Annali d'Italia, vol. 5 - 43

[1478] Annales Mediolan., tom. 16 Rer. Ital.
[1479] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital. Cronica Bolognese, tom. 18
Rer. Ital.
[1480] Johann. de Bazano, tom. 15 Rer. Ital.
[1481] Matteo Villani, lib. 1, cap. 45.


Anno di CRISTO MCCCL. Indizione III.
CLEMENTE VI papa 9.
CARLO IV re de' Romani 5.

Gran celebrità diede all'anno presente il giubileo istituito in Roma
da papa _Clemente VI_[1482], il quale per le istanze de' popoli,
e massimamente de' Romani, ridusse a cinquant'anni questa piissima
funzione, adducendo tutti che troppo lungo era Io spazio di cento anni
decretato da papa _Bonifazio VIII_, perchè resterebbe da questo pio
vantaggio esclusa almeno un'intera generazion di cristiani. L'avere
il papa nell'anno precedente intimata a tutti i popoli cristiani la
concessione di tanta indulgenza e perdono, fece muovere un'infinità
di gente alla volta di Roma; e stimolo grande s'accrebbe alla lor
divozione dal terribil ceffo della morte, che per cagion della
pestilenza si era lasciato vedere per tutto, o quasi per tutte le
Provincie cristiane ne' tre anni precedenti, e tuttavia durava in
qualche paese. Maraviglia fu il vedere l'immensa quantità di gente
che da tutte le parti della cristianità concorse a questo perdono.
Piene continuamente erano le strade maestre dell'Italia di viandanti,
come nelle fiere[1483]; e Matteo Villani calcolò che in Roma, durante
la quaresima, si contasse (se pure è credibile) un milione e ducento
mila pellegrini: di modo che troppo superiore fu il concorso di questa
volta in paragone dell'altro dell'anno 1300. Tutta, per così dire, Roma
era un'osteria, e la divozione altrui mirabilmente servì all'avidità
de' Romani, che ricavarono tesori da tanta gente, guadagnando anche
sfoggiatamente per la carezza degli alloggi e de' viveri, senza volere
che i forestieri ne conducessero, per assorbir essi tutto il guadagno.
E perciocchè questo loro ingordo contegno produsse talvolta mancanza
di vettovaglia, ne nacquero tumulti, e il _cardinale Annibaldo_ da
_Ceccano_ legato apostolico corse dei pericoli[1484]. Questi poi,
prima che compiesse l'anno presente, attossicato con assai di sua
famiglia, cessò di vivere. De' tanti tesori che colarono in questa
congiuntura nelle chiese di Roma, l'una parte toccò alle chiese
medesime, e l'altra al papa, il quale impiegò poi questo danaro in
raunar milizie per far guerra in Romagna. Conte di quella provincia
era _Astorgio di Duraforte_; e trovando egli tutte le città occupate
da' signori che nella storia ecclesiastica son chiamati tiranni, si
mise in cuore di ricuperar tutto il paese. Per questo fine richiese
d'aiuto i principi di Lombardia e i comuni di Toscana, accompagnando le
richieste sue con premurose lettere del papa. L'_arcivescovo di Milano_
gl'inviò cinquecento barbute. _Mastino dalla Scala_, i _Pepoli_ signori
di Bologna ed _Obizzo Estense_ signor di Ferrara e Modena gliene
mandarono a proporzione. Non si vollero incomodare per lui i Toscani.
