di maggio di quest'anno _Carlo IV
imperadore_ con gran comitiva di principi e baroni tedeschi si portò ad
Avignone[1696], dove dai cardinali e dal _papa Urbano V_ fu accolto con
sommo onore. Lunghi e segreti ragionamenti passarono fra il pontefice
e lui; il tempo rivelò che aveano concertata una lega, e disposto di
venire in Italia per desiderio di metterla in pace, siccome vedremo
andando innanzi.
Scura è in questi tempi la storia di Napoli e quella di Sicilia, per
un biasimevole difetto del Fazello, che non assegna i tempi delle
cose quivi avvenute, con togliere a me il campo di riferirle a' suoi
anni precisi. Quel che è certo, nel novembre di quest'anno finì i suoi
giorni _Niccolò degli Acciaiuoli_ Fiorentino, gran siniscalco del regno
di Napoli[1697], pel cui senno la _reina Giovanna_ e il _re Luigi_
si erano sostenuti in mezzo alle gravi loro tempeste. Ma Giovanna
dimenticò ben presto i di lui rilevanti servigi, con aver bensì
alzato, ma in breve depresso, un figliuolo di lui. In Sicilia (non ne
so io determinare il tempo) _don Federigo re_ di quell'isola ricuperò
Palermo, e in fine ritolse anche Messina alla _reina Giovanna_: laonde
andarono in fumo tutte le conquiste da lei fatte in quelle contrade.
Avvenne ancora che _Giacomo infante_ di Maiorica e duca di Calabria,
che già vedemmo marito d'essa reina, ma disgustato di lei, all'udire
insorta guerra in Ispagna, colà si portò, e vi rimase prigione. La
reina dipoi il riscattò collo sborso di sessanta mila ducati d'oro. Se
ne tornò egli nell'anno seguente in Italia, ma poveramente. La Cronica
di Bologna ha[1698] che la reina Giovanna, donna di gran coraggio, e
che sapea montare a cavallo, quando occorrea, l'avea tenuto in prigione
più di sei mesi, per levargli di testa la voglia d'essere re; ma io non
saprei assicurar la verità di questo fatto.
NOTE:
[1686] Corio, Istoria di Milano.
[1687] Chron. Veronens., tom. 8 Rer. Ital.
[1688] Cronica di Siena, tom. 15 Rer. Ital.
[1689] Chron. Placent., tom. 16 Rer. Ital.
[1690] Gatari, Istor. di Pad., tom. 17 Rer. Ital.
[1691] Annal. Mediolan., tom. 16 Rer. Ital. Corio, Istor. di Milano.
[1692] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
[1693] Chron. Veronens., tom. 8 Rer. Ital.
[1694] Caresin., Chron. Venet., tom. 12 Rer. Ital.
[1695] Chron. Veron., ubi sup.
[1696] Vita Urbani V, P. II, tom. 3 Rer. Ital.
[1697] Matth. Palmerius, Vit. Nicolai Acciajoli, tom. 13 Rer. Ital.
[1698] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCLXVI. Indizione IV.
URBANO V papa 5.
CARLO IV imperadore 12.
Nacque nel maggio dell'anno presente a _Galeazzo Visconte_ in
Pavia una figliuola da Bianca di Savoia, a cui fu posto il nome
di _Valentina_[1699], e col tempo passò in Francia, maritata in un
principe di quella real casa. Per questa nascita si fecero mirabili
feste in quella città. Ed essendo in tal congiuntura capitati colà
_Niccolò marchese_ d'Este e _Malatesta Unghero_, che andavano per
loro affari alla corte del papa, tennero insieme con _Amedeo conte_
di Savoia al sacro fonte la fanciullina. Passarono dipoi i due primi
principi a Milano, dove ricevettero di grandi finezze da Bernabò,
quando il lor viaggio ad Avignone avea per iscopo la rovina di lui,
se la fortuna gli avesse assistiti. Giunti questi due principi al
papa, il mossero a maneggiare una lega, in cui avessero luogo non
solamente il papa stesso[1700], i suddetti due signori, _Francesco
da Carrara, Lodovico_ e _Francesco da Gonzaga_, ma anche lo stesso
_Carlo imperadore_, a cui fu d'essa lega dato il baston da comando, e
_Lodovico re_ d'Ungheria. Questa poi fu conchiusa nel dì 7 d'agosto
dell'anno seguente. Le apparenze erano che la volessero unicamente
contro le compagnie de' soldati masnadieri, flagello insopportabil
allora dell'Italia; ma creduto fu che segretamente si trattasse della
depression de' Visconti, la potenza de' quali dava da gran tempo troppa
gelosia a cadauno de' principi d'Italia. Appena l'accorto Bernabò ebbe
sentore di questo maneggio, che per chiarirsi delle lor intenzioni
diede ordine a' suoi ambasciatori di far istanza per essere ammesso in
quella lega. Il papa li rimise allo imperadore, e l'imperadore gli andò
menando a mano un pezzo, tanto che Bernabò si assicurò de' lor disegni.
Il perchè comandò ad _Ambrosio_ suo figliuolo, il quale si trovava
allora nel Genovesato, di assoldar sempre più gente. Fu ubbidito.
Pagava profumatamente, nè di più ci volea perchè tutti i ribaldi e
malcontenti ed Inglesi e Tedeschi corressero a lui: laonde raunò un
formidabile esercito[1701]. Passò questa gente alla Spezia, e ad altri
luoghi della riviera di Genova, saccheggiando dappertutto. Arrivarono
a Levanto, andarono a Chiavari. Tutti fuggivano per quelle parti, e in
Genova stessa era sommo lo spavento.
E pur crebbero gli affanni nel dì 13 di marzo, perchè _Galeazzo
Visconte_ mandò ad intimar la guerra a quel popolo. Si dubitò forte
che bollissero intelligenze per deporre _Gabriello Adorno_ doge,
dacchè fu manifesto essersi unito coi nemici _Lionardo di Montaldo_,
rivale dell'Adorno, e bandito in Genova. Fu dunque preso il partito
dal consiglio di Genova di trattar accordo coi signori di Milano,
e restò dipoi nell'anno seguente convenuto che i Genovesi pagassero
loro ogni anno quattro mila fiorini d'oro, e mantenessero quattrocento
balestrieri al loro servigio, e in tal guisa cessò quel rumore. Per
questo accordo _Ambrosio Visconte_ colle sue masnade si ritirò da
que' contorni, e tornò con _Giovanni Aucud_ a salassare i miseri
Sanesi[1702]. Se vollero essi levarsi d'addosso queste sanguisughe,
dappoichè varii loro luoghi aveano patito il sacco e l'incendio, fu
d'uopo pagare a' dì 23 di aprile dieci mila e cinquecento fiorini
di oro e molte carra di armadure, oltre a varii altri regali di
commestibili. Se ne andarono costoro col malanno alla volta di Roma. Al
servigio dei Perugini dimorava allora _Albaret_ Tedesco, capitano della
compagnia della Stella. Perchè costui trattava un tradimento in danno
di quella città, nel novembre tagliata gli fu la testa. D'ordinario
andavano a finir male questi capi d'assassini. Colla morte naturale,
che seguì nell'anno presente, di _Giovanni da Oleggio_, stato già
tiranno di Bologna, la città di Fermo ritornò sotto il pieno dominio
della santa Sede. Più istanze aveano fatte i Romani affinchè _papa
Urbano V_ riportasse la sedia pontificale e la residenza in Roma.
Veggonsi ancora lettere esortatorie del Petrarca per questo. Forse niun
bisogno avea egli di tali sproni, perchè, prima anche d'essere alzato
al trono pontificale, attribuiva i disordini dello Stato della Chiesa,
anzi dell'Italia tutta, alla lontananza dei papi, ed avea già mostrata
la sua disposizione a levarsi dalla Provenza. Pertanto, avendo presa
la risoluzion di venire a Roma, scrisse in questo anno al _cardinale
Egidio Albornoz_ che gli preparasse il palagio in Roma, ed un altro in
Viterbo, dove pensava di passar la state dell'anno prossimo venturo.
NOTE:
[1699] Corio, Istoria di Milano.
[1700] Raynaldus, Annal. Eccles.
[1701] Georgius Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Italic.
[1702] Cronica di Siena, tom. 15 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCLXVII. Indiz. V.
URBANO V papa 6.
CARLO IV imperadore 13.
Finalmente volle _Urbano V papa_ dar compimento alla risoluzion sua
di trasferirsi in Italia, al dispetto de' cardinali franzesi che
fecero di mani e di piedi per frastornare questo lodevol disegno. Da
Venezia, da Genova, da Pisa e dalla _reina Giovanna_ gli furono a gara
esibite galee per condurlo, e servirgli di sicurezza e scorta[1703].
Ne accettò egli venticinque, e con queste nel dì 23 di maggio arrivò
a Genova, accolto con immensa allegrezza da quel popolo. Più di mille
persone per fargli onore si vestirono di drappo bianco, che così era
allora il rito. Volle alloggiar fuori di città; ma, fattagli paura
di qualche possibil sorpresa dalla parte de' Visconti, co' quali non
si erano peranche acconci i Genovesi, elesse un luogo più sicuro.
Pontificalmente vestito, e addestrato da _Gabriello Adorno_ doge e da
Deliano de' Panciatichi da Pistoia podestà, cavalcò per la città, e
nel dì 28 sopra le galee imbarcatosi di nuovo, passò nelle vicinanze di
Pisa, ma senza volere smontare in terra[1704]. Giunto a Corneto, quivi
trovò il cardinale legato _Egidio Albornoz_, e con lui andò a fermare
in Viterbo nel dì 9 di giugno i suoi passi[1705]. Indicibil fu in tutta
Italia il giubilo per questa venuta del pontefice. Non tardarono i
Romani a spedirgli una solenne ambasciata colle chiavi della città; e
_Niccolò Estense marchese_ di Ferrara[1706], dopo aver magnificamente
accolti in Modena que' cardinali che vennero per terra, e dopo
essere ito apposta a Venezia a prendere _Jacopo conte di Savoia_,
ed averlo condotto a Rovigo nel dì 3 di ottobre, si partì da Ferrara
con settecento uomini d'armi e duecento fanti riccamente vestiti, ed
arrivò nel dì 12 a Viterbo, dove era stata una sedizion del popolo che
mise gran paura a tutta la corte papale. Non altro che lui aspettava
il pontefice per muoversi alla volta di Roma; e però sotto la guardia
del marchese e delle sue genti nel dì 14 s'inviò colà, accompagnato
da _Amedeo VI conte di Savoia_, da _Malatesta Unghero_ signor di
Rimini, da _Ridolfo signore di Camerino_, e da copiosissima nobiltà
di tutti gli Stati della Chiesa e di Toscana, e dagli ambasciatori
dell'_imperadore_, del _re di Ungheria_, della _reina Giovanna_, e
d'altri principi e città. Sperava egli di far quella solenne entrata
in compagnia dello stesso _imperadore Carlo IV_ (che questo era il
concerto); ma sopraggiunti varii affari a quell'Augusto, differì egli
sino all'anno venturo la sua venuta. Accolto con incontro magnifico dal
clero e popolo romano, fra gli strepitosi viva andò il papa a smontare
alla basilica vaticana. Sulle scalinate, o per ordine o con licenza
di lui, il _marchese Niccolò_ conferì l'ordine della cavalleria a
sei nobili italiani e ad altrettanti tedeschi. Andò poscia il papa ad
alloggiar nel palazzo vaticano[1707].
Mancò di vita in quest'anno nella città di Viterbo, a dì 24 d'agosto,
un lume del sacro collegio, cioè il cardinal _Egidio Albornoz_,
personaggio, la cui memoria fu e sarà sempre celebre nella storia
ecclesiastica per le tante imprese da lui fatte in servigio temporale
della Chiesa romana, e per la sua mirabil attività e saviezza. Nel dì 5
d'aprile di quest'anno avea egli tolta a' Perugini la città d'Assisi.
Per questa perdita fu sommamente afflitto il papa, perchè più che mai
abbisognava de' consigli e dell'appoggio di questo insigne porporato.