La prima impresa, che tentò questo ministro pontificio, fu contra di
Faenza, signoreggiata allora da _Giovanni de' Manfredi_, che dianzi ne
avea cacciate le genti del conte[1485]. Nel dì 16 di maggio imprese
l'assedio del castello di Solaruolo. Il Manfredi, che avea preveduto
il colpo, vi aveva introdotta una buona guarnigione, e questa fece
gagliarda difesa sino al dì 6, oppure 8 di luglio, in cui succedette
una strepitosa novità. Trattava _Giovanni de' Pepoli_ d'aggiustamento
fra il conte della Romagna e Giovanni Manfredi, per far rendere alla
Chiesa Faenza. Mostrò il conte desiderio di abboccarsi col Pepoli prima
di conchiudere il trattato; e il Pepoli, benchè contro il parere di
_Jacopo_ suo fratello, che doveva essere più accorto di lui, andò a
trovarlo nel campo di Solaruolo. Fu ricevuto con gran festa; ma andò
questa a terminare in suo grave affanno, perchè fu fatto prigione con
un suo nipote figliuolo di Jacopo: ducento cavalieri da lui mandati
in aiuto del conte furono anche essi presi, rubati di tutto e ritenuti
prigioni. Il Manfredi e _Francesco degli Ordelaffi_ signore di Forlì,
per resistere al conte Astorgio, aveano preso al lor soldo il _duca
Guarnieri_ condottiere di cinquecento barbute tedesche, il quale si era
partito dal regno di Napoli, siccome dicemmo. Fece correr voce il conte
ch'esso duca, per trattato di Giovanni de' Pepoli, era venuto a Faenza,
e per questo egli avea fatto mettere le mani addosso al Pepoli. Se ciò
sussistesse, nol so dire: ben so che questa prigionia fu universalmente
tenuta per un gran tradimento, e che in que' tempi i ministri inviati
dal papa in Italia furono per lo più in concetto d'uomini di poca
lealtà e capaci di tutto, ma spezialmente attenti ad empiere le loro
borse. Abbiamo dalla Cronica Estense che nel precedente giugno avea lo
stesso conte della Romagna tenuto dei trattati segreti, con promessa
di trenta mila fiorini d'oro ai traditori, per far uccidere Giovanni e
Jacopo dei Pepoli; ma, scoperta la trama, ebbe fine colla morte di due
nobili bolognesi. Condotto _Giovanni de' Pepoli_ nelle carceri d'Imola,
gli fu proposto, se amava la libertà, di cedere Bologna all'armi
del papa: al che si mostrò egli o fintamente o veramente disposto,
e cominciò a scriverne a Jacopo suo fratello. Intanto il conte
s'impadronì di Castello San Pietro; ma perciocchè le sue soldatesche,
per ritardo di paghe, si ammutinarono, pretendendo settanta mila
fiorini d'oro, il conte, non avendo altro ripiego, mise in lor mano
Giovanni de' Pepoli per pegno, con tassare il di lui riscatto ottanta
mila fiorini d'oro. Oltre a ciò, lasciò loro in guardia Castello San
Pietro, ed accrebbe poi le ostilità contra Bologna. Fece allora _Jacopo
de' Pepoli_ venire il _duca Guarnieri_ con sua gente per difesa della
città, e ricorse ancora per aiuto a _Giovanni Visconte arcivescovo_ e
signor di Milano. Bella occasione di pescar nel torbido parve questa
al Visconte, personaggio pieno d'ambizione e di vaste idee non meno del
fu suo fratello Luchino. Anch'egli perciò mandò un corpo di cavalleria
in rinforzo ai Pepoli. Gliene spedì eziandio _Ugolino Gonzaga_, e vi
andò in persona _Malatesta_ signor di Rimini con assai gente: stomacati
tutti del tradimento fatto dal ministro papale a Giovanni de' Pepoli.
Per lo contrario, _Mastino dalla Scala_, ricordevole che i Pepoli erano
stati in lega coi Gonzaghi contra di lui, inviò nuova gente in sussidio
del conte della Romagna.
Trovandosi intanto Giovanni de' Pepoli in ostaggio de' soldati
pontificii, venne ad un accordo, promettendo loro venti mila fiorini
d'oro di presente, e il resto per tutto il dì 6 di settembre; e se
ciò non eseguiva, di tornar nelle loro forze, con dare intanto per
ostaggi i suoi figliuoli. Ebbero esecuzione i patti, ed egli rimesso
in libertà, giacchè gli andò a vuoto un trattato di sorprendere
il conte della Romagna, nel dì 9 di settembre cavalcò a Milano per
trattare con Giovanni Visconte de' suoi affari. Trovavansi questi in
male stato, perchè forze non c'erano per resistere alla guerra mossa
dal conte di Romagna, e mancava la pecunia per riscattare i figliuoli.