Trovò esso pontefice al suo arrivo la famosa città di Roma ridotta
in pessimo stato, cadute le maestose fabbriche degli antichi Romani,
chiese rovinate, palagi abbandonati, case vote o diroccate, e con mano
toccò gli amari effetti della sì lunga assenza de' pontefici. Cominciò
ben egli a medicar queste piaghe; ma, siccome vedremo, le concepute
speranze da lì a non molto svanirono. Era divenuta la Toscana un
misero teatro delle insolenze e della crudeltà de' soldati masnadieri.
Spezialmente Siena e Perugia ne provarono in questi tempi un nuovo
scempio[1708]. Correndo il mese di gennaio, tornò sul Sanese _Giovanni
Aucud_ colla compagnia degl'Inglesi, desertando, secondo il solito,
quel paese. Succederono varie battaglie di poco momento. Passarono
costoro sul Pisano a dar la sua a quel territorio; ma sul principio
di marzo eccoli di nuovo ad infestare il distretto di Siena. Allora
i Sanesi, unito quanto poterono di gente massimamente unghera, e
ricevuto dai Perugini un buon rinforzo, vollero tentar la fortuna con
una giornata campale nel dì 6 di marzo a Montalcinello. Male per loro,
perciocchè furono rotti colla morte o prigionia di moltissimi. Fra i
presi si contò Ugolino da Savignano nobile modenese, loro conservatore
e capitano di guerra, a cui fu messa taglia di dieci mila fiorini
d'oro. Cavalcò poscia l'Aucud sul contado di Perugia. Anche quel bravo
popolo si appigliò all'uso del ferro, piuttosto che a quello dell'oro,
per allontanar questi divorati da' suoi confini; ma, venuto a battaglia
al ponte di San Gianni, ne andò sconfitto colla morte, per quanto portò
la fama, di circa mille e cinquecento persone.
Grandi feste si fecero nel dì 3 di giugno in Milano[1709], perchè vi
si celebrarono le nozze di _Marco_ figliuolo di _Bernabò Visconte_
con _Isabella_ figliuola di _Stefano_ (ossia di _Federigo_) _conte
palatino_ e duca di Baviera. Parimente Bernabò diede per moglie a
_Stefano duca_ di Baviera _Taddea_ sua figliuola. A questo anno ancora
riferiscono gli Annali di Milano e il Corio[1710] le disavventure di
_Ambrosio Visconte_, bastardo di Bernabò. Era egli colla sua campagnia
di masnadieri passato in regno di Napoli verso l'Aquila, mettendo in
contribuzione e saccheggiando quelle contrade. La _reina Giovanna_,
raccolte tutte le sue milizie sotto il comando di Giovanni Malatacca
Reggiano, le spedì contra d'Ambrosio. Si venne ad una battaglia,
l'armata d'Ambrosio fu disfatta, ed egli con altri conestabili condotto
nelle carceri di Napoli, dove gran tempo fece penitenza, ma sforzato,
delle rapine e dell'altre molte sue iniquità. Io non so se questo
fatto appartenga all'anno presente. Ne' Giornali Napoletani[1711] e da
Sozomeno se ne parla all'anno 1370. Tuttavia sembra che più fede meriti
la Cronica di Siena[1712], dove all'anno seguente viene raccontata
questa battaglia, succeduta a Sacco del Tronto in Puglia. Erano circa
dieci mila tra fanti e cavalli quei d'Ambrosio; così fiera fu la
rotta, che pochi ne camparono, essendo rimasti o sul campo, o presi
in paese tutto irritato contra sì bestiale canaglia. Ambrosio, ferito
e preso, andò a riposar nelle prigioni. Secento di costoro furono
menati prigioni a Roma, giacchè anche le milizie del papa aveano avuta
parte alla vittoria. Trecento ne fece impiccare il papa; gli altri
condotti a Montefiascone, perchè vollero fuggire, furono anche essi
col laccio tolti dal mondo. Questa parve una crudeltà al Corio[1713].
Nell'anno presente[1714] a' dì 13 di gennaio compiè il corso di sua
vita _Marco Cornaro_ doge di Venezia, e fu alzato a quella dignità
_Andrea Contareno_ nel dì 20 di esso mese. Intanto _Bernabò Visconte_,
pieno di fiele con tra di _Lodovico_ e _Francesco da Gonzaga_ signori
di pace fra la Chiesa romana, il _marchese Niccolò d'Este_ signor di
Ferrara[1674], _Francesco da Carrara_ signor di Padova, i _Gonzaghi_ e
gli _Scaligeri_ dall'un canto, e _Bernabò Visconte_ dall'altro, nel dì
3 di marzo. In vigore di questa pace rinunziò il Visconte a tutte le
sue pretensioni sopra Bologna, e restituì Lugo, Crevalcuore e qualunque
altro luogo occupato da lui negli Stati della Chiesa; e parimente al
marchese di Ferrara qualsivoglia fortezza o bastia ch'egli tenesse
nel distretto di Modena. Obbligossi il papa[1675] di pagare a Bernabò
cinquecento mila fiorini d'oro in otto rate; e furono rilasciati tutti
i prigioni. Per l'esecuzion di essa pace essendo venuto a Milano il
_cardinale Andreino_ legato apostolico, Bernabò gli fece grande onore,
e poscia sul principio d'aprile in segno di sua allegrezza volle che
si facesse un solenne torneo, a cui invitò tutti i principi e baroni
italiani. In questa occasione[1676] il suddetto cardinale legato
trattò e stabilì pace anche fra _Giovanni marchese_ di Monferrato e
_Galeazzo Visconte_: con che cessò in quelle parti ancora il furor
della guerra, e ne partirono gli Inglesi quivi restati, coll'andarsi
ad unire agli altri che erano in Toscana. Fecero dipoi[1677] questi
due principi una permuta di terre che l'uno avea occupato all'altro.
E quanto a Galeazzo, egli seguitò ad affliggere i suoi popoli, e
specialmente il clero con nuove taglie e contribuzioni. Pubblicò
ancora contra dei traditori de' suoi Stati la lista delle pene e dei
tormenti che si doveano dar loro. La rapporta l'Azario, e fa orrore.
Inoltre tanto egli, come Bernabò fecero smantellar assaissime castella
e fortezze ne' loro Stati che appartenevano ai nobili guelfi, per
tor loro la comodità e voglia di ribellarsi in avvenire. Se con tal
maniera di governo si facessero amare i due fratelli Visconti, ognuno
può immaginarselo. Fu quasi[1678] tutta la Lombardia, Romagna e Marca
in quest'anno sommamente afflitte da un diluvio di cavallette ossia
di locuste volatili, venute, per quanto fu creduto, dall'Ungheria.
Oscuravano il sole, quando, alzatesi a volo, passavano da un luogo
all'altro, e durava il passar loro due ore continue, tanto era lungo,
ampio e sterminato l'esercito loro per aria. Consumavano l'erbe e tutta
l'ortaglia dovunque si posavano. Pare che Filippo Villani[1679] dia il
nome di grilli a queste locuste, giacchè scrive che un vento li portò
per mare. Io l'avrei chiamato uno sproposito, se nella Vita di Urbano
V[1680] non si vedessero distinti i grilli dalle locuste. Nel maggior
rigore del verno non lasciarono gl'Inglesi, confermati al loro soldo
dai Pisani, di fare di quando in quando delle cavalcate sul territorio
di Firenze, portando a varie terre la desolazione. Anche il suddetto
Villani descrive i lor costumi, e l'arte e l'ordine da essi tenuto
nella guerra con bravura e sprezzo dei patimenti: al che le milizie
italiane non erano allora molto usate. Non bastò ai Pisani la gran
brigata degl'Inglesi da loro assoldati, capo de' quali si comincia in
questi tempi ad udire _Giovanni Aucud_, in inglese _Kauchouod_, dai
Toscani chiamato _Aguto_, uomo che s'acquistò dipoi gran rinomanza in
Italia. Presero anche al loro soldo _Anichino di Bongardo_, capitano
di tremila barbute tedesche, licenziato da _Galeazzo Visconte_ dopo la
pace suddetta: con che erano di molto superiori di forze ai Fiorentini.
Contuttociò pregarono il papa d'interporsi per la pace, e a questo fine
spedì il santo padre a Pisa e Firenze frate Marco da Viterbo, generale
de' frati minori. Ma i Fiorentini, pregni di superbia e d'odio,
rigettate le proposizioni, vollero piuttosto guerra che pace; tanto
più perchè il _conte Arrigo di Monforte_ condusse in loro aiuto un bel
corpo di cavalleria tedesca.
Pertanto l'armata pisana, forte di sei mila uomini a cavallo, oltre
alla fanteria, tornò sul distretto di Firenze, giugnendo fino alle
porte della città, distruggendo, secondo il costume, tutto il paese.
Varii badalucchi succederono in questi tempi fra le nemiche squadre; e
il valoroso conte di Monforte arrivò sino a Porto Pisano e a Livorno,
ed arse quei luoghi. Non risparmiarono i Fiorentini in tal congiuntura
il danaro per far desertare dal campo pisano gran quantità di Tedeschi
e d'Inglesi. Avendo essi già preso per loro capitano _Galeotto
Malatesta_, insigne mastro di guerra[1681], arditamente nel dì 29 di
luglio mossero la loro armata alla volta di Pisa. Sei miglia lungi da
quella città a Cascina erano accampati, quando _Giovanni Aucud_[1682],
presa ogni precauzione, andò con tutte le sue forze ad assalirli.
Atroce e lunga fu la battaglia, e in fine i Pisani ed Inglesi rotti
presero la fuga, restandone morti circa mille, e prigionieri circa
due mila, che trionfalmente furono poi menati a Firenze. Tra per
questa disgrazia, e perchè passò al soldo de' Fiorentini buona parte
degl'Inglesi, i Pisani si trovarono in gran tremore e spavento.
Spedirono _Giovanni dell'Agnello_, uomo popolare, ma astutissimo,
a _Bernabò Visconte_ per aiuto, e ne ebbero a prestanza trenta mila
fiorini di oro. Ma il furbo ambasciatore, tornato a Pisa, seppe ben
prevalersi dello scompiglio, in cui era la sua patria; imperciocchè
spalleggiato da Giovanni Aucud si fece eleggere doge di Pisa per un
anno. Intanto colla mediazione dell'arcivescovo di Ravenna e del
generale de' frati minori si trattava di pace. Vi acconsentirono
finalmente nel dì 30 d'agosto i Fiorentini, perchè si seppe, o fu
fatto credere, che i Pisani avessero indotto Bernabò Visconte a
prendere la lor protezione con dargli Pietrasanta. Decorosa e di molto
vantaggio fu cotal pace ai Fiorentini, avendo i Pisani restituite loro
tutte le franchigie ed esenzioni in Pisa e suo distretto, e ceduta
Pietrabuona, e promesso di pagare per dieci anni dieci mila fiorini
d'oro al comune di Firenze nella festa di s. Giovanni Battista. Così
dopo essersi disfatti questi due comuni, ed avere ingrassati colla
rovina loro gli oltramontani masnadieri, si quotarono, e diedero
commiato alle lor soldatesche. _Anichino di Bongardo_, avvezzo a
vivere di rapina, passò su quel di Perugia, e gli altri andarono a
dare il malanno ad altri popoli. Durante questa guerra aveano fatto
più cavalcate su quel di Siena le compagnie de' masnadieri inglesi e
tedeschi, e sempre convenne che i Sanesi con danari si liberassero da
quella mala gente. Ma allorchè furono costoro licenziati dai Pisani
e Fiorentini, la compagnia de' Tedeschi appellata di San Giorgio, di
cui erano capitani _Ambrosio_, figliuolo bastardo di Bernabò Visconte,
e il _conte Giovanni di Auspurgo_[1683], accozzatasi con quella
degl'Inglesi, governata da _Giovanni Aucud_, andò a solazzarsi sul
Sanese, spogliando, bruciando ed uccidendo. E perchè i Sanesi disperati
uscirono con tutto il loro sforzo nel dì 28 di novembre, passarono
quei malandrini a Sarzana, e poscia se n'andarono su quel di Perugia
e Todi. Infelice quel paese, dove arrivavano queste ingorde e fiere
locuste. Nel mese di luglio dell'anno presente si ammalò il vecchio
Malatesta signor di Rimini, Fano, Pesaro e Fossombrone[1684], rinomato
signore per tante sue imprese di guerra e per la molta sua saviezza.