Parte dunque per necessità, e parte per vendicarsi del medesimo conte,
segretamente vendè la città di Bologna all'arcivescovo Visconte per
ducento mila fiorini, secondo Matteo Villani[1486]; laonde il Visconte
spedì tosto a Bologna i due nipoti _Bernabò_ e _Galeazzo_ con gran
gente d'armi come ausiliarii de' Pepoli. Allorchè essi Pepoli si
avvisarono d'essere assai forti per poter eseguire il contratto[1487]
fecero eleggere signor di Bologna _Giovanni Visconte_ nel dì 25
d'ottobre, ma con rabbia e dispetto de' migliori e del popolo tutto,
che andava gridando per le strade: _Noi non vogliamo essere venduti_.
Tuttavia bisognò prendere il giogo. Era ne' tempi addietro Bologna
considerata, non come una città, ma come una provincia: tanto lungi
si stendeva il suo distretto, e tanta era la copia degli scolari, i
quali talvolta arrivarono al numero di tredici mila. L'acquisto fattone
dall'arcivescovo di Milano fu un principio di grandi sciagure per
essa città, sì perchè il popolo guelfo di fazione non sapea sofferire
il giogo dei Ghibellini, e sì perchè di ciò s'ingelosirono forte i
Fiorentini ed altri principi di Lombardia, conoscendo abbastanza la
sfrenata avidità del Biscione: che così si cominciò a soprannominar
la casa dei Visconti per cagione della vipera, ossia del serpente
dell'armi sue gentilizie. Nei patti suddetti Jacopo de' Pepoli si
riserbò la signoria di San Giovanni in Persiceto e di Sant'Agata, e
Giovanni quella di Crevalcuore e Nonantola: il che maggiormente accese
l'odio de' Bolognesi contra dei Pepoli.
Fu in quest'anno[1488] che _Giovanni Visconte_, per meglio stabilire la
sua casa, procurò a _Bernabò_ suo nipote in moglie _Regina_ figliuola
di _Mastino_, e all'altro suo nipote Galeazzo _Bianca_ sorella di
_Amedeo VI conte_ di Savoia. Sul fine di settembre in Verona fu sposata
Regina, e alla nobil funzione intervennero _Obizzo marchese_ d'Este e
_Jacopo da Carrara_ signor di Padova, i quali, secondo l'uso di que'
tempi, non dimenticarono di fare degli splendidi regali alla sposa.
Celebraronsi poscia con pompa maggiore in Milano nel giorno medesimo le
nozze di amendue, e quelle ancora di _Ambrosio_ figliuolo di _Lodrisio
Visconte_. Successivamente nel mese di novembre _Can Grande dalla
Scala_ figliuolo di Mastino prese per moglie _Isabella_ figliuola del
già _Lodovico il Bavaro_, e sorella del _marchese di Brandeburgo_.
Corte bandita e gran solennità fu fatta in Verona per questa occasione
Nell'anno presente[1489] _Lodovico degli Ordelaffi_ s'impadronì di
Bertinoro, e _Francesco degli Ordelaffi_ occupò Meldola. Erano essi
collegati coi _Manfredi_ di Faenza contro al conte di Romagna. Guerra
in questi tempi bolliva tra il patriarca di Aquileia _Beltrando_,
Guascone di patria, prelato di grandi virtù, e il _conte di Gorizia_,
con cui si erano uniti molti castellani del Friuli ribelli del
patriarca[1490]. Mentre con ducento uomini d'armi era esso patriarca in
viaggio verso Udine, fu colto da' nemici; nè solamente andò sconfitta
la sua gente, ma restò egli preso, e, trafitto da un colpo di spada,
vi lasciò miseramente la vita. Ciò pervenuto all'orecchio del duca
d'Austria, corse frettolosamente con poderosa copia di combattenti
nel Friuli, e si mise in possesso d'Aquileia, d'Udine e degli altri
luoghi, alla riserva di Sacile. Gran vendetta fu poi fatta di questo
esecrando misfatto. Avea fin qui con assai prudenza governata la città
di Padova _Jacopo da Carrara_, e s'era guadagnato l'amore del pubblico,
ma non già di Guglielmo bastardo da Carrara, che per li suoi cattivi
portamenti era sequestrato in Padova[1491]. Perchè costui non poteva
ottener la licenza d'andarsene a suo piacimento, talmente s'inviperì,
che nel dì 21 di dicembre, festa di san Tommaso, trovandosi con esso
solo in una camera, sfoderato un coltello, gli tagliò il ventre,
onde cadde morto a terra, Guglielmo dalle guardie fu messo in brani.