Per attestato della Cronica di Rimini, in tutto il tempo della sua
infermità attese ad opere di molta virtù e di grande edificazione,
sì per la sua compunzione, come per le grazie e limosine ch'egli
fece. Finalmente nel dì 27 d'agosto dell'anno presente[1685], e non
già dell'anno seguente, come ha la Cronica di Filippo Villani, passò
all'altra vita, restando signore di quegli Stati _Galeotto Malatesta_
suo fratello, impegnato allora in servigio de' Fiorentini. Lasciò
dopo di sè due figliuoli, cioè _Pandolfo_ e _Malatesta Novello_,
soprannominato _Unghero_, che parteciparono del governo col suddetto
loro zio.
NOTE:
[1671] Raynaldus, Annal. Eccles.
[1672] Chron. Veronens., tom. 8 Rer. Ital.
[1673] Raynaldus, in Annal. Eccles.
[1674] Chronic. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
[1675] Corio, Istoria di Milano.
[1676] Petrus Azarius, Chron., tom. 16 Rer. Ital.
[1677] Benvenuto da S. Giorgio, Istoria del Monferrato, tom. 18 Rer.
Ital.
[1678] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
[1679] Filippo Villani, lib. 11, cap. 60.
[1680] Vita Urbani V, P. II, tom. 3 Rer. Italic.
[1681] Filippo Villani, lib. 1, cap. 97.
[1682] Cronica di Siena, tom. 15 Rer. Italic.
[1683] Cronica di Siena, tom. 15 Rer. Ital.
[1684] Cronica di Rimini, tom. 15 Rer. Ital.
[1685] Chron. Estense, tom. eod.
Anno di CRISTO MCCCLXV. Indizione III.
URBANO V papa 4.
CARLO IV imperadore 11.
Pareva che questo dovesse essere anno di pace, dacchè i fratelli
Visconti s'erano quetati coll'aggiustamento dell'anno precedente. Ma
le maledette compagnie dei masnadieri inglesi e tedeschi, accresciute
dagli Ungheri e da tutti i ribaldi italiani, non lasciarono goder
il frutto della pace fatta. In Lombardia si posarono l'armi, ma non
cessarono gli aggravii dei popoli ne' paesi sottoposti ai Visconti.
_Galeazzo_ in questi tempi, essendo gravemente molestato dalla
podagra[1686], non si vedea più volentieri in Milano, perchè _Bianca
di Savoia_ sua moglie, _Giovanni de' Pepoli_ ed altri suoi consiglieri
gli metteano in testa dei sospetti di _Bernabò_ suo fratello, la cui
brutalità e ingordigia di dominare facea paura a tutti. Ritirossi
dunque a Pavia, dove avea già terminato un fortissimo castello e
un suntuosissimo palagio. Scoprissi nel dì 25 di gennaio dell'anno
presente[1687] in Verona una congiura che andava ordendo _Paolo
Alboino_ dalla Scala contra di _Can Signore_ suo fratello maggiore,
per privarlo del dominio. Fu preso esso Paolo, e mandato prigione
a Peschiera. A molti de' suoi complici ed istigatori fu mozzato il
capo, e tutta quella città fu in conquasso per questo. Secondo le
Croniche di Siena[1688] e di Piacenza[1689], la compagnia degl'Inglesi
condotta da _Giovanni Aucud_ era entrata in Perugia, commettendo
ivi i disordini consueti. Ossia che _Anichino di Bongardo_ colla sua
compagnia di Tedeschi si trovasse nel medesimo paese, o che i Perugini
il facessero venire in loro aiuto, certo è che si servirono essi di
questo chiodo per cacciar l'altro. Un fiero e crudel combattimento
seguì tra essi Inglesi e Tedeschi uniti coi Perugini nel dì ultimo di
luglio, e durò fino alla sera, con fama che restassero sul campo fra
l'una e l'altra parte circa tre mila persone estinte. La peggio toccò
agl'Inglesi, de' quali più di mille e cinquecento furono condotti
prigionieri a Perugia. Allora fu che Giovanni Aucud fuggendo se ne
tornò col resto di sua gente sul contado di Siena. Implorarono i Sanesi
l'aiuto di Anichino di Bongardo e di _Albaret_ Tedesco; e questo bastò
per far ritirare l'Aucud. Ma nel dì 15 di ottobre eccoti comparire
su quel medesimo territorio _Ambrosio_ figliuolo bastardo di Bernabò
Visconte, condottiere anch'egli di un'altra possente compagnia di
masnadieri tedeschi ed italiani. Fecero i Sanesi ammasso di gente, e il
costrinsero a prendere altra via. Tutte queste visite costarono a quel
popolo gravissime somme di danaro per iscacciare quei cani con accordo
o per forza. Smunse Ambrosio anche dai Fiorentini sei mila fiorini
d'oro, mostrando di volersene tornare in Lombardia. Andò poscia costui
a dare la mala pasqua alla riviera orientale di Genova.
Erano state circa questi tempi gravi discordie e principii di guerra
fra la _repubblica di Venezia_ e _Francesco da Carrara_ signore di
Padova[1690]. Per l'amicizia già contratta e tuttavia vigorosa del
Carrarese con _Lodovico re_ d'Ungheria, i Veneziani erano forte
disgustati, e cercavano le vie di nuocere al primo. Attaccarono
liti con pretesto di confini, ed ancorchè gli ambasciatori del re
d'Ungheria, del legato del papa, de' Fiorentini, Pisani e del marchese
d'Este s'interponessero, i Veneziani più che mai comparivano renitenti
alla pace. Tuttavia questa in fine si conchiuse, e il Carrarese, per
non poter di meno, accettò quelle condizioni che vollero i più forti:
perlochè all'odio antico contra de' Veneti s'aggiunsero motivi nuovi.
Era anche il Carrarese in rotta con _Leopoldo duca di Austria_ per
cagione di Feltro e Belluno, già donati a lui dal re d'Ungheria. Unissi
per tanto col patriarca d'Aquileia per fargli guerra, e succedettero
anche molte ostilità. Maneggiossi intanto l'accasamento di esso duca
d'Austria con _Verde_ figliuola di _Bernabò Visconte_[1691]. Per
effettuar queste nozze, e condurre la sposa in Germania, venne a
Milano nel mese di luglio _Ridolfo_ fratello d'esso duca[1692]; ma
quivi infermatosi (e fu creduto di veleno) terminò i suoi giorni.
Ciò non ostante, seguì il matrimonio suddetto. Per la morte di questo
principe, e per altre cagioni, cessò il preparamento di guerra fra lui
e Francesco da Carrara. Ma per conto di tale avvenimento sembra meritar
più fede la Cronica di Verona[1693]. Da essa impariamo che nel dì 12 di
febbraio Leopoldo fratello del duca d'Austria con cinquecento cavalli
arrivò a Verona, e nel dì seguente andò a sposar la figliuola di
Bernabò. Tornossene egli nel dì 8 di marzo a Verona, e immediatamente
ripassò in Germania, carico di regali a lui fatti da' Visconti e
dallo Scaligero. Poscia nel dì 14 di giugno giunse a Verona il duca
Ridolfo, fratello d'esso Leopoldo, con trecento cavalli, e, passato a
Milano, quivi terminò i suoi giorni nel dì 20 di luglio. Fu rapito in
quest'anno dalla morte nel dì 18 di luglio[1694] anche _Lorenzo Celso_
doge di Venezia, principe glorioso, per avere ricuperata l'isola di
Candia, che s'era ribellata, ed ebbe per successore in quella illustre
dignità, nel dì 25 d'esso mese, _Marco Cornaro_, uomo di gran sapere e
di maggiore prudenza[1695]. Nel dì 28 di maggio di quest'anno _Carlo IV
imperadore_ con gran comitiva di principi e baroni tedeschi si portò ad
Avignone[1696], dove dai cardinali e dal _papa Urbano V_ fu accolto con
sommo onore. Lunghi e segreti ragionamenti passarono fra il pontefice
e lui; il tempo rivelò che aveano concertata una lega, e disposto di
venire in Italia per desiderio di metterla in pace, siccome vedremo
andando innanzi.
Scura è in questi tempi la storia di Napoli e quella di Sicilia, per
un biasimevole difetto del Fazello, che non assegna i tempi delle
cose quivi avvenute, con togliere a me il campo di riferirle a' suoi
anni precisi. Quel che è certo, nel novembre di quest'anno finì i suoi
giorni _Niccolò degli Acciaiuoli_ Fiorentino, gran siniscalco del regno
di Napoli[1697], pel cui senno la _reina Giovanna_ e il _re Luigi_
si erano sostenuti in mezzo alle gravi loro tempeste. Ma Giovanna
dimenticò ben presto i di lui rilevanti servigi, con aver bensì
alzato, ma in breve depresso, un figliuolo di lui. In Sicilia (non ne
so io determinare il tempo) _don Federigo re_ di quell'isola ricuperò
Palermo, e in fine ritolse anche Messina alla _reina Giovanna_: laonde
andarono in fumo tutte le conquiste da lei fatte in quelle contrade.
Avvenne ancora che _Giacomo infante_ di Maiorica e duca di Calabria,
che già vedemmo marito d'essa reina, ma disgustato di lei, all'udire
insorta guerra in Ispagna, colà si portò, e vi rimase prigione. La
reina dipoi il riscattò collo sborso di sessanta mila ducati d'oro. Se
ne tornò egli nell'anno seguente in Italia, ma poveramente. La Cronica
di Bologna ha[1698] che la reina Giovanna, donna di gran coraggio, e
che sapea montare a cavallo, quando occorrea, l'avea tenuto in prigione
più di sei mesi, per levargli di testa la voglia d'essere re; ma io non
saprei assicurar la verità di questo fatto.
NOTE:
[1686] Corio, Istoria di Milano.
[1687] Chron. Veronens., tom. 8 Rer. Ital.
[1688] Cronica di Siena, tom. 15 Rer. Ital.
[1689] Chron. Placent., tom. 16 Rer. Ital.
[1690] Gatari, Istor. di Pad., tom. 17 Rer. Ital.
[1691] Annal. Mediolan., tom. 16 Rer. Ital. Corio, Istor. di Milano.
[1692] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
[1693] Chron. Veronens., tom. 8 Rer. Ital.
[1694] Caresin., Chron. Venet., tom. 12 Rer. Ital.
[1695] Chron. Veron., ubi sup.
[1696] Vita Urbani V, P. II, tom. 3 Rer. Ital.
[1697] Matth. Palmerius, Vit. Nicolai Acciajoli, tom. 13 Rer. Ital.
[1698] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCLXVI. Indizione IV.
URBANO V papa 5.
CARLO IV imperadore 12.
Nacque nel maggio dell'anno presente a _Galeazzo Visconte_ in
Pavia una figliuola da Bianca di Savoia, a cui fu posto il nome
di _Valentina_[1699], e col tempo passò in Francia, maritata in un
principe di quella real casa. Per questa nascita si fecero mirabili
feste in quella città. Ed essendo in tal congiuntura capitati colà
_Niccolò marchese_ d'Este e _Malatesta Unghero_, che andavano per
loro affari alla corte del papa, tennero insieme con _Amedeo conte_
di Savoia al sacro fonte la fanciullina. Passarono dipoi i due primi
principi a Milano, dove ricevettero di grandi finezze da Bernabò,
quando il lor viaggio ad Avignone avea per iscopo la rovina di lui,
se la fortuna gli avesse assistiti. Giunti questi due principi al
papa, il mossero a maneggiare una lega, in cui avessero luogo non
solamente il papa stesso[1700], i suddetti due signori, _Francesco
da Carrara, Lodovico_ e _Francesco da Gonzaga_, ma anche lo stesso
_Carlo imperadore_, a cui fu d'essa lega dato il baston da comando, e
_Lodovico re_ d'Ungheria. Questa poi fu conchiusa nel dì 7 d'agosto
dell'anno seguente. Le apparenze erano che la volessero unicamente
contro le compagnie de' soldati masnadieri, flagello insopportabil
allora dell'Italia; ma creduto fu che segretamente si trattasse della
depression de' Visconti, la potenza de' quali dava da gran tempo troppa
gelosia a cadauno de' principi d'Italia. Appena l'accorto Bernabò ebbe
sentore di questo maneggio, che per chiarirsi delle lor intenzioni
diede ordine a' suoi ambasciatori di far istanza per essere ammesso in
quella lega. Il papa li rimise allo imperadore, e l'imperadore gli andò
menando a mano un pezzo, tanto che Bernabò si assicurò de' lor disegni.