Universale fu il pianto de' cittadini per questa perdita; e perciocchè
non si trovava in città se non _Marsilio_ fanciullo, figliuolo di esso
Jacopo, fatto un gran concorso al palazzo, fu creduto bene di metterlo
a cavallo e di condurlo per la città, acciocchè si tenesse in quiete il
popolo, finchè venissero _Jacopino_ fratello e _Francesco_ primogenito
dell'ucciso signore, i quali venuti nel dì 22 del suddetto mese,
entrambi furono di comun concordia del popolo proclamati signori.
Terminò in quest'anno sul principio di gennaio o di febbraio i suoi
giorni _Giovanni da Murta_ doge di Genova, dopo aver con assai zelo
e prudenza governata quella repubblica[1492]. In luogo suo fu eletto
_Giovanni di Valente_. Ma in questo anno ebbe principio una nuova
guerra fra i Genovesi e i Veneziani, nazioni emule da gran tempo per
la mercatura che faceano in Levante. Erano i primi padroni di Gaffa
nella Crimea[1493], e pretendendo che i Veneziani non navigassero nel
mar Nero, ossia Maggiore, presero alcuni loro legni, e ne ritennero
la mercatanzia. Essendo riuscite vane le istanze fatte per via di
ambasciatori, affinchè restituissero il maltolto, adunarono i Veneziani
una flotta di trentacinque galee sotto il comando di Marco Ruzino. Con
questa avendo colte nel di 29 di agosto quattordici galee di mercatanti
genovesi ad Alcastri, cinque ne presero, e all'altre fu messo fuoco
da' Genovesi medesimi; oppure, secondo lo Stella, dieci vennero alle
loro mani, e quattro si salvarono a Scio. Più di mille prigioni furono
condotti a Negroponte. Ecco dunque dichiarata la guerra fra queste
due nazioni, sì potenti allora in mare. Diede essa motivo dipoi a'
Veneziani di collegarsi col _re di Aragona_, nemico anch'esso de'
Genovesi; e di queste maledette divisioni e rivalità de' cristiani
seppero ben profittare allora i Turchi con istendere la loro potenza
nell'Asia. Benchè sembrassero gli affari del re d'Ungheria in assai
buono stato dopo la rotta data ai Napoletani, pure cangiarono presto
faccia per l'infedeltà ed ingordigia de' Tedeschi, comandati dal _duca
Guarnieri_. Cominciarono essi a tumultuare in Aversa per cagion delle
paghe che non correvano[1494]. _Stefano vaivoda di Transilvania_,
generale dell'armata unghera, tentò di placarli col dar loro nelle
mani i baroni napoletani prigioni, acciocchè col riscatto di essi
si rimborsassero. Racconta il Gravina che que' crudi masnadieri,
per indurre essi nobili a pagare cento mila fiorini d'oro, con varii
tormenti li ridussero quasi a morte: laonde promisero di pagare quella
somma, che Matteo Villani fa ascendere fino a ducento mila fiorini.
Ma neppur questo bastando al compimento delle paghe da loro pretese,
si scoprì una risoluzione da lor fatta di far prigione lo stesso
vaivoda. Perlochè il vaivoda una notte con tutti i suoi Ungheri se ne
andò alla volta di Manfredonia. Rimasti i Tedeschi padroni d'Aversa e
d'altri luoghi, trattarono una tregua col _re Luigi_ e coi Napoletani,
ricavandone cento mila fiorini d'oro. Cento altri mila furono loro
promessi, se cedevano Aversa, Capoa ed altri luoghi ad esso re Luigi.
Ma in fine costoro, non avendo più sussistenza di viveri, si ritirarono
da Aversa, e la depositarono in mano del cardinal di Ceccano[1495].
Il duca Guarnieri con settecento cavalieri, siccome dicemmo, venne
dipoi a Forlì e Bologna, dove prese soldo. Corrado Lupo con altri
Tedeschi si acconciò di nuovo ai servigi del vaivoda. Avendo poscia
il re Luigi ripigliato Aversa, e fortificatala, parevano risorti i
di lui affari, quando eccoti _Lodovico re_ d'Ungheria, che con gran
gente, mosso dalle sue contrade, viene a sbarcare in Manfredonia.
Unite insieme le sue forze in Baroli, si trovò che ascendevano a quasi
quattordici mila Ungheri a cavallo ed otto mila Tedeschi parimente
cavalieri, e a quattro mila fanti lombardi. Il Villani, forse con più
fondamento, la fa minore di qualche migliaio. Conquistò Bari, Bitonto,
Baroli, Canosa, Melfi, Matalona, Trani ed altre terre. I Salernitani
gli aprirono le porte: in una parola venne alle di lui mani, fuorchè
Aversa e Napoli, tutta la Terra di Lavoro. Lungo tempo si trattenne
dipoi il re d'Ungheria all'assedio di Aversa, nè, per quanti assalti
desse alla terra con gran perdita di sua gente, potè vincerla. L'ebbe
in fine per trattato da quei cittadini. Ma intanto papa _Clemente
VI_ non intermetteva diligenza alcuna per mettere fine a questo fiero
sconvolgimento del regno di Napoli, facendo proporre, per mezzo di due
cardinali, tregua o pace. Il re d'Ungheria, che gran voglia avea di
ritornarsene al suo paese, vi diede orecchio; molto più il _re Luigi_ e
_la regina Giovanna_ sua moglie, che erano giunti al verde, nè sapeano
più come sostenersi. Fu dunque rimessa al pontefice la cognizion della
differenza, con che intanto i due re e Giovanna uscissero del regno.
Se si trovava colpevole la regina della morte del _duca Andrea_, dovea
perdere il regno, e questo darsi al re unghero; se innocente, avea
da tornarne in possesso, e pagare al re unghero per le spese della
guerra trecento mila fiorini d'oro. Venne il re d'Ungheria per sua
divozione a Roma, e poscia si ridusse ai suoi stati d'Ungheria. La
sentenza della corte pontificia in fine fu favorevole alla _regina
Giovanna_, come ogni saggio ben prevedeva; e il re di Ungheria per
sua magnanimità neppur volle o pretese i trecento mila fiorini, che
gli si doveano secondo i patti. In quest'anno _Benedetto di Buonconte
de' Monaldeschi_, dopo avere ucciso due de' suoi consorti, si fece
signore d'Orvieto. _Giovanni de' Gabrielli_ anch'egli prese la signoria
di Gubbio; e perciocchè i Perugini andarono all'assedio di quella
città, il tiranno chiamò in suo aiuto _Bernabò Visconte_, che per
l'arcivescovo suo zio vi mandò un rinforzo di cavalleria, e in questa
guisa si difese.
NOTE:
[1482] Raynaldus, Annal. Eccles.
[1483] Matteo Villani, lib. 1, cap. 56.
[1484] Vita di Cola di Rienzo, Antiquit. Ital.
[1485] Annal. Caesen., tom. 14 Rer. Ital. Chron. Estense, tom. 15 Rer.
Ital.
[1486] Matteo Villani, lib. 1. Petrus Azarius, Chron., tom. 16 Rer.
Ital.
[1487] Chron. Bononiens., tom. 18 Rer. Ital.
[1488] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital. Cortusiorum Histor., tom. 12
Rer. Ital. Chron. Bononiens., tom. 18 Rer. Ital.
[1489] Chron. Caesen., tom. 14 Rer. Ital.
[1490] Cortus. Histor., tom. 12 Rer. Ital.
[1491] Gatari, Histor. Padov., tom, 17 Rer. Ital. Cortus. Histor.
[1492] Georgius Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
[1493] Marino Sanuto, Ist., tom. 22 Rer. Ital.