Il perchè comandò ad _Ambrosio_ suo figliuolo, il quale si trovava
allora nel Genovesato, di assoldar sempre più gente. Fu ubbidito.
Pagava profumatamente, nè di più ci volea perchè tutti i ribaldi e
malcontenti ed Inglesi e Tedeschi corressero a lui: laonde raunò un
formidabile esercito[1701]. Passò questa gente alla Spezia, e ad altri
luoghi della riviera di Genova, saccheggiando dappertutto. Arrivarono
a Levanto, andarono a Chiavari. Tutti fuggivano per quelle parti, e in
Genova stessa era sommo lo spavento.
E pur crebbero gli affanni nel dì 13 di marzo, perchè _Galeazzo
Visconte_ mandò ad intimar la guerra a quel popolo. Si dubitò forte
che bollissero intelligenze per deporre _Gabriello Adorno_ doge,
dacchè fu manifesto essersi unito coi nemici _Lionardo di Montaldo_,
rivale dell'Adorno, e bandito in Genova. Fu dunque preso il partito
dal consiglio di Genova di trattar accordo coi signori di Milano,
e restò dipoi nell'anno seguente convenuto che i Genovesi pagassero
loro ogni anno quattro mila fiorini d'oro, e mantenessero quattrocento
balestrieri al loro servigio, e in tal guisa cessò quel rumore. Per
questo accordo _Ambrosio Visconte_ colle sue masnade si ritirò da
que' contorni, e tornò con _Giovanni Aucud_ a salassare i miseri
Sanesi[1702]. Se vollero essi levarsi d'addosso queste sanguisughe,
dappoichè varii loro luoghi aveano patito il sacco e l'incendio, fu
d'uopo pagare a' dì 23 di aprile dieci mila e cinquecento fiorini
di oro e molte carra di armadure, oltre a varii altri regali di
commestibili. Se ne andarono costoro col malanno alla volta di Roma. Al
servigio dei Perugini dimorava allora _Albaret_ Tedesco, capitano della
compagnia della Stella. Perchè costui trattava un tradimento in danno
di quella città, nel novembre tagliata gli fu la testa. D'ordinario
andavano a finir male questi capi d'assassini. Colla morte naturale,
che seguì nell'anno presente, di _Giovanni da Oleggio_, stato già
tiranno di Bologna, la città di Fermo ritornò sotto il pieno dominio
della santa Sede. Più istanze aveano fatte i Romani affinchè _papa
Urbano V_ riportasse la sedia pontificale e la residenza in Roma.
Veggonsi ancora lettere esortatorie del Petrarca per questo. Forse niun
bisogno avea egli di tali sproni, perchè, prima anche d'essere alzato
al trono pontificale, attribuiva i disordini dello Stato della Chiesa,
anzi dell'Italia tutta, alla lontananza dei papi, ed avea già mostrata
la sua disposizione a levarsi dalla Provenza. Pertanto, avendo presa
la risoluzion di venire a Roma, scrisse in questo anno al _cardinale
Egidio Albornoz_ che gli preparasse il palagio in Roma, ed un altro in
Viterbo, dove pensava di passar la state dell'anno prossimo venturo.
NOTE:
[1699] Corio, Istoria di Milano.
[1700] Raynaldus, Annal. Eccles.
[1701] Georgius Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Italic.
[1702] Cronica di Siena, tom. 15 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCLXVII. Indiz. V.
URBANO V papa 6.
CARLO IV imperadore 13.
Finalmente volle _Urbano V papa_ dar compimento alla risoluzion sua
di trasferirsi in Italia, al dispetto de' cardinali franzesi che
fecero di mani e di piedi per frastornare questo lodevol disegno. Da
Venezia, da Genova, da Pisa e dalla _reina Giovanna_ gli furono a gara
esibite galee per condurlo, e servirgli di sicurezza e scorta[1703].
Ne accettò egli venticinque, e con queste nel dì 23 di maggio arrivò
a Genova, accolto con immensa allegrezza da quel popolo. Più di mille
persone per fargli onore si vestirono di drappo bianco, che così era
allora il rito. Volle alloggiar fuori di città; ma, fattagli paura
di qualche possibil sorpresa dalla parte de' Visconti, co' quali non
si erano peranche acconci i Genovesi, elesse un luogo più sicuro.