[1494] Dominicus de Gravina, Chron., tom. 12 Rer. Ital.
[1495] Matteo Villani, lib. 1, cap. 87.


Anno di CRISTO MCCCLI. Indizione IV.
CLEMENTE VI papa 10.
CARLO IV re de' Romani 6.

L'acquisto fatto da _Giovanni Visconte_ arcivescovo di Milano della
città di Bologna, con indignazione era stato inteso da papa _Clemente
VI_[1496], sì per vedere occupata da un sì potente signore una sì
riguardevol città della Chiesa, come ancora per conseguenze fastidiose
che ne poteano avvenire. Però nel novembre dell'anno precedente gli
avea scritto un breve fulminante, con ordine di restituire entro un
termine prefisso quella città, e con intimazione delle censure contra
di lui, di _Galeazzo_ suo nipote e dei _Pepoli_, se non ubbidiva.
Mandò anche in Italia nell'anno presente un suo nunzio per far leghe
contra del Visconte. Se s'ha in ciò da prestar fede al Corio[1497],
arrivato questo nunzio a Milano nel gennaio di quest'anno, rinnovò le
istanze pontificie per la restituzion di Bologna, e disse per parte del
papa al Visconte, che si eleggesse, o d'essere solamente arcivescovo,
o solamente principe temporale, perchè l'uno e l'altro non volea
che fosse. Aspettò l'arcivescovo a dargli la risposta la seguente
mattina nel duomo, dopo aver celebrata solenne messa. Fatta ripetere
l'istanza del nunzio in presenza del popolo, prese colla man manca la
croce, e coll'altra una spada nuda, e disse al prelato: _Monsignore,
risponderete al papa da parte mia, ch'io con questa difenderò l'altra_.
Il pontefice, avuta questa risposta, sottopose all'interdetto tutte
le città dell'arcivescovo, e citò lo stesso arcivescovo a comparire in
Avignone: al che gli fece sapere d'essere pronto. Diede intanto ordine
al suo ministro d'Avignone di far quivi de' preparamenti per dodici
mila cavalli e sei mila fanti; e il ministro cominciò con furia a
preparar fieno e case per li forestieri che il Visconte andava mandando
colà. Avvisatone il papa, volle saperne da esso ministro la cagione: e
uditala, e che la spesa già fatta ascendeva a quaranta mila fiorini,
gli rimborsò quella somma, e comandogli di far sapere al suo padrone
che non s'incomodasse per venir colà. Non farei sicurtà io che questo
non fosse uno di que' racconti che vengono dal popolo per esaltar le
cose del proprio paese. Quello che è fuor di dubbio, l'oro, sì potente
in tante altre congiunture, qui ancora esercitò il suo potere. Cioè
nel dì 24 di settembre dell'anno presente ebbe maniera il Visconte di
riportar dal papa l'investitura di Bologna collo sborso di centomila
fiorini d'oro in due rate; e così cessò tutta la collera della corte
pontificia contra del Biscione. Ma da Matteo Villani[1498] questo
accordo è riferito al dì 8 di maggio, e dal Gazata[1499] all'ottobre
dell'anno seguente. Secondo lo stesso Villani, il Visconte diede da
bere a tutti i maggiorenti d'essa corte, come dicono in Milano, nella
tazza di santo Ambrosio. E perciocchè i Fiorentini, pensando ai casi
loro, studiaronsi di far venire in Italia _Carlo IV_ re de' Romani,
seppe molto bene l'arcivescovo trattenere quest'altro principe con
aurei regali, e con rappresentargli, qual indecenza sarebbe il venire
contra chi sosteneva i diritti dell'imperio in Italia, laddove i
Fiorentini e gli altri Guelfi non cercavano se non di abolirli.
Mentre queste cose passavano in corte del papa, _Bernabò Visconte_,
il quale in vece del fratello _Galeazzo_ era ito al comando di
Bologna[1500], riscattò dalle mani de' Tedeschi i due figliuoli di
_Giovanni dei Pepoli_, e da essi ricavò ancora il possesso di Castello
San Pietro, e ricuperò Lugo, ed ogni altra fortezza e castello del
Bolognese. Il _duca Guarnieri_ soddisfatto delle sue paghe, e carico
d'oro, andò ai servigi di _Mastino dalla Scala_; e il conte della
Romagna[1501], cioè _Astorgio di Duraforte_, accortosi tardi della
pazza sua condotta e dei mali effetti della sua dislealtà, screditato
se ne tornò oltramonti. A dì 14 di aprile arrivò al governo di Bologna
_Giovanni Visconte_ da Oleggio. La parzialità e fidanza grande che
aveva in costui l'arcivescovo, fecero credere a molti ch'egli fosse suo
figliuolo. Nel dì 3 di maggio l'esercito del Visconte andò allo assedio
d'Imola sotto il comando di Bernabò, con cui furono _Francesco degli
Ordelaffi_ signor di Forlì e _Giovanni de' Manfredi_ signor di Faenza.
Ma dentro v'era _Guido degli Alidosi_, che fece una gloriosa difesa,
finchè l'arcivescovo mosse l'armi sue contro la Toscana. Intanto nel
dì 21 di giugno si scoprì un trattato in Bologna; se vero o finto, io
nol saprei dire. Andando la notte in ronda un uffiziale di Giovanni
da Oleggio, trovò la porta di Strà Castiglione non serrata con chiave.
Imprigionato il capitano e tormentato, accusò _Jacopo de' Pepoli_ come
congiurato coi Fiorentini, per ritorre quella città; e nominò alcuni
complici, i quali tormentati confessarono lo stesso. Fu perciò preso
Jacopo de' Pepoli ed Obizzo suo figliuolo, dimorante in San Giovanni
in Persiceto, terra che, non men di Crevalcuore e di Sant'Agata, si
diede poco appresso a Giovanni da Oleggio. Francamente se ne andò
a Milano _Giovanni dei Pepoli_, che dimorava allora in Nonantola, a
lamentarsi coll'arcivescovo di quanto avea operato il di lui uffiziale,
pretendendolo un'iniquità e una mera calunnia. Gli fu permesso di
stare in Milano coll'assegno d'una pensione mensuale, purchè facesse
venir colà un suo figliuolo, e cedesse la terra di Nonantola: il che
fu eseguito. Jacopo condannato ad una perpetua carcere, nell'ottobre
fu condotto a Milano; ma alcuni de' suoi compagni come rei finirono la
vita loro sopra un patibolo in Bologna. Dacchè Giovanni Visconte non
potea, per li patti fatti col papa, stendere le sue conquiste verso
la Romagna, rivolse i suoi pensieri alla Toscana. Sturbò le leghe che
andavano maneggiando in Lombardia i Fiorentini, ed egli tirò al suo
partito i Pisani e tutti i Ghibellini di quelle parti. Non isbigottiti
per questo i Fiorentini[1502], attesero a premunirsi contra l'ingordo
prete, che colla sua potenza già si scopriva disposto ad ingoiar
tutti i vicini. La prima loro impresa fu di assicurarsi di Pistoia.
V'erano dentro delle turbolenze per la nemicizia dei Panciatichi coi
Cancellieri; e temendo che non ne approfittasse il Biscione, il quale
tuttavia faceva dell'amico loro, nel dì 26 di marzo tentarono di
sorprenderla con una scalata sul fare del giorno. Fallito il colpo,
misero l'assedio a quella città, e la tennero stretta per qualche
tempo, finchè, venuti gli ambasciatori di Siena a trattare d'accordo,
ottennero sul fine d'aprile che quel popolo prendesse alla loro guardia
i Fiorentini.