Pontificalmente vestito, e addestrato da _Gabriello Adorno_ doge e da
Deliano de' Panciatichi da Pistoia podestà, cavalcò per la città, e
nel dì 28 sopra le galee imbarcatosi di nuovo, passò nelle vicinanze di
Pisa, ma senza volere smontare in terra[1704]. Giunto a Corneto, quivi
trovò il cardinale legato _Egidio Albornoz_, e con lui andò a fermare
in Viterbo nel dì 9 di giugno i suoi passi[1705]. Indicibil fu in tutta
Italia il giubilo per questa venuta del pontefice. Non tardarono i
Romani a spedirgli una solenne ambasciata colle chiavi della città; e
_Niccolò Estense marchese_ di Ferrara[1706], dopo aver magnificamente
accolti in Modena que' cardinali che vennero per terra, e dopo
essere ito apposta a Venezia a prendere _Jacopo conte di Savoia_,
ed averlo condotto a Rovigo nel dì 3 di ottobre, si partì da Ferrara
con settecento uomini d'armi e duecento fanti riccamente vestiti, ed
arrivò nel dì 12 a Viterbo, dove era stata una sedizion del popolo che
mise gran paura a tutta la corte papale. Non altro che lui aspettava
il pontefice per muoversi alla volta di Roma; e però sotto la guardia
del marchese e delle sue genti nel dì 14 s'inviò colà, accompagnato
da _Amedeo VI conte di Savoia_, da _Malatesta Unghero_ signor di
Rimini, da _Ridolfo signore di Camerino_, e da copiosissima nobiltà
di tutti gli Stati della Chiesa e di Toscana, e dagli ambasciatori
dell'_imperadore_, del _re di Ungheria_, della _reina Giovanna_, e
d'altri principi e città. Sperava egli di far quella solenne entrata
in compagnia dello stesso _imperadore Carlo IV_ (che questo era il
concerto); ma sopraggiunti varii affari a quell'Augusto, differì egli
sino all'anno venturo la sua venuta. Accolto con incontro magnifico dal
clero e popolo romano, fra gli strepitosi viva andò il papa a smontare
alla basilica vaticana. Sulle scalinate, o per ordine o con licenza
di lui, il _marchese Niccolò_ conferì l'ordine della cavalleria a
sei nobili italiani e ad altrettanti tedeschi. Andò poscia il papa ad
alloggiar nel palazzo vaticano[1707].
Mancò di vita in quest'anno nella città di Viterbo, a dì 24 d'agosto,
un lume del sacro collegio, cioè il cardinal _Egidio Albornoz_,
personaggio, la cui memoria fu e sarà sempre celebre nella storia
ecclesiastica per le tante imprese da lui fatte in servigio temporale
della Chiesa romana, e per la sua mirabil attività e saviezza. Nel dì 5
d'aprile di quest'anno avea egli tolta a' Perugini la città d'Assisi.
Per questa perdita fu sommamente afflitto il papa, perchè più che mai
abbisognava de' consigli e dell'appoggio di questo insigne porporato.
Trovò esso pontefice al suo arrivo la famosa città di Roma ridotta
in pessimo stato, cadute le maestose fabbriche degli antichi Romani,
chiese rovinate, palagi abbandonati, case vote o diroccate, e con mano
toccò gli amari effetti della sì lunga assenza de' pontefici. Cominciò
ben egli a medicar queste piaghe; ma, siccome vedremo, le concepute
speranze da lì a non molto svanirono. Era divenuta la Toscana un
misero teatro delle insolenze e della crudeltà de' soldati masnadieri.
Spezialmente Siena e Perugia ne provarono in questi tempi un nuovo
scempio[1708]. Correndo il mese di gennaio, tornò sul Sanese _Giovanni
Aucud_ colla compagnia degl'Inglesi, desertando, secondo il solito,
quel paese. Succederono varie battaglie di poco momento. Passarono
costoro sul Pisano a dar la sua a quel territorio; ma sul principio
di marzo eccoli di nuovo ad infestare il distretto di Siena. Allora
i Sanesi, unito quanto poterono di gente massimamente unghera, e
ricevuto dai Perugini un buon rinforzo, vollero tentar la fortuna con
una giornata campale nel dì 6 di marzo a Montalcinello. Male per loro,
perciocchè furono rotti colla morte o prigionia di moltissimi. Fra i
presi si contò Ugolino da Savignano nobile modenese, loro conservatore
e capitano di guerra, a cui fu messa taglia di dieci mila fiorini
d'oro. Cavalcò poscia l'Aucud sul contado di Perugia. Anche quel bravo
popolo si appigliò all'uso del ferro, piuttosto che a quello dell'oro,
per allontanar questi divorati da' suoi confini; ma, venuto a battaglia
al ponte di San Gianni, ne andò sconfitto colla morte, per quanto portò
la fama, di circa mille e cinquecento persone.
Grandi feste si fecero nel dì 3 di giugno in Milano[1709], perchè vi
si celebrarono le nozze di _Marco_ figliuolo di _Bernabò Visconte_
con _Isabella_ figliuola di _Stefano_ (ossia di _Federigo_) _conte
palatino_ e duca di Baviera. Parimente Bernabò diede per moglie a
_Stefano duca_ di Baviera _Taddea_ sua figliuola. A questo anno ancora
riferiscono gli Annali di Milano e il Corio[1710] le disavventure di
_Ambrosio Visconte_, bastardo di Bernabò. Era egli colla sua campagnia
di masnadieri passato in regno di Napoli verso l'Aquila, mettendo in
contribuzione e saccheggiando quelle contrade. La _reina Giovanna_,
raccolte tutte le sue milizie sotto il comando di Giovanni Malatacca
Reggiano, le spedì contra d'Ambrosio. Si venne ad una battaglia,
l'armata d'Ambrosio fu disfatta, ed egli con altri conestabili condotto
nelle carceri di Napoli, dove gran tempo fece penitenza, ma sforzato,
delle rapine e dell'altre molte sue iniquità. Io non so se questo
fatto appartenga all'anno presente. Ne' Giornali Napoletani[1711] e da
Sozomeno se ne parla all'anno 1370. Tuttavia sembra che più fede meriti
la Cronica di Siena[1712], dove all'anno seguente viene raccontata
questa battaglia, succeduta a Sacco del Tronto in Puglia. Erano circa
dieci mila tra fanti e cavalli quei d'Ambrosio; così fiera fu la
rotta, che pochi ne camparono, essendo rimasti o sul campo, o presi
in paese tutto irritato contra sì bestiale canaglia. Ambrosio, ferito
e preso, andò a riposar nelle prigioni. Secento di costoro furono
menati prigioni a Roma, giacchè anche le milizie del papa aveano avuta
parte alla vittoria. Trecento ne fece impiccare il papa; gli altri
condotti a Montefiascone, perchè vollero fuggire, furono anche essi
col laccio tolti dal mondo. Questa parve una crudeltà al Corio[1713].
Nell'anno presente[1714] a' dì 13 di gennaio compiè il corso di sua
vita _Marco Cornaro_ doge di Venezia, e fu alzato a quella dignità
_Andrea Contareno_ nel dì 20 di esso mese. Intanto _Bernabò Visconte_,
pieno di fiele con tra di _Lodovico_ e _Francesco da Gonzaga_ signori
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