Era quasi spirato il mese di luglio, quando si fecero palesi i disegni
dell'arcivescovo e signor di Milano _Giovanni Visconte_ contra de'
Guelfi toscani. Marciò il di lui esercito da Bologna alla volta di
Pistoia, ed, impadronitisi della Sambuca, si accampò sul territorio
di Pistoia. Ne era capitan generale il soprammentovato _Giovanni
da Oleggio_. Nello stesso tempo si mossero contro ai Fiorentini gli
Ubaldini, i Tarlati e i Pazzi di Valdarno. Cavalcarono dipoi le genti
del Visconte sul distretto di Firenze sino a Campi e Peretola; ma
quivi, cominciando a penuriar di viveri, poco si poterono fermare,
e passarono in Mugello. Cinsero poscia d'assedio la terra di
Scarperia[1503]; ma quegli abitanti col presidio de' Fiorentini fecero
così valorosa difesa, che, per quanti assalti si dessero alla terra,
non solo niun vantaggio ne riportarono gli assedianti, ma furono sempre
respinti con loro danno e vergogna. Sicchè nel dì 16 di ottobre prese
Giovanni da Oleggio il partito di valicar l'Apennino, e di tornarsene
collo screditato suo esercito a Bologna, senza aver preso un castello
di conto. Per sì felice avvenimento furono in gran gloria ed allegria
i Fiorentini, e ne scapitò forte l'onore dell'arcivescovo di Milano.
Nè si dee tacere che nel mese di settembre, mandando i Perugini in
aiuto dei Fiorentini secento de' lor cavalieri, tutta bella gente
d'armi _Pier Saccone_ de' Tarlati, che avea ricevuto un sussidio di
quattrocento cavalieri tedeschi dal capitano del Visconte, postosi in
agguato, gli assalì; e, benchè sulle prime restasse egli prigione,
pure riavuto sconfisse i Perugini con far prigioni trecento de' lor
cavalieri, e prendere ventisette bandiere. Nel novembre seguente esso
Pier Saccone per tradimento entrò in Borgo San Sepolcro, terra molto
ricca, e se ne impadronì: nè i Perugini, con tutto il loro sforzo,
poterono impedire ch'egli non acquistasse ancora le rocche, le quali
si erano tenute forti per qualche tempo. Intanto per la guerra insorta
fra i Veneziani e Genovesi, dall'una e dall'altra repubblica fatto
fu un forte armamento[1504]; ma più in Genova, dove si allestirono
sessantaquattro galee con gran copia d'armati, e massimamente di
balestrieri, sotto il comando di _Paganino Doria_. Passata questa
possente flotta nel mese di luglio nel golfo di Venezia, recò danno
a varii luoghi, e poi dirizzò le prore verso Negroponte, dove erano i
prigioni di lor nazione. Trovarono in quel porto tredici o più galee
veneziane; v'ha chi scrive che le presero, e mandarono a Genova colle
mercatanzie; e chi, avere il general de' Veneziani attaccato ad esse
il fuoco. Tennero gran tempo i Genovesi assediata quella città, e
l'assalirono in fine con tal empito, che v'entrarono per forza, e
liberarono i lor prigioni; ma, conoscendo di non poter tenere quel
luogo, dopo avergli dato fuoco in più siti, se ne andarono a Pera.
Intanto i Veneziani collegatisi coi Catalani, o vogliam dire col re
d'Aragona[1505], nemico spacciato de' Genovesi, gli spedirono ventitrè
corpi di galee, perchè le armasse di sua gente, siccome egli fece.
Altre ventisette ne armarono nobilmente gli stessi Veneziani. Unitisi
questi legni in Sicilia, fecero vela nel novembre verso l'Arcipelago,
e raccolti altri di lor bandiera che erano in Levante, si trovarono
i Veneziani avere una flotta di sessanta galee, che svernò in quelle
parti. Intanto i Genovesi s'erano impadroniti dell'isola di Tenedo,
togliendola ai Greci, ed aveano dato il sacco ad altre loro terre: dopo
di che passarono anch'essi il verno in quelle contrade. Nel dì 3 di
giugno dell'anno presente passò all'altra vita _Mastino dalla Scala_
signore di Verona e Vicenza, principe rinomato e temuto assaissimo
in vita sua, e di cui, più che di altri, Giovanni Visconte cercò
l'amicizia e paventò il valore. Lasciò, oltre a molti bastardi, dopo
di sè tre figliuoli legittimi, cioè _Can Grande secondo, Can Signore_
e _Paolo Alboino_. Era tuttavia vivente _Alberto dalla Scala_ suo
fratello, e questi si contentò che anche i nipoti fossero eletti